Christine Lagarde affonda l’Italia? L’Unione Europea non è una famiglia, ma un condominio

L’UE è un condominio in cui l’amministratore è sempre lo stesso, e non è mai l’Italia. Il livello di inflazione di oggi è persino più basso di quello “non ufficiale” subito dagli italiani nel 2001-2012.
Di Alessio Cardinale
In giornate come quella del 10 Giugno, con Christine Lagarde che infila – per la seconda volta in due anni – una pugnalata al cuore del fragilissimo equilibrio economico italiano, verrebbe da pensare che l’Europa non ci desidera poi così tanto nel club. Eppure ci siamo dentro, per qualche strano motivo che Romano Prodi non ha mai saputo spiegare in modo compiuto (a parte alcuni slogan presto diventati barzelletta). E “se siamo dentro, dovremmo poter giocare ad armi pari con gli altri Paesi del club”, pensa il cittadino comune mentre si aggira nel parcheggio del supermercato con la lista della spesa oppure, seduto con calcolatrice alla mano, mentre cerca di capire se anche quest’anno potrà pagare le rate del mutuo senza rinunciare alla tradizionale settimana al mare con moglie e figli.
Nel frattempo, rimbalza sui media la notizia secondo cui il reddito medio annuale di un italiano sarebbe inferiore di 15.000 euro rispetto a quello di un tedesco. Un gran bel segreto di Pulcinella, questa notizia: chiunque ha un parente o un amico italiano emigrato in Germania sa bene che lì un operaio edile porta a casa 2.800-3.000 euro netti al mese, e gode di una paga oraria minima che a breve verrà portata a 12 euro. E così, mentre gli italiani – sempre meno ricchi – fanno fuori il risparmio accumulato quando un certo liberismo economico era ancora in vigore (nonostante Licio Gelli e la stagione delle stragi a fare da contorno ad una democrazia incompiuta), i tedeschi risparmiano sempre di più la propria ricchezza crescente. Da noi, persino uno dei maggiori sindacati si è schierato contro la paga oraria minima, e questo fa capire il livello di responsabilità che la classe dirigente ha sul disastro chiamato Italia.
Parimenti, uscendo dalla Germania, chiunque sa che un farmacista irlandese, da semplice dipendente, guadagna 3.800 euro al mese per cinque giorni la settimana di lavoro, mentre uno italiano ne porta a casa mediamente 1.400 (1.800 dopo 20 anni di esperienza), e deve farne mediamente sei, di giornate lavorative. L’elenco delle comparazioni con gli altri paesi dell’UE è lungo, ma sarebbe solo un esercizio di bile. L’Italia, infatti, non è la Germania, né l’Irlanda. Come la prima, è uscita sconfitta dal secondo conflitto mondiale, ma chi ci ha messo le mani ha riservato agli italiani un futuro diverso, di perenne vassallaggio, anche per via della sua particolare posizione geografica, molto importante militarmente quando si è trattato di definire il piano di spartizione delle aree di influenza internazionale.
Poi è arrivato l’ingresso nell’Unione Monetaria, che ci è stata venduta da nostri politici senza scrupoli come una occasione di riscatto e di crescita, e soprattutto come l’opportunità di una raggiunta uguaglianza politico-economica all’interno di una famiglia in cui i figli, in linea di principio, sono tutti uguali. Il problema è che l’Unione Europea non è affatto una famiglia, bensì un condominio in cui l’amministratore è sempre lo stesso, e non è mai l’Italia. Noi questo lo abbiamo capito solo nel 2012, quando ci si è resi conto che il potere d’acquisto degli italiani si era dimezzato a causa di una inflazione “non ufficiale” a due cifre – mascherata dai dati ISTAT ottenuti
manovrando abilmente sulla composizione del c.d. paniere – che a confronto quella ufficiale di oggi sembrerebbe persino sostenibile. La differenza tra i due periodi di inflazione (quella nascosta del 2001-2012 e quella “in chiaro” del 2021-2023) è che nel secondo periodo il valore reale dell’indebitamento pubblico e privato beneficerà di una decurtazione pari alla stessa percentuale di inflazione, mentre durante il primo periodo, oltre al taglio del potere d’acquisto, l’indebitamento degli italiani non si è svalutato secondo il reale tasso medio di inflazione, e in più le retribuzioni sono rimaste bloccate per lungo tempo – senza alcuna “scala mobile” – ai livelli dei primi anni 2000.
Aggiungendo a questa analisi la sparizione di molte delle garanzie destinate ai lavoratori e l’assenza di un salario minimo, ecco spiegata la l’imbarazzante differenza tra il reddito medio di un italiano e quello di un tedesco. In ogni caso, per ottenere il risultato sperato e fare dell’inflazione elevata una opportunità, serve anche un buon tasso di crescita del PIL, che senza profonde riforme in Italia potrebbe nuovamente attestarsi ai livelli annuali di crescita pre-pandemia, ossia circa l’1%. Servirebbero quindi politici coraggiosi (e non vassalli, di cui abbondiamo in tutto l’arco costituzionale) per riforme coraggiose, ma la mediocre politica italiana – fatta da politici mediocri – le rimanderà alle elezioni del prossimo anno, quando la nuova maggioranza si troverà tra le mani una agenda che nessuno fino ad oggi ha avuto il coraggio e/o la libertà di perseguire:
1) investire nella scuola e nella università, rivalutando il ruolo dei docenti e rivedendone il criterio di nomina;
2) portare la pressione fiscale a livelli veramente sostenibili, soprattutto per le imprese che oggi pagano uno scandaloso 60% di imposte prima di poter vedere gli utili (in Irlanda il 15%, in Germania il 35%);
3) detassare le imposte sul lavoro;
4) dare al Meridione le infrastrutture che non ha e che paralizzano le economie di intere regioni,
5) restituire dignità e garanzie al lavoro;
6) rivoltare come un calzino la Giustizia, e rivedere il livello di responsabilità dei magistrati, inserendone in organico almeno altri 20.000;
7) relativamente alla Pubblica Amministrazione, introdurre proceduralmente un generalizzato silenzio-assenso sulla maggioranza delle istanze provenienti dai cittadini, e introdurre verifiche di merito su tutti i dipendenti e dirigenti;
8) investire sulla Sanità e sui controlli agli sprechi, che nelle regioni del Sud Italia sono una vergogna internazionale.
Secondo uno studio del Sole 24Ore, solo con la riforma della P.A., e grazie all’impatto dei fondi europei, la crescita italiana nei prossimi cinque-dieci anni si attesterebbe stabilmente tra il 3 e il 4%, dando sostenibilità al debito pubblico che, in rapporto al Pil, scenderebbe così di circa il 5% all’anno. Il problema è che l’Europa imporrà all’Italia la sua agenda, fatta di lacrime e sangue, che impedirà il perseguimento dei punti 1, 2, 3, 5 e 8, mentre l’opposizione a realizzare il punto 6 arriverà probabilmente da “fuoco amico” (la stessa Magistratura, per nulla interessata ad essere riformata e a perdere gli incredibili privilegi di cui gode). Forse gli unici punti veramente realizzabili – anche adesso, in teoria – sarebbero il n. 4 (infrastrutture) e il n. 8 (Sanità), poiché i fondi del PNRR sarebbero destinati abbondantemente anche a questi due settori, ma si fatica a pensare che la classe politica odierna introdurrà tra i capitoli di spesa quelli relativi all’alta velocità da Napoli a Trapani, o al completamento della rete autostradale siciliana, oppure ancora all’aumento dei posti letto nei reparti ospedalieri, tanto per fare un esempio.
Il Giappone ha un indebitamento parecchio maggiore del nostro, eppure nessuno si strappa le vesti per farglielo diminuire; neanche gli Stati Uniti che, dopo Hiroshima, hanno riservato ai giapponesi molte più opportunità che all’Italia, facendo del Paese del sol levante una democrazia stranamente compiuta. Ciò che guida l’economia italiana, invece, è un Liberismo apparente, del tutto coerente con una Democrazia apparente qual è sempre stata la nostra, anche prima di fare ingresso nell’UE. Pertanto, sembra inutile prendersela con Christine Lagarde, poiché il presidente della Bce sta facendo il suo lavoro all’interno di una Unione Europea che è tutto fuorchè una unione di popoli e di interessi, divisi come sono, i suoi aderenti, per obiettivi, strategie e ricchezza pro capite. Rispetto alla sua infelice uscita di Marzo 2020 – ricordate il -17% della borsa italiana, quel mercoledì di due anni fa? – oggi la Lagarde si è limitata a comunicare, da banchiere centrale, ciò che le era permesso far sapere, senza profferire battute da absolute beginner.
Lo ha fatto bene? Lo ha fatto male? Avrebbe potuto rimandare la fine del Q.E.? Si è dimostrata ancora una volta succube della Germania? Draghi lo avrebbe fatto in modo migliore? Poco importa, poiché siamo dentro il condominio Europa, e l’unica strada per evitare le conseguenze della visione tedesca dell’inflazione sarebbe quella di trasferirci presso una abitazione indipendente – con tutte le conseguenze del caso – poiché cambiare semplicemente condominio non si può. In compenso, si potrebbe convincere i condòmini con maggiore quantità di millesimi che il benessere di ciascun condòmino, anche di quello che abita l’appartamento del sottoscala, conduce ad un durevole benessere generale. Ma per farlo servono politici di una certa caratura istituzionale. Voi ne vedete qualcuno?