Marzo 19, 2024

Asset Management, per Moody’s l’outolook è negativo. Ecco le sfide di lungo termine imposte dal Covid

Analisi del mercato del Risparmio gestito effettuata dal lato dell’offerta. Tra i maggiori players della produzione e quelli della distribuzione di strumenti finanziari cambia la “visione industriale” del futuro.

Da diversi anni, l’insieme delle aziende che operano nel mercato degli strumenti finanziari viene sempre più spesso definito come una “industria”, poiché il processo di vendita di fondi, sicav, gestioni patrimoniali e polizze di vario ramo deve necessariamente sottostare ai tipici meccanismi della progettazione, autorizzazione, produzione, distribuzione e controllo, come in qualsiasi settore industriale.

Allo stesso modo, all’interno dell’industria del Risparmio esistono attori della produzione e attori della distribuzione, che a volte coincidono – lo vediamo nei grandi agglomerati dei maggiori gruppi bancari del mondo – ma sempre più spesso, soprattutto in Italia, sono ben distinti tra loro. La c.d. Architettura Aperta, nel settore della distribuzione, ne è la prova più evidente, con il “multimanager” che impera da circa 15 anni e costituisce un “mantra” della distribuzione e della consulenza.

Ciò che è meno chiaro ai più, però, è che tra le due categorie di attori – produzione e distribuzione di strumenti finanziari – cambia la “visione industriale”: di medio-lungo periodo per i primi, di breve periodo (con rare puntate nel medio) per i secondi. E così, mentre le banche-reti  (riunite in Assoreti) brindano ogni mese a nuovi record di raccolta, i players dell’Asset Management (società di gestione del risparmio), pur esprimendo fiducia nel futuro, non manifestano uguale euforia.

Questo sentimento di prudenza è ben sintetizzato da uno studio di Moody’s, che sintetizza i risultati a consuntivo e le prospettive, non esattamente entusiastiche, per il futuro. Secondo il suo report, infatti, nel corso del 2020 gli asset dei gestori di fondi europei sono saliti alla cifra record di 11,3 trilioni di euro, nonostante la pandemia, grazie alla spinta che i mercati finanziari hanno ricevuto dal supporto delle banche centrali e dagli stimoli dei governi. I gestori di fondi hanno riportato 156 miliardi di euro di flussi netti nella seconda metà del 2020, mentre la fiducia degli investitori è stata alimentata dalle misure di sostegno pubbliche e dall’ottimismo sull’avvio della campagna vaccinale. “I gestori di fondi europei hanno avuto un anno record, pur nel contesto della pandemia. I ricavi per le commissioni di gestione sono saliti del 10% durante la seconda metà del 2020, riflettendo la più alta media di asset in gestione e i più forti flussi nei fondi“, ha commentato all’ANSA Marina Cremonese (nella foto), analista senior di Moody’s. Il margine di EBITDA degli asset manager indipendenti è salito del 32%, rispetto al 29% della prima parte dell’anno, grazie a commissioni di gestione più alte, spese operative più contenute e costi di distribuzione stabili, mentre la pandemia ha ridotto i costi per i viaggi e il marketing.

Nonostante questo, però, l’outlook di Moody’s per l’industria globale dell’asset management resta comunque negativo, in quanto la crisi scatenata dal coronavirus intensificherà le sfide di lungo termine.

Eppure, l’industria del risparmio gestito in Italia appare in grande salute, nonostante la pandemia. Banca Generali, per esempio, ha totalizzato una raccolta netta di 646 milioni di euro nel mese di marzo, portando il totale da inizio anno a 1,66 miliardi ed evidenziando un significativo incremento delle soluzioni gestite, mentre Azimut ha raccolto nel primo trimestre 2021 2,5 miliardi al netto dell’acquisizione di Sanctuary Wealth, portando il totale delle masse (comprensive del risparmio amministrato) a 72,3 miliardi e quello delle masse in risparmio gestito a 50 miliardi.

Viene da chiedersi, alla luce di questi consuntivi, perché Moody’s parli di outlook negativo, e per farlo bisogna analizzare il contesto. Innanzitutto, nonostante l’aumento delle masse in raccolta gestita e quello degli utili dei gruppi bancari, la situazione prospettica non è priva di rischi “adattivi”, ancora in corso per le reti con massa critica inferiore alla “soglia di allarme” di 25 miliardi, che nel medio-lungo periodo compensano, con il loro maggior costo, la crescita dei ricavi: alto livello di oneri di trasparenza e compliance, compressione dei margini – sui quali l’ESMA è recentemente intervenuta – pressione sulla riduzione degli incentivi (inducement), ulteriore aumento della complessità degli accordi distributivi per via del controllo sui requisiti di trasparenza e, quindi, possibile concentrazione del numero di accordi distributivi diretti. Naturalmente, esistono anche le opportunità, individuabili nelle possibili soluzioni “industriali” idonee a ridurre la complessità degli accordi distributivi ed a mantenere elevata la remunerazione, gli investimenti sulle piattaforme di collocamento elettronico degli strumenti di risparmio gestito e la capacità del sistema e dei suoi addetti, rispettivamente, di sviluppare prodotti personalizzati e di intensificare il livello di relazione con i clienti-investitori.

Con la riduzione del rendimento delle asset class tradizionali e il tramonto ormai definitivo della remunerazione “cuscinetto” prestata dai comparti obbligazionari (in particolare quelli governativi), è irrinunciabile introdurre anche per la clientela “mass” e “affluent” nuove strategie di composizione del portafoglio – c.d. asset allocation – privilegiando i comparti meno tradizionali, e cioè quelli azionari e flessibili, al fine di ricercare il rendimento di medio-lungo periodo. A questa piccola/grande rivoluzione, che potremmo definire nel passaggio culturale dal ruolo di risparmiatore a quello di investitore, deve corrispondere, da parte delle aziende di asset management, una diversa strategia di marketing e di gestione per strutturare maggiormente l’offerta nel rispetto dei profili di rischio.

Successione

Pertanto, è già cambiato il modello di servizio dell’Asset Management, oggi ben costruito attorno ad un mix di canali differenziato: da un lato le reti di consulenti finanziari, che continueranno a privilegiare la distribuzione tradizionale, e dall’altro i canali digitali, maggiormente idonei a raccogliere le innovazioni di prodotto e l’avanzata inarrestabile degli ETF. In ogni caso, il comune denominatore è già la crescita di volumi e la standardizzazione degli strumenti.

Infine, i trend demografici, che spingeranno verso prodotti adatti a gestire soprattutto gli aspetti previdenziali e successori.

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