Consulenti finanziari, Scambia: per rilanciare il settore serve una maggiore presenza sindacale
Secondo Nicola Scambia, consulente finanziario e dirigente di Federpromm, le politiche del lavoro partecipative sono parte integrante dei criteri di responsabilità sociale delle imprese, e rappresenterebbero un valore aggiunto per banche e reti che vogliano rafforzare il proprio profilo ESG e la proprio rete di consulenti.
Parlare di Sindacato all’interno della categoria dei consulenti finanziari, ancora oggi, risulta difficile o, a seconda del livello di portafoglio individualmente amministrato, quasi impossibile. Non è un problema di comprendonio, ma di interesse: ai consulenti “old” (ossia la maggior parte dei 33.000 professionisti attivi) i problemi della categoria interessano poco, anche perché per decenni sono stati abituati a ritenere ANASF – erroneamente – come il proprio “sindacato”, male interpretando il ruolo di semplice associazione che, invece, riveste una delle più grandi organizzazioni di financial advisers europee.
Fino alla prima MiFID, e cioè fino al 2007, il settore della promozione finanziaria era talmente in crescita – così come i fatturati personali dei consulenti – che i possibili problemi di sistema, quelli cioè in grado di protrarsi nel tempo e creare danni, non sono stati compresi. Solo con l’arrivo delle due MiFID, e con il loro naturale portato di tagli ai margini di ricavo decisi dall’alto, i promotori–consulenti si sono accorti che nessuno aveva coperto loro le spalle: nessuna rappresentanza sindacale di base (ad eccezione di Federpromm), nessuna negoziazione con i governi e con l’Europa, nessuna protesta organizzata, con ANASF che stava un po’ a guardare in attesa di sviluppi, e Assoreti intenta per lo più a comprendere come le banche-reti avrebbero potuto riportare velocemente in utile i propri conti economici.
Le conseguenza le conosciamo tutti, ma siamo dovuti arrivare al 2020 e ad una pandemia globale per capirle davvero, con molti dei ricchi promotori di una volta costretti a chiedere il contributo a fondo perduto concesso dal Governo anche ai consulenti di oggi.
Secondo Nicola Scambia, consulente finanziario e dirigente FederPromm, bisogna partire da un presupposto di sistema piuttosto che di contrapposizione. “Le politiche del lavoro partecipative sono parte integrante dei criteri di responsabilità sociale delle imprese, quindi aprire le porte ai veri sindacati dei consulenti finanziari rappresenterebbe un valore aggiunto per banche e reti che vogliano rafforzare il proprio profilo ESG e l’immagine della propria rete di consulenti”. “Nonostante in 30 anni di attività mi abbiano raccontato vicende professionali raccapriccianti, è meglio concentrarsi sulla mancanza di una forte rappresentanza collettiva, che è un elemento di debolezza della categoria all’interno di un modello di business in chiaro declino e privo di spunti innovativi”.
Osservando il sistema in chiave sindacale, il mercato della nascente industria della Consulenza Finanziaria – che si trova nella sua fase di crescita, non coincide affatto con quella del Risparmio Gestito, che è in declino – è ancora dominato dalle logiche della distribuzione, con tre società che controllano oltre il 50% del mercato, e le prime cinque società che fanno oltre il 70% di esso, anche per concentrazione del numero di consulenti.
Il modello di business delle reti è caratterizzato dalle caratteristiche di matrice bancaria/assicurativa, ed ha già portato all’espulsione di almeno 10 mila consulenti finanziari con un parco clienti limitato (fase che è ancora in corso), mentre almeno un terzo dei consulenti in attività ha un portafoglio medio inferiore ai 10 milioni di euro e, a fronte di margini di ricavo modesti, risente moltissimo del peso degli obblighi professionali – e di nuove mansioni non retribuite – che superano di gran lunga i diritti di cui gode.
Inoltre, il problema dell’età media dei consulenti finanziari – pari a circa 57 anni – non consente di intravedere un futuro della professione, ed anzi si ritiene che nei prossimi cinque o dieci anni assisteremo ad un ulteriore impoverimento nel numero dei professionisti per via di quelli che andranno in pensione.
Secondo Scambia, “in uno scenario simile, persino gli accordi di non belligeranza siglati dalle grandi reti riducono la competitività del settore e ne accrescono la vulnerabilità, esponendo il mercato alle possibili acquisizioni da parte di aziende straniere e, soprattutto, alla potenziale riduzione delle quote di mercato derivante dall’azione commerciale dei big del Web come Google, Amazon e Facebook”. “Si tratta di una stagione di emergenza commerciale, non solo socio-sanitaria, che richiede adesso il supporto generalizzato di delegazioni sindacali territoriali all’interno delle reti, non per frenare lo sviluppo ma per arricchire un sistema divenuto ormai asfittico e “a rischio” nella sua interezza. Un presidio sindacale, infatti, offre maggiori garanzie ai consulenti finanziari ed una rinnovata serenità che rafforzerebbero la motivazione e la crescita, a beneficio dei clienti e, a cascata, delle banche stesse, rispolverando i valori della meritocrazia quotidiana, della sana competizione interna e degli incentivi”.
“Invito tutti i colleghi che mi leggeranno – aggiunge Scambia – ad informarsi con Federpromm sulla modalità di apertura di una delegazione sindacale presso la propria rete”.