Ottobre 10, 2024

La Stagflazione è il “prezzo della guerra”? Manteniamo la rotta della crescita

L’Italia crescerà più della media dell’Eurozona sia nel 2022 che nel 2023, ma questa non è esattamente una buona notizia. OCSE: “Ridurre lo stimolo fiscale, ma sostenere le fasce deboli contro il caro-vita”.

Di Alessio Cardinale

Nel gergo economico, il termine “stagflazione” deriva dalla combinazione di “stagnazione” e “inflazione”, e definisce una congiuntura nella quale si verifica, allo stesso tempo, un aumento dei prezzi al consumo (che genera inflazione) e assenza di crescita nell’economia reale (cioè una stagnazione). Per capire gli effetti di una tale combinazione di eventi economici, immaginate di avere otturato lo scarico del vostro lavandino, e che in attesa dell’arrivo dell’idraulico – evento economico incerto per definizione – l’acqua diventi stagnante e piena di batteri nocivi. Così accade all’economia, che in una situazione di stagflazione si riempie di “batteri economici” anche piuttosto gravi: mercato del lavoro asfittico, borse prive di spunti al rialzo, tassi di mutuo sempre più elevati, prezzi dei prodotti in continuo aumento e consumi in calo, solo a titolo di esempio.

La stagflazione, pertanto, è una vera e propria minaccia per le economie dei paesi che ne vengono colpiti, ed in epoca di globalizzazione questo fenomeno arriva contemporaneamente in intere aree continentali. Rispetto al periodo di stagflazione degli anni ’70 (shock petrolifero) oggi abbiamo delle reti di protezione che allora non c’erano, ma se consideriamo che i più importanti di questi “scudi protettivi” sono costituiti da una certa debolezza dei sindacati – misteriosamente silenziati come non mai nella loro storia – e dall’assenza di tutela verso i salari, che vengono aggiornati solo in minima percentuale rispetto alla crescita dei prezzi al consumo e perdono continuamente potere d’acquisto, è facile capire come in un simile contesto si sta raschiando il fondo del barile.

La stagflazione è causata da elementi di natura esogena, come gli shock energetici o, come negli ultimi due anni, dalle interruzioni nelle catene di approvvigionamento causate dalla pandemia. Si tratta, quindi, di shock di offerta, che non era impossibile prevedere sia nel 2020 che nel 2021, ma tant’è. E adesso le banche centrali devono contrastare questo fenomeno nel modo più difficile, poiché per diminuire la spinta inflazionistica devono ridurre la massa di moneta in circolazione e contenere, in tal modo, la domanda di beni e servizi, che oggi è altissima; ma così facendo, e se il tentativo di raffreddare la domanda si spinge fino a ridurla in modo eccessivo, si rischia di far entrare l’economia in recessione, e questo è un rischio che nessuno vuole correre. Piuttosto, si dovrebbe agire per riportare le catene di approvvigionamento ai livelli di normalità pre-pandemia, ma le restrizioni anti-Covid attuate dalla Cina, da un lato, e la guerra in Ucraina che ha accelerato la corsa dei prezzi, dall’altro, impediscono di intervenire efficacemente in tale processo.

Nel frattempo, l’Europa mostra tutta la sua vulnerabilità economica generata dalla forte dipendenza dal gas russo, e le proiezioni del Pil in deciso calo fanno temere uno scenario di recessione. Stessa cosa negli Stati Uniti. Secondo le stime di crescita di Prometeia, la crescita dell’economia italiana nel 2022 sarà del +2,9%, in aumento rispetto alla previsione di un + 2,2% fatta nel mese di Marzo scorso. Questo significa che l’Italia, anche nel 2023, crescerà più della media dell’Eurozona, e questo è, secondo Prometeia, un dato più che sorprendente, ma non è esattamente una buona notizia, poiché “gli effetti del carovita sulle famiglie e degli aumenti delle tariffe energetiche sulle imprese si faranno sentire nella seconda metà dell’anno e in particolare nel 2023”. Inoltre “…. se il secondo trimestre potrà registrare ancora una crescita, portando la crescita acquisita per il 2022 al 3%, nel secondo semestre la crescita del Pil si fermerà, ma non prevediamo al momento una recessione tecnica, perché nei mesi estivi il contributo di turismo e servizi, oltre che delle costruzioni, bilancerà la caduta dell’industria e dei consumi di beni fino all’autunno, quando tale contributo cesserà e si potrà registrare una contrazione del prodotto interno lordo“.

Secondo l’Ocse, ciò che sta succedendo altro non è che “il prezzo della guerra“. Il rapporto dell’Organizzazione si concentra su alcuni elementi: crescita globale tagliata al 3%, crescita italiana al +2,5%, crisi alimentare e inflazione, e contiene un invito esplicito alla Bce nel prestare attenzione alla stretta monetaria, evitando rigidità di principio. Inoltre, una raccomandazione all’Italia: “Ridurre lo stimolo fiscale ma sostenere le fasce deboli contro il carovita“. Quindi, pare che al momento non ci sia altra direzione possibile: mantenere la rotta della crescita, ma non gettare troppa zavorra in mare. Sennò le vele si rompono al primo vento a favore.

Related Posts

Lascia un commento