Aprile 27, 2024

Come tutelare il patrimonio personale in caso di convivenza?

Se è vero che la c.d. “confusione patrimoniale” è capace di far sorgere enormi problemi già nel matrimonio, con la semplice convivenza more uxorio i problemi non possono che aumentare. Occhio ai bonifici ricorrenti tra conviventi: l’Agenzia delle Entrate vigila.

Di Alessio Cardinale

Quello della famiglia di fatto è un istituto giuridico che, prima di essere considerato tale, ha attraversato un lungo percorso culturale e giuridico importante, di pari passo con l’evoluzione della Società Civile italiana e con la visione di famiglia. Contestualmente, tale percorso non ha fatto mancare numerosi spunti di riflessione anche in relazione agli effetti patrimoniali che la c.d. convivenza produce – o non produce affatto – nei componenti della coppia unita con tali modalità. Infatti, prima della riforma del diritto di famiglia, c’era una scarsissima apertura verso una forma di tutela alle famiglie di fatto, ma gradualmente anche ai nuclei familiari non fondati sul matrimonio è stato riconosciuto un valido ruolo che assicuri i doveri di mantenimento, di educazione e di istruzione dei figli, insieme alla possibilità di garantire ai conviventi i propri diritti all’autodeterminazione personale e alla reciproca solidarietà ed assistenza morale, che prima venivano considerati appannaggio esclusivo del matrimonio.

Dal punto di vista patrimoniale, nella famiglia di fatto manca una normativa assimilabile a quella dettata per i coniugi uniti in matrimonio, pertanto negli anni si è sviluppato un generale riconoscimento – anche giurisprudenziale – verso tutti quei patti patrimoniali che i conviventi concludono per regolare i rispettivi rapporti economici. Contestualmente al maggiore radicamento ed accettazione di tale forma familiare nel comune sentire della Società occidentale, si è arrivati a qualificare le relazioni patrimoniali tra conviventi all’interno di una concezione stampo solidaristico, simile a quella che si instaura nel matrimonio. Tuttavia, l’assenza di un vincolo parentale e la situazione di “incertezza giuridica” della famiglia di fatto fa sì che certi istituti adatti alla pianificazione e protezione patrimoniale vengano preferiti ad altri, più adatti alle coppie unite in matrimonio. E così, per esempio, nella convivenza è diffuso lo strumento del Trust, ossia quella forma di segregazione del patrimonio utile a tutelare economicamente i componenti della famiglia di fatto.

Dal punto di vista regolamentare, il contratto di convivenza deve essere redatto nella forma scritta, attraverso la stipula di un atto pubblico o con scrittura privata autenticata da un pubblico ufficiale, nel quale è possibile indicare il luogo di residenza della coppia, disciplinare l’uso della casa adibita a residenza comune, scegliere il regime patrimoniale della comunione dei beni, formalizzare l’entità del contributo economico e lavorativo, professionale o domestico, alla gestione della famiglia in capo a ognuno dei due conviventi, e persino regolamentare i rapporti patrimoniali in caso di cessazione della convivenza, come il diritto agli alimenti in caso di cessazione della convivenza (ma non in astratto, solo se il soggetto debole dovesse trovarsi in un concreto stato di bisogno e fosse privo di altri mezzi di sostentamento).

La possibilità per i conviventi di adottare il regime patrimoniale della comunione dei beni implica che i beni comuni siano aggredibili da eventuali creditori nella sola misura del 50%. Per questo motivo il contratto deve essere pubblicizzato a norma di legge con iscrizione all’Anagrafe (entro 10 giorni dalla data della stipula). Naturalmente, anche nel caso della famiglia di fatto la separazione genera momenti di attrito che possono mettere a rischio i rispettivi patrimoni personali dei conviventi, e se è vero che la c.d. “confusione patrimoniale” è capace di far sorgere enormi problemi nel matrimonio, con la semplice convivenza more uxorio i problemi aumentano. Infatti, qualora la coppia non abbia provveduto a regolarizzare l’unione con la sottoscrizione di un contratto di convivenza, non ha avuto la possibilità di optare per un regime di comunione o di separazione di beni, per cui le regole di divisione di un conto corrente cointestato saranno diverse. In particolare, se nel conto cointestato sono stati accreditati gli stipendi di entrambi, i conviventi saranno comproprietari in parti uguali delle somme depositate, anche qualora venisse fornita la prova che le somme depositate provengono esclusivamente da un solo convivente.

Questo accade perché le somme depositate si suppongono destinate a sopperire i bisogni comuni, e chi le ha depositate non può chiederne la restituzione, salvo pretendere il rimborso delle somme spese dall’altro convivente a titolo personale, ma solo entro il limite della quota del 50%, poiché ciascun cointestatario è in teoria titolare nella misura del 50% del rapporto di conto corrente. L’unica possibilità per evitare questa impasse è quella di agire in giudizio per la sproporzione tra quanto depositato da uno dei conviventi ed il valore economico attribuito ai doveri morali e sociali reciprocamente assunti, ma questa dimostrazione non è semplice. Pertanto, sarebbe opportuno mantenere una perfetta divisione degli importi destinati alle esigenze personali e destinare un conto cointestato per i soli bisogni familiari. In questo modo, ciascun convivente manterrà la piena proprietà del relativo conto monointestato.

Infine, c’è un altro aspetto molto delicato da tenere in grande attenzione. Infatti, per l’Agenzia delle Entrate i due conviventi more uxorio sono considerati come dei perfetti estranei tra loro, e pertanto un elevato numero di bonifici bancari da un conto all’altro esporrebbe la coppia ad un rischio di accertamento fiscale da parte dell’Agenzia delle Entrate, la quale potrebbe voler accertare la natura dei bonifici al fine di scongiurare che gli stessi possano derivare da redditi non dichiarati.

In tutte evidenza, qualora anche uno solo dei conviventi svolgesse attività di impresa, tale evenienza potrebbe generare notevole disagio per via di eventuali – e immancabili – controlli incrociati.

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