Agenti di commercio e consulenti finanziari: le organizzazioni chiedono più tutele, ma in ordine sparso

Anasf, Assopam, Federagenti e Fiarc, da un lato, e Federpromm più Anaaf, dall’altro, chiedono al Governo maggiori tutele per le categorie rappresentate. Lo fanno, però, in ordine sparso, come due tribù indiane avversarie, ciascuna dalla propria riva del fiume di un Italia che, serenamente, va in pezzi.
Editoriale di Alessio Cardinale
Sebbene con due documenti separati, i due maggiori raggruppamenti associativi e sindacali a sostegno delle “categorie Enasarco” degli agenti di commercio e dei consulenti finanziari intervengono, a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, per chiedere al Governo maggiori tutele di fronte al nuovo periodo di lockdown delle attività.
Infatti, come sappiamo, il nuovo DPCM introduce fino al 3 dicembre 2020 regole più restrittive rispetto al decreto del 24 ottobre, dividendo l’Italia in tre aree a seconda del rischio. A seconda dei casi e con differenti modalità, sono previste la chiusura degli esercizi commerciali e la limitazione della mobilità sia per il trasporto pubblico che per quello privato, con evidente nocumento per le due categorie degli agenti di commercio e dei consulenti finanziari, che proprio della mobilità costruiscono, giorno per giorno, la propria attività anche in territori posti al di fuori del proprio comune e, spesso, della propria regione.
Per questo motivo, la scorsa settimana abbiamo visto insorgere le sigle ANASF, ASSOPAM, Federagenti e FIARC le quali, in una nota congiunta, comunicavano come dalle stime previsionali fosse emerso che “….agenti di commercio, consulenti finanziari, agenti in attività finanziaria e aziende mandanti saranno costrette a pagare il prezzo più alto, con inevitabili fallimenti o la cessazione di migliaia attività, trattandosi di professionisti dell’intermediazione che per lo più, hanno come clientela imprenditori che operano nei settori oggetto di chiusura totale o parziale”. E poi “….chiudere un esercizio commerciale significa colpire tutta la filiera, e limitare la mobilità significa complicare l’attività comprimendo in modo drammatico le provvigioni. Migliaia di colleghi hanno già chiuso per sempre. Nonostante i nostri continui appelli, ancora una volta dobbiamo segnalare la totale mancanza di attenzione da parte delle Istituzioni verso più di 200.000 imprese dell’intermediazione operanti sul territorio”.
Alla luce delle circostanze, pertanto, le quattro sigle chiedevano al Governo di “garantire i necessari ristori di Sopravvivenza anche alle categorie rappresentate”, dal momento che le stesse non godono di alcun ammortizzatore sociale e non devono essere considerate “categorie di serie B”.
Quasi contemporaneamente, Federpromm e Anaaf chiedevano, con una propria nota al Governo, l’estensione dei benefici economici legati all’emergenza epidemiologica da COVID-19 anche per gli agenti finanziari che operano come società, aggiungendo un ulteriore tassello al precedente grido di allarme e rafforzando, forse involontariamente, l’azione di moral suasion delle altre sigle. “Con le recenti modifiche apportate al decreto-legge dell’8 aprile 2020,n,23 convertito con modificazioni dalla legge 5 giugno 2020,n.40 relativo agli interventi pubblici volti a mitigare gli effetti economici dell’emergenza epidemiologica derivanti dal coronavirus in cui sono stati inseriti anche le persone fisiche esercenti attività di cui alla sezione K del codice ATECO, escludendo di fatto gli agenti in attività finanziaria che esercitano la propria attività come persone giuridiche, Federpromm-Uiltucs unitariamente all’Associazione di categoria Anaaf, (quest’ultima recentemente costituita in rappresentanza degli agenti) hanno ritenuto di avanzare alle forze politiche un emendamento al testo in discussione al Senato (c.d. Decreto Ristoro, art.13,comma 1),volto ad inserire anche gli “agenti in attività finanziaria che operano come persone giuridiche“, recita la nota.
Tutto giusto, bello e sacrosanto, direbbe qualcuno. Ci si chiede, però, per quale motivo tutte queste sigle (ed anche tutte le altre, ognuna con pe proprie note in ordine sparso), evidentemente divise fino a qualche settimana fa dai toni aspri della tornata elettorale in Enasarco, non siano state capaci di ritrovare la via del dialogo in una circostanza così grave, con una pandemia che non accenna a diminuire ed anzi, rispetto alla scorsa primavera, mostra maggiore aggressività ed un bel carico di morti tra la Società Civile e tutti i ceti produttivi del Paese.
Unire le forze, in questo frangente, avrebbe conferito maggiore fiducia proprio agli iscritti di Enasarco. Questi ultimi, oggettivamente, non ne possono più di vedere due fazioni che, come tribù indiane avversarie, si combattono e poi mal si sopportano, ognuna dalla opposta riva del fiume di un Italia che, serenamente, va in pezzi.