Tassi di interesse, mercato diviso in due fronti. Rendimenti a 10 anni tra il 2% e il 3%
Secondo Alberto Conca di Zest, il tasso di inflazione si è impennato a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia e non ci sono prospettive di rallentamento all’orizzonte. I titoli finanziari rappresentano la “copertura perfetta” per un contesto di tassi in aumento.
“L’attuale situazione pandemica ha portato a una condizione di bassi tassi di interesse e aumento dell’inflazione, quindi il livello futuro dei tassi di interesse dipenderà dalla persistenza dell’inflazione nel tempo. La nostra ipotesi è che, una volta che tutto si sarà normalizzato, il rendimento a 10 anni si assesterà tra il 2% e il 3%, ancora un grande aumento partendo dalla condizione attuale. I portafogli obbligazionari con lunga duration soffriranno questo scenario”. È l’analisi di Alberto Conca, gestore Zest.
Negli ultimi mesi il legame tra crisi energetica globale, inflazione e tassi di interesse è diventato sempre più sfumato. Se guardiamo da vicino, i veri fattori che influenzano gli attuali picchi dei prezzi dell’energia derivano dall’interruzione della logistica globale e dalle dinamiche di approvvigionamento, tutte derivanti dalla situazione di pandemia contingente. I prezzi dell’energia stanno aumentando vertiginosamente soprattutto dalla seconda metà del 2020 e questa impennata porta inevitabilmente a una maggiore inflazione. La vera domanda rimane però se questa condizione dei prezzi persisterà e influenzerà le aspettative di inflazione. La risposta è che dipende: quello che possiamo affermare con un certo grado di fiducia è che i prezzi delle materie prime non continueranno ad aumentare a questo ritmo e quindi l’impatto reale sull’inflazione sarà sempre più mitigato.
“Il tasso di inflazione si è impennato soprattutto a partire dall’inizio del 2021 a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia. Con Germania e Spagna che raggiungono il 4% di inflazione, seguite dagli altri paesi, non ci sono prospettive di rallentamento all’orizzonte”, sottolinea Conca. C’è una correlazione positiva tra l’aumento del prezzo del greggio e l’inflazione. Più precisamente, l’aumento ripido e improvviso del prezzo del greggio fa raddoppiare l’indice dei prezzi al consumo nel breve periodo anche se nel tempo si avrà un ritorno verso la media dei prezzi. Una volta che l’aumento dei prezzi del petrolio avrà trasmesso i suoi effetti attraverso l’economia, si avrà un livello di prezzi più elevato sulle spalle del consumatore. Se i redditi delle famiglie continueranno a crescere non sarà un problema contingente.
In tempi tumultuosi, come la seconda crisi petrolifera del 1979, la relazione logaritmica tra rendimenti Usa a 10 anni e il tasso di inflazione Usa viene meno, anche se si normalizza nel tempo lasciando tornare i valori medi sulla curva. Anche l’attuale situazione pandemica ha orientato la relazione fuori dalla curva sottolineando una condizione di bassi tassi di interesse e aumento dell’inflazione. Intanto le economie dell’Ocse si stanno espandendo contemporaneamente, superando la contrazione derivante dalla pandemia. Ciò dovrebbe implicare che i value sovraperformeranno, ma il settore manifatturiero sta perdendo slancio favorendo i growth.
“Possiamo affermare che il mercato è attualmente diviso in due fronti opposti in relazione ai tassi di interesse”, conclude Conca (nella foto). “Da un lato abbiamo i titoli ad alta crescita che sono correlati negativamente con i rendimenti a 10 anni, cioè i loro prezzi scendono quando i tassi di interesse salgono, e dall’altro abbiamo settori finanziari come le banche che sono correlati positivamente con i tassi, vendendo a sconto rispetto al mercato. I titoli finanziari rappresentano quindi la “copertura perfetta” per un contesto di tassi in aumento, data la correlazione positiva con i tassi di interesse”.