La pianificazione della longevity: approccio e strumenti a disposizione del Consulente
La pianificazione della Longevity del cliente passa attraverso alcune fasi ben distinte, nelle quali il consulente ha il ruolo fondamentale di “sollecitatore psico-emozionale”.
La pianificazione della longevità inizia in realtà nel momento in cui il Consulente finanziario-patrimoniale sollecita il cliente a “guardare lontano”, e affrontare il tema del pensionamento. Il cliente, infatti, tende a procrastinare la valutazione concreta dell’impatto economico-familiare di questo evento fino a poco tempo prima che esso si avveri, con evidenti limiti in relazione alla efficacia dei risultati.
Non è un compito facile per entrambi: per il consulente in termini di sollecitazione, per il cliente in termini di immaginazione del futuro in quanto a consumi, aspettative, bisogni e ambizioni che oggi egli fa fatica anche soltanto a pensare. Pertanto, il consulente deve affrontare innanzitutto gli aspetti emozionali del cliente, tastandone la predisposizione a interrogarsi su cosa lo aspetta e, soprattutto, esaminando quanto il suo comportamento di oggi può condizionare il suo stato futuro. Solo una volta ricevuta la “disponibilità emotiva” del risparmiatore sarà possibile, per il consulente, esplorare le aree specifiche che riguardano la Longevity, e cioè:
– l’analisi del reddito richiesto in rapporto al tenore di vita desiderato, e degli strumenti per colmare eventuali gap;
– la tutela dai rischi della longevità;
– la protezione del patrimonio e la pianificazione finanziaria del periodo di pensionamento;
– la pianificazione successoria per l’eventuale passaggio generazionale.
L’approccio “psico-emozionale” al cliente passa attraverso una serie di domande utili, alcune di ordine pratico e altre più personali, che serviranno a mettere a fuoco l’identikit dell’investitore quale futuro pensionato. Le domande iniziali più tipiche – per “sciogliere il ghiaccio” – sono, per esempio, “quandohttps://patrimoniefinanza.com/2023/05/22/educazione-finanziaria-assogestioni-punta-ai-giovanissimi-ma-dimentica-gli-investitori-over-60/ vorrebbe andare in pensione?” e “desidera una uscita graduale o netta?”. Seguono quelle più personali: “come immagina di spendere il suo tempo dopo?”, oppure “c’è qualcosa che non ha ancora fatto e che vorrebbe fare nel futuro?”, oppure ancora “pensa di soffrire l’inattività?”. Queste ultime domande, in particolare, aprono una serie di elementi utili ed economicamente valorizzabili: il valore economico che scaturisce dalle risposte sarà determinato dal consulente ed entrerà a far parte del Budget generato proprio dai desiderata del cliente, al quale assicurare adeguata copertura finanziaria.
Altre domande utili ed economicamente avvalorabili sono rivolte all’aspetto abitativo: “dove vorrebbe vivere da anziano, in che luogo, in che casa”, oppure “come dovrebbe essere la sua casa ideale da anziano?”. A queste domande sono associate alcune altre più specifiche e personali, come per esempio “cosa le piace e cosa detesta della vita di tutti i giorni?”, o “cosa vorrebbe per la sua vecchiaia rispetto a ciò che ha caratterizzato la vecchiaia dei suoi genitori?”. Dopo queste, altre domande di ordine pratico ma fondamentali: “a chi si rivolgerebbe in caso di bisogno per le piccole incombenze?” e “a chi si rivolgerebbe in caso di emergenza?”. La “profondità” delle domande è pressochè infinita, e dipende dal grado di intimità che intercorre tra consulente e risparmiatore; ma in generale, una volta entrati nel vivo dell’argomento, è ammessa qualunque domanda strumentale ad una analisi approfondita, che faccia la differenza e valorizzi il ruolo professionale del consulente.
La fase successiva all’approccio per domande è quella dello studio degli strumenti da proporre per colmare il gap tra reddito pensionistico stimato e costo del tenore di vita desiderato. Per farlo, occorre effettuare simulazioni previdenziali corrette e aggiornate, cui opporre l’analisi dei mezzi a disposizione del cliente; pertanto, al reddito pensionistico stimato si aggiungeranno il risparmio accumulato e il patrimonio personale del cliente e del coniuge, al fine di valutare la “ricchezza pensionistica” di cui disporre per dare copertura finanziaria ai costi potenziali della Longevity così come risulteranno dalle informazioni scaturite durante la prima fase (quella delle domande), cercando di non fare alcun affidamento al c.d. “welfare familiare”, e cioè la possibilità del cliente di poter contare sul sostegno economico della famiglia (che è altamente aleatorio).
Dal punto di vista tecnico, sappiamo che il sistema previdenziale italiano prevede una struttura a tre pilastri. Il primo pilastro è la previdenza pubblica obbligatoria finanziata dai lavoratori e dalle aziende datrici attraverso la contribuzione obbligatoria per legge, in base ad aliquote diverse per tipo di lavoratore: per i lavoratori dipendenti è circa il 33%, per gli autonomi circa 23% e circa il 14% per i liberi professionisti. Il secondo pilastro è rappresentato dalla previdenza complementare collettiva, attraverso l’adesione a fondi pensione di categoria o PIP. Il terzo pilastro è la previdenza integrativa privata, che prevede l’adesione individuale e volontaria a fondi pensione aperti e piani individuali di accantonamento. Sia nel secondo che nel terzo pilastro, i fondi pensione costituiscono patrimonio separato da quello delle società di gestione. In ogni caso, con il passaggio dal sistema di calcolo retributivo a quello contributivo si è usciti da un sistema a ripartizione – che era una sorta di passaggio di denaro da una generazione lavoratrice all’altra – ad uno a capitalizzazione, in cui ognuno di noi ha una specie di “conto personale virtuale” presso l’INPS, nel quale si accumulano i propri personali contributi durante la carriera lavorativa e saranno questi (moltiplicati per un coefficiente di trasformazione) a costituire il montante dei redditi pensionistici.
In uno scenario del genere, i fondi pensione aperti sembrano essere notevolmente indicati, poiché sono forme pensionistiche complementari che raccolgono la contribuzione volontaria di chi decide di aderirvi e la investono sui mercati finanziari, maturando alla scadenza – ovvero alla maturazione dell’età pensionistica – un capitale o una rendita a integrazione dell’assegno pensionistico. I fondi in questione sono istituiti da banche, compagnie di assicurazione, società di gestione del risparmio (SGR) e società di intermediazione mobiliare (SIM), e i contributi versati finiscono in un conto individuale intestato all’aderente, su cui vengono sommati anche i rendimenti ottenuti nel corso degli anni a seconda della linea di investimento prescelta (obbligazionaria, bilanciata, azionaria etc) e, quindi, a seconda del profilo di rischio dell’aderente e dell’orizzonte temporale.
I costi di gestione annuali di un fondo pensione sono decisamente limitati (0,4/0,6%), e le somme versate nel fondo sono deducibili dal reddito fino a un massimo annuo di 5.164,57 euro, per cui quanto versato viene dedotto dal reddito di lavoro, abbassando così l’imponibile per il conteggio delle tasse. La versatilità di questo strumento lo rende adatto alla Longevity anche prima della fase programmata di utilizzo, poiché è possibile richiedere un’anticipazione prima di aver raggiunto e completato i requisiti pensionistici, per alcune motivazioni particolari: spese sanitarie straordinarie documentate dovute a interventi e terapie per motivi gravi dell’iscritto, del coniuge e dei figli, in qualsiasi momento e fino a un importo massimo pari al 75% del montante maturato; acquisto o ristrutturazione della prima casa dell’iscritto o dei figli, dopo 8 anni dall’adesione e fino a un importo massimo pari al 75% del montante maturato; motivi personali, dopo 8 anni dall’adesione e fino a un massimo pari al 30% del montante maturato. Inoltre, la tassazione sulla plusvalenza è agevolata (tra il 12,5% ed il 20%, invece del 26%).
Relativamente agli strumenti più specificamente finanziari, i Piani di Accumulo di Capitale, detti anche PAC, consentono di accedere a un investimento finanziario attraverso versamenti periodici e graduali di capitale, anche minimi, a cadenze regolari e per un periodo predeterminato, per acquistare strumenti finanziari o sottoscrivere un fondo, con una forma relativamente personalizzata di investimento. Il Piano di Accumulo consente quindi un investimento nel lungo termine, tarato sulla propria capacità di risparmio, tramite versamenti periodici che, aumentando via via il capitale investito, incrementano anche il rendimento dell’investimento stesso.
A differenza del fondo pensione, il piano di accumulo può avere durata libera, ma un periodo minimo di dieci anni è indispensabile per rendere vantaggioso l’investimento. Pur non consentendo un risparmio fiscale, i PAC si rivelano essere uno strumento assai versatile e, dal punto di vista dei rendimenti, dal 1960 – anno della loro introduzione – ad oggi hanno consentito di realizzare guadagni notevoli grazie al particolare meccanismo di investimento “al costo medio” e alle performance dei mercati in cui investono (di solito si sceglie un PAC azionario). Essi non sono deducibili e la tassazione sulla plusvalenza non è agevolata, ma pari al 26% (la normale tassazione sulle rendite finanziarie).