Affitti turistici: dietro la stretta sui B&B alcune verità accuratamente nascoste

Di recente si è aperto il dibattito sui B&B a conduzione familiare e sui limiti da apporre ad un settore in grande espansione, che genera reddito aggiuntivo e occupazione. Il caro-affitti? Una balla.
L’Italia, da sempre, è il terreno delle verità nascoste e delle lobbies che condizionano le scelte politiche sui vari settori produttivi, soprattutto quando i fenomeni spontanei di mercato generano nuovi trend sulla scia di altrettanto spontanei comportamenti dei consumatori. E così, dopo cinque anni di grande sviluppo del mercato dei B&B a conduzione familiare, e in conseguenza della nascita di migliaia di strutture private che hanno creato nuovo reddito, nuova occupazione e un indotto non indifferente (ristrutturazioni edilizie e imprese di pulizia, in primis), le lobbies contrarie allo sviluppo di tale segmento di mercato – albergatori i maggiori sospettati, ma non soltanto loro – hanno cominciato a martellare il Parlamento e il Governo, tradizionalmente molto attenti alle sollecitazioni dei gruppi di influenza stabilmente presenti nelle Istituzioni, con le loro istanze tese a limitare l’attività privata di ricettività turistica e ospitalità.
Queste lobbies, peraltro, sono molto attive in tutta Europa e anche fuori dal continente. Infatti, da Amsterdam a San Francisco, da Barcellona a Parigi, sono sempre di più le metropoli che hanno messo un limite agli affitti turistici e alle piattaforme più conosciute, come Airbnb o Booking. Dallo scorso 5 settembre, per esempio, a New York è scattata una legge in base alla quale potranno essere dati in affitto breve solo gli appartamenti dove i proprietari (o gli affittuari che possono sub-affittare) risiedono in prima persona e sono effettivamente presenti. Si tratta di una limitazione che escluderà di fatto dal mercato migliaia di case di proprietà di famiglie o imprese professionali, al fine di permettere un rientro di quegli immobili sul mercato degli affitti residenziali, aumentare l’offerta e far abbassare i prezzi: a luglio scorso il prezzo mediano di un affitto da 50 mq a Manhattan è arrivato a 4.400 dollari al mese, a Brooklyn 4.000 e al Queens 3.600.
Questa misura sta facendo discutere, poiché taglia fuori anche le famiglie che trovano nell’affitto breve un modo per integrare il proprio reddito. Il tema è molto sentito in Italia, che è una delle poche grandi mete turistiche internazionali a non aver previsto – per fortuna – alcuna limitazione. Ma tale stato di grazia non continuerà ancora a lungo, poiché si sta già lavorando ad una stretta annunciata dal ministro del Turismo Daniela Santanché, e questo non promette bene. In Italia, dove la competenza sul settore è contesa tra governo, Regioni e Comuni, il mercato degli affitti brevi/brevissimi è anche superiore a quella di New York. Nel nostro Paese sono circa 600.000 le case in affitto sulle piattaforme, con punte di 25 mila a Roma e quasi 20 mila a Milano, città che hanno rispettivamente tre e sei volte meno abitanti rispetto a New York. Inoltre, i B&B sono letteralmente ramificati in tutti i comuni italiani, e offrono un servizio di qualità mediamente elevata, garantendosi così un alto livello di fidelizzazione della clientela.
Tutto questo, evidentemente, dovrebbe scoraggiare del tutto le ipotesi di limitazione delle attività di Bed & Breakfast, dal momento che il mercato specifico dà lavoro in Italia a più di un milione di persone, tra gestione diretta e indotto, e realizza un fatturato annuo superiore a dieci miliardi, con un gettito fiscale diretto superiore a due miliardi. Eppure, le lobbies operanti in Parlamento sono riuscite a far passare il messaggio secondo cui, a causa del boom degli appartamenti adibiti a B&B, l’offerta di immobili in locazione si sarebbe ristretta fino al punto di generare un (inesistente) fenomeno del “caro-affitti”. Invece, gli aumenti dei canoni sono tutto sommato contenuti, in misura inferiore al 10% nel periodo di maggiore inflazione (2022-2023 I semestre), e sono stati determinati quasi interamente dall’aumento dell’indice dei prezzi al consumo, che il mercato degli affitti brevi subisce, e non contribuisce certo ad aumentare.
Su tutto, il desiderio dei piccoli investitori immobiliari di non essere costretti ad affittare i propri immobili con contratti di medio-lungo periodo, sopportando così un “rischio-inquilino” giunto a percentuali davvero preoccupanti: nell’ultimo anno, il 50% dei conduttori fa fatica a pagare con regolarità i canoni di locazione, oppure non riesce a pagarli affatto; questo per via del continuo abbassamento del potere d’acquisto, e non certo del rialzo dei canoni. Inoltre, la diminuzione del livello dei redditi ha raffreddato notevolmente la domanda di affitti dei conduttori più giovani, ossia degli inquilini che tradizionalmente hanno costituito l’ossatura del mercato delle locazioni. Costoro, infatti, sono costretti a rimandare a tempi migliori i progetti di abitazione al di fuori della casa dei genitori.
Sotto il “tappeto” della possibile stretta sugli affitti brevi, quindi, cova la polvere accumulata dal Governo e dai media, impegnati a nascondere scomode verità da tenere accuratamente schermate da “balle” di notevole caratura, come quella del caro-affitti. Finchè qualcuno non deciderà che è arrivato il momento di parlarne sul serio.