Il valore delle start up nell’Equity Crowfunding. Attenzione alla “coerenza” tra rischio e rendimento

La dottrina aziendale italiana non ha posto molta attenzione sulle corrette procedure valutative di una startup. Negli USA, invece, nuove tecniche di facile e veloce applicazione permettono di stabilire valutazioni ritenute attendibili.
Di Carlo Mauri*
Il tema della valutazione delle startup è diventato attuale per effetto della diffusione, negli ultimi anni, del fenomeno del “Crowdfunding“, a sua volta espressione della nuova “economia della condivisione” (Sharing Economy), in cui i progetti imprenditoriali vengono proposti, tramite piattaforme autorizzate della Consob, al largo pubblico degli investitori al fine di condividere con loro i vantaggi futuri ma ovviamente anche i rischi.
Presupposto per dar luogo alla raccolta dei capitali è quello di procedere all’autovalutazione delle startup stesse. Questo valore, definito di “pre-money”, viene fornito quindi dagli stessi soci fondatori delle startup ed è legato, funzionalmente, alle somme richieste agli investitori. Si tratta di un valore potenziale, in quanto ricavato da grandezze economiche e finanziarie ipotetiche future, poichè le startup solitamente non hanno dei bilanci storici da sottoporre ad analisi. In ogni caso, il valore “pre-money” è sempre indicato nei business plan pubblicati nelle piattaforma di equity crowdfunding, ma non sempre è possibile individuare in maniera esplicitata i criteri da cui tale valore si genera.
Eppure, questa grandezza è determinante per il successo dell’operazione. Infatti, qualora venissero attribuiti valori troppo elevati, si possono incontrare concrete difficoltà nel raggiungere gli obiettivi di raccolta; viceversa, nel caso in cui il valore “pre-money” sia troppo basso, si può indurre il dubbio, nel potenziale investitore, di fare un cattivo affare, oltre al risultato di raccogliere una somma assai più modesta.
Il pericolo, pertanto, è quello di allontanarsi dalle corrette procedure valutative, e sul punto è necessario riconoscere che la dottrina aziendale italiana non ha posto molta attenzione, e gli stessi “Principi italiani di Valutazione” non dedicano una specifica attenzione alle startup. Maggiore interesse, invece, si è manifestato negli USA, dove la prassi internazionale ha sviluppato delle tecniche di facile e veloce applicazione, le quali permettono di stabilire (a torto o a ragione) valutazioni ritenute attendibili dagli operatori professionali.

Carlo Mauri
Purtroppo, la necessità di creare una metrica condivisa e di facile uso rischia di confondere le scelte degli investitori e dei loro consulenti nel perseguire scelte ragionate e consapevoli. E’ possibile, però, fare una prima considerazione: assumendo come input i dati presenti in piattaforma, ovvero il pre-money e i flussi reddituali prospettici (di solito presenti fino al massimo di 5 anni), si deve sempre trovare una coerenza tra il “rischio” (implicitamente presente nel tasso di attualizzazione dei flussi reddituali) e il rendimento espresso dai flussi reddituali stessi. A parità di valore pre-money, aumentando il rendimento il rischio deve crescere in modo proporzionale. Ebbene, visto che i flussi reddituali indicati nei business plan presentano spesso tassi di crescita molto elevati, caratterizzati da dinamiche esponenziali, contestualmente si dovrebbe osservare una misura del rischio di gran lunga superiore (di almeno dieci volte) rispetto a quella presente, per esempio, nelle stime di complessi aziendali di società quotate nei mercati regolamentati. L’assenza di questa “coerenza” tra rischio e rendimento, che rappresenta uno dei principi cardine della Finanza, è in grado di compromettere la credibilità dell’intero progetto.
* Commercialista, socio AIAF, Managing Partner di M&V Private Corporate Advisor