Dicembre 12, 2024

Crisi familiari e cointestazioni. Come gestire i conti correnti in separazione dei beni

I conti monointestati, a differenza di quelli cointestati, rispondono più armonicamente alle esigenze tipiche del regime patrimoniale della separazione dei beni, facendo sì che i flussi di denaro di natura personale confluiscano sui rispettivi conti senza generare confusione.

Nella coppia unita, la sottoscrizione di un conto corrente cointestato viene considerata un evento logico e quasi ineluttabile. Infatti, la pretesa di ciascuno dei coniugi di mantenere il proprio conto corrente va manifestata subito, al fine di evitare attriti e fraintendimenti, ma diventa comunque difficile regolare tutte le pendenze economiche comuni (affitto, utenze, mutuo etc) utilizzando i contanti in piena epoca di home & smart banking; per cui, la costituzione di un conto in comune si rivela presto come una necessità per via dei suoi innegabili vantaggi pratici. Tuttavia, molte coppie finiscono per mettere nel conto cointestato anche tutto quanto è di loro pertinenza, confondendone l’origine e la titolarità. Cosa succede alla cointestazione in caso di separazione coniugale?

Abbiamo già analizzato in un altro articolo le eventualità legate ai conti correnti familiari nel regime di comunione dei beni, ma è bene esaminare anche quello della separazione dei beni, poiché esso può presentare ampie aree di criticità qualora i coniugi non riescano a dimostrare la titolarità dei beni caduti in “confusione patrimoniale”. Per esempio, in relazione ai beni mobili acquistati in costanza di matrimonio, se nessuno dei coniugi può provare con ogni mezzo la proprietà esclusiva di un bene, si presume che esso sia di proprietà di entrambi. Idem per i conti correnti cointestati, su cui magari sono accreditati gli stipendi di entrambi: la legge presume che il denaro depositato sia di proprietà comune, e a ciascun coniuge spetterebbe quindi il 50% del saldo attivo del conto corrente in caso di separazione.

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Questa circostanza, tutt’altro che rara, crea alcune problematiche in merito alla quantificazione della sussistenza da dividere tra i coniugi in sede giudiziaria, dove non capita di rado che due persone si separino in modo conflittuale anche (e soprattutto) sulla materia economica. In tutti questi casi, data la presunzione che ciascun coniuge sia proprietario della metà del conto corrente, se uno dei due abbia sostenuto spese personali di ingente grandezza in costanza di matrimonio, in occasione della separazione (su istanza di parte) egli potrebbe esser tenuto alla restituzione della parte eccedente la sua quota del 50%. Inoltre, nel caso in cui il conto corrente cointestato fosse stato alimentato in misura maggiore da uno dei coniugi – sempre che ciò sia dimostrabile con apposita documentazione – la divisione potrebbe non avvenire in parti uguali.

E la banca, come si comporta? In ogni caso, essa deve applicare la presunzione di comproprietà del 50%, a meno che tale presunzione non sia stata superata in fase giudiziale e sia stata dimostrata, con l’ausilio di documentazione probatoria, la provenienza del denaro in misura prevalente da uno dei due coniugi. Infatti, non è raro il caso in cui, in prossimità del momento di separarsi, il conto cointestato a firme disgiunte (come la quasi totalità dei conti) venga “svuotato” da uno dei due coniugi, il quale però compie il reato di appropriazione indebita e, prima o poi, si vedrà costretto a restituire la quota stabilita dal tribunale. In questa ipotesi, l’altro coniuge potrà richiedere la restituzione delle somme indebitamente prelevate, ma si tratta comunque di una faccenda che va per le lunghe, per cui molti coniugi, temendo l’appropriazione di tutto il denaro contenuto nel conto da parte dell’altro, chiedono al giudice di effettuare un sequestro preventivo.

Interessante scoprire cosa accadrebbe, invece, nel caso in cui un coniuge dovesse cointestare all’altro un proprio conto personale. In questa circostanza, infatti, in seguito alla loro separazione o divorzio si porrebbe il problema della titolarità delle somme, e poco importa se il regime patrimoniale prescelto all’atto del matrimonio sia stato quello della separazione dei beni. Fortunatamente, sulla questione è intervenuta nel 2018 la Corte di Cassazione, che con l’ordinanza n. 4682 ha ribadito che, qualora il coniuge titolare originario del denaro solo successivamente cointestato ne conserva l’esclusiva proprietà, a meno che l’altro coniuge non riesca nella “prova impossibile” di dimostrare che la cointestazione del denaro rispondesse alla finalità di effettuare una donazione a suo vantaggio. 

In definitiva, è possibile affermare che i conti monointestati, a differenza di quelli cointestati, rispondano più armonicamente alle esigenze tipiche del regime patrimoniale della separazione dei beni; se così non fosse, infatti, ai coniugi non rimarrebbe che mantenere quello della comunione, qualora non sia particolarmente sentita, da entrambi, la necessità di tener distinti i diversi conti correnti. I conti monointestati fanno sì che i flussi di denaro di natura personale confluiscono sui rispettivi conti, senza generare confusione ed evitando problematiche successive legate a una possibile crisi coniugale.

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