Il Real Estate per la ripartenza. Cedolare secca per i negozi, gli uffici tra smart working e “smart building”
Doppia analisi prospettica del mercato immobiliare, costruita attraverso la visione di Fabiana Megliola, Responsabile Ufficio Studi del Gruppo Tecnocasa, e quella di Luigi Donato, Capo del Dipartimento Immobili e appalti della Banca d’Italia.
E’ un momento delicato per la nostra economia, stretti come siamo tra un nuovo governo e la pandemia in corso, con la contestuale campagna vaccinale. Data la sua centralità, ci si chiede come il settore immobiliare – e tutto il suo indotto – possano contribuire alla crescita del nostro Paese.
“Alla luce del fatto che il lockdown ha fatto sentire i suoi effetti negativi soprattutto sul settore retail – afferma Fabiana Megliola, Responsabile Ufficio Studi Gruppo Tecnocasa – la reintroduzione della cedolare secca sui negozi sarebbe decisamente auspicabile. Sarebbe importante stabilizzare il superbonus, il bonus per la riqualificazione energetica e la ristrutturazione degli immobili, manovre tese al miglioramento dell’efficienza energetica del nostro vetusto patrimonio immobiliare. Ma più di ogni altra cosa, il mercato immobiliare ha mostrato criticità in tutti quei frangenti storici in cui l’economia mancava di solidità, il comparto del lavoro era in sofferenza, la fiducia di consumatori ed imprese ai minimi e l’accesso ai mutui più difficoltoso. Intervenire su questi aspetti è il punto di partenza per rendere stabile il nostro settore, dare certezze a famiglie e investitori, nazionali e internazionali, che difficilmente nel real estate si muovono in condizioni di fragilità economica e mancanza di certezze. Il resto sarà una conseguenza”.
Analisi più laboriosa quella del Rapporto a firma Luigi Donato, Capo del Dipartimento Immobili e appalti della Banca d’Italia, secondo il quale i provvedimenti successivi al blocco dell’attività di costruzione nella prima fase della pandemia (primavera 2020) “hanno consentito la ripresa progressiva dei cantieri, sia pure con cautele e costi maggiori per la sicurezza e una diversa organizzazione del lavoro che si traduce, inevitabilmente, in una minore produttività”.
L’impatto più profondo dell’emergenza sanitaria si è registrato sul versante della domanda nelle sue diverse componenti: residenziale, per uffici, ospitalità, commerciale, logistica. “Siamo tuttora nel vivo di una fase fortemente condizionata dalla pandemia – aggiunge Donato nel suo Rapporto – ma la trasformazione della domanda a cui si assiste è diffusamente considerata come non transitoria ma strutturale. Punterei l’attenzione sugli effetti determinatisi sul binomio casa-ufficio”. Infatti, “come effetto dell’emergenza, le case tendono ad assomigliare di più ad uffici, dovendo ospitare postazioni di lavoro, e la conformazione degli uffici tende ad ispirarsi ai confort delle abitazioni”.
Un altro aspetto messo in luce da Luigi Donato è quello della rivincita delle campagne sulle città e delle periferie sui grandi centri direzionali. “Nel periodo del primo lockdown – prosegue Donato – le grandi città europee si sono svuotate, e vi è stata una fuga verso le seconde case e verso le residenze delle famiglie di origine. Questa tendenza sta lasciando un’impronta rilevante sulla domanda residenziale, sia per la struttura delle abitazioni sia per la loro collocazione nel tessuto urbano”.
I profondi cambiamenti dettati dall’emergenza sulle abitudini delle famiglie derivano direttamente dal periodo in cui le limitazioni dei movimenti hanno colpito duramente l’attività scolastica e il tempo libero. “la soluzione per le famiglie è ora quella di ricercare spazi domestici più vivibili; cresce, quindi, la domanda di case con giardini e terrazzi, tipologia che, poi, è più agevole e meno costoso trovare, magari nella stessa regione, ma in centri minori o in zone di campagna. Del resto, limitando in misura consistente i giorni in cui occorre recarsi di persona alla sede della propria azienda, si riduce anche l’onere di tragitti di maggiore durata nel percorso casa-lavoro”.
Il nodo centrale della relazione di Donato è quello dedicato al principale motore della trasformazione in atto, ossia lo smart working, nel duplice significato di home working e di smart office. “Il fenomeno dello smart working – afferma Donato – va configurato come evoluzione rapida, imposta dall’emergenza, del modello del lavoro, sia pubblico, sia privato. Lo snodo principale risiede nella disponibilità di adeguate connessioni e dotazioni informatiche: il digital divice può ostacolare l’home working”. Il punto è che “la sperimentazione in larga misura positiva dell’home working e i possibili risparmi che comunque ne conseguono a livello generale stanno richiedendo una rivisitazione, caso per caso, dell’attuale configurazione degli uffici. Non è tuttavia verosimile un rapido, diffuso abbandono degli spazi ora utilizzati. Con l’home working si perde infatti molto delle sinergie e degli scambi di esperienza che solo il contatto diretto può dare, specie nella formazione delle nuove leve. (Però) emerge una nuova filosofia e una nuova configurazione degli spazi per uffici. Infatti, il buon funzionamento e il rispetto dei nuovi standard nel controllo degli accessi, nelle pulizie, nei servizi di bar e di mensa, nella mobilità aziendale e in tutte le forme di supporto sanitario ai dipendenti costituiscono ora un presupposto di base per la stessa ordinata attività aziendale. Ne derivano nuove prospettive di sviluppo dell’industria di facility management, anche sotto il profilo dei livelli occupazionali”.
Il Rapporto di Donato approfondisce ancora di più la questione, delineando uno scenario molto chiaro sul cambiamento che il settore degli uffici vivrà nei prossimi anni. In particolare, un naturale portato dell’analisi precedente è il concetto di Smart Building. “Se le presenze in ufficio si verificano a rotazione – aggiunge Donato – che senso avranno uffici in larga misura vuoti, a fronte di una spesa ormai comunque sovradimensionata? Con la digitalizzazione dei processi e con la progressiva scomparsa dei documenti cartacei vengono meno tutte le connesse esigenze di materialità e fisicità di un ambiente di lavoro tradizionale, a partire dagli armadi e dagli archivi per riporre le pratiche”. Di conseguenza, si sentirà “l’esigenza di una più moderna e funzionale configurazione degli spazi, attenta ai servizi alle persone e agli ambienti condivisi, e il desiderio di cogliere l’occasione per puntare sull’innovazione e sulla tecnologia. Si apre, dunque, la prospettiva degli smart building, caratterizzati da un uso diffuso della tecnologia per la gestione degli edifici, che si accompagnerà opportunamente alla completa digitalizzazione del lavoro”.