Dubbi sul Bitcoin. Antonio Mazzone: stop alle ipocrisie, la moneta virtuale non rispetta i criteri ESG

Se all’improvviso scomparissero tutte le cripto-valute, l’intera comunità mondiale ne ricaverebbe un vantaggio. I miners sottraggono allo sviluppo di intere comunità e nazioni ingenti risorse naturali e fonti energetiche indispensabili.
La storia recente di Bitcoin è nota. Con lo scoppio della pandemia, l’interesse verso le cripto-valute è cresciuto a dismisura, determinando anche un furioso aumento delle quotazioni. E così, Bitcoin ha superato la quota “psicologica” dei 50.000 dollari USA (portando il suo massimo fino a quasi 60.000) ed oggi, dopo una correzione ampiamente prevista, mentre scriviamo vale circa 42.400 euro (51.000 dollari circa), avendo raddoppiato il suo valore in meno di tre mesi e portando la sua capitalizzazione di mercato a quasi 900 miliardi di dollari (+400% in 12 mesi).
Per molti operatori, la sensazione è quella di trovarsi in un contesto simile a quello del 2017, quando ai record della moneta virtuale seguì un crollo verticale del 75%. Secondo le stime recentemente riportate dal Wall Street Journal, rispetto all’offerta di Bitcoin “di fresco conio” pari a 150.000 nell’ultimo quadrimestre del 2020, la domanda nello stesso periodo è stata di circa 360.000 unità, stabilendo uno squilibrio che, da solo, anticipava con chiarezza la rapidissima crescita di valore dei primi mesi del 2021.
C’è da dire che, oltre ai Bitcoin già in circolazione, ogni giorno una (modica) quantità di nuovi bitcoin viene immessa sul mercato grazie al protocollo denominato Blockchain, che permette di far funzionare un particolare processo di estrazione digitale (circa 900 nuove monete digitali al giorno).
Su questo fenomeno – a metà strada tra la finanza innovativa ed il marketing puro – molti esperti si sono pronunciati nell’ultimo periodo, determinando un dibattito piuttosto acceso tra i fedeli sostenitori dell’Economia Reale e quelli della finanza “a tutti i costi”. Warren Buffett, per esempio, già nel corso dell’assemblea annuale dei soci del 2018 di Berkshire Hathaway aveva affermato che il Bitcoin è “veleno per topi al quadrato”, mentre per il suo socio storico Charlie Munger si tratterebbe di “demenza finanziaria”. Buffett, che non è affatto avverso alla tecnologia (lo dimostra il suo corposo investimento in azioni Apple) motiva il suo giudizio spietato sulla base del fatto che il Bitcoin è “un asset che di per sé non sta creando nulla. Quando si comprano asset non produttivi, tutto quello su cui si conta è che ci sia qualcuno che paghi di più perché è ancora più entusiasta di chi lo ha acquistato prima di lui”. Micheal Burry, analista finanziario famoso per essere stato interpretato al cinema nel cult-movie “The Big Short” (La Grande Scommessa) dall’attore Christian Bale, da mesi sta mettendo tutti in guardia dal rischio di una enorme bolla speculativa legata alle cripto-valute.
Sembra essere stato toccato, quindi, un punto altamente critico, nel quale, da una lato, il Bitcoin riceve attestati di stima dalle grandi banche internazionali, da investitori c.d. “visionari” (Elon Musk, per esempio, ci ha investito parecchio) da colossi dei pagamenti digitali e dagli hedge fund e, dall’altro, sussiste il rischio di una rigida regolamentazione che è già stata sollecitata dal segretario al Tesoro USA, Janet Yellen, e dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Inoltre, grava l’accusa secondo la quale le attività di mining non siano ecosostenibili, perché determinano un enorme consumo di energia elettrica e una elevatissima produzione di CO2 all’interno di un contesto dominato dai criteri ESG.
Non mancano anche in Italia le voci fuori dal coro di chi osanna l’investimento in Bitcoin. Secondo Antonio Mazzone, fondatore di Bancadvice.it, “è venuto il momento di chiudere tutte le posizioni attive su azioni Tesla e wallet in cripto-valute. Recentemente ho avuto un flashback: mi è sembrato di rivivere il periodo 1999-2000, dove all’euforia successe presto lo “sboom” delle dot.com”. Secondo Mazzone, oggi è bene porsi tre domande sul Bitcoin, e darsi immediatamente delle risposte prima di soccombere:
1) “relativamente a Tesla, una azienda automobilistica che commercializza solo mezzo milione di vetture, e fa utili solo da attività di trading in bitcoin, può capitalizzare quanto l’intero settore auto mondiale ed avere un P/E (indice price/earnings) superiore a 1.000? Per me NO”.
2) “L’intera popolazione dei miners produce in un mese un quantitativo di CO2 pari a quello prodotto in un intero anno da un paese come la Giordania, e consuma energia elettrica in un mese quanto l’Argentina in un anno. E’ un sistema sostenibile? Per me NO”.
3) “Se all’improvviso scomparissero tutte le cripto-valute, l’intera comunità mondiale se ne accorgerebbe e ne avrebbe un danno significativo? Per me, assolutamente NO. Anzi, ne ricaverebbe un vantaggio. Infatti, il numero dei miners negli ultimi 18 mesi è cresciuto di nk-volte rispetto al periodo precedente, seguendo una progressione simile a quella logaritmica. Sono state così sottratte allo sviluppo di intere comunità e nazioni ingenti risorse naturali e fonti energetiche indispensabili, senza avere in cambio alcuna partecipazione su larga scala ai profitti di queste nuove “miniere”.

Antonio Mazzone
“Solo a febbraio e solo in Iran – prosegue Mazzone – sono stati disconnessi dalla rete elettrica locale oltre 1.600 nuovi miners dopo aver procurato diversi blackout”. “Diventa evidente – conclude Mazzone – il contrasto paradossale, al limite dell’ipocrisia, tra la diffusione di investimenti con criteri ESG, l’attenzione sulla riduzione dei gas serra e sul disastro climatico e la corsa a proteggerci da eventuali nuove pandemie con le sollecitazioni di big Financial corporation (JPM, Citi, Bayerische L., per citarne alcune) e blasonati miliardari che consigliano investimenti sulle cripto-valute, la cui attività estrattiva è tra le più energivore ed inquinanti del pianeta”.