Comunione dei beni, il problema della titolarità effettiva degli investimenti tra i coniugi
In regime di comunione dei beni, per ciascuno dei coniugi è molto importante poter risalire in ogni momento alla propria percentuale di titolarità effettiva del patrimonio mobiliare ed evitare così problemi di corretta imputabilità degli investimenti in caso di crisi coniugale.
In un precedente articolo ci siamo già occupati delle corrette modalità di apertura e gestione dei conti correnti dei coniugi all’interno del regime della comunione dei beni, dove il fenomeno della “confusione patrimoniale” produce effetti deleteri quando si verifica una crisi coniugale ed una separazione. Allo stesso modo, uguale attenzione va prestata agli investimenti, che a differenza della semplice liquidità richiedono ulteriori passaggi amministrativi e implicazioni giuridiche di notevole interesse sia per gli investitori che per i loro consulenti patrimoniali.
Infatti, con riferimento all’accertamento e alla divisione degli investimenti di qualunque tipologia (comprese le polizze vita a contenuto finanziario), possono sorgere alcune problematiche, ed il rischio di una non corretta divisione del patrimonio tra i coniugi in fase separativa potrebbe essere di difficile soluzione qualora sul conto cointestato fossero depositati, ad esempio:
– il prezzo della vendita di un bene comune dei coniugi che, senza fare distinzione tra le rispettive percentuali di contribuzione, come tale cadrebbe in “comunione immediata” nella sua interezza indivisa;
– i proventi dell’attività separata del coniuge, percepiti e non ancora consumati, destinati alla comunione residuale;
– il denaro personalissimo del coniuge, presente prima del matrimonio che come tale rientrerebbe nei “beni personalissimi”.
Il deposito del denaro su un unico conto, pertanto, crea confusione e rende quasi impossibile accertare a quale categoria appartenga il denaro, in quale quantità e come debba esser diviso in sede di separazione. Tali aspetti sono ancor più complessi nel caso in cui il conto fosse stato utilizzato anche per gli investimenti, per i quali occorre individuare quale denaro è stato utilizzato per effettuarli, e quale fosse la sua origine. In particolare, se esso proviene da beni personali, da beni che rientrano nella comunione immediata o da quelli che, invece, sono tracciabili come “denaro personalissimo”.
Una soluzione preventiva ai problemi di tracciatura, che sarebbe utile attuare sin dall’inizio della vita di coppia, può essere quella di avere due conti personali separati, uno per il denaro personale e uno per il denaro personalissimo, per poi disporre eventualmente di un terzo conto corrente, cointestato con l’altro coniuge, per il denaro della comunione immediata. Inoltre, all’atto di aprire il conto “personalissimo” è opportuno fare una cosa cui generalmente nessuno pensa, e cioè dichiarare alla banca che il denaro che vi verrà depositato fa parte dei beni personali di cui all’art. 179 c.c.. Allo stesso modo, quando occorre effettuare degli investimenti sarà bene comunicare per iscritto alla banca, di volta in volta, che si sta utilizzando denaro estraneo alla comunione dei beni. In questo modo, l’istituto non potrà bloccare l’operatività del titolare, a meno che l’altro coniuge non fornisca una prova contraria e inoppugnabile, tale da poter generare una sospensione della disponibilità del conto corrente in attesa di una pronuncia giudiziale che faccia chiarezza. E dal momento che tali pronunce arrivano di solito dopo parecchi mesi di attesa – per via dei tempi della giustizia civile cronicamente lunghi – e solo dopo numerosi confronti con i propri avvocati, ciò spiega la “corsa” di ciascun coniuge verso l’accaparramento “cautelativo” delle somme di provenienza personalissima e, spesso, anche di quelle imputabili alla comunione.
Su questo punto, però, va evidenziato che qualunque banca, nell’assumere la decisione di mettere temporaneamente sottochiave le disponibilità finanziarie di un cliente, è obbligata ad usare tutta la buona diligenza dell’imprenditore bancario, che le impone di effettuare una istruttoria rapidissima (anche a cura di un consulente esterno) e non agire semplicemente secondo il criterio di “prudenza bancaria”, bensì a mezzo di un parere pro-veritate che certifichi la bontà delle argomentazioni del coniuge che intende ostacolare – qualora riesca a farlo prima di un eventuale “svuotamento” del conto corrente, del deposito titoli o della posizione fondi – la disponibilità delle somme di cui è titolare esclusivo l’altro coniuge. Quest’ultimo, infatti, nel caso in cui rinvenisse nella condotta della banca un eccesso di zelo o l’assunzione di provvedimenti ingiustificati e non proporzionati rispetto al petitum dell’altro coniuge, potrebbe agire per il superiore risarcimento del danno contro l’istituto di credito, e questo dimostra come la sua posizione sia molto delicata.
Osservando queste modalità operative, sarà possibile in ogni momento distinguere gli investimenti derivanti da provvista di denaro “personalissima” e far sì che essi rimangano estranei alla comunione dei beni. Infatti, in assenza di tale premura, il denaro personale utilizzato per effettuare investimenti comporterebbe la caduta di questi nella comunione dei beni, e verrebbe destinato, al momento dello scioglimento della stessa comunione, alla “comunione residuale”. Ciò accade, ad esempio, anche nelle successioni, in quanto il decesso di uno dei coniugi è una delle cause di scioglimento della comunione. In questi casi, il patrimonio personale del defunto cade tutto in successione, mentre il patrimonio comune col coniuge superstite cade in successione solamente per la metà del suo valore.