Ottobre 10, 2024

I profitti di Nvidia non salveranno l’economia Usa. La recessione è già iniziata

L’economia americana ha sfruttato tutti i margini di manovra possibili per rimandare la crisi ma l’ipotesi di una collisione tra politica fiscale e politica monetaria è ora altamente probabile.

Di Maurizio Novelli, gestore del fondo Lemanik Global Strategy

Gli Stati Uniti hanno deciso di percorrere fino in fondo la strada dell’instabilità finanziaria. Ormai la scommessa del sistema è passata da sette titoli alla totale concentrazione su un solo titolo. Questo non è mai accaduto nella storia dell’economia, ma conferma sempre più uno scenario speculativo iper concentrato che ormai fa paura anche a coloro che sono dei permabull (investitori rialzisti).

Tutti sanno che i profitti di Nvidia non sono sufficienti a salvare l’economia americana dalla crisi del sistema bancario e non eviteranno una probabile recessione. Una sola società non può modificare il quadro fondamentale dell’intera economia, sebbene possa essere utilizzata nel breve termine come una grande fonte di distrazione dai problemi strutturali sempre più evidenti. L’analisi dei bilanci delle banche americane ci dice che è già iniziata una crisi finanziaria, esattamente come nel marzo del 2007, quando i bilanci delle banche dicevano la stessa identica cosa, anche se Wall Street ha cercato di nascondere fino alla fine la realtà. La grande operazione mediatica concentrata su un’unica società (Nvidia) evidenzia la debolezza del sistema e non la sua forza. In una casa dove i muri portanti vanno in pezzi, festeggiamo l’inizio di una nuova serie televisiva che ci terrà impegnati sul divano per qualche serata senza guardare le vaste crepe sulle pareti.

I problemi delle banche Usa. Il Ministero del Tesoro e la Fed stanno facendo i conti delle perdite che circolano nelle banche sui prestiti al Commercial Real Estate, prestiti che ammontano a 4,5 trilioni o il 20% del Pil. Un anno fa erano emerse perdite sul portafoglio titoli delle banche per circa 850 mld di dollari (pari al 30% del Tier 1). Alcune banche sono fallite, le altre hanno immediatamente immobilizzato il portafoglio per non contabilizzare le perdite e non fallire. Oggi circa 4.200 banche americane evidenziano una esposizione media del 60% del portafoglio prestiti al solo settore del Commercial Real Estate, e il range di esposizione varia da un minimo del 30% a un massimo dell’80%. Il rischio ponderato sul Tier 1 è pari a circa il 120%. Ma nulla sappiamo delle dinamiche di rischio che esistono anche su altri segmenti del portafoglio crediti, in particolare su Leverage Loans, credito al consumo e prestiti al Private Equity, che evidenziano un aumento delle insolvenze ormai da mesi.

Leggendo i bilanci delle banche americane, ci si accorge che ormai l’unica cosa che viene contabilizzata è solo il margine d’interesse e le commissioni, mentre le altre poste di bilancio (loans e investimenti) sono valutate al “fair value” o al prezzo di carico. Quando una banca ha un problema sul portafoglio crediti vuol dire che ha prestato soldi ai clienti sbagliati, ma quando 4.200 banche hanno un problema sul portafoglio crediti vuol dire che l’intero sistema a cui hanno prestato denaro è in crisi. A questo punto, indipendentemente da quello che la Fed deciderà di fare sui tassi, l’economia è destinata a subire un credit crunch e poi una recessione, e occorre sottolineare che il sistema non è nella condizione di reggere una recessione.

Infatti, lo stock di debito speculativo (10 trilioni di dollari) accumulato in 14 anni di tassi a zero è già ora in crisi. In caso di recessione i tassi di default procurerebbero un contagio incontenibile. Per evitare l’inevitabile possiamo anche manipolare i dati macro come si fa in Cina, e non contabilizzare le perdite su bilanci bancari. Ma anche facendo così l’economia cinese non è riuscita a evitare la crisi, sebbene abbia un sistema finanziario “chiuso” e teoricamente controllabile.  Per rimandare un “destino già segnato”, gli Stati Uniti spingono sull’intervento pubblico a oltranza e sulle linee di credito aperte dalla Fed per sostenere le banche in difficoltà. Questo vuol dire che il sistema è ormai in un costante bailout giornaliero.

Quanto può durare questa situazione nessuno lo sa ma è evidente che non può reggere a lungo. L’andamento della borsa, sostenuta da un solo titolo, non può modificare purtroppo la “cartella clinica” del paziente in coma. La strategia di tamponamento, l’unica per ora possibile, proseguirà fino alle elezioni Usa, anche se non sappiamo se da qui a novembre l’economia reggerà. C’è una elevata probabilità che l’amministrazione Biden possa affrontare le elezioni con un’economia in recessione, in pre-recessione e con una crisi finanziaria che bussa alla porta. D’altronde Cina, Europa, UK e Giappone sono già dove sarebbero oggi gli Stati Uniti senza la spesa pubblica fuori controllo per gli interventi di sostegno al sistema fallito. È quindi probabile che la Fed sia costretta a ridurre i tassi prima delle elezioni, ma poiché la discesa dell’inflazione mostra una certa difficoltà, la riduzione arriverà tardiva, peggiorando la situazione già critica nello Shadow Banking System e nel credito speculativo in circolazione.

Il credit crunch provocato dalle difficoltà del sistema bancario non farà che accentuare i problemi sul credito all’economia. Il secondo trimestre dell’anno si preannuncia piuttosto critico e richiederà ulteriori massicci interventi pubblici e ulteriori iniezioni di liquidità da parte della Fed per sostenere le banche e l’economia. Dopo l’avvio della restrizione del credito all’economia procurata dal sistema finanziario in difficoltà già da sei mesi, si assisterà ora al cedimento dei consumi interni, poiché lo stock di risparmio disponibile, anche quello frutto di generose erogazioni fiscali, è finito.

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