La Finanza delle abbreviazioni complica la vita. Dieci cose “difficili” spiegate in modo semplice
Certe notizie utili per tutti sembra siano destinate solo ad una fascia ristretta del pubblico, tanto sono piene di abbreviazioni o acronimi usati – e abusati – per indicare rapidamente alcune tipologie di investimento o alcune grandezze di natura economico-finanziaria.
Di Alfonso Selva
Chiunque frequenti quotidianamente i risparmiatori per motivi professionali, sa bene che la Finanza e gli investimenti sono materie considerate difficili da capire, e i media specializzati – ed anche quelli definiti generalisti – di certo non aiutano a diffondere la giusta dose di Educazione Finanziaria.
Sembra quasi che certe notizie siano destinate solo ad una fascia ristretta del pubblico, tanto sono piene di abbreviazioni o acronimi, usati – e abusati – per indicare rapidamente alcune tipologie di investimento o alcune grandezze di natura economico-finanziaria (sono molto usate anche in Medicina, ma quella è un’altra storia…).
In realtà, gli acronimi sono nati per facilitare l’immediatezza della comprensione di un certo argomento, però dobbiamo riconoscere che spesso gli articoli mancano della loro spiegazione puntuale, complicando la lettura ed impedendo di fatto il sorgere dell’interesse verso questa materia così “noiosa” ma così utile alla vita di ciascuno di noi.
Per esempio, quanti lettori tra il pubblico indistinto conoscono esattamente i termini dell’acronimo ”PIL”? Non molti, nonostante questa parola – che, nella forma completa, sta per “Prodotto Interno Lordo”, ossia la misura della ricchezza complessiva prodotta da un paese in un anno – sia pronunciata ogni giorno migliaia di volte, anche in televisione.
Così, per quanto possa sembrare elementare per gli addetti ai lavori, prendiamo ad esempio dieci di queste famose abbreviazioni e acronimi, ed a spiegarle in modo semplice ai “non addetti ai lavori”, ossia alla maggioranza dei clienti di banche e reti di consulenza.
B.O.T. – I Buoni Ordinari del Tesoro sono obbligazioni emesse e garantite dallo Stato Italiano e non hanno cedole. comprandoli, il risparmiatore diventa CREDITORE dello Stato, che diventa DEBITORE. Il loro rendimento, una volta, era rappresentato da un meccanismo molto semplice: io prestavo allo Stato 970 euro, e dopo al massimo un anno lo Stato me ne restituiva 1.000, con i 30 euro di differenza positiva che costituivano il mio rendimento. Oggi, invece, il loro rendimento è negativo, e ciò significa che, pur di comprare i BOT italiani, i risparmiatori – che non li comprano più – prestano 1.000 euro per averne restituiti 995 o giù di lì. In pratica, pagano lo Stato (che è Debitore) per avere i suoi titoli.
Come si sia arrivati a ciò non è immediatamente comprensibile per chi sta acquisendo adesso i primi rudimenti della Finanza Semplice, per cui rinviamo la spiegazione ad un articolo a sé stante.
B.T.P. – I Buoni del Tesoro Poliennali sono obbligazioni emesse dello Stato Italiano. Hanno una cedola fissa annuale, di solito divisa i due semestri. Lo Stato Italiano, in quanto Debitore, ti paga un interesse predeterminato in partenza e ti assicura alla scadenza, in unica soluzione, il rimborso della somma inizialmente prestata. La loro durata può variare da 3 anni a 50 anni.
C.C.T. – I Certificati di Credito del Tesoro sono obbligazioni emesse dello Stato Italiano, ma a differenza dei BTP sono a cedola variabile. Il tasso di interesse pagato dalla Stato – che anche in questo caso diventa Debitore – è “agganciato” al rendimento del BOT semestrale più un “premio” dello 0,15% (chiamato Spread, di cui avrete sentito parlare spesso in televisione, ma con una sfumatura negativa). Anche il CCT assicura alla scadenza, in unica soluzione, il rimborso della somma inizialmente prestata, e la durata massima è di 7 anni.
SPREAD – Il termine deriva dall’inglese, e letteralmente significa “differenziale”. Viene usato spesso per indicare la differenza di rendimento tra un BTP Italiano e uno tedesco (il c.d. BUND).
Perché questa parola è importante per i media? Da sempre la differenza tra BTP italiani e BUND germanici è a nostro sfavore, nel senso che il nostro BTP paga un tasso di interesse più elevato del BUND, dal momento che lo Stato Italiano, economicamente meno forte (e meno affidabile, in teoria) di quello tedesco, deve sostenere un costo più elevato per farsi prestare il denaro dai risparmiatori e finanziare parte della sua Spesa Pubblica con il Debito.
I.P.O. – Dall’inglese “Initial Public Offering” (Offerta Pubblica Iniziale) è un acronimo che si usa per indicare il momento in cui una società per azioni immette per la prima volta le proprie azioni nel mercato borsistico, allo scopo di raccogliere nuovi capitali (e nuovi soci). In questo caso, chi compra le azioni – durante o dopo l’I.P.O. – diventa SOCIO dell’azienda, e non più creditore, e quindi il valore del suo capitale investito segue le sorti dell’azienda: se essa si svilupperà costantemente, le azioni cresceranno nel lungo periodo, mentre scenderanno (fino ad azzerarsi, nei casi più estremi) se l’azienda verrà gestita male o andrà fallita.
Rapporto “Price/Earnings” – deriva dalla lingua inglese, e vuol dire “rapporto Prezzo/Utile”. Si tratta di una grandezza numerica usata per valutare se il prezzo di una azione è conveniente o meno. In teoria, se il rapporto P/U (o P/E, in inglese) è inferiore a 15, l’azione è da comprare, mentre al disopra comincia ad essere sopravvalutata e, quindi, suscettibile di un calo del valore. Il numero generato da questo rapporto rappresenta gli anni che servono per ripagare l’investimento con gli utili (chiamati dividendi) deliberati ogni anno. Ad esempio, un P/E pari a 11,5 indica che serviranno 11 anni e mezzo di dividendi per realizzare un rendimento pari al prezzo pagato per comprare le azioni, nell’ipotesi (assai improbabile) che il valore dell’azione e del dividendo rimangano costanti.
P.I.C. e P.A.C. – Il primo è l’acronimo di “Piano di Investimento di Capitale”, e si usa per indicare quando si investe un certo capitale in uno specifico strumento finanziario in unica soluzione. Il PAC, invece, è l’acronimo di “Piano di Accumulo del Capitale”, e si usa quando si investe in un certo strumento finanziario “a rate”, di solito mensili. Il secondo è un metodo di investimento molto usato da chi ha paura di investire tutto e subito, oppure da chi non ha un capitale già formato e vuole costituirlo nel tempo.
P.I.R. – E’ l’acronimo di “Piano Individuale di Risparmio”, e indica uno strumento che nel 2017 il governo Italiano ha creato per incentivare gli investimenti nella piccola e media industria del nostro paese. Per farlo, ha usato la leva fiscale, concedendo ai sottoscrittori la totale esenzione del pagamento dell’imposta sugli utili ed esentando da imposte di successione e ogni altra tassa i capitali investiti nel PIR, a patto di non disinvestirli per almeno 5 anni.
E.S.G. – Dall’inglese Environmental Social Governance, e cioè “Politica di governo rivolta all’Ambiente ed al Sociale”, è un acronimo usato in ambito economico-finanziario per definire dei criteri di investimento che rispettano alcuni temi fondamentali: protezione dell’ambiente, limitazione dell’emissione di CO2, rispetto per la Biodiversità e per la sicurezza alimentare, rispetto per i diritti umani, le condizioni di lavoro, l’uguaglianza, ma anche attenzione alla qualità di chi amministra le società, all’equa remunerazione di amministratori e azionisti, al rispetto dei clienti. Il futuro degli investimenti finanziari è ormai diretto nel rispetto di questi criteri ESG, e le istituzioni finanziarie che non lo faranno, probabilmente, verranno tagliate fuori dalle migliori opportunità di mercato.
Se siete arrivati in fonda all’articolo, probabilmente siamo riusciti a rendere comprensibili alcuni concetti “complicati”. In realtà, è sufficiente spiegarli con semplicità, e usare gli acronimi solo quando siete sicuri che il vostro interlocutore abbia veramente compreso ciò di cui state parlando.
In un’epoca in cui trionfano gli inglesismi (selfie, screenshot, meeting, brunch etc), accorciare le distanze con la lingua italiana, specie in finanza, può fare la differenza.