Una crisi, per uscire da un sistema in crisi
Solo una crisi potrebbe essere la via di uscita da un sistema la cui difesa ad oltranza porta comunque alla sua inevitabile crisi. Tutto il debito contratto a tassi bassi dovrà essere rinnovato a tassi più alti.
Di Maurizio Novelli*
Le cause dell’attuale congiuntura economica americana non sono da ricercare solo nei mistakes delle politiche monetarie, ma sarebbe opportuno chiedersi se il modello americano, costruito sulle politiche di QE, merita la colossale scommessa che i mercati finanziari stanno prezzando. L’impatto dei tassi più alti inizia solo ora a creare danni evidenti: real estate in crisi, banche in difficoltà, fondi pensione che necessitano bailout, consumi in cedimento, restrizione del credito bancario e aumento delle insolvenze. Poiché questi fenomeni sono allo stadio iniziale, è estremamente probabile che, nel migliore dei casi, il soft landing sarà piuttosto duraturo e si porterà dietro altri problemi.
Siamo ora giunti al momento fatidico in cui è necessario scegliere tra un deleverage lento ma lungo oppure profondo ma rapido. A mio parere, a causa dello stock di debito accumulato nel sistema a tassi molto bassi, non siamo in grado di permetterci un deleverage rapido come nel 2008. Il sistema non reggerebbe. È quindi molto probabile che ci sarà il tentativo di intraprendere un deleverage lento e controllato. Tutto il debito contratto a tassi bassi dovrà essere, prima o poi, rinnovato a tassi più alti. Molti operatori economici non reggeranno il rollover ai tassi attuali e le insolvenze rimarranno un fenomeno strutturale dell’economia post QE. Il lento processo di assorbimento delle insolvenze sul debito, non sopportabile a tassi diversi da zero, configura lo scenario di Balance Sheet Recession in cui ci stiamo addentrando, che con un eufemismo chiamiamo soft landing.
Il debito da rinnovare, a sua volta, ha un ulteriore problema: è stato probabilmente contratto per effettuare investimenti a redditività non più compatibile con una economia in “soft landing“, si veda il caso del private equity, venture capital, real estate commerciale ecc. Questo comporta due effetti conseguenti: riduzione delle posizioni debitorie che sostengono investimenti non più compatibili con tassi alti, liquidazione degli asset che sono a collaterale di questo debito. Il real estate commerciale è un esempio tipo, e costituisce la punta dell’iceberg del sistema: chi rinegozia il debito dal 2% al 7% muore, salvo che non riesca a vendere gli asset. Ma la vendita forzata fa scendere il valore del collaterale e peggiore la solvibilità. Si innesca quindi un meccanismo perverso di deleverage che accentua il vortice negativo. Il deleverage si ferma quando il debitore si è riposizionato in una situazione di solvibilità: può reggere il debito ai nuovi tassi e la redditività degli asset detenuti sostiene il debito in essere.
Ho la sensazione che l’intera economia mondiale (dagli Stati Uniti a UK, Australia, Canada e Cina), abbia accumulato debito per acquistare asset a redditività compatibile con tassi d’interesse molto bassi. Il problema è che, poiché il QE è durato 14 anni, la dimensione di tali posizioni è sconosciuta ma certamente colossale. Il motivo per il quale il “soft landing” potrebbe essere “giapponese” è quindi collegato a quello che abbiamo fatto in 14 anni di QE. I titoli di stato che procurano i problemi ai bilanci bancari sono un altro eclatante esempio. È chiaro che lo stesso principio va esteso agli investimenti reali nel suo complesso e non possiamo essere così ingenui da pensare che anche altri segmenti dell’economia reale non siano esposti alla stessa situazione (bassa redditività e debito più caro).
Quando sopprimi il costo del debito, tutto il break even di sistema si abbassa, quando lo alzi accade il contrario. All’inizio, le aziende cercano di contenere il problema alzando i prezzi e innescano l’inflazione, ma poi i redditi reali si contraggono, i consumi cedono e l’economia si ferma. Nel frattempo i principali paesi che sono al centro dell’export globale (Cina, Giappone e Germania) continuano a evidenziare un cedimento della domanda globale. Il Giappone è stato il principale “svalutatore” competitivo negli ultimi 12/18 mesi ma il suo export globale non cresce, anzi scende. L’economia cinese è in grave difficoltà a causa del deleverage nel settore immobiliare, per un maggiore controllo delle allegre politiche fiscali dei governi locali e per la deglobalizzazione innescata dagli Stati Uniti. Il China Reopening è stato un tema “venduto” agli investitori per sostenere l’idea della ripresa globale, ma in realtà la Cina non vuole più fare la locomotiva dell’economia mondiale sul debito. Anzi, la priorità del governo centrale è quella di avviare un deleverage controllato del sistema (tentativo di soft landing anche qui).
In sintesi, ci troviamo in una situazione congiunturale dove, per diversi motivi, le principali economie del mondo affrontano problemi strutturali di lungo periodo che vengono a maturazione tutti in una volta sola, con un fardello di debito pubblico e privato accumulato a tassi a zero, per sostenere investimenti la cui redditività non è più adeguata all’attuale livello del costo del debito. Non è ancora successo praticamente nulla, salvo una correzione dei mercati nel 2022, ma il cedimento del sistema costruito sul Quantitative Easing è appena iniziato e la criticità di questo aggiustamento “soft” dipende dalla sua durata che, a causa della leva finanziaria accumulata in 14 anni di “free debt and go”, si preannuncia piuttosto lunga.
In definitiva, solo una crisi potrebbe essere la via di uscita da un sistema (già in crisi) la cui difesa ad oltranza porta comunque ad una crisi.
* Maurizio Novelli, gestore del fondo Lemanik Global Strategy Fund