Settembre 24, 2023
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Su Eurovita la stampa allarma i risparmiatori “dimenticando” che le polizze non sono tutte uguali

Gli articoli della stampa sul caso delle perdite di Eurovita hanno creato volutamente un clima di tensione, allarmando inutilmente anche i titolari di polizze di Ramo III (unit linked).

Sul caso di Eurovita la stampa scatena la tensione di tutti i titolari di polizza, pubblicando alcuni articoli in stile allarmistico che hanno messo in evidenza le perdite di circa 1,5 miliardi di euro conseguite dalla compagnia a fine anno 2022. Di conseguenza, sugli oltre 350mila clienti che hanno investito il proprio patrimonio è sceso il panico, favorito dall’aver voluto accostare la perdita – derivante da un fatto tecnico, come vedremo – anche alle polizze di Ramo III, c.d. unit linked, che invece investono in fondi di terzi e non sarebbero toccate da tali perdite (al contrario delle polizze che investono nelle c.d. gestioni separate, di Ramo I). 

Tale confusione tra Ramo I e Ramo III, pertanto, è oggi sotto accusa, e rivela come la ricerca spasmodica di notizie e contatti online porta sempre più spesso i giornalisti (e le redazioni) a non approfondire gli argomenti da trattare, rimanendo colpevolmente in superficie. Sulla vicenda è intervenuta Federpromm con una sua nota, con la quale Manlio Marucci ha esortato la stampa a fare un minimo di chiarezza interpretativa, senza provocare un effetto alone negativo che rischia di incrinare strutturalmente il rapporto fiduciario dei clienti con la nuova compagnia Cronos Vita.

Una interpretazione corretta delle situazione contabile sulle perdite registrate dal Commissario straordinario Panizza infatti è stata data dal sito di Borsa Italiana,  che ha evidenziato come il criterio di contabilizzazione del valore di mercato dei miliardi di titoli di stato contenuti nelle gestioni separate di Eurovita deve necessariamente prevedere gli effetti del repentino rialzo dei tassi, e cioè il loro decremento di valore, permettendo alle compagnie azioniste di Cronos di contabilizzare ai prezzi attuali tutti gli strumenti finanziari contenuti nelle polizze che verranno trasferite da Eurovita a quest’ultima. In sostanza – come si legge nel sito di Borsa italiana – “il bilancio 2022 della compagnia è stato redatto in assenza del presupposto della continuità aziendale e dunque tutte le minusvalenze, accumulate sul comparto obbligazionario (principalmente su titoli di Stato italiani ed europei), sono state portate a conto economico”.  Ed ancora: “In ogni caso, a fronte del processo di salvataggio in atto della società e dei principi utilizzati per il computo delle minusvalenze, i numeri del bilancio 2022 non devono destare preoccupazioni tra la platea dei risparmiatori che hanno sottoscritto polizze Eurovita, i cui riscatti sono comunque sospesi fino a fine ottobre”.

“Su Eurovita-Cronos – aggiunge Marucci (nella foto) – l’incontro previsto per il prossimo 26 settembre in IVASS con le varie rappresentanze delle associazioni dei consumatori è un buon segnale che manifesta un valido impegno da parte dell’autority del settore di voler accelerare le procedure tecnico-giuridiche affinché i titolari delle polizze possano capire, prima della scadenza del 31 ottobre prossimo, a quale delle compagnia all’interno della società Cronos siano assegnate le loro polizze, ma anche come avanzare sul piano formale le eventuali richieste di liquidazione o mantenimento del proprio investimento”. “In ultima analisi- conclude la nota di Federpromm – è necessario che  le compagnie, le banche e gli organi di controllo definiscano senza più indugiare l’assetto del nuovo veicolo Cronos e il trasferimento delle polizze Eurovita a “prezzo di mercato”, provvedendo così a ridare fiducia a tutto il settore assicurativo ed in particolare ai 353.000 clienti di Eurovita, oggi fortemente condizionati dalla vicenda, che domani potrebbero trovarsi ad essere sottoscrittori di polizze con Intesa Vita, Generali, Unipol, PosteVita o Allianz”. 

L’azione restrittiva della Bank of Japan potrebbe essere rinviata

Secondo Marcel Zimmermann (Lemanik), L’indebolimento dell’economia cinese si sta facendo sentire, ma le valutazioni delle azioni asiatiche restano interessanti nel medio termine.
 
“I mercati valutari in Asia sono rimasti molto volatili. La pressione deflazionistica della Cina sta facendo scendere i dati dell’IPC (indice prezzi al consumo) in tutta la regione. Questo potrebbe rimandare a una data successiva un’eventuale azione restrittiva della Bank of Japan“. È l’analisi di Marcel Zimmermann, gestore del fondo Lemanik Asian Opportunity.

I continui segnali negativi di indebolimento dell’economia cinese hanno pesato sul sentiment regionale. Il governo e la Banca centrale cinese hanno introdotto misure di sostegno, ma molto al di sotto delle aspettative del mercato. Gli investitori stranieri continuano a scaricare le posizioni azionarie in Cina a causa della debolezza della risposta del governo alla debolezza economica e delle continue tensioni geopolitiche con gli Stati Uniti. La banca centrale cinese ha tagliato inaspettatamente i tassi di riferimento in agosto. La debole crescita del credito e l’aumento della pressione deflazionistica continuano a pesare sull’economia cinese.

La regione asiatica sta risentendo del rallentamento della seconda economia mondiale. Gli indici PMI di Cina, Taiwan, Corea del Sud, Vietnam e Malesia sono in territorio di contrazione. Solo i PMI di Giappone, Indonesia, Filippine, Thailandia e India continuano a segnalare un’espansione. La performance settoriale del fondo riflette chiaramente l’attuale incertezza, con settori difensivi come l’assistenza sanitaria, le telecomunicazioni e i beni di prima necessità che hanno sovraperformato, mentre i segmenti tecnologico, industriale e dei beni di consumo discrezionali sono risultati deboli. L’andamento dei mercati geografici ha rispecchiato in parte la situazione economica, con il Giappone che ha superato gli altri mercati.

Deludente il risultato dei mercati ASEAN, che dal punto di vista economico si trovano chiaramente in una situazione migliore. La Cina/Hong Kong ha sottoperformato tutti i mercati, ma ha registrato un rally di sollievo a fine agosto grazie alle speranze di ulteriori azioni governative. “In questo contesto, abbiamo preso parzialmente profitto sugli investimenti nel segmento tecnologico giapponese a favore di settori orientati al mercato interno e abbiamo tagliato alcune posizioni sottoperformanti, aumentando però altri investimenti nella stessa regione”, continua Zimmermann. “Manteniamo la nostra opinione secondo cui le valutazioni dei titoli azionari asiatici restano interessanti in un orizzonte di medio termine e si collocano attualmente nella parte inferiore della loro fascia di valutazione di lungo periodo”.

Da Eurovita a Cronos. Federpromm chiede trasparenza

In attesa che la nuova compagine societaria e il management assumano pieni poteri, Federpromm avanza quesiti sulla sicurezza delle operazioni e sulla  trasparenza verso i clienti ex Eurovita.
 
Di recente, alcune associazioni di consumatori (Codici, per esempio) hanno sposato la linea che sta portando avanti il comitato tecnico di  Federpromm (Uiltucs) a difesa dei molteplici clienti coinvolti nella vicenda della compagnia Eurovita, oggi in liquidazione verso la newco società chiamata Cronos e composta dalle maggiori e blasonate compagnie del settore assicurativo: Generali, Unipol, Intesa Vita, Allianz e Poste Vita
 
Sicuramente – afferma Manlio Marucci (nella foto) – l’incontro previsto per il prossimo 26 settembre presso IVASS con le varie rappresentanze delle associazioni dei consumatori è un buon segnale, che manifesta un valido impegno da parte dell’Autority del settore di voler accelerare le procedure tecnico giuridiche affinché  i titolari delle polizze, prima della scadenza del 31 ottobre prossimo, possano capire a quali delle compagnie all’interno della società Cronos siano assegnate le proprie polizze, ed anche come avanzare sul piano formale le eventuali richieste di liquidazione o mantenimento del proprio investimento.
 
Da parte nostra  – conclude la nota di Federpromm – attraverso i nostri legali abbiamo già avanzato una richiesta di incontro al nuovo board di Cronos Vita, al fine di avere precise risposte sui vari quesiti che interessano direttamente il quadro delle problematiche presenti nell’assegnazione delle polizze della compagine già di Eurovita alle varie realtà assicurative rappresentate in Cronos, ed anche per capire quali responsabilità dirette dovessero ricadere sui precedenti collocatori e, infine, se la nuova Compagnia ha intenzione di caricare sulle attuali reti distributive compiti che potrebbero contrastare con gli obblighi di comportamento o generare conflitti di interessi. 

Emergenza economia, sarà un autunno nero per i consumi. Chiudono 120.000 imprese

Il 6% delle imprese non ottiene credito e il 56,3% di esse rinuncia. Nel 2023 circa 120.000 aziende avranno chiuso i battenti a causa di costi fuori controllo e degli indicatori di produttività crollati.

Le imprese italiane stanno vivendo in questi mesi un periodo molto delicato, e ancora di più lo sarà l’autunno. L’analisi “Congiuntura Flash” del centro studi di Confindustria ad esempio ha messo in evidenza una frenata del PIL che nel secondo trimestre del 2023 è rimasto sostanzialmente fermo.

L’aumento dei tassi sta frenando la crescita, visto che la BCE ha portato a 4,50% il tasso di sconto. La conseguenza è che il credito, sia per le imprese che i consumatori, costa di più ed aumenta anche la difficoltà ad ottenerlo: il costo del denaro è aumentato di 4,81 punti, e il credito bancario tende a ridursi (-2,9% annuo a maggio). Istat e Banca d’Italia, infatti, stanno rilevando una domanda del credito fortemente rallentata dal costo eccessivo, con il 6% delle imprese che non ottiene credito, e il 56,3% delle stesse che rinuncia per le proibitive condizioni. Per non parlare del costo dei carburanti che continua a salire, nonostante la discesa del greggio: per la benzina siamo ai massimi da metà aprile, per il gasolio dai primi di marzo.

Sembrerebbe che a causare tutto ciò sia il calo delle scorte Usa di prodotti raffinati, insieme allo stop di alcune raffinerie in Europa, Stati Uniti e Asia. E con le vacanze tutto è diventato più salato: per esodo e controesodo estivo si ipotizzano in 800 milioni i maggiori costi sostenuti dai cittadini, cosa che potrebbe impattare sui consumi dell’autunno. Secondo le stime delle associazioni di categoria infatti, dopo la stagione turistica si avrà un rallentamento forte dei consumi nell’ultima parte dell’anno, e con uno scenario del genere, nel 2023, il dato complessivo in termini di chiusure di imprese potrebbe ammontare a circa 120.000 aziende che chiudono i battenti a causa di costi fuori controllo e indicatori di produttività crollati, secondo i dati di Confcommercio.

“Le imprese che non studiano attentamente i loro numeri rischiano di saltare” afferma Pasquale Abiuso (nella foto), esperto di strategie di gestione aziendale. “I costi improduttivi, che non portano un ritorno certo vanno immediatamente tagliati, così come vanno liquidati immediatamente i prodotti in magazzino che non girano o i servizi che non si vendono, per recuperare cassa. E’ arrivato il momento per gli imprenditori di diventare maniacali circa i numeri aziendali, imparare a fare marketing, studiare la concorrenza e non navigare a sensazione come spesso accade nelle PMI italiane” continua Abiuso. “Le aziende italiane devono strutturarsi velocemente per fronteggiare i momenti avversi del futuro e gli imprenditori devono mettere in atto dei processi efficaci di delega lasciando da parte il tanto blasonato ‘chi fa da sé fa per tre’. e in tutto ciò la ricerca di talenti da inserire in azienda sarà un tema cruciale per il prossimo futuro” conclude Abiuso.

Nel frattempo, continua far discutere il fenomeno delle “grandi dimissioni”. Secondo l’economista Anthony Klotz, colui che nel 2021 aveva coniato il termine “Great resignation“, la stagione delle grandi dimissioni sarebbe giunta al capolinea. A spingerlo in questa direzione sono i numeri degli Stati Uniti, che nel 2022 – con 50 milioni di lavoratori che hanno dato le dimissioni, stando al Bureau of Labor Statistics – stanno tornando ai livelli del 2019. In Italia, invece, il numero di dimissioni continua a essere insolitamente alto: nel 2022  1.255.706 persone si sono dimesse da un contratto stabile, il 24% in più rispetto al 2019. “Al di là di quanto dimostrano le statistiche degli ultimi mesi e anni, il concetto di fondo è chiaro: la loyalty aziendale ha perso appeal, e sempre più dipendenti sono propensi a valutare seriamente nuove opportunità di carriera” spiega Carola Adami (nella foto), head hunter e fondatrice di Adami & Associati.

Gli elementi e le tendenze che spingono in questa direzione sono tanti. Innanzitutto, chi oggi cerca un impiego desidera conciliare vita privata e lavorativa. E’il c.d. work-life balance, che nella maggior parte dei casi viene considerato ancora più importante rispetto all’entità dello stipendio: orari flessibili, smart working e utilizzo funzionale delle nuove tecnologie sono i principali fattori ricercati dai lavoratori, insieme ad uno stipendio “equo”, definito all’interno di una offerta economica in grado di raccogliere l’attenzione dei potenziali candidati e di definire un eventuale piano di carriera attraverso corsi di formazione, aggiornamenti e promozioni al raggiungimento di risultati non esclusivamente quantitativi.

Affitti turistici: dietro la stretta sui B&B alcune verità accuratamente nascoste

Di recente si è aperto il dibattito sui B&B a conduzione familiare e sui limiti da apporre ad un settore in grande espansione, che genera reddito aggiuntivo e occupazione. Il caro-affitti? Una balla.

L’Italia, da sempre, è il terreno delle verità nascoste e delle lobbies che condizionano le scelte politiche sui vari settori produttivi, soprattutto quando i fenomeni spontanei di mercato generano nuovi trend sulla scia di altrettanto spontanei comportamenti dei consumatori. E così, dopo cinque anni di grande sviluppo del mercato dei B&B a conduzione familiare, e in conseguenza della nascita di migliaia di strutture private che hanno creato nuovo reddito, nuova occupazione e un indotto non indifferente (ristrutturazioni edilizie e imprese di pulizia, in primis), le lobbies contrarie allo sviluppo di tale segmento di mercato – albergatori i maggiori sospettati, ma non soltanto loro – hanno cominciato a martellare il Parlamento e il Governo, tradizionalmente molto attenti alle sollecitazioni dei gruppi di influenza stabilmente presenti nelle Istituzioni, con le loro istanze tese a limitare l’attività privata di ricettività turistica e ospitalità.

Queste lobbies, peraltro, sono molto attive in tutta Europa e anche fuori dal continente. Infatti, da Amsterdam a San Francisco, da Barcellona a Parigi, sono sempre di più le metropoli che  hanno messo un limite agli affitti turistici e alle piattaforme più conosciute, come Airbnb o Booking. Dallo scorso 5 settembre, per esempio, a New York è scattata una legge in base alla quale potranno essere dati in affitto breve solo gli appartamenti dove i proprietari (o gli affittuari che possono sub-affittare) risiedono in prima persona e sono effettivamente presenti. Si tratta di una limitazione che escluderà di fatto dal mercato migliaia di case di proprietà di famiglie o imprese professionali, al fine di permettere un rientro di quegli immobili sul mercato degli affitti residenziali, aumentare l’offerta e far abbassare i prezzi: a luglio scorso il prezzo mediano di un affitto da 50 mq a Manhattan è arrivato a 4.400 dollari al mese, a Brooklyn 4.000 e al Queens 3.600.

Questa misura sta facendo discutere, poiché taglia fuori anche le famiglie che trovano nell’affitto breve un modo per integrare il proprio reddito. Il tema è molto sentito in Italia, che è una delle poche grandi mete turistiche internazionali a non aver previsto – per fortuna – alcuna limitazione. Ma tale stato di grazia non continuerà ancora a lungo, poiché si sta già lavorando ad una stretta annunciata dal ministro del Turismo Daniela Santanché, e questo non promette bene. In Italia, dove la competenza sul settore è contesa tra governo, Regioni e Comuni, il mercato degli affitti brevi/brevissimi è anche superiore a quella di New York. Nel nostro Paese sono circa 600.000 le case in affitto sulle piattaforme, con punte di 25 mila a Roma e quasi 20 mila a Milano, città che hanno rispettivamente tre e sei volte meno abitanti rispetto a New York. Inoltre, i B&B sono letteralmente ramificati in tutti i comuni italiani, e offrono un servizio di qualità mediamente elevata, garantendosi così un alto livello di fidelizzazione della clientela.

Tutto questo, evidentemente, dovrebbe scoraggiare del tutto le ipotesi di limitazione delle attività di Bed & Breakfast, dal momento che il mercato specifico dà lavoro in Italia a più di un milione di persone, tra gestione diretta e indotto, e realizza un fatturato annuo superiore a dieci miliardi, con un gettito fiscale diretto superiore a due miliardi. Eppure, le lobbies operanti in Parlamento sono riuscite a far passare il messaggio secondo cui, a causa del boom degli appartamenti adibiti a B&B, l’offerta di immobili in locazione si sarebbe ristretta fino al punto di generare un (inesistente) fenomeno del “caro-affitti”. Invece, gli aumenti dei canoni sono tutto sommato contenuti, in misura inferiore al 10% nel periodo di maggiore inflazione (2022-2023 I semestre), e sono stati determinati quasi interamente dall’aumento dell’indice dei prezzi al consumo, che il mercato degli affitti brevi subisce, e non contribuisce certo ad aumentare.

Su tutto, il desiderio dei piccoli investitori immobiliari di non essere costretti ad affittare i propri immobili con contratti di medio-lungo periodo, sopportando così un “rischio-inquilino” giunto a percentuali davvero preoccupanti: nell’ultimo anno, il 50% dei conduttori fa fatica a pagare con regolarità i canoni di locazione, oppure non riesce a pagarli affatto; questo per via del continuo abbassamento del potere d’acquisto, e non certo del rialzo dei canoni. Inoltre, la diminuzione del livello dei redditi ha raffreddato notevolmente la domanda di affitti dei conduttori più giovani, ossia degli inquilini che tradizionalmente hanno costituito l’ossatura del mercato delle locazioni. Costoro, infatti, sono costretti a rimandare a tempi migliori i progetti di abitazione al di fuori della casa dei genitori.

Sotto il “tappeto” della possibile stretta sugli affitti brevi, quindi, cova la polvere accumulata dal Governo e dai media, impegnati a nascondere scomode verità da tenere accuratamente schermate da “balle” di notevole caratura, come quella del caro-affitti. Finchè qualcuno non deciderà che è arrivato il momento di parlarne sul serio.

Lo sviluppo sostenibile passa per la trasformazione digitale

Le caratteristiche che accomunano le imprese più avanzate nella transizione verde e digitale evidenziano l’opportunità di adottare un nuovo modello economico, organizzativo ed operativo.

Insieme alla sostenibilità ambientale, economica e sociale diventa sempre più importante l’analisi degli effetti dell’innovazione e delle tecnologie i cui impatti sulla Società Mondiale generano il concetto di “sostenibilità digitale”, nel senso di studiare la trasformazione digitale e il ruolo che le nuove tecnologie svolgono nella vita di individui e aziende come una sorta di “quarta dimensione” delle problematiche di sostenibilità.

Dopo la crisi climatica, la rivoluzione digitale è risultata essere una fonte inesauribile di trasformazione globale e irreversibile, che richiede un approccio a sé stante ma nello stesso tempo integrato con quello della sostenibilità ambientale, economica e sociale, dal momento che è impossibile bypassare le tecnologie digitali e raggiungere obiettivi sostenibili. Del resto, a livello politico internazionale queste tematiche sono state adeguatamente affrontate dal piano Next Generation Eu, che mira a promuovere la ripresa economica post-Covid attraverso iniziative green e, appunto, digitali

Le tecnologie avanzate portate avanti negli ultimi anni – l’intelligenza artificiale, il cloud, i Big Data, le criptovalute e le reti 5G, solo a titolo di esempio – hanno contribuito alla creazione di un mondo interconnesso, ma la loro crescita ha anche portato a un aumento delle emissioni di CO2 e della domanda di elettricità, tanto che oggi l’industria della Information Technology (reti, elaboratori, applicazioni, dispositivi) rappresenta il 3% delle emissioni mondiali di CO2, e la produzione di molti dei dispositivi IT richiede materiali rari e metalli il cui smaltimento può creare problemi ambientali e sociali. Infatti, solo una minima percentuale di tali dispositivi IT vengono riciclati in modo appropriato.

Pertanto, appare evidente che i progetti di trasformazione digitale devono necessariamente essere ispirati ai principi di sostenibilità in tutta la catena tecnologica, e le persone coinvolte nello sviluppo dei sistemi e dei servizi di IT devono innovare il modello di business, utilizzando la tecnologia come strumento di sviluppo sostenibile e adottando un nuovo modello d’impresa, ibrido e aperto alla innovazione, organizzata in rete. “Gli obiettivi di sostenibilità non possono essere raggiunti senza portare nelle aziende una forte innovazione. In questo, la tecnologia gioca un ruolo fondamentale nell’efficientare i processi delle aziende, rafforzare le competenze delle persone investendo nella formazione, ma anche nel migliorare gli impatti sociali del business.

“Nel processo di transizione digitale serve una roadmap di sostenibilità, con effetti positivi non nell’immediato ma come investimento per il futuro, in grado di produrre benefici economici, sociali ambientali per gli anni a venire”. Così Roberto Antoniotti (nella foto), Head of Technology and Innovation di Grant Thornton, ha commentato nell’ambito della VII edizione del Forum Sostenibilità 2023 di Roma. “È necessario però un cambio di mentalità nell’uso che si fa oggi della tecnologia – ha aggiunto Antoniotti – I data center e gli strumenti utilizzati devono essere guidati da scelte e modelli di business che siano realmente sostenibili. Per realizzare scelte coraggiose sul piano dell’innovazione le aziende hanno bisogno di essere supportate da finanziamenti importanti. Sarà quindi fondamentale per le nostre imprese continuare ad essere supportate da misure che permettano loro di investire in obiettivi di crescita digitale di lungo periodo”.

Debutto di iPhone 15: è arrivato il punto di svolta negativo del titolo Apple?

Non sono in pochi ad ipotizzare una “bolla Apple”, pronta ad esplodere qualora i progressi nel campo della innovazione tecnologica dovessero rallentare, come abbiamo visto con l’iPhone 15.

Sono passati quasi 16 anni dal leggendario lancio del primo iPhone, che ha sconvolto il mondo nel giugno 2007 scatenando una frenesia di acquisti per i prodotti Apple. Nel corso di tutto questo tempo, il colosso della Silicon Valley ha goduto di una crescita quasi esponenziale delle vendite dei suoi prodotti di punta, seguita da ricavi e margini record e da centinaia di miliardi di dollari di riacquisti di azioni proprie. Il recente lancio di del nuovo iPhone 15, però, non ha portato un’altra rivoluzione tecnologica: le modifiche rispetto alla versione precedente sembrano più estetiche che “rivoluzionarie”. 

Il lancio del nuovo iPhone 15 è avvenuto in un momento in cui l’economia globale è in bilico, rifuggendo dalla recessione, nell’era delle tese relazioni Washington-Pechino. Pertanto, ci si chiede se la diffusione del nuovo modello si rivelerà un altro successo commerciale per l’azienda, oppure se questa assenza di soluzioni innovative è un segnale che si tradurrà a Wall Street in un punto di flesso. Dopotutto, se qualcosa non può durare per sempre, prima o poi deve finire, pertanto mai come adesso, per Apple, è stata in vista una vera turbolenza dopo un decennio e mezzo di crescita ininterrotta. Infatti, fino ad oggi Apple ha combinato le misure di un’azienda in crescita in quanto a vendite e profitti ma anche in costante attenzione alla qualità del prodotto e ai vantaggi competitivi; se viene a mancare anche uno solo dei questi fattori, il “credito” di mercato potrebbe diminuire sensibilmente, e con esso il prezzo delle azioni.

Il valore fondamentale del marchio Apple nel mondo degli investitori, oggi, è sottolineato oltre ogni altro elemento di valutazione dal fatto che le sue azioni costituiscono più della metà del portafoglio del veicolo di investimento di Berkshire Hathaway (Warren Buffett). Una costante espansione della quota di mercato, con l’acquisizione di clienti fedeli lungo il percorso, ha reso Apple un business in crescita, anche in periodi di elevata inflazione. Gestione sapiente, programmi di riacquisto di azioni proprie e moltiplicatori in aumento, poi, hanno generato ottimi risultati, insieme alla produzione “a buon mercato” in Asia, che ha sostenuto i suoi margini netti. Il software iOS, infine, è diventato per molti il punto di riferimento in termini di intuitività e qualità, ed il mercato si è fermamente convinto che questa crescita continuerà per molto tempo, forse anche per sempre. Ma è davvero così ovvio?

Naturalmente no, e non sono in pochi ad ipotizzare l’esistenza di una “bolla Apple”, pronta ad esplodere qualora i progressi nel campo della innovazione tecnologica dovessero rallentare, come abbiamo visto in occasione del lancio dell’iPhone 15, o addirittura fermarsi per fisiologica carenza di innovazione nei metodi di produzione e/o nei vantaggi competitivi per gli utenti. Inoltre, fino ad oggi i concorrenti come Samsung sono stati sottovalutati, e continuare su questa scorta a fissare un livello di prezzo delle azioni sempre più alto crea il potenziale per una delusione. Come in una corsa ad ostacoli, in cui l’atleta supera un ostacolo dopo l’altro ma ad ogni ostacolo successivo perde un po’ di forza, Apple sembra perdere la sua forza propulsiva, e l’atterraggio potrebbe essere tutt’altro che morbido.

MintWatch, la Startup Italiana che rivoluziona gli investimenti in orologi di lusso

Tecnologia blockchain e token fungibili (e non) per “democratizzare” l’accesso a un’asset class esclusiva come quella degli orologi di lusso. Una Security Token Offering per coinvolgere un pubblico più ampio.

MintWatch, startup italiana con la missione dichiarata di “democratizzare” l’investimento in orologi di lusso, ha reso accessibile un’asset class esclusiva ancora relativamente trascurata dagli attori della finanza tradizionale. Fondata nel 2022, MintWatch è la startup operante nel mercato resell degli orologi di lusso, sfruttando la tecnologia blockchain e la tokenizzazione. Ad oggi ha già raccolto 1 milione di euro da angel investors, e si sta ora preparando per lanciare la sua Security Token Offering (STO) per coinvolgere un pubblico più ampio e scalare il suo modello di business.

La soluzione innovativa dei fondatori di MintWatch sfrutta la tecnologia blockchain e si concretizza nella Security Token Offering (STO), che consente così agli stakeholders sia di investire nell’attività commerciale dell’azienda e nella sua crescita, sia di partecipare ai ricavi della gestione del sottostante. “Consideriamo ogni investitore come un partner che condivide la nostra vision e crede nella nostra proposizione di valore”, affermano gli amministratori dell’azienda. “Con MintWatch, intendiamo creare un ponte tra il mondo reale e quello digitale degli investimenti in orologi di lusso”.

La STO di MintWatch è ipotizzata per il prossimo autunno e sarà ospitata su Blockinvest, piattaforma istituzionale rinomata per la sua competenza e autorevolezza nella tokenizzazione e nell’emissione di asset digitali. “MintWatch rappresenta l’incarnazione dell’innovazione finanziaria. Il nostro approccio è rigoroso e basato sui dati, impiega intelligenza artificiale e modelli statistici per comprendere e anticipare i macro-trend e guidare le strategie di acquisto e di costruzione del portafoglio“, ha dichiarato Matteo Melegari, CEO e fondatore di MintWatch.  “Ci finanziamo attraverso STO (Security Token Offering) per acquistare orologi, costituire portafogli, fare trading e distribuire ricavi agli investitori. Il nostro modello ibrido trading-value è più performante e sostenibile di un modello statico on-hold, tipico invece dei fondi a gestione passiva, che acquistano passivamente asset per tenerli “fermi”. Inoltre, il modello ibrido consente di beneficiare di una decorrelazione dal mercato di riferimento.

L’attività di trading effettuata grazie al capitale investito è finalizzata a generare consistenti flussi di cassa che soddisfano il fabbisogno finanziario della società e che, attraverso il loro reinvestimento, fanno crescere le masse in gestione. In questo modo si assimila un’attività reale ad un’attività finanziaria che eroga dividendi e li ricapitalizza. La componente value punta invece a cogliere la fisiologica tendenza ad apprezzarsi, nel medio periodo, di referenze rare e prestigiose. “Strategicamente, per massimizzare i profitti per la società e gli investitori è quindi fondamentale far ruotare il capitale a disposizione più volte nel corso dell’anno. Ci aspettiamo di intercettare l’interesse di investitori desiderosi di diversificare i propri portafogli con strumenti finanziari solidi e alternativi, di partecipare ai profitti derivanti dal trading attivo di orologi e dell’apprezzamento di modelli rari e prestigiosi nel medio-lungo termine”, aggiunge Matteo Melegari.   

Il mercato mondiale del credito verso il collasso. Parola d’ordine: rinviare i defaults nel tempo

Il colossale debito contratto dal sistema in 14 anni di QE ha iniziato a cedere. Il recente declassamento del rating del debito sovrano USA è solo la punta dell’iceberg di un sistema al collasso.

Di Maurizio Novelli*

Mentre tutto sembra sopito sotto il manto della bassa volatilità e gli indici delle borse mondiali si aggrappano vicino ai massimi storici, silenziosi ma importanti eventi confermano l’ingresso nella prima fase della crisi da debito che sta iniziando a diffondersi nell’economia mondiale.

L’attenzione dei media verso la Cina serve a concentrare il focus sui problemi degli altri per nascondere i propri. La Cina, invece, è la punta dell’iceberg del debito fatto a tassi bassi per finanziare l’acquisto di asset a bassa redditività. Il mercato dei Leverage Loans, di cui sono infarcite le banche statunitensi e lo Shadow Banking System (Mutual Funds, CLO, Hedge Funds ecc) è, in questi mesi estivi, impegnato in un disperato tentativo di negoziare un allungamento delle scadenze dei prestiti che stanno giungendo a maturazione e non sono rimborsabili dai debitori insolventi. Il tentativo di evitare i default allungando le scadenze non modifica comunque il profilo finanziario del debitore, che anzi si ritrova ad essere comunque oberato da tassi d’interesse piu’ alti e con un business che, già durante l’era del QE e dei soldi facili, non riusciva a stare in piedi.

La strategia di rinviare e diluire le insolvenze a data futura è il classico meccanismo che porta alla Balance Sheet Recession di stampo giapponese. Recentemente, Bloomberg ha pubblicato un articolo sui rischi di crisi del mercato dei Leverage Loans e sui tassi di default pendenti che rischiano di innescare una crisi di rifinanziamento per un mercato che vale 1,5 trilioni di USD. Le Banche USA che hanno in posizione tali prestiti, i fondi d’investimento e i CLO stanno spingendo per l’allungamento delle scadenze dei rimborsi, dato che moltissime aziende non sono in grado di ripagare il debito. Le aziende in questione hanno business “zombie“, e per questo motivo non saranno mai in grado di ripagare i prestiti, ma ora la priorità è rimandare i defaults nel tempo. Anche con gli Student Loans e il Private Credit, che valgono 1,5 trilioni di USD ciascuno, si è fatto lo stesso: posticipare la moratoria sui pagamenti di interessi e capitale per non scatenare un’ondata di default sulle cartolarizzazioni ABS outstanding.

Solo questi segmenti del mercato del credito valgono 4,5 trilioni di USD, il 20% del PIL USA. Vedremo cosa accadrà ai prestiti subprime di auto, carte di credito, commercial real estate che stanno evidenziando un aumento delle insolvenze.

Il colossale debito contratto dal sistema in 14 anni di QE ha iniziato a cedere, e questo è solo l’inizio. Il recente declassamento del rating del debito sovrano USA è solo la punta dell’iceberg di un sistema al collasso, dove il peggioramento della qualità del credito del governo USA (la tripla A per eccellenza), fa intravedere, per chi vuole guardare oltre, come può essere la qualità del credito di tutto il resto che ci sta sotto. Infatti, mentre tutto il dibattito si è concentrato sul debito federale fuori controllo, nessuno ha parlato di cosa sta succedendo a livello di singoli stati e municipalità, dove la situazione, se è critica a livello federale, è particolarmente più seria e grave a livello locale: altri 3,2 trilioni di USD (12,5% del PIL) sono sotto minaccia di downgrading con elevati rischi di solvibilità.

Pertanto, il peggioramento strutturale della qualità del credito in circolazione sarà la caratteristica del lungo periodo di crisi che si apre dopo gli interventi straordinari post Covid. Il problema è che l’allungamento delle scadenze avviene a tassi che rendono il debitore ancora più insolvente di prima. Quindi lo scenario di Balance Sheet Recession è ora cominciato, e trilioni di USD di liquidità rimarranno incagliati in posizioni di finanziamento a business che non producono profitti, e a debitori insolventi per evitare di innescare defaults e insolvenze a cascata. Questa gigantesca allocazione di capitale verso attività in perdita e insolventi continuerà a compromettere la redditività di sistema, e peggiorerà ulteriormente il moltiplicatore del debito, costringendo l’economia globale in uno scenario di long landing giapponese. Chi era già virtualmente fallito durante l’era dei tassi a zero e dell’economia in crescita, difficilmente diventerà solvibile con i tassi al 5% e l’economia in stagnazione.

*Gestore del fondo Lemanik Global Strategy Fund

Economia mondiale: tassi fermi in Europa e Usa, ma c’è il rischio Cina

L’economia dell’Eurozona continua a ristagnare, ma la Bce effettuerà al massimo un solo rialzo dei tassi. Negli Usa si intravede un “soft landing”. In Cina il sistema bancario in crisi di liquidità.
 
“Prosegue l’espansione economica della fase avanzata del ciclo, nonostante l’indebolimento della crescita e quello che può essere definito un inasprimento della politica monetaria. L’attività economica si mostra più resiliente di quanto previsto ancora pochi mesi fa. Nel breve periodo sono pressoché assenti segnali di recessione incombente. Tuttavia, destano preoccupazione il rallentamento cinese e le crescenti tensioni nel settore immobiliare e in quello finanziario”. È la view di Michael Blümke, Senior portfolio manager di Ethenea Independent Investors.
 
Sebbene i tassi di disoccupazione stiano lentamente risalendo dai recenti minimi record, le condizioni dei mercati del lavoro restano tese. La fiducia dei consumatori continua a migliorare rispetto ai precedenti minimi. Indicatori anticipatori come il Purchasing Managers’ Index confermano il quadro di rallentamento economico. Mentre il terziario perde rapidamente slancio, il trend discendente del settore manifatturiero sembra per ora essersi arrestato, anche se le cifre continuano a indicare una contrazione. Si profila quindi sempre più chiaramente la fine dell’inasprimento monetario, confermato dal calo dell’inflazione complessiva, anche se l’inflazione di fondo resta elevata, soprattutto nel settore dei servizi. Non va pertanto sottovalutata la determinazione delle banche centrali a riportare l’inflazione al livello obiettivo del 2%. Un ritardo nel raggiungimento di tale target o addirittura un’accelerazione dell’indice dei prezzi costringerebbe le banche centrali a schiacciare nuovamente il pedale del freno, inasprendo nuovamente la politica monetaria e rischiando di innescare una recessione. Attualmente, però, non ci attendiamo alcun intervento sui tassi, o al massimo un solo rialzo, da parte delle due principali banche centrali.
 
USA – In un contesto caratterizzato da solidi consumi, inflazione in calo e ripresa degli investimenti aziendali permane la speranza di un cosiddetto “soft landing“. La crescita dell’economia statunitense ha accelerato nel secondo trimestre, superando quella degli altri Paesi sviluppati. Anche se nei prossimi mesi l’effetto ritardato della politica monetaria e l’inasprimento degli standard di concessione del prestito continueranno a gravare sull’economia, il modello GDPNow della Federal Reserve di Atlanta prevede una crescita reale del 5,6% annualizzato nel terzo trimestre dell’anno. Una stima tendenzialmente 

troppo elevata, ma il trend non indica alcun massiccio indebolimento. La debole ripresa nel settore immobiliare e in quello manifatturiero corrobora questa tesi. Il moderato calo della domanda di manodopera e il rallentamento della crescita dell’occupazione fanno prevedere una graduale distensione del mercato del lavoro. È evidente che la banca centrale statunitense è riuscita finora a ridurre la domanda complessiva e a far scendere l’inflazione al 3,2% senza causare un aumento della disoccupazione. Tuttavia nel corso del summit di quest’anno a Jackson Hole il presidente della Fed, Jerome Powell, ha ribadito chiaramente che il compito della banca centrale non si è ancora concluso e che una nuova accelerazione dell’attività economica potrebbe costringere la Fed a operare ulteriori rialzi dei tassi.
 
Eurozona – I dati del Pil del secondo trimestre indicano che l’economia della regione ha superato la recessione tecnica in cui era scivolata nel quarto trimestre del 2022. L’economia dell’area euro continua tuttavia a ristagnare, con Germania e Italia che si distinguono per la crescita molto debole. Ciò che risulta particolarmente preoccupante è la contrazione in atto nel terziario, che nel primo semestre di quest’anno aveva trainato la ripresa. Ad agosto il Purchasing Managers’ Index ha subito una drastica flessione, precipitando in territorio negativo. La fiducia dei consumatori è risalita dai precedenti bassi livelli, favorita dalla solidità del mercato del lavoro, mentre i dati “hard” hanno deluso su quasi tutta la linea. Il settore manifatturiero ha risentito della debole domanda estera, quello immobiliare resta sotto pressione e, malgrado il miglioramento dell’inflazione complessiva, l’inflazione di fondo persiste a quota 5,5%. I tassi reali sono pertanto scesi in territorio negativo e la Bce resta quindi alle prese con il dilemma di dover operare una stretta malgrado il rallentamento economico. Prevediamo tuttavia che la Bce effettuerà al massimo ancora un solo rialzo, per poi prendersi una pausa in attesa della pubblicazione dei prossimi dati macro.
 
Cina – Quest’anno l’economia cinese avrebbe dovuto imprimere slancio alla crescita globale, invece in agosto l’economia ha subito un ulteriore rallentamento, malgrado la ferma intenzione delle autorità di sostenere la congiuntura. Il crollo del mercato immobiliare ha nuovamente causato effetti negativi, innescando una crisi di liquidità nel sistema bancario ombra e ulteriori insolvenze tra le società immobiliari. Per contenere la crisi, Il Politburo ha ripetutamente sottolineato la necessità di misure politiche mirate volte a ripristinare la fiducia del settore privato, stimolare gli investimenti e i consumi e sostenere il settore immobiliare. Fatta eccezione per i due ribassi dei tassi operati dalla Banca centrale cinese, non sono state varate misure di supporto fiscale su larga scala. L’obiettivo di una crescita del Pil del “5% circa” nel 2023 appare sempre più irraggiungibile. A questo quadro non proprio positivo va ad aggiungersi il fatto che la Cina è alle prese con la deflazione, mentre la maggior parte dei paesi sviluppati si trova ancora a combattere contro livelli di inflazione eccessivi.