Mercati azionari, inflazione, tassi, commodities e Dollaro: l’opinione di BlackRock

Siamo molto vicini all’inversione della curva dei tassi americani, e quando questo accade di solito ci troviamo in una situazione di recessione. Quali segnali possiamo cogliere dal mercato?
Anche durante l’ultima riunione di Marzo, la Fed ha evidenziato come i tassi di interesse saliranno più rapidamente di quanto si aspettava in passato, superando la neutralità già nel 2023. Tuttavia la Fed ha comunicato che per il 2024 si aspetta un’inflazione sopra target ma non un contemporaneo ulteriore restringimento monetario rispetto al livello raggiunto nel 2023. Pertanto, la Fed sembra essere disposta a convivere con un livello di inflazione più alto del proprio obiettivo anche nel medio periodo.
Siamo abituati a previsioni sull’inflazione da parte delle banche centrali che convergono puntualmente verso il loro obiettivo, e il fatto che questo non accada più – non soltanto per il 2021 e il 2022, ma anche per il 2023 e 2024 – lancia un segnale particolarmente indicativo della disponibilità della Fed di convivere con tassi di policy più alti per un periodo di tempo anche abbastanza lungo. Relativamente ai tassi di interesse reali, ossia i tassi di interesse al netto dell’inflazione, è vero che la Fed alzerà quelli nominali, ma l’inflazione è già molto alta e questo comporta tassi di interesse reali che non sono molto più alti di quanto potevamo immaginare fossero qualche mese fa. Riteniamo che questo sia uno dei motivi del movimento al rialzo dei mercati azionari a fronte del movimento molto ostile dei mercati obbligazionari, con i tassi che si sono mossi significativamente al rialzo.
Di conseguenza, siamo molto vicini all’inversione della curva dei tassi americani, e quando questo accade di solito ci troviamo in una situazione di recessione. Quali segnali possiamo cogliere dal mercato? La curva dei tassi appiattita ci dice che la politica monetaria ha raggiunto il massimo restringimento, e che la crescita economica inizia a decelerare. Osservando la storia, vediamo che dal momento in cui la curva si inverte le performance dei mercati diventano deboli su orizzonti temporali sopra i 12 mesi. C’è quindi un periodo di tempo in cui la curva appiattita (flat) segnala che c’è una fase di potenziale rallentamento ciclico, mentre la fase più complicata per i mercati avviene quando i tassi di policy diventano effettivamente più restrittivi. Attualmente, riteniamo che la curva sia vicina all’inversione.
Guardando alle valutazioni dei mercati azionari, non riteniamo che esse siano diventate più attraenti nel corso delle ultime settimane: gli utili prospettici calano, i tassi salgono, le valutazioni relative delle azioni rispetto alle obbligazioni sono peggiorate. Abbiamo incrementato aree come il corporate investment grade, dove i livelli di spread avevano raggiunto valutazioni piuttosto interessanti, e come i mercati cinesi, ma attualmente non riteniamo di aumentare l’esposizione ai mercati azionari dei mercati sviluppati.
Guardando al mondo delle commodities, finora non c’è stato un rallentamento dell’afflusso del gas russo in Europa, nonostante la volontà europea e nonostante le notizie di un blocco per i paesi “ostili” si facciano sempre più frequenti. Per quanto riguarda il petrolio russo invece, non tutta la produzione russa dedicata all’esportazione è in questo momento tagliata fuori. Nei primi giorni del conflitto un ammontare di più di 4 milioni di barili di petrolio al giorno di produzione russa rimanevano bloccati. Oggi stimiamo che circa solo 1/2 milioni di barili di produzione russa rimangono fermi, mentre gli altri
2/3 milioni contribuiscono a soddisfare la domanda globale. Sul tema delle commodities abbiamo visto una significativa correzione al ribasso del prezzo del petrolio, in particolare nel corso delle ultime settimane. Tuttavia crediamo che le pressioni di medio termine sui prezzi delle commodities siano destinate a persistere perchè: 1) una soluzione rapida della situazione Russia-Ucraina risulta complicata; 2) non crediamo che le sanzioni verranno rimosse anche in caso di un’eventuale tregua; 3) la riconfigurazione dei flussi di esportazione delle commodities a livello globale risulta particolarmente complicata da ottenere.
Abbiamo incrementato l’esposizione all’oro nei portafogli, non per le sue capacità di hedging (copertura) dall’inflazione ma per quella che noi riteniamo essere una diversificazione delle riserve valutarie globali da parte delle banche centrali. Riteniamo che questa diversificazione sia accelerata dalla crisi russa, e che a tutti gli effetti il freezing degli asset alla banca centrale incrementi l’incentivo per le banche centrali, soprattutto dei paesi emergenti, a detenere oro. Il nostro incremento di oro nell’allocazione non è una posizione di breve termine, riteniamo infatti che sia una posizione che avremo per lungo tempo. Abbiamo aggiunto anche energy e commodities prima del conflitto, che continuiamo a detenere.
Relativamente al Dollaro USA, si ritiene che possa parzialmente aiutare nelle fasi di elevata volatilità. Il dollaro presenta un carry positivo, ossia un differenziale di rendimento abbastanza importante rispetto agli asset dell’Eurozona, tuttavia ci sembra chiaro che ci siano fattori di lungo periodo non a favore del dollaro. Innanzitutto, i tassi di interesse si stanno muovendo al rialzo ma il mercato è anche preoccupato che la Fed possa fare una ultra-restrizione monetaria. Inoltre, sta avvenendo un po’ di diversificazione delle riserve valutarie globali. Pensiamo alla notizia di settimana scorsa sull’Arabia Saudita, che sta pensando se ricevere il pagamento sul petrolio, almeno dalla Cina, in RMB invece che in dollari, per cui si potrebbe ritenere che ci sia un indebolimento dello status del dollaro come valuta di riserva globale. Inoltre, nonostante la Fed sia in estrema fase di restrizione monetaria, le valute dei paesi emergenti non si sono affatto indebolite, ed anzi rafforzate.
Per questo motivo non vediamo un trend nitido di rafforzamento del dollaro.
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