Tra i consulenti finanziari l’insostenibile leggerezza del manager. Ripartire dai fondamentali
La figura del manager di rete è stata trasformata gradualmente da coach al servizio della crescita umana e professionale del consulente, a figura retorica di problem solver al servizio delle direttive del Brand. Di chi è la colpa?
Articolo di Maurizio Nicosia*
Il 10 giugno di 20 anni fa ricevevo il mio primo incarico manageriale in una rete di consulenza finanziaria. In quel preciso momento storico, il manager era spesso il leader “campione”, quello che si era distinto nell’attività e che quindi poteva trasmettere le sue conoscenza e competenze ai colleghi talentuosi ma meno esperti del gruppo.
Erano gli anni 2000, quelli della bolla di Internet (le famose Dot-com), a cui seguì il crollo delle Torri Gemelle. In quel periodo, si cominciavano a manifestare i primi segnali di inquinamento di un ambiente lavorativo basato sull’attenta costruzione delle relazioni, sulle tecniche di comunicazione, sulla costruzione della trattativa e, per i manager e supervisori di allora, sul coaching ai neoarrivati e ai colleghi più giovani.
Già allora si rimpiangevano i c.d. pionieri della consulenza finanziaria, che mettevano al centro l’organizzazione dell’attività strutturata secondo un metodo ben definito: riunioni, colloqui individuali, affiancamento attivo e passivo, trattativa e obiezioni, role playing (a cui tutti partecipavano volentieri, vincendo anche ataviche timidezze personali). E’ proprio durante quegli anni – dicevo – che quel modello ha cominciato ad essere abbandonato, probabilmente per via della crescita sia degli strumenti di investimento a disposizione che delle dimensioni delle reti. Tutto ciò ha spostato il focus dal consulente al brand, facendo piano piano perdere la consapevolezza e la coscienza del ruolo individuale dei professionisti.
A questo percorso di crescita numerica, purtroppo, è corrisposto un percorso inverso in termini di qualità e attenzione alle risorse umane, in cui la figura manageriale è stata trasformata (dalle reti) da coach al servizio della crescita umana e professionale del consulente, a figura retorica al servizio delle direttive del Brand.
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Chi si occupa della fase di selezione riscontra nei candidati l’idea che la serenità all’interno delle proprie strutture venga raggiunta quando la figura manageriale non entra nel merito. Infatti, è maturata in modo prepotente l’idea che il manager sia un inutile orpello con l’unico vero obiettivo di drenare risorse in misura indiretta dai colleghi che coordina, con l’effetto di vedersi riconosciuto dalla struttura soltanto il ruolo di problem solver.
Il ruolo di guida sembra essere ormai tramontato del tutto, ma questo non sembra essere una colpa né del manager né del consulente. Piuttosto, la responsabilità di tutto ricade nella profonda trasformazione di un settore che oggi sembra aver perso di vista i suoi valori fondanti. Negli anni Ottanta e Novanta il mondo della consulenza finanziaria era in fase embrionale, l’età media era bassa, la voglia di intraprendere e sperimentare tanta, il fascino di costruire le basi di un nuovo mondo professionale fungeva da volano a chi desiderava organizzare la propria attività. In tanti ci provavano, e non molti rimanevano nel mercato, per cui il compito di creare una squadra prevedeva necessariamente generosità ed altruismo, elementi inscindibili dal ruolo di manager di un tempo.
Oggi il settore è maturo, soprattutto in termini di età media, si sono strutturate delle rendite di posizione, la voglia di intraprendere è drasticamente calata e i giovani che si propongono trovano alte barriere all’entrata. In più, le società mandanti utilizzano le strutture manageriali quasi come dei terminali commerciali, scollati dalle reali esigenze professionali dei consulenti. Questo, certamente, è ciò che contribuisce a far credere ad entrambi i soggetti, manager e consulenti, che ciascuno non avrebbe poi così bisogno dell’altro, e che tutto procede per il meglio.
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Il sistema, pertanto, oggi sottovaluta regolarmente l’importanza del ruolo del manager e la sua capacità di essere volano della crescita e della formazione delle risorse umane, tra le quali la creazione del gioco di squadra amplifica – e non poco – il risultato dei singoli.
Serve che tutti i colleghi manager si rialzino e ripartano (sempreché possano permettersi di farlo), perché sono gli unici a possedere l’esperienza per tornare sui c.d. fondamentali della professione, e fare così la differenza all’interno dei gruppi di lavoro, sempre più somiglianti ad una sommatoria di individualità che a squadre affiatate operanti in un ambiente stimolante.
* Area manager di una importante rete di consulenza finanziaria