Sistema bancario vs Educazione Finanziaria, un duello ancora in corso
Dopo tante dichiarazioni di intenti sul tema dell’Educazione Finanziaria, forse per il sistema bancario e per le Istituzioni è arrivato il momento di disegnarne i confini entro cui farla funzionare davvero. Tuttavia, per ottenere risultati bisogna affrontare tematiche “politicamente scorrette”, che normalmente vengono sussurrate o sottaciute per convenienza o per necessità.
Negli ultimi cinque anni abbiamo assistito ad una fioritura di contenuti in tema di Educazione Finanziaria provenienti dalle fonti più autorevoli e disparate. Dell’argomento, infatti, si è occupato lo Stato Italiano – con il decreto-legge del 23 dicembre 2016, n. 237, convertito nella legge del 17 febbraio 2017, n. 15 (“Disposizioni urgenti per la tutela del risparmio nel settore creditizio“) – che ha avviato una strategia nazionale per l’educazione finanziaria da cui sono scaturite diverse iniziative ed una comunicazione costante (con un sito web dedicato).
Sulla sua scia, il sistema bancario e le reti di consulenza hanno fornito la loro versione della materia, facendo anch’esse dell’educazione finanziaria professione di buoni principi. Anche numerosi consulenti, individualmente, hanno cominciato ad aggiungere al proprio biglietto da visita l’appellativo di “educatore finanziario”, dandone ampia visibilità nella Rete e nei social network grazie ad una buona produzione di contenuti destinati agli utenti. Molte domande, però, rimangono sospese, ed il tema – la cui importanza è stata ribadita in tutte le più importanti sedi internazionali – sembra non decollare, rimanendo allo stato di enunciato e dichiarazione di buone prassi. Infatti, l’Istituzione fondamentale di impulso (il Governo) e gli attori protagonisti di settore (l’industria del risparmio) non appaiono esattamente “innamorati” dell’educazione finanziaria e, in qualche modo, sembrano quasi tenerla un po’ a distanza, facendo per essa lo stretto necessario e non, come forse qualcuno si sarebbe aspettato, utilizzandola come un vero cavallo di battaglia della propria comunicazione al pubblico.
Del resto, sia la proto-professione di consulente patrimoniale che quella ancora più abbozzata di educatore finanziario rimangono senza una propria regolamentazione, e salvo l’iniziativa di chi vuole colmare, con il proprio impegno formativo o associativo, l’evidente vuoto normativo sulla più ampia consulenza patrimoniale (che non coincide affatto con la consulenza finanziaria, ma la include) chiunque oggi può appropriarsi delle due denominazioni – strettamente collegate al concetto di educazione finanziaria – anche senza averne né le caratteristiche né la preparazione adeguata.
Pertanto, sul tema dell’Educazione Finanziaria ci troviamo in una evidente fase di transizione verso un orizzonte dai contorni ancora troppo sfocati, e ci si chiede se l’attuale sistema bancario italiano, comprendendo in esso anche l’universo della consulenza finanziaria imperniato sul ruolo dominante della banca-rete, sia concretamente pronto ad accogliere a piene mani, accettandone le conseguenze commerciali per tutti i suoi settori industriali (dalla produzione di strumenti finanziari alla loro distribuzione), l’aumento del livello medio di conoscenze finanziarie dei risparmiatori, che sta già determinando una progressiva diminuzione dei costi all’investitore ed una ulteriore diminuzione dei margini di ricavo alle reti di consulenti. In particolare, ci si chiede come un sistema fortemente incline a favorire le logiche industriali della quantità – budget, portafoglio medio, commissioni di gestione, totale expense ratio etc – possa fare propria un’attività come l’educazione finanziaria che, invece, è un elemento propedeutico ad affermare le logiche di qualità in base ai quali gli investitori indirizzeranno sempre di più le proprie scelte in futuro.
Forse, dopo aver speso tutte le possibili dichiarazioni di intenti sul tema dell’educazione finanziaria, per il sistema bancario è arrivato il momento di disegnarne il perimetro entro cui farla funzionare davvero, in un rapporto chiaro di causa-effetto che consenta anche di tracciare un confine oltre il quale i costi di tale fondamentale elemento di crescita della Società Economica Italiana non debbano più essere scaricati sulle reti di professionisti della consulenza, ai quali mancano oggi importanti innovazioni capaci di compensare la continua diminuzione dei ricavi alla rete. Per fare tutto ciò, bisogna parlare “fuori dai denti”, ed affrontare tematiche “politicamente scorrette” che normalmente vengono sussurrate o sottaciute, per convenienza o per necessità, dal mainstream dell’industria. In particolare, è necessario rispondere in modo chiaro alle frequenti domande che ogni consulente si è posto in questi ultimi anni, dandosi egli stesso le risposte più disparate non avendo trovate quelle adeguate all’interno del sistema lavorativo di cui fa parte.
1) Cosa si intende per Educazione Finanziaria?
Come affermato da Maurizio Nicosia, l’“educazione finanziaria” non corrisponde alla “cultura finanziaria”, nel senso che nell’educazione finanziaria è certamente compresa la cultura, ma la semplice conoscenza degli strumenti e dei rischi legati agli stessi non definisce affatto l’educazione finanziaria. Per arrivare a questa, infatti, serve collegare l’universo dei singoli investimenti a degli obiettivi di spesa programmati all’interno di un orizzonte temporale, ed è questo collegamento che rende un investitore “finanziariamente educato”. Questa fondamentale differenza comporta, da parte del sistema bancario e delle Istituzioni, un cambio di passo che non è affatto avvenuto. Infatti, tutte le iniziative che si stanno mettendo in atto adesso sono circoscritte essenzialmente alla “cultura finanziaria”, e non all’aspetto più importante, e cioè quello “educativo”, che il risparmiatore non impara dai libri o da Internet, ma dal confronto con personale specializzato. E a poco vale introdurre gli elementi di cultura finanziaria nelle scuole secondarie, poiché la fascia di età in cui si inizia a risparmiare è sempre più ritardata nel tempo e, se non si farà nulla per educare i millennials e i babyboomers, si dovranno aspettare circa venti anni prima di avere una società con un livello complessivo soddisfacente di educazione finanziaria.
2) Se il cliente diventa “educato” finanziariamente, non avrà più bisogno di un consulente finanziario?
Questo timore è privo di fondamento. A meno di non diventare tutti dei veri appassionati di finanza e mercati ed abbandonare il nostro lavoro, l’educazione finanziaria non trasferisce né la conoscenza tecnica degli strumenti né l’esperienza sul campo, ossia i due elementi fondamentali che differenziano un consulente da un non-consulente. Sostenere una simile teoria, infatti, equivarrebbe a dire che non serve avere un avvocato se si è a conoscenza che, perdendo una causa in primo grado, si può ricorrere in appello.
3) Se l’investitore acquisisce sempre maggiore consapevolezza del proprio ruolo, come dovrà cambiare il ruolo del consulente?
La fondamentale funzione dell’educatore finanziario – quella che consentirebbe al risparmiatore il passaggio dall’essere finanziariamente “acculturato” ad essere “educato” – non è attualmente regolamentata nè retribuita, per cui oggi questo compito di grande responsabilità viene lasciato alla discrezione del singolo consulente o della singola filiale di banca; questi ultimi, a loro volta, non sono incoraggiati dal sistema a far evolvere i propri clienti, dal momento che sono costretti a privilegiare gli elementi quantitativi (budget, portafoglio medio, etc) rispetto a quelli di qualità. Di conseguenza, finchè le competenze di educatore finanziario non verranno regolamentate – come si sta cercando di fare per la consulenza patrimoniale, per mezzo di diplomi privatistici che attestano il compimento di un percorso formativo specifico – il ruolo del consulente finanziario non subirà alcuna variazione di rilievo, anche perché le iniziative del sistema, come evidenziato nel precedente punto n. 1, non aiutano certo i risparmiatori “ineducati” a percepire la differenza tra un consulente-educatore ed un consulente “ordinario”.
4) Il processo di progressiva Educazione Finanziaria aumenterà ancora di più il livello di trasparenza sui costi dell’investimento e causerà un minore guadagno per i consulenti finanziari?
Finchè il sistema bancario scaricherà sulle reti commerciali i minori ricavi conseguenti all’aumento della trasparenza sui costi alla clientela, è certo che ai consulenti finanziari verranno richiesti ulteriori sacrifici in termini di margini provvigionali, così come è sicuro che le filiali di banca continueranno ad essere chiuse in gran numero. In particolare, il numero dei consulenti attivi è destinato a diminuire, a meno che il sistema non si decida – finalmente – a mettere mano a quei cambiamenti che potrebbero attribuire dignità professionale ai ricavi da consulenza finanziaria, il cui modello di business trova un limite invalicabile nell’impossibilità di slegare l’attività di consulenza dalla distribuzione di fondi e sicav, e non permette anche alle reti dei professionisti non autonomi la possibilità di far sottoscrivere il contratto di consulenza indipendente – che disciplinerebbe anche i servizi in materia di patrimonio immobiliare – ed uscire parzialmente dalla logica del portafoglio medio e della continua raccolta.
5) Il passaggio dalla cultura alla Educazione Finanziaria determinerebbe maggiori o minori ricavi per il sistema?
La questione non riguarda i ricavi, ma la sostenibilità del conto economico delle banche e gli utili che la gallina dalle uova d’oro della consulenza finanziaria distribuisce ogni anno alle capogruppo e/o agli azionisti. Fino ad oggi, la diminuzione dei margini – iniziata nel 2009 e non ancora finita – ha consentito al sistema di reggere l’onda d’urto delle due MiFID, ma ha lasciato dietro di sé migliaia di “vittime”, ossia moltissimi bravi consulenti con portafoglio sotto la media espulsi dall’industria del risparmio per via della diminuzione di risorse da spendere nell’affiancamento commerciale e nella loro formazione a causa dei notevolissimi costi di adattamento alle nuove Direttive. Il risultato finale è un numero sempre crescente di consulenti “anziani” e piuttosto in avanti con l’età – ormai diventati la metà del totale – ed un sistema chiuso e incapace di rigenerarsi.
In conclusione, se la volontà “politica” del sistema bancario e delle Istituzioni è quella di lasciare il mondo così com’è, limitando alle dichiarazioni di intenti la propria attivazione in tema di educazione finanziaria dei risparmiatori, non si vedono grandi cambiamenti all’orizzonte, ed è ancora lontanissimo il momento in cui le uniche innovazioni strutturali capaci di creare il terreno educativo più fertile – ossia il contratto di consulenza indipendente alle reti, la nascita delle società o studi associati di consulenti finanziari non autonomi e la loro partecipazione agli utili delle banche-reti – vedranno finalmente la luce.