Marzo 28, 2024

La selezione dei consulenti come fattore critico di successo per la carriera dei manager di rete

Nel campo delle reti di consulenza finanziaria, il manager che si occupa di recruiting deve tenere in considerazione sia le caratteristiche professionali che umane dei candidati. Non numeri, ma persone.

Chi è veramente il manager nelle reti di consulenza finanziaria? Una volta, quando a dominare gli allora promotori finanziari erano le strutture gerarchiche “piramidali“, nessuno si faceva questa domanda: qualunque fosse il suo grado – supervisore/branch manager, regional manager, divisional manager, area manager – un promotore diventava tale per via dei risultati ottenuti sul campo, per la sua predisposizione a fare da “chioccia” ai colleghi appena inseriti e per il forte consenso di cui godeva presso la “base” dei promotori già operativi e con portafoglio consolidato. Senza il consenso, la candidatura falliva, anche in presenza di risultati strabilianti e di legittime aspirazioni personali.

I migliori manager che ancora oggi lavorano nelle banche-reti si sono formati proprio grazie a questo binomio – risultati personali e consenso – in un contesto, però, che richiedeva una costante attività di affiancamento commerciale a beneficio dei numerosissimi giovani da tirare sù con grande fatica e con quella lungimiranza che oggi manca quasi del tutto nelle attuali reti. Del resto, la struttura piramidale era “a compartimenti stagni”, formata da gruppi e sottogruppi non direttamente comunicanti tra loro. Infatti, c’erano le varie unit dei promotori, ognuna delle quali guidata dal proprio supervisorebranch manager; quest’ultimo, a sua volta, prendeva parte al gruppo dei supervisori riuniti insieme al proprio regional manager di riferimento; questi, a sua volta, gestiva un territorio formato da una o più province (nelle città più grandi c’era spazio anche per due o tre regional), e partecipava ad un altro gruppo insieme ad un divisional manager, il quale coordinava un’area geografica più ampia. I divisional appartenenti alla stessa area geografica, a loro volta, formavano un gruppo apicale guidato dall’area manager, che ogni tanto ammetteva alle riunioni anche i regional. Tra i vari gruppi e sovra-gruppi, pertanto, non c’erano punti di contatto (se non raramente, in occasione delle riunioni di area), e più aumentava il grado dei manager più questi apparivano come figure carismatiche, a volte temute, sui cui guadagni a cinque o sei zeri si raccontavano leggende non troppo lontane dalla realtà.

Sopra di loro c’erano la direzione commerciale e generale, fatte da “entità” che i promotori avrebbero visto una o due sole volte nel corso della loro vita professionale. Costoro comandavano persino sui temuti area manager ma, a conti fatti, guadagnavano meno di loro.

Oggi le cose sono cambiate parecchio, sebbene esistano ancora grandi banche-reti che adottano un modello similare, ossia quello piramidale, che serve a mantenere un controllo più attento su un numero molto vasto di consulenti – anche 5 o 6 mila, per qualche rete – ma che comprime le retrocessioni provvigionali alla “base” dei consulenti per via della necessità di remunerare adeguatamente le strutture manageriali. Le trasformazioni più profonde, però, sono avvenute in seno agli skill personali richiesti agli aspiranti manager, che oggi sono diventati dei veri problem solver e indispensabili elementi di raccordo tra le sedi, i consulenti e le società-prodotto, soprattutto in quelle banche-reti dove la struttura “piramidale” è stata eliminata e dove, dopo l’area manager, c’è direttamente la direzione commerciale/generale. Pertanto, con il crescere delle attività di controllo e di compliance rispetto alle stringenti normative sulla creazione, distribuzione e gestione di strumenti finanziari, oggi un manager deve saper risolvere problemi complessi sia di natura commerciale che, sempre più spesso, di natura amministrativa e procedurale. Oltre a tutto questo, il “manuale del bravo manager” comprende anche il saper condurre in modo professionale l’attività di recruiting, che rimane un fattore critico di successo e di crescita sia per il manager che per la banca in una data area geografica di mercato.

Un manager che si occupa di selezione di risorse umane in campo finanziario, in generale, deve avere diverse competenze per essere efficace. Innanzitutto, egli deve possedere una profonda conoscenza del settore finanziario e delle sue sfide. Questa conoscenza dovrebbe includere le attuali tendenze del settore, le nuove normative e le migliori pratiche. In particolare:
– abilità nell’identificare le competenze richieste per i vari ruoli all’interno della rete (consulente, private banker, group manager). Questo richiede la comprensione dei requisiti del lavoro, delle competenze tecniche e delle soft skills richieste;
– conoscenza approfondita delle tecniche di selezione, come l’intervista comportamentale, le valutazioni dei test, le referenze e le verifiche dei precedenti datori di lavoro. Questo aiuta a garantire che i candidati siano valutati in modo equo e obiettivo;
– abilità nella ricerca di profili e potenziali candidati, da condurre sia “sotto traccia” che tramite una comunicazione efficace da svolgere attraverso i canali di reclutamento appropriati per il settore (social network come Linkedin, per esempio).

Inoltre, al manager che si occupa professionalmente di selezione e reclutamento è richiesto di saper valutare in modo efficace i candidati, in particolare la loro esperienza, conoscenza e competenze. Ciò richiede una buona capacità di ascolto, di analisi e di sintesi delle informazioni raccolte, da affiancare alla capacità di gestire il processo di selezione in modo efficiente e professionale. Questo include la pianificazione dei tempi, la comunicazione con i candidati e la coordinazione con i team di reclutamento e i datori di lavoro. Non devono mancare, naturalmente, l’abilità di stabilire una buona comunicazione e una relazione di fiducia con i candidati, al fine di farli sentire a proprio agio durante il processo di selezione, e di inviare ai datori di lavoro candidature soddisfacenti, in linea con le politiche e procedure dell’azienda relative alla selezione del personale: politiche di diversità e inclusione, politiche di formazione e sviluppo delle risorse umane, politiche retributive.

A monte di tutto, il manager di rete che si occupa di recruiting deve aver ben presente il fattore umano: di fronte a sè non ha soltanto potenziali masse finanziarie che andranno ad ingrossare il portafoglio complessivo del suo gruppo – e che lo faranno crescere in termini di reputazione interna ed esterna – ma un uomo o una donna in carne ed ossa che, se interessati dal progetto aziendale, metteranno nelle sue mani la loro vita e le sorti della propria famiglia. Pertanto, il successo e la stima per un manager deriva anche dal suo distacco emotivo verso il risultato aziendale/personale, e dall’assunzione di un atteggiamento di necessaria “terzietà”: egli deve comportarsi esattamente come un consulente di selezione esterno alla banca, non può e non deve “vendere” nulla al candidato nè durante le fasi della selezione nè dopo, e il suo livello di responsabilità deve sollecitarlo a mettere in luce sia gli elementi positivi che negativi della professione, parlando dei punti di forza della propria azienda ma anche delle aree di miglioramento. Soprattutto con i candidati provenienti dal mondo bancario, che devono valutare non solo il semplice cambio di azienda, ma un cambiamento di vita, da lavoratore dipendente a lavoratore autonomo, che coinvolge tutto il loro mondo.

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