Consulenti finanziari: sherpa o scalatori? Nessuno venga più lasciato indietro

La metafora degli scalatori e degli sherpa si adatta bene all’attuale scenario delle reti di consulenza finanziaria “MiFID-dipendenti”. Nel 2023 la consulenza finanziaria sta soffrendo una evidente stagnazione dei reclutamenti, ecco perché.
Di Alessio Cardinale
A fine Luglio scorso l’alpinista norvegese Kristin Harila ha stabilito il record per il minor tempo impiegato nella scalata delle 14 montagne più alte del mondo, completando l’ascesa di tutte le cime che superano gli 8.000 metri tra Cina, Nepal, India e Pakistan in soli 92 giorni. Tuttavia l’alpinista – ve lo ricordate? – è stata accusata di non aver soccorso uno sherpa pakistano durante la sua ultima scalata sul K2, e di averlo lasciato morire pur di proseguire verso la vetta e battere il record. Si è difesa sostenendo che l’uomo, Mohammed Hassan, era stato soccorso, ma che date le condizioni impervie salvarlo sarebbe stato impossibile. Balle: anzichè tornare indietro e salvare il povero sherpa, si è preferito andare avanti per poter piazzare la bandierina nella tanto agognata vetta. Eppure le condizioni erano ugualmente impervie, sia a salire che a scendere.
Pertanto, il mistero su quel tragico episodio di sport estremo rimarrà per sempre, così come gli importanti interrogativi che da esso si sono generati: gli scalatori hanno fatto bene a continuare l’impresa, nella quale avevano investito tempo, preparazione e denaro, oppure sarebbe stato giusto interrompere la scalata e attendere i soccorsi, dando allo sfortunato sherpa tutta l’assistenza possibile? E’ giusto che, per il perseguimento di un obiettivo di un gruppo di individui, anche uno solo di essi possa essere lasciato indietro, andando così incontro ad irreparabili conseguenze?
C’è da dire che, durante scalate di questo tipo, i cosiddetti sherpa sono indispensabili: sono persone modeste, dal tenore di vita più che frugale ma di grande esperienza, che generalmente conoscono bene le montagne e si occupano per lo più dei lavori di fatica (portare l’attrezzatura pesante, montare le tende e attrezzare i percorsi prima della scalata degli alpinisti); inoltre, il loro organismo è perfettamente adattato alle altitudini e all’ossigeno rarefatto cui gli scalatori, invece, devono continuamente adattarsi prima di cominciare l’ascesa. Nonostante il loro ruolo così importante, se uno di loro è in difficoltà in un ambiente piuttosto ostile – come può essere un picco a 8.000 metri di altezza – gli scalatori sono disposti a
sacrificarlo pur di non interrompere l’ascesa verso la vetta, sicuri di poterlo rimpiazzare in occasione di una successiva impresa. In questo senso, le vite contrapposte di scalatori e sherpa sono una metafora di qualunque universo lavorativo complesso, dove sempre più spesso persone di grande esperienza ma non di successo – secondo i parametri dei massimi dirigenti, ossia gli “scalatori” – vengono “sacrificate” senza mezzi termini e per i motivi più disparati: produttività media o appena sufficiente, età avanzata, modesti tempi di reazione all’innovazione tecnologica.
Nel caso delle reti di consulenza finanziaria, per esempio, questa metafora risulta essere davvero “azzeccata”, poichè il sistema finanziario europeo, pur di primeggiare nel mondo (in particolar modo su quello americano) ha preferito far gravare sulle banche-reti nuovi costi per circa 3 miliardi di euro a beneficio della “compliance” (MiFID I e II), invece di imporre alle stesse – perché di imposizione si è trattato, in forza di una direttiva europea – investimenti in formazione professionale e commerciale, in strumenti interni di vigilanza, nella regolamentazione di un contratto unico di lavoro (mandato unico di settore) e infine nel passaggio generazionale, che si sta cominciando ad attuare solo da poco e che richiederà ulteriori e sostanziosi investimenti da parte delle reti e delle capogruppo.
Naturalmente, una rivoluzione così epocale – per molti addetti ai lavori si è trattato invece di una gravissima “involuzione” – non poteva non avere effetti collaterali di grande incisività sul modo di concepire la professione del consulente finanziario. Infatti le due MiFID, imponendo a tutte le società mandanti e ai gruppi bancari un sistema basato sulla ossessiva osservazione delle regole di compliance, sembrano essere state costruite senza tener conto della funzione fondamentale del consulente quale educatore finanziario. In pratica, chi l’ha concepita sembra aver mandato a tutto il sistema un messaggio “politico” di questo tipo: “continuate a fare ciò che volete, basta che le carte siano a posto!”.
E’ il problema, che questa testata giornalistica evidenzia da tempo, della “consulenza difensiva”, fenomeno che con la MiFID II è stato “consacrato” a sistema non ufficiale proprio come nel settore sanitario, dove non è raro che ai pazienti vengano erogate cure e/o esami assolutamente inutili pur di dimostrare che si è osservato il protocollo medico e, in tal modo, non incorrere in procedimenti per responsabilità professionale in caso di richieste di risarcimento danni alla salute causati, all’interno della struttura sanitaria, da diagnosi poco attente ma “proceduralmente corrette” (c.d. Medicina Difensiva).
Peraltro, se al consulente finanziario venisse consentito almeno di avere spazio per una parziale personalizzazione del questionario, egli avrebbe un maggiore livello di responsabilità professionale verso i clienti, proprio come un medico. La MiFID, invece, raggiunge il risultato di tenere il sistema sostanzialmente indenne da rischi, scaricando sui clienti quasi tutte le responsabilità di scelte inopportune. Esattamente come nell’attuale legislazione sulla responsabilità medica, dove l’onere della prova rimane in capo al paziente (o ai suoi eredi…).
In un simile scenario, l’industria del risparmio gestito ha reagito in modo del tutto logico, e cioè tagliando i costi per mettere in equilibrio il proprio conto economico, altrimenti destinato alla soccombenza per via degli ingenti investimenti imposti soprattutto dalla MiFID II. E siccome i margini di ricavo dei consulenti sul risparmio gestito erano già stati gradualmente tagliati (di circa il 50%) dopo la MiFID I, le reti hanno dovuto allontanare alcune migliaia di “consulenti sherpa” che avevano l’unico difetto di trovarsi con il portafoglio dal valore sbagliato nel momento storico sbagliato.
Tutti radiati per irregolarità o dimissionari volontari? Naturalmente no: i consulenti espulsi per aver commesso atti irregolari e/o illegali sono davvero pochi, a dimostrazione di un contesto professionalmente sano. E allora, a cosa si deve un numero così alto di fuoriuscite, quanti sono i “consulenti-sherpa” sacrificati sull’altare della massima raccolta e del portafoglio medio più alto possibile, non degni di essere assistiti con sforzi straordinari (da ripagare in futuro) nel loro percorso di crescita? Siamo sicuri che nemmeno qualche centinaio di loro non fosse meritevole di un supporto straordinario tale da evitare la fuoriuscita dal mercato? E’ così grave che un consulente possa voler vivere con un portafoglio clienti dal valore di 8-12 milioni di euro, assicurando comunque alla società mandante un lavoro di qualità e una immagine adeguata? Perché non si è tenuto in conto che questi professionisti, esattamente come gli sherpa nell’ambiente delle alte vette, erano perfettamente adattati nel sistema finanziario italiano e che per loro sarebbe stato difficile trovare una differente posizione lavorativa?
Qualunque sia la risposta razionale a queste domande, bisogna evidenziare che tali scelte hanno determinato un altro effetto collaterale della contrapposizione tra “scalatori e sherpa”: nel 2023 le reti di consulenza finanziaria italiana stanno soffrendo una evidente stagnazione dei reclutamenti. Questo accade certamente per via del disastroso andamento dei portafogli dei clienti a seguito della contemporanea debacle degli investimenti azionari e obbligazionari (quando un portafoglio è in perdita pesante è difficile per un consulente finanziario convincere un cliente a smobilitare le posizioni e rendere reali i deflussi), ma soprattutto perché la professione del consulente finanziario “Mifid-esecutore” non attira più i giovani talenti, i quali preferiscono altre professioni liberali, magari all’estero, pur di non correre il rischio di fare la fine dei tantissimi sherpa – quante migliaia negli ultimi dieci anni? Assoreti non lo dice – che si sono persi per strada.
In una congiuntura simile, in cui si approssima un periodo di forti decisioni per l’intero settore industriale del risparmio gestito, le reti devono decidere se adottare la stessa fredda strategia degli ultimi quindici anni, oppure far leva sugli enormi utili conseguiti in questi anni per investirne una parte – preferibilmente non miserevole – conducendo tutti i consulenti di oggi verso la vetta, e facendo in modo che nessuno di loro venga più lasciato indietro.