Cresce la fiducia dei millennials nelle criptovalute, ma l’insidia è dietro l’angolo
Finanziariamente “ineducati”, i risparmiatori più giovani valutano con un certo interesse l’investimento in Bitcoin, anche come fondo pensione o come strumento che assicuri un rendimento reale positivo del capitale al netto dell’inflazione.
Tre mesi fa il prezzo del Bitcoin segnava il suo massimo storico di quasi 65.000 dollari; da allora, un crollo verticale fino agli attuali 31.700 dollari circa, con una perdita teorica del 51%. La correzione-monstre, peraltro, è arrivata in maniera del tutto inaspettata, poiché molti analisti prevedevano la continuazione di un ciclo rialzista da record.
Le criptovalute ci hanno abituato ad una certa volatilità, per cui chi ci ha messo dentro del denaro lo ha fatto in modo marginale. Però, negli ultimi 9 mesi il Bitcoin aveva ricevuto un importante endorsement da parte di fondi speculativi e personaggi di spicco del mondo industriale (Elon Musk, soprattutto), i quali hanno poi, altrettamento rapidamente, fatto marcia indietro quando qualcuno ha fatto notare come il c.d. mining andasse contro le problematiche di sostenibilità ambientale. La stessa Unione Europea – è notizia di pochi giorni – ha messo le mani avanti sulla criptovaluta continentale, rinviando di qualche anno il momento della sua entrata sul mercato.
Pertanto, varrebbe la pena chiedersi se, nel medio periodo, il Bitcoin e le altre maggiori criptovalute siano destinate a raggiungere nuovi massimi, e soprattutto se la contrazione in corso è solo una interruzione temporanea della traiettoria rialzista, oppure la tendenza generale sia quella ribassista nel lungo termine premonizzata da Warren Buffett. La risposta a questo secondo quesito, in particolare, è importante perché non mancano gli analisti che consigliano ai propri clienti millennials di accumulare investimenti alternativi, oro e Bitcoin, motivando la scelta con la sempre più stretta correlazione della criptovaluta con il mercato azionario tradizionale. Altri, invece, prevedono un enorme sell-off delle azioni che, nell’immediato, potrebbe spingere gli investitori ad affidarsi ai Bitcoin come bene rifugio.
Qualunque sia la risposta a queste domande, le criptovalute stanno ormai segnando un confine sensibile tra le abitudini di investimento dei babyboomers e quelle dei millennials. Secondo una recente ricerca di Coindance, infatti, il 48% circa di compra bitcoin ha un’età compresa tra 25 e 34 anni, e cioè i millennial più giovani; se a questi sommiamo la percentuale dei millennial un pò più maturi (35-44 anni), che sono il 28%, le criptovalute sono un appannaggio (76%) della generazione dei millennial, che sono caratterizzati dall’avere una visione omogenea dei propri bisogni finanziari in tutto il mondo. Per esempio, un australiano su cinque ritiene che le criptovalute siano una ottima soluzione per risparmiare finalizzando l’accantonamento all’acquisto della casa, sia per il track record del Bitcoin – che non autorizza a sognare – sia per una certa diffidenza sugli strumenti finanziari tradizionali, considerati non più adeguati e/o affidabili.
Da sempre poco inclini all’investimento immobiliare, per il 40% dei millennial le criptovalute rappresentano una valida alternativa agli immobili, che continuano ad essere amati solo dai babyboomers (i quali non amano affatto i bitcoin). Tutto ciò non è una sorpresa, poiché oggi le persone più giovani vogliono pagare in modalità digitale e mostrano grande interesse, fin dalla maggiore età, ai prodotti digitali e alla tecnologia blockchain, ovvero alla finanza decentralizzata, sebbene questo interesse cresca in funzione della ricchezza personale. Secondo un sondaggio della CNBC, infatti, quasi la metà dei milionari millenial ha almeno il 25% della propria ricchezza investita in criptovalute, ed è il loro elevato grado di percezione positiva verso bitcoin & co. a spingerli ad investire in uno strumento che li “collega” a livello generazionale con il mondo digitale in cui essi sono nati o cresciuti culturalmente. In più, le criptovalute consentono di investire, nelle piattaforme ufficiali e verificate, dover detenere un deposito titolo o persino un conto in banca.
Questo scenario è il naturale portato della scarsa educazione finanziaria dei più giovani, i quali hanno ereditato dai genitori il medesimo (basso) livello di conoscenza della finanza. Pertanto, anziché affidarsi ad un consulente finanziario, moltissimi millennial della fascia d’età più giovane preferiscono fare (e rischiare) da soli, nonostante l’investimento in criptovalute sia da considerare insidioso, volatile e stressante. Ciò che li spinge è la fiducia su queste tecnologie, che secondo loro hanno il potenziale per risolvere i problemi più grandi del futuro, come la pensione e la tutela della salute.