Strumenti di successione dell’impresa a confronto: Patto di Famiglia vs Trust
Entrambi utilissimi strumenti di pianificazione successoria per l’imprenditore, il Patto di Famiglia ed il Trust presentano differenze notevoli in quanto a duttilità, controllo e capacità di formare i futuri eredi alla conduzione dell’azienda, assicurandone la continuità.
Prima dello scoppio della pandemia, le statistiche sui passaggi generazionali di azienda erano già piuttosto impietose, dal momento che esse registravano il “decesso” del 50% delle imprese nel passaggio dalla prima alla seconda generazione. Lo spettro del Covid-19, con tutto il suo carico di emergenza sanitaria, di certo ha determinato una maggiore riflessione degli imprenditori medio-piccoli (che sono più del 90% del totale) sulla utilità di una pianificazione successoria utile alla sopravvivenza degli asset aziendali, ed il ricorso alla consulenza patrimoniale per l’individuazione degli strumenti più idonei ad assicurare la trasmissione dei beni di natura aziendale.
In campo imprenditoriale, infatti, la connotazione giuridico-affettiva dell’eredità di un patrimonio si arricchisce di un elemento fondamentale, quello della continuità aziendale. Questo obiettivo, molto sentito da tutti i fondatori di imprese, per essere perseguito con successo richiede la necessità di una valutazione approfondita dell’erede che prenderà le redini dell’azienda in occasione del passaggio generazionale, ed è opportuno che tale momento di valutazione avvenga con largo anticipo rispetto al passaggio vero e proprio della governance. Per questo motivo l’Ordinamento prevede diversi istituti giuridici, alcuni piuttosto semplici e poco versatili (come la donazione o i patti aziendali), altri più sofisticati ed efficaci, come il Patto di Famiglia ed il Trust.
Con il Patto di famiglia, l’imprenditore può trasferire ad un figlio la sua azienda o rami di essa, compensando gli altri familiari c.d. legittimari con il pagamento di una somma di denaro equivalente al valore delle quote dell’azienda che sarebbero loro spettate. L’utilità di questo istituto, che deve essere perfezionato tramite atto pubblico, è notevole. Infatti, all’atto della morte di un imprenditore la sua impresa andrà a tutti i suoi figli, ma può accadere – come spesso accade – che i contrasti e i litigi tra discendenti possano interrompere il suo percorso virtuoso, determinandone così la vendita a terzi o, nei casi più gravi, un rapido fallimento per conseguente “stallo gestionale” o mala gestio. E’ per casi come questi che il Legislatore ha previsto il Patto di Famiglia, e cioè un vero e proprio patto successorio lecito (in Italia i patti successori sono vietati), mediante il quale l’imprenditore cerca, in costanza di vita, il consenso dei suoi eredi “in pectore” sulla futura leadership dell’azienda.
La progettazione di un Patto di Famiglia, però, deve comunque salvaguardare anche i soggetti esclusi, come il coniuge ed i figli che non ricevono le quote dell’azienda, ai quali deve essere riconosciuta da coloro a cui vengono assegnate le quote aziendali una somma di denaro o alcuni beni in natura, il cui valore corrisponde al valore delle quote che a loro spetterebbero in quanto legittimari. Tutto ciò per tacitare da subito possibili future contestazioni, tanto che una volta stipulato il contratto, le assegnazioni ricevute non possono essere oggetto di collazione o riduzione, e le eventuali modifiche del contratto – così come il suo scioglimento – deve essere stipulato dagli stessi soggetti che vi hanno partecipato e mediante atto pubblico.
Dal punto di vista della protezione del patrimonio – in questo caso totale, visto il coinvolgimento nell’accordo anche di quei beni che non fanno strettamente parte degli asset aziendali – il trasferimento dell’azienda o delle quote effettuato dall’imprenditore tramite il Patto non equivale ad una donazione in vita, sebbene gli somigli; pertanto esso non può mettere a repentaglio gli interessi dei creditori né permettere a questi ultimi di azionare una improbabile revocatoria. Infatti, il Patto di Famiglia comporta un trasferimento senza un corrispettivo immediato, ma è frutto di un disegno successorio che presenta certamente caratteri di onerosità tra le parti, ossia tra i legittimari della futura eredità, e pertanto non può essere definito come atto a titolo gratuito come, appunto, una donazione in vita. Per lo stesso motivo, anche l’art. 2929 bis, che disciplina l’espropriazione forzata anticipata, non può essere applicato ai patti di famiglia, e ciò rappresenta un punto a favore di questo strumento per proteggere quei particolari beni del patrimonio come le quote aziendali.
Non sempre, però, è possibile definire con successo un Patto di Famiglia, ed in casi come questo – per nulla rari – l’imprenditore è costretto a valutare altri strumenti di trasmissione dei beni aziendali. Sotto l’egida di un Trust, per esempio, si potrebbe conciliare la mancanza di esperienza dei futuri eredi con la presenza del trustee, e cioè di un soggetto esperto nella conduzione aziendale, in grado di formare le nuove leve imprenditoriali della famiglia e di assicurare la “neutralità e terzietà” necessaria all’amministrazione degli asset anche nel momento in cui viene a mancare la figura carismatica dell’imprenditore.
Il Trust risulta utile, per esempio, quando nei rapporti tra imprenditori si verificano situazioni di “stallo decisionale”, in cui i soci con pari peso amministrativo hanno due visioni diametralmente opposte sulla soluzione da adottare relativamente ad un evento della vita aziendale, e non si riesce così a raggiungere una maggioranza per l’una o per l’altra decisione o, peggio ancora, non si riesce a mettere in atto ciò che è stato deciso in assemblea perché uno dei soci non adempie. In casi come questi – molto simili ad un dissidio da separazione coniugale, a ben vedere – il Trust può risolvere lo stallo derivante dall’inadempimento del singolo socio poiché il trustee, che è un soggetto terzo con specifiche competenze in campo societario, in caso di mancanza di istruzioni congiunte può votare a sua discrezione in funzione di quello che ritiene essere l’interesse della società oppure, a mali estremi, promuovere la convocazione di un’assemblea per la messa in scioglimento della società.
Sebbene preveda lo spossessamento dei beni, rispetto al Patto di Famiglia il Trust sembra avere una maggiore forza protettiva, in quanto la segregazione dei beni assicura al trustee di poter perseguire gli scopi per i quali è stato nominato nell’interesse dei beneficiari finali, senza interferenze da parte dei disponenti o dei suoi futuri eredi. Per fare questo, al trustee possono essere attribuiti, all’atto della costituzione del Trust, poteri anche notevoli, come la nomina o la revoca dei beneficiari, oppure la ripartizione dei dividendi. Il Trust, inoltre, consente all’imprenditore di continuare a controllare l’azienda, di valutare nel tempo il livello di abilità gestionale dei beneficiari e, in definitiva, di assicurare la continuità aziendale all’interno della propria famiglia, finchè ne ha la possibilità in vita.