Dicembre 2, 2024

Piccoli proprietari di case nella bufera: prezzi in ribasso, affitti insoluti e IMU senza sconti

E’ in atto uno spostamento delle abitudini abitative delle future generazioni, che preferiranno affittare la propria abitazione, cambiandola spesso a seconda delle mutate condizioni di reddito, oppure comprare case di piccola quadratura.

Nel nostro Paese, la ricchezza complessiva degli italiani è composta per il 68.0% da immobili, polverizzati in tutti gli strati sociali della popolazione. In particolare, la superficie complessiva dei soli immobili residenziali degli italiani è di circa 2,4 miliardi di mq, ed il suo valore commerciale complessivo è pari a circa 3.000 miliardi di euro.

Chi è proprietario di casa (o di più case) è sempre stata ritenuta una persona “ricca”, o almeno benestante o molto patrimonializzata, capace di accumulare tanto risparmio da poter comprare diverse unità immobiliari da mettere a reddito e poi trasmettere alle generazioni future. Oggi, dopo la crisi del 2008 e, soprattutto, dopo lo scoppio della pandemia, comincia a farsi strada la consapevolezza che l’investimento immobiliare – quello che veniva considerato come l’ancora di salvezza di qualunque patrimonio familiare -non sia più così conveniente e non produca il valore di una volta. Infatti, negli ultimi 8 anni (dati ISTAT) il valore delle case è calato mediamente di oltre il 15%, e quello delle vecchie abitazioni è calato del 22,1%. Secondo il rapporto annuale del notariato, il valore medio delle compravendite è passato da 148mila a 126mila euro nel 2019, e la tendenza è ancora in corso in tutto il 2020. Inoltre, negli ultimi cinque anni il mercato delle aste immobiliari è stato letteralmente inondato da un surplus di offerta (+23%, in forte aumento rispetto al quinquennio precedente) e le compravendite ordinarie, che sono un indice molto rappresentativo dello stato di salute economica di un paese, sono diminuite notevolmente (sebbene nel dopo Covid si prevede una “ripresina”).

Da non sottovalutare, poi, la graduale scomparsa degli investitori esteri, il cui investimento immobiliare in Italia è diminuito di oltre il 55% tra il 2017 ed il 2020.

Pertanto, è perfettamente inutile aggrapparsi al vecchio adagio “le case si rivalutano sempre”, perché la c.d. crisi del mattone non accenna a fermarsi dal 2008, e pertanto bisogna prendere coscienza che si tratta di un fenomeno strutturale, soprattutto in Italia dove le varie congiunture economiche dei decenni passati hanno favorito una proprietà immobiliare diffusa in tutte le famiglie.

Oggi, in piena pandemia, il bilancio negativo è amplificato dai suoi effetti sulla Società. Chi ha uno o più immobili da reddito vive il problema dei canoni insoluti (e del blocco degli sfratti), e cerca di vendere per realizzare liquidità immediata; chi detiene immobili difficili da vendere (per dimensione o per destinazione economica), si deve accontentare di una cifra più bassa per poter monetizzare. Del resto, le case presenti sul mercato sono tantissime, di molto superiori alla domanda, e sono sempre più vecchie, prive di tecnologie antisismiche adeguate, insicure e bisognose di opere di ristrutturazione, costose da mantenere.

Tutto questo, gli investitori grandi e piccoli, ormai lo sanno, e si orientano su immobili di piccola quadratura da destinare al mercato degli affitti, che secondo i dati sta destando un interesse sempre maggiore anno dopo anno, grazie anche alla domanda dei millennials, degli studenti fuori sede e dei lavoratori immigrati che non hanno la possibilità di ottenere un finanziamento bancario.

In più, proprio di recente la Banca d’Italia ha iniziato a consigliare al Governo lo spostamento graduale della pressione fiscale dal lavoro agli immobili. A tale “consiglio istituzionale” si è ispirata anche una recente proposta di legge per riformare il Catasto, appena depositata in Commissione Finanze dal Movimento 5 Stelle. Qualora diventasse legge dello Stato, questa nuova norma avrebbe l’effetto di far lievitare l’imponibile soggetto alla famigerata IMU, nonchè di aumentare il gettito fiscale derivante dalle successioni, senza innalzare le aliquote e senza abbassare le generose franchigie oggi esistenti (1 milione a figlio e coniuge).

Pertanto, lo spostamento dell’asse della tassazione dal lavoro agli immobili non sembra essere un evento momentaneo, ma un trend con il quale si vuole, da un lato, alleggerire il carico fiscale sulle assunzioni e far diminuire la disoccupazione e, dall’altro, aumentare il gettito fiscale complessivo proveniente da un asset più stabile come il patrimonio immobiliare. Del resto, il 68% degli italiani è proprietario di case. Tutto questo, poi, inciderà moltissimo sulle quotazioni degli immobili, facendo diminuire la domanda di compravendite e favorendo ancora di più il mercato delle locazioni, i cui canoni potrebbero aumentare nel lungo periodo.

In definitiva, si tratta di uno spostamento delle abitudini abitative delle future generazioni, a cominciare dalla c.d. Generazione Zeta (gli attuali ventenni, più o meno), che preferiranno affittare la propria abitazione, cambiandola spesso a seconda delle mutate condizioni di reddito, oppure comprare case di piccola quadratura, in netto contrasto con le abitudini dei c.d. patrimonials (chiamati anche babyboomers, gli attuali 55-65enni), che preferivano case di ampia quadratura. Pertanto, vendere gli immobili oggi potrebbe essere un’arma a doppio taglio: si rischia di svendere (le quotazioni sono più basse del 30% rispetto a 5-6 anni fa, con la sola eccezione di Milano città) e non avere più fonti di reddito dagli affitti.

La verità, probabilmente, sta nel mezzo; per i detentori di un buon numero di unità immobiliari, la soluzione potrebbe essere quella di:

1) vendere adesso fino alla metà degli asset immobiliari, al fine di evitare di vendere tra 1 o 2 anni con quotazioni ancora più basse (riforma del Catasto o meno, i prezzi continueranno a scendere perchè l’offerta è abbondantemente superiore alla domanda),
2) costituire in tal modo una riserva liquida per tutte le evenienze,
3) diminuire il carico fiscale e lo stress da imposte e da manutenzione straordinaria degli immobili,
4) valorizzare, laddove possibile, gli immobili rimanenti con il super-bonus 110%,
5) vivere più tranquilli in attesa dell’aumento della domanda di locazioni.

Naturalmente, è solo un modo di vedere la soluzione, e potrebbe essere suscettibile di modifiche e/o miglioramenti della strategia; ma rimanere inattivi, in attesa degli eventi, potrebbe essere dannoso per qualunque proprietario di immobili messi a reddito.

Un giorno, anche questo trend negativo giungerà alla sua fine naturale, ed il mercato immobiliare tornerà ad esprimere numeri più confortanti, ma solo dopo profondi cambiamenti strutturali che richiederanno molti anni ed un durevole ciclo economico positivo che, in relazione agli immobili, tarderà a produrre i suoi effetti prima di un altro quinquennio.

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