Italia, un Recovery Plan “radical chic”: il 38% degli stanziamenti alla rivoluzione verde, solo il 4,5% agli ospedali
Davvero sorprendente il criterio di ripartizione dei 196 miliardi destinati all’Italia dall’Unione Europea nell’ambito del c.d. Recovery Plan. L’esperienza della pandemia ed il triste bilancio di morti, evidentemente, non hanno insegnato nulla.
Di Massimo Bonaventura
Il problema era soltanto quello di rimanere in casa per via dell’emergenza sanitaria? A giudicare dalla distribuzione dei miliardi del Recovery Plan, sembrerebbe di no. Infatti, il dibattito tra le forze politiche di maggioranza sui miliardi da spendere nel nostro Paese, e le scelte che sembrano essere scaturite, non cessano di riservare sorprese in quanto ad assenza di lungimiranza ed a prevalenza di interessi di bottega, che faranno di questo immenso “Piano Marshall” del terzo millennio un inefficace minestrone di misure economiche in salsa radical chic.
Ma andiamo con ordine. I 196 miliardi del Recovery Plan destinati all’Italia pioveranno su alcuni settori che, in teoria, sono tutti altamente strategici per il futuro di ogni paese: dalla digitalizzazione e innovazione alla “rivoluzione verde e transizione ecologica”, dal settore “infrastrutture per una mobilità sostenibile” al capitolo “istruzione e ricerca“, dalla “inclusione sociale” alla “salute”. Sulla carta, insomma, sei settori fondamentali, a ciascuno dei quali verrà assegnato un budget dei fondi previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – il Recovery Plan italiano – la cui bozza è all’esame del Consiglio dei Ministri e, una volta completata e approvata, sarà poi trasmessa alla Commissione Europea.
Relativamente alla digitalizzazione, a cui andranno 48,7 miliardi, emerge in tutta la sua grandezza quella della Giustizia, in relazione alla quale tutti i processi, civili e penali, dovranno passare dalla carta al computer. E’ previsto anche un aumento del numero dei giudici e del personale amministrativo, ed una profonda trasformazione del contenzioso civile, che si svolgerà con un solo rito (anziché i tre attuali) e darà maggiore spazio alla conciliazione.
Pertanto, sembra che si parta con il piede giusto, ma quando si arriva ai programmi relativi al rito penale si cambia rapidamente idea. Infatti, è previsto che i tre gradi di giudizio dovranno rispettare una durata massima per ogni step: tre anni in primo grado, due in appello, uno e mezzo in Cassazione. In totale, quindi, saranno “al massimo” 6 anni e mezzo: una vita, come adesso, con buona pace della certezza del Diritto; ed è quasi comico assistere al compiacimento delle Istituzioni che si accompagna a questa “grande novità”. Certo, la scure sui tempi di prescrizione dovrebbe restituire maggiore affidamento a chi vuol far valere le proprie ragioni in un tribunale, ma non si comprende per quale motivo non si debba investire nell’aumento adeguato del numero dei magistrati – che dovrebbero essere pari ad almeno il doppio degli attuali 11.000, meglio ancora il triplo – invece di tentare di accorciare i passaggi amministrativi senza ridurre gli anni di durata del processo. Del resto, il programma di spesa dei miliardi previsti dal Piano non sembrano prevedere nulla riguardo ad un capitolo fondamentale per la Giustizia italiana, e cioè quello della formazione di nuovi giudici, e questo la dice lunga sulle reali intenzioni di spesa: solo un cambiamento di facciata, una cosa “all’italiana”, insomma.
La “regina” del Recovery Plan in salsa radical chic è la “rivoluzione verde”, a cui vengono assegnati ben 74,3 miliardi per le risorse idriche, la mobilità, l’economia circolare e la riqualificazione degli edifici, seguita dalle infrastrutture: alta velocità e manutenzione stradale (totale per 27,7 miliardi). L’intento è lodevole e gli obiettivi assolutamente di valore, ma sorprende l’enorme errore di valutazione – per non dire altro – alla base dell’assegnazione dei fondi: il settore delle infrastrutture offre opportunità di crescita occupazionale immediata e strutturale almeno pari (se non superiori) a quelle previste dalla c.d. rivoluzione verde, alla quale viene assegnata una cifra-monstre quasi tripla rispetto al settore infrastrutture, pur non avendo uguale ricaduta occupazionale nel breve periodo.
Infatti, la variabile più importante, come dichiarato nello stesso Piano, è l’effetto moltiplicativo degli investimenti pubblici, il quale aumenta all’aumentare dell’occupazione, e la sua velocità di propagazione nel breve periodo – che è ciò che serve oggi alla nostra economia – dipende dalla rapidità di messa in opera delle opere. Ebbene, non è un mistero che il settore delle infrastrutture, nel breve periodo, gioca un ruolo importante grazie alla consolidata prassi di apertura dei cantieri i quali, in relazione alla Alta Velocità ed alla manutenzione stradale, assicurerebbero una ricaduta occupazionale pressoché immediata (da 3 a 6 mesi, contro i 12-24 mesi della Mobilità, per esempio).
La vera e propria “perla” del Recovery Plan all’italiana va, comunque, alla fantasia dei governanti “radical”. Infatti, ci vuole grande fantasia per destinare 4,2 miliardi di euro alla c.d. Parità di Genere, obiettivo che nasce dalla più grande bugia che un coacervo di grandi interessi sta lentamente cercando di far prevalere sul buon senso: il concetto di “gender gap”, ossia il minor tasso di occupazione femminile – che è un fatto vero – combinato con la minore retribuzione riservata alle donne nel mondo del lavoro – che è falso come una banconota da due euro. La strumentale concezione del gender gap promossa dai media accomodanti verso le istanze di certa parte della politica nazionale, infatti, utilizza come parametro di riferimento il minor reddito totale prodotto da TUTTE le donne italiane rispetto a quello prodotto da TUTTI gli uomini, facendo intendere così che le donne, prese singolarmente, vengano pagate meno degli uomini. Ci vuol poco a capire che si tratti di un falso tanto odioso quanto abominevole, dal momento che le leggi del nostro Ordinamento, a partire dalla nostra Costituzione, vietano la disparità di trattamento retributivo tra uomo e donna e, peraltro, vengono rigidamente osservate sia nel settore pubblico che in quello privato.
Eppure, con il Recovery Plan ed il suo bagaglio di miliardi a pioggia, si vuole favorire il raggiungimento della parità – che è cosa diversa dalle pari opportunità – in barba alla Meritocrazia, promuovendo l’occupazione femminile e riformando le politiche del lavoro per i giovani; tutto ciò al fine di far salire artificiosamente la percentuale di impiego femminile – oggi pari al 50,1% – a parità di posti di lavoro disponibili. Ciò significa che i giovani uomini italiani, grazie al Recovery Plan in salsa radical chic, saranno sfavoriti in futuro proprio in termini di opportunità lavorative, tanto più che si pensa anche di istituire un Sistema nazionale di certificazione sulla parità di genere per le imprese. In pratica, essere donna, in Italia, grazie a questo Recovery Plan ed al suo carico di miliardi equivarrà appartenere ad una c.d. Categoria Protetta, alla faccia dell’art. 3 della Costituzione.
Riserviamo per ultimo, poi, lo stanziamento previsto per la Sanità e gli ospedali, che sarà pari a 9 miliardi. Contro ogni logica, dopo aver imparato sulla nostra pelle che nel nostro Paese il sistema sanitario, vessato da decenni di continui tagli, è passato dall’essere un vanto del nostro sistema sociale all’essere una vergogna nazionale, e che tale stato di cose ha causato un aumento esponenziale del tasso di mortalità per via della pandemia e dello scarso numero di posti nelle terapie intensive, la maggioranza decide di destinare al settore non il 30-40% delle risorse, ma un misero 4,6%. E’ vero che, fino ad oggi, la spesa pubblica per la Sanità ha destinato dall’inizio dell’emergenza circa 12 miliardi di risorse finanziarie, ma la somma di questa cifra con quella destinata dai fondi europei è comunque pari ad un risicato 10%, nonostante a fine pandemia – terza ondata permettendo – il numero complessivo di morti italiani per Covid non sarà inferiore a 90.000.
Sui 9 miliardi previsti, peraltro, soltanto 4,8 sono destinati all’assistenza domiciliare e alla telemedicina, che hanno dimostrato, in tempo di pandemia, quanto siano efficaci per poter seguire i malati a casa.
Unica annotazione positiva, i 19,2 miliardi di euro di investimenti previsti per la modernizzazione dell’edilizia scolastica e la cablatura di tutti gli edifici, l’innovazione dell’istruzione universitaria in senso digitale, l’aumento delle borse di studio per gli studenti meritevoli o svantaggiati e l’estensione della “no tax area” per le famiglie a basso reddito. Ma è ben poca cosa, viste le incredibili disparità adottate nelle decisioni di spesa in tutti gli altri settori.