Analizziamo i mercati in vista delle imminenti elezioni americane. Guerre e tensioni geopolitiche sembrano non scalfire il trend di crescita, ma gli esiti incerti del confronto elettorale negli USA mettono paura.
Nonostante guerre e fortissime tensioni geopolitiche, i mercati fanno orecchio da mercante e sembrano poco inclini a considerare gli eventi come fattore di avversione al rischio. Ciò che guida adesso gli investitori di tutto il mondo, infatti, è la fiducia cieca sulla decrescita strutturale dell’inflazione – anche accettando livelli superiori alla soglia del 2% fissata dalle banche centrali – e la conseguente previsione di futuri guadagni sulla parte di portafoglio dedicata ai bond, nonchè l’elevata propensione al rischio sull’Equity dei settori tecnologi e finanziari, che insieme riescono a compensare la paura di una recessione. Quest’ultima, tuttavia, è ancora possibile e, per alcuni analisti tra i più autorevoli, anche probabile.
In Italia, le previsioni di crescita sono in calo ma migliorano debito e deficit. L’istituto Ref Ricerche, infatti, ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita del PIL italiano, stimando un incremento dello 0,8% per il 2024 e il 2025, e dell’1,1% per il 2026. Secondo Ref, l’orientamento restrittivo delle politiche di bilancio frenerà la domanda interna e rallenterà l’economia; tuttavia, sono attesi miglioramenti sul fronte del deficit, previsto al 3,6% nel 2025, e del debito, con un calo stimato al 138% del PIL nel 2024. Anche l’inflazione è in calo, con stime all’1,7% per il prossimo anno. Di questo scenario, naturalmente, beneficerebbero i BTP, soprattutto quelli con scadenze più lunghe, che negli ultimi anni (da Agosto 2021 ad Ottobre 2023) hanno sopportato minusvalenze a doppia cifra (e con il 2 davanti).
La BCE, invece, riserva sorprese sui tassi, poichè potrebbe attuare presto un maxi-taglio. I membri della Banca centrale europea, infatti, hanno accennato alla possibilità di un significativo taglio dei tassi di 50 punti base a dicembre. Mārtiņš Kazāks, governatore della Banca di Lettonia, si è unito al banchiere centrale portoghese Mario Centeno nel dire che tale taglio è “sul tavolo”, dato che l’inflazione continua a rallentare. La BCE ha già effettuato tagli consecutivi dei tassi, i primi in 13 anni, e i dati recenti mostrano che l’inflazione nell’eurozona è scesa all’1,7% a settembre, al di sotto dell’obiettivo del 2% della BCE per la prima volta dal 2021.
Fuori dall’Unione Europea (ma di poco), il Regno Unito annuncia un cambio delle norme fiscali. La ministra delle Finanze britannica Rachel Reeves ha annunciato modifiche significative alla normativa fiscale del Paese, con l’obiettivo di liberare miliardi di sterline per gli investimenti nel bilancio di Ottobre-Novembre. Il cambiamento, che potrebbe spostare l’attenzione dal debito netto del settore pubblico a una misura più ampia, riguardante le passività finanziarie nette del settore pubblico (PSNFL), è pensata per creare più spazio finanziario per gli investimenti senza tagliare la spesa del settore pubblico. La mossa arriva mentre il Primo ministro Keir Starmer avverte che si prospettano tempi duri, con il governo che si trova ad affrontare un sostanziale “buco nero” nelle finanze pubbliche.
Negli Stati Uniti, Tesla guida il rimbalzo delle “Magnifiche sette“, registrando un’impennata del 19% una settimana fa e portando i titoli tecnologici delle “Magnifiche sette” – come vengono chiamate le big tech, ovvero Apple, Microsoft, Alphabet (Google), Amazon, Nvidia, Tesla e Meta Platforms – ai massimi da tre mesi dopo che la società ha ottenuto forti utili e previsto una crescita delle vendite di auto fino al 30% per il prossimo anno. Nonostante le fluttuazioni del mercato, i risultati positivi degli utili di società come United Parcel Service, che ha registrato la prima crescita dei profitti in quasi due anni, hanno contribuito a compensare i cali di titoli come IBM e Boeing. I Treasury hanno registrato un leggero rimbalzo, con i rendimenti dei titoli di Stato decennali scesi al 4,20%, mentre gli investitori si preparano a una maggiore volatilità in vista delle elezioni USA.
Nel frattempo, calano le richieste di disoccupazione, che sono scese di 15.000 unità (arrivando a 227.000 la scorsa settimana) e adesso segnalano una ripresa dalle perturbazioni causate dagli uragani Helene e Milton. Questo ritorno ai livelli precedenti all’uragano suggerisce che l’impatto economico delle tempeste potrebbe essere meno grave di quanto inizialmente temuto. Tuttavia, i rinnovi delle richieste di sussidio, un indicatore della disoccupazione in corso, sono aumentati a quasi 1,9 milioni, il valore più alto degli ultimi tre anni, riflettendo in parte gli effetti delle tempeste e del prolungato sciopero di Boeing, che ha dato origine a congedi forzati nella sua catena di fornitura.
Relativamente agli accadimenti post-elettorali, esiste negli operatori il timore che le politiche di Trump possano alimentare l’inflazione. Infatti, i trader si preparano a un possibile ritorno di Donald Trump, con il timore che le sue politiche possano peggiorare la crisi del costo della vita. Di conseguenza, i mercati delle scommesse e i rendimenti obbligazionari suggeriscono che Trump potrebbe varare misure inflazionistiche, quali forti dazi sulle importazioni e un giro di vite sull’immigrazione, misure che potrebbero entrambe far salire i prezzi. I costi dei prestiti, compresi i tassi sui mutui, stanno già aumentando con l’aumentare delle probabilità di una vittoria di Trump, con il tasso sui mutui a 30 anni che ha raggiunto il 7,09%. Nonostante gli alleati di Trump sostengano che le sue politiche non danneggeranno l’economia, i mercati indicano il contrario.
Fortunatamente, la recente ondata di vendite di Treasury statunitensi si è attenuata giovedì, con rendimenti che restano vicini ai massimi livelli da luglio. Questa settimana il rendimento a 10 anni ha toccato brevemente il 4,26%, spinto da dati economici statunitensi solidi, tra cui un calo delle richieste di sussidi di disoccupazione e risultati migliori del previsto per l’indice PMI e le vendite di abitazioni. La resilienza dell’economia, unita ai timori di politiche che aumenterebbero il deficit qualora Donald Trump vincesse le prossime elezioni, mantiene la pressione sui mercati obbligazionari. Sebbene le aspettative di tagli dei tassi da parte della Federal Reserve si siano ridimensionate, i mercati monetari prevedono comunque un taglio di 25 punti base per novembre e un allentamento di 135 punti base entro la fine del 2025.
Noncurante di tutto, l’oro sale sulla scorta delle tensioni geopolitiche e sul conseguente aumento della domanda di beni rifugio. I prezzi dell’oro hanno sfiorato i massimi storici una settimana fa, salendo dell’1% a 2.732,39 dollari l’oncia, trainate dalla domanda degli investitori in un contesto di incertezza geopolitica. Questa impennata, sostenuta dalle preoccupazioni per l’inflazione e dal disagio politico in vista delle elezioni americane, ha già fatto salire l’oro di oltre il 33% quest’anno. Nel frattempo, il palladio è balzato dell’8%, raggiungendo il livello più alto da dicembre del 2023, per via dei timori di turbolenze nelle forniture.