Mercati, ancora dentro la tempesta perfetta. Scudo antispread, la Germania mette i paletti
L’Inflazione raggiunge i livelli del 1986 e i mercati obbligazionari continuano a risentirne. Le condizioni dettate da Nagel per lo scudo anti-spread rischiano di annullarne gli effetti.
A circa due settimane dal Consiglio direttivo della Bce, durante il quale i tassi verranno alzati in Europa dopo ben 11 anni, il dibattito interno sul c.d. scudo antispread è sempre più vivo. Del resto, Christine Lagarde non aveva convinto nessuno a Giugno con il suo 2annuncio di futuri eventi”, e si era già capito che questo nuovo strumento non avrebbe inciso sulla politica monetaria. A chiarirlo, casomai ce ne fosse bisogno, è stato il numero uno della Bundesbank, Joachim Nagel, che siede nel direttorio Bce e da lì, nel suo ruolo di “falco” dichiarato, sembra voler dettare numerose e rigorose condizioni.
Per Nagel la priorità assoluta è la lotta all’inflazione, e soltanto agendo con un buon anticipo sarà possibile evitare politiche eccessivamente restrittive. Di conseguenza, “un nuovo strumento anti-frammentazione (lo scudo anti-spread, ndr) potrebbe essere giustificato solo in circostanze eccezionali e sulla base di condizioni rigorosamente definite“. In pratica, secondo Nagel lo Scudo deve rispettare tre condizioni, e cioè:
a) non deve avere l’effetto di modificare l’orientamento della politica monetaria,
b) deve risultare compatibile con il mandato della Bce e
c) deve rispondere al criterio di sostenibilità delle politiche economiche.
Tanto vale non farlo affatto, in base a queste indicazioni. La seconda condizione, soprattutto, sembra essere una specie di avvertimento basato su passate esperienze. Infatti, ricordiamo che la Bce è stata portata davanti alla Corte Suprema tedesca e alla Corte di Giustizia Europea per via del programma di acquisto di bond, ed è stata accusata di aver violato il divieto di finanziare i governi, come previsto dal trattato europeo. Successivamente i tribunali hanno stabilito che la Bce avesse agito in modo corretto e che non avesse tradito il suo mandato, ma il ricordo rimane, e Nagel lo usa per scoraggiare quanti, all’interno della Bce, stanno lavorando per dare una forma efficace a questo strumento per mettere un freno alla speculazione sui titoli di stato dei paesi del Sud Europa. Inoltre, a giugno l’inflazione ha raggiunto il livello di +8,0%, che non si vedeva da gennaio 1986, e le tensioni inflazionistiche si trasmettono senza freni dai prezzi dell’energia a quelli degli agli altri comparti merceologici. Attualmente, i prezzi al consumo al netto dei prodotti energetici sono a +4,2%, un aumento che non si vedeva dal 1996.
Su questa onda, i Btp decennali sono saliti al 3,35%, e lo spread rispetto ai tassi dei BUND tedeschi è a 201 punti base. La paura dei mercati adesso è quella di dover assistere ad un dibattito infinito, all’interno della Bce, tra “paesi coraggiosi” e i soliti “paesi frugali” che, proprio quando c’è da gestire una emergenza (come quella dell’alta inflazione da shock di offerta) ricordano a tutti che l’Europa è una unione contabile monetaria, e non una vera unione economica e fiscale tra popoli dello stesso continente, e che il mandato di chi, nel secondo Dopoguerra, aveva teorizzato una Europa veramente unita, è stato tradito da paesi come Germania, Olanda, Belgio, Danimarca (con la Francia sullo sfondo), che più si sono avvantaggiati dall’”essere europei ma non troppo”. Pertanto, mentre gli altri paesi occidentali (USA, Regno Unito) riescono a trovare soluzioni rapide ai problemi congiunturali, i tempi dell’Europa scoraggiano gli investitori.
In tal senso, la “melina” in corso sulla decisione di annunciare o meno l’entità e la durata del prossimo programma di acquisto di titoli di Stato, indispensabile per evitare che l’Europa cada in recessione, non fa certo bene. Invece, l’annuncio di uno schema di acquisto di grandi dimensioni potrebbe tranquillizzare i mercati e, relativamente all’Italia, far capire agli investitori che la frammentazione degli spread verrà evitata, ponendo fine alla speculazione sui nostri titoli di stato. Non tanto per motivi di solidarietà economica tra stati – che nella UE non esiste, se non per le calamità naturali – ma per scoraggiare le istanze di quanti, dall’Europa, vorrebbero uscire. Infatti, al contrario di quanto sostenuto dalla Lagarde nella più famosa delle sue gaffe da principiante (Marzo 2020), l’Europa – piaccia o no alla Germania – scopre oggi di dover risolvere anche i problemi di spread dell’Italia, poiché per un paese aderente il dover sopportare un differenziale elevato rispetto ai BUND tedeschi – e la conseguente speculazione sui BTP che aumenta il costo del suo indebitamento – equivale a far vivere al nostro Paese la stessa condizione che vivrebbe al fuori dall’Europa, e non al di dentro, e ciò potrebbe alimentare i movimenti di opinione che vagheggiano una “exit”.
Pertanto, è fondamentale che il volume degli acquisti di obbligazioni non venga considerato troppo basso dal mercato, ed è altrettanto importante che alla prossima riunione si passi dalla vaghezza alla concretezza, limitando al massimo le questioni senza risposta. La presidente della Bce Christine Lagarde ha affermato in queste ore che il nuovo strumento sarà efficace e sufficiente a “preservare lo slancio degli Stati membri verso una sana politica fiscale”. Non è esattamente una dichiarazione che infonde fiducia ai mercati, ed anzi fa sentire gli investitori ancora più dentro una tempesta perfetta che non accenna a finire.