Settembre 17, 2024

Italia a buon mercato per gli appetiti stranieri. Immobili e redditi, siamo il nuovo Est Europa

Le statistiche rivelano  come l’Italia si trovi, più che in passato, nelle  condizioni per essere aggredita economicamente dalle potenze straniere. Il reddito pro-capite ed i prezzi del patrimonio immobiliare privato sono talmente bassi da far gola al Nord Europa, e  la voglia di shopping di Francia, Olanda e Germania potrebbe coinvolgere diffusamente  anche le nostre PMI migliori.

Di Alessio Cardinale

L’Italia è sempre stata un terra di conquista delle potenze straniere, e raramente nella sua storia unitaria si è posta essa stessa come “potenza”. Quando lo ha fatto, poi, sappiamo bene come è andata a finire.

Dal secondo Dopoguerra, le geografie mondiali sono mutate spesso, ma attraverso lunghi periodi di stabilità. Ciò che non viene evidenziato mai dalla cartine geografiche tradizionali, però, sono le mutazioni degli assetti geo-economici, che invece mutano continuamente, fino ad oggi, senza bisogno di ricorrere a conflitti armati e trovando nei “conflitti imprenditoriali” il proprio campo di battaglia, con tanto di virtuali – ma efficaci, se si vuole – trincee.

Esiste, infatti, un livello di “attaccabilità” delle aziende di un paese, di cui imprenditori di altri paesi possono avvantaggiarsi in particolari situazioni congiunturali. Esistono, anche, alcuni indicatori di riferimento che ci aiutano a capire quanto le nostre migliori aziende siano acquistabili o “scalabili” da parte di mani straniere, e che ci aiutano a comprendere, di conseguenza, quanto possa essere fragile il nostro tessuto economico in un determinato momento storico. In particolare, il mercato immobiliare – e i suoi segnali in termini di Domanda e Offerta – ed il reddito medio rappresentano due termometri infallibili per qualunque economia.

Relativamente alle quotazioni immobiliari, la speciale classifica delle città europee secondo il costo a mq vede al primo posto Parigi con 12.900 euro/mq, seguita da Londra con 11.200 euro/mq e Monaco di Baviera con 7.800 euro/mq. In Italia, Milano è ben distante a quota 3.650 euro/mq, Roma 3.300 euro/mq e Torino 1.950 euro/mq. Relativamente al prezzo medio al metro quadrato per l’affitto degli immobili residenziali, Parigi sempre in testa con un valore di 27,8 euro/mq, seguita da Oslo con 25,3 euro/mq. In Italia, invece, è Roma al primo posto con 13,4 euro/mq, seguita da Milano con 12,9 euro/mq e Torino 6,9 euro/mq.

Nel meridione d’Italia, a Napoli e Palermo, quotazioni ancora più basse pur riguardando città di grande interesse storico e con notevoli contesti architettonici.

Connesso a questo primo indicatore c’è il secondo, non meno importante, relativo al reddito. In particolare, se analizziamo quanti stipendi lordi medi annui servono per acquistare un immobile residenziale di 70mq, vediamo che i cittadini di Italia, Norvegia, Germania e Austria impiegano tra 5 (Germania) e 6,2 (Italia) stipendi lordi annui per coprire l’acquisto.

Se analizziamo i dati aggregati per aree geografiche e risaliamo fino ai livelli del 1980, le differenze rispetto alla media europea sono abbastanza evidenti: il blocco del Nord Europa resta ampiamente in vetta, con un reddito del 50 per cento più alto di quello della media europea (mentre alla metà degli anni novanta la differenza era solo del 25 per cento); quello occidentale è più alto del 25 per cento rispetto a quello orientale; quello del Sud è sceso sotto la media europea  a seguito della grande crisi del 2008 (- 10 per cento) e quello dell’Est resta al 35 per cento sotto la media, ma viaggia a ritmi di PIL talmente superiori a quelli italiani che, tra i paesi un tempo ambiti dagli emigranti dall’Europa Orientale (Albania, in primis), c’è stato una sorta di avvicinamento da parte di alcuni di loro: non sono pochi gli italiani che emigrano oggi in Albania o In Croazia, attratti dal fisco leggero e dalla burocrazia snella.

Tra il 2004 e il 2018, la distanza tra i nostri salari e quelli degli sloveni, dei cechi, degli estoni, degli slovacchi, dei lettoni, si è ridotta notevolmente, grazie anche all’effetto combinato di decenni di declino italiano e di boom economico a Est. Infatti, il reddito netto disponibile degli italiani – escluse tasse e contributi – non è ancora tornato ai livelli pre-crisi, e resta ancora oggi al livello di vent’anni fa. 

Pertanto, l’Italia sembra sempre più somigliare, in quanto a parametri economici e grado di “attaccabilità” (o scalabilità) da parte dei paesi più ricchi, ai paesi dell’Est Europa. Ecco perché, a livello immobiliare, e soprattutto relativamente agli immobili di pregio (sia nelle grandi città che nelle zone pregiate di campagna), lo shopping del Nord Europa è continuato senza sosta, anche nel periodo immediatamente successivo al primo lockdown.

Inoltre, dallo scoppio della pandemia è cresciuto il timore di acquisizione delle nostre migliori aziende da parte dei nostri partner europei, sempre attenti in passato a non permettere a mani italiane di scalare le loro grandi imprese, ma sempre lesti ad acquisire le nostre (da Parmalat a Mediaset, passando per decine di altri marchi molto noti). Buona parte dei colossi italiani, infatti, ha diminuito sensibilmente il proprio valore in Borsa, ed i nostri servizi segreti, allertati dal Governo in merito a potenziali appetiti sulle nostre grandi aziende, oggi guardano soprattutto all’Olanda e alla Francia. In ambito petrolifero, ad esempio, l’italiana Eni rischia di essere “predata” dai Paesi Bassi con la Shell, o dalla Francia con la Total. Shell ha perso il 47% da inizio d’anno, ma in Borsa vale 108 miliardi contro i 29 dell’Eni (che ha perso il 42% nello stesso periodo); la francese Total invece vale 91 miliardi, più di tre volte l’Eni.

Ma se relativamente alle grandi aziende il Governo Conte ha aumentato, lo scorso Aprile, la loro “blindatura” ampliando il cosiddetto Golden Power – che permette di bloccare acquisizioni estere anche da parte di aziende con sede Ue ma controllate da soggetti extracomunitari – nessun controllo potrà essere effettuato riguardo le possibili acquisizioni delle nostre migliori PMI non quotate che, com’è noto, costituiscono l’ossatura dell’apparato imprenditoriale italiano.

Settori di eccellenza come quelli della produzione alimentare e vinicola, oppure della logistica e della moda, oggi valgono molto meno di nove mesi fa, e diversi imprenditori con tradizioni secolari e di medie dimensioni, alla luce delle difficoltà emerse con la pandemia, potrebbero essere tentati di cedere a mani straniere le proprie quote di maggioranza.

In particolare, le più colpite potrebbero essere quelle dove risulta difficile – o impossibile – attuare un ricambio generazionale che non interrompa la continuità nelle conduzione familiare dell’azienda.

Prede facili, di questi tempi.

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