Ottobre 6, 2024
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Sales Summit, i venditori fanno rete. Silvio Cardinali: fattore umano insostituibile nel B2B

Tra qualche giorno il Mug di Bologna ospiterà la prima edizione del Sales Summit, evento unico in cui i migliori venditori mettono in rete le competenze. Intervista al prof. Silvio Cardinali.

Tra qualche giorno, non appena sarà cessata l’allerta meteo per domani 19 settembre (data inizialmente prevista per l’inizio dell’evento e sospesa per motivi di sicurezza) Bologna ospiterà la prima edizione del Sales Summit (Mug – Magazzini Generativi, Via Emilia Levante, 9/F), un evento dedicato al confronto tra i professionisti della vendita che vogliono elevare le proprie competenze, scoprire nuove strategie di vendita e ampliare la propria rete di contatti. Il Summit è stato realizzato grazie alla collaborazione di SaleScience, Cdo Sales Community Lab e AAAgents, che corona un percorso iniziato nel Forum Commerciale (nato nel 2010 all’interno della Compagnia delle Opere) e che segna un decennio di crescita e innovazione per una solida community di imprenditori locali e nazionali che ha diffuso conoscenza e competenze nel settore vendite, ponendo le basi per il primo Sales Summit di quest’anno.

L’evento si concentrerà su due temi cruciali per il settore vendite: da una parte l’innovazione di processi e tecnologie, dall’altra il benessere in azienda dei dipendenti. I biglietti sono già in vendita sul sito salesummit.net, dove è possibile vedere il programma completo dell’evento, che può essere seguito anche in streaming. Ne abbiamo parlato con Silvio Cardinali, Professore Associato in Marketing e Sales Management presso la Facoltà di Economia “Giorgio Fuà” dell’Università Politecnica delle Marche, nonché ispiratore del Summit e relatore.

Professore, dal 2020 ad oggi i processi di vendita hanno vissuto una vera e propria rivoluzione grazie ad una tecnologia delle informazioni sempre più accessibile a chi sovrintendente alle decisioni di spesa (capofamiglia, responsabile acquisti nelle aziende etc). Acquirenti più preparati determinano venditori più competenti e, di conseguenza, strategie commerciali in continua evoluzione: che risposta hanno dato le reti di vendita in termini di adattamento al cambiamento?
Solo negli ultimi anni, con l’affermarsi di nuovi modelli di acquisto e con l’evoluzione digitale, si è attivato un profondo processo di trasformazione che molti hanno definito Sales Transformation. Per le reti, che per quasi tutto il 900 erano state gestite allo stesso modo, è stato un salto notevole e per molti anche uno shock. Ma questa evoluzione ha spinto a ripensare i modelli con cui venivano e vengono gestite le attività commerciali e le reti di vendita. E così, la divisione commerciale si evolve da una funzione operativa – fai quello che ti viene detto – a strategica, in cui i “commerciali” danno il proprio contributo, non solo operativo, al percorso strategico di un’impresa. Inoltre, si passa da una divisione isolata, quella dei “commerciali esterni”, ad una fortemente integrata con produzione, magazzino e soprattutto con la funzione marketing. Ancora, cresce il ruolo di “intelligence” della funzione commerciale, e ciò significa considerare la conoscenza del mercato che proviene dalle vendite come una risorsa competitiva “in entrata”, in grado cioè di raccogliere costantemente informazioni dal mercato. 

Che peso ha avuto e avrà la trasformazione digitale?
la trasformazione digitale non è solo guidata dalle innovazioni tecnologiche (come l’intelligenza artificiale), ma anche da un nuovo buyer digitalmente evoluto che spinge, da un lato, ad una revisione delle modalità di contatto verso una prospettiva multicanale e, dell’altro, ad una modifica delle sales operation, delegando le attività operative e ripetitive a “macchine” e quelle a valore aggiunto ad una nuova generazione di professionisti delle vendite. Un esempio significativo è l’adozione sempre più diffusa di strumenti come il CRM (ndr: Customer Relationship Management, software e applicazioni che aiutano le aziende a gestire, analizzare e ottimizzare le interazioni con clienti e prospect), che consente di monitorare il ciclo di vendita, le diverse interazioni, ma soprattutto di comprendere e prevedere le esigenze degli acquirenti.

Come è cambiato l’approccio delle reti commerciali alla vendita? 
Un primo cambiamento è dal lato del recruiting, che oggi deve fare i conti con l’aumento della specializzazione dei profili commerciali, che adesso hanno identità professionali più diversificate, come ad esempio gli agenti on field, venditori inside, business developer, etc. Purtroppo, si tratta di profili che hanno diversi livelli di “scarsità” e pochi percorsi formativi in uscita. Inoltre, si soffre di una notevole “crisi di talenti”, figlia di una certa difficoltà ad attrarre le nuove generazioni verso la professione del venditore. Un altro importante cambiamento è relativo al rapporto con la tecnologia, una volta temuta da molti gestori di reti a causa dell’idea che “sostituirà me e i miei collaboratori e devo rifiutarla”. Invece, ora ci si rende conto che la tecnologia non è solo sostitutiva, ma soprattutto abilitante. Tuttavia, è necessario ricordare che il percorso verso la digitalizzazione non è né immediato né semplice. Secondo le stime di HBR del 2022, l’87% delle imprese aveva sperimentato un fallimento dei progetti di digital transformation. I casi di successo ci raccontano che la trasformazione va pianificata, che la tecnologia deve essere infusa nei processi (technology infusion) e non solo resa disponibile alla rete. La rete ne deve comprendere il valore nelle tasks quotidiane, deve migliorare la sua giornata lavorativa.

Quale sarà l’impatto dell’IA sulle strategie e sui processi di vendita, e soprattutto quali saranno, se ce ne sono, i limiti di applicazione dell’IA sulla attività del personale addetto alle vendite? 
In parte sarà, in parte è già stato, la maggior parte degli strumenti che utilizziamo quotidianamente sono integrati con l’IA. Dal lato dei manager, l’IA consentirà un maggior successo nelle strategie di vendita, offrendo la capacità di prevedere le esigenze future ma soprattutto un supporto decisionale critico per i manager e i responsabili di vendita, permettendo di prendere decisioni più informate e in tempo reale, basate su evidenze concrete ed aggiornate. Dal lato dei venditori, l’IA può potenziarli specialmente nei contesti in cui la relazione personale e la capacità di leggere le dinamiche umane sono fondamentali per il successo delle vendite.

Quali sono vantaggi e svantaggi dell’IA nella funzione di vendita?
L’aiuto dell’IA va in due grandi direzioni. La prima è quella che chiamiamo Automation: realizzare in maniera efficiente ed economica attività routinarie, dall’invio di una mail allo sviluppo di cadenze di contatto o alla gestione integrata dei vari touch point (mail, telefono, social ecc); la seconda è quella che chiamiamo Augmentation: attività tipica delle AI generativa come il supporto nella redazione di un testo commerciale, la predizione delle personalità di un cliente, fornendo i suggerimenti per un migliore contatto oppure stimare le intenzioni di acquisto per focalizzare l’attenzione sui clienti che realmente sono interessati (questi vengono chiamati dati di intento o INTENT DATA). Nonostante questi vantaggi, l’adozione dell’IA nei processi di vendita presenta alcuni limiti significativi, come le barriere legate ai costi di implementazione, la complessità tecnica per le piccole e medie imprese e la necessità di un cambiamento culturale all’interno dell’organizzazione, che spesso si scontra con resistenze da parte del personale, preoccupato per il potenziale impatto sull’occupazione e sulla natura del proprio ruolo. Inoltre va posta una particolare attenzione agli impatti ed ai risvolti di natura etica che – malgrado ci si stia lavorando anche a livello internazionale – è un tema ancora largamente inesplorato e non regolamentato.

Teme che il ricorso alla tecnologia possa determinare una riduzione notevole delle risorse umane nelle reti vendita? E se sì, in che misura? 
L’aspettativa è che IA sostituirà una parte importante delle tasks di un venditore, c’è chi parla di un 30%. Sostituirà pertanto quasi totalmente alcune attività che il personale commerciale non dovrà più fare perché quella sua task non crea più valore per il cliente, per l’impresa e magari non è più economicamente sostenibile. L’IA, infatti, può automatizzare una serie di attività ripetitive e operative, come l’inserimento dei dati e la gestione dei contatti, permettendo ai venditori di focalizzarsi su aspetti relazionali e strategici della vendita. La conseguenza sarà che dovrà fare altro – di solito attività a più alto valore cognitivo – e dovrà imparare ad interagire e saper gestire nuovi strumenti, in alternativa rischia di essere estromesso da nuove opportunità professionali. Infatti, la riduzione del personale sarà più evidente nelle vendite standardizzate, dove l’IA può sostituire parte dell’interazione umana, ad esempio, tramite chatbot nelle vendite online B2C. Tuttavia, nelle vendite complesse, come il B2B, la componente umana resta essenziale per creare fiducia e gestire trattative delicate. Quindi, piuttosto che eliminare i venditori, la tecnologia trasformerà le loro competenze, potenziandone il ruolo di consulenti strategici.

Che tipo di risultati si aspetta da questa edizione del Sales Summit di Bologna, sia sotto l’aspetto accademico che sotto il profilo di applicazione nelle attività produttive delle reti?
Il summit è una grande opportunità di confronto e mi aspetto un impatto verso due direzioni. Il primo è quello di incentivare l’interazione fra il mondo accademico (poco attivo in questo ambito commerciale) e le imprese, che invece manifestano esigenze emergenti in termini di stimoli per nuova conoscenza e nuovi modelli gestionali. Da questo punto di vista l’Università Politecnica delle Marche è fra le più riconosciute per l’attenzione e la rilevanza internazionale fin da quando alla fine degli anni ‘80 l’attuale rettore – prof. Gian Luca Gregori – ha attivato un filone di studi sull’argomento. Il secondo è relativo al tema, quello del benessere delle reti commerciali, che vorremmo inserire nell’agenda delle imprese italiane. Lo studio presentato da Salesience.it rappresenta il primo in Italia su questo ambito.

Grandi eredità italiane alla prova dello stile familiare: Berlusconi vs Del Vecchio

La divisione ereditaria di grandi patrimoni può far scoppiare una guerra tra gli eredi, come tra i figli di Del Vecchio, oppure rivelare l’utilità del compromesso, come nel caso degli eredi Berlusconi. 

“La ricchezza logora chi non ce l’ha”, direbbe oggi qualcuno che la sapeva lunga sul potere del denaro (e su quello fine a sé stesso); eppure, nonostante la pioggia di miliardi (di euro) caduta sui rampolli delle due grandi famiglie più patrimonializzate d’Italia – e tra le più ricche d’Europa – quell’aforisma sapientemente adattato per l’occasione sembra non valere affatto per ciò che riguarda le vicende ereditarie degli eredi di Leonardo Del Vecchio, ancora in eterna lotta a distanza di due anni abbondanti dalla morte del fondatore di Luxottica. Invece, per i figli di Silvio Berlusconi la ricchezza del capostipite non ha prodotto grossi attriti in sede ereditaria, e la fase della successione, a differenza dei Del Vecchio, si è chiusa abbastanza rapidamente e in serenità.

L’eredità Berlusconi è certamente un “caso di scuola” sul corretto utilizzo della normativa nello studio della pianificazione successoria e del conseguente carico fiscale. La cosa non sorprende affatto, poiché Silvio Berlusconi non ha mai nascosto la sua ostilità per le imposte di successione – che definiva “immorali” – e, pertanto, deve aver studiato a lungo come poter far sì che i suoi eredi fossero gravati dal minor carico impositivo possibile dopo la sua dipartita. Infatti, secondo i dati del Gc Wealth Project (progetto attuato in condivisione tra City University di New York e Università di Roma Tre), l’Italia ha una delle più basse percentuali di incasso da successioni in confronto alle entrate erariali: lo 0,11% nel 2019, contro lo 0,41% degli Usa, lo 0,50% della Germania e l’1,39% della Francia. Ciò è dovuto al sistema di imposte più generoso – a cui Berlusconi durante i suoi governi ha dato un contributo determinante – di tutta Europa, tanto che l’Italia è giustamente definita come il “paradiso fiscale delle successioni”, e per tale motivo riceve continue pressioni dai paesi c.d. “frugali” del Vecchio Continente, ossia quelli del Nord Europa.

Alla sua morte, il patrimonio di Silvio Berlusconi si attestava a circa 6,8 miliardi di dollari ed era in gran parte legato ai suoi investimenti in Fininvest, MediaForEurope, Mondadori, Banca Mediolanum, diverse società immobiliari, il teatro Manzoni di Milano e l’AC Monza, che milita in Serie A. Secondo le norme sulla successione, nel caso della famiglia Berlusconi i due terzi dell’eredità sono stati divisi in parti uguali tra i figli, mentre il restante terzo, ossia la quota disponibile, è stato attribuito in testamento a Marina e Pier Silvio Berlusconi, che così hanno ricevuto una quota ereditaria dal valore di circa 1,9 miliardi di dollari ciascuno (26,5%). Gli altri figli Barbara, Eleonora e Luigi, invece, detengono il 15,6% a testa. Tutti gli immobili che Berlusconi possedeva in Italia e all’estero al di fuori di Fininvest sono stati distribuiti in parti uguali tra i cinque figli.

Nonostante queste sensibili differenze di trattamento tra figli di “primo e secondo letto”, nessun attrito è stato registrato tra gli eredi, neanche quando si è trattato di confrontarsi con i legati testamentari lasciati da Silvio al fratello Paolo (100 milioni), a Marta Fascina (100 milioni) e a Marcello Dell’Utri (30 milioni). Al contrario, tutti i fratelli sono andati in modo spedito a chiudere la successione dei circa 6 miliardi di euro ricevuti sfruttando la legge italiana e chiedendo l’esenzione fiscale per il passaggio delle 4 holding cui fa capo il 61,2% di Fininvest con cui il Cavaliere controllava la società e il gruppo. Dal momento in cui le tasse di successione vanno calcolate in base al patrimonio netto di 458 milioni di euro (certificato dal notaio Mario Notari di Milano – 423 milioni le 4 holding e 35 milioni i beni immobili), l’esenzione fiscale ha consentito agli eredi di Berlusconi di pagare al fisco una somma inferiore ai 90.000 euro di imposta di registro, ossia circa 16.000 euro ad erede.

Questo è accaduto perché il Testo Unico sull’imposta di successione del 1990 prevede che i trasferimenti a favore dei discendenti e del coniuge di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni non sono soggetti all’imposta… a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni”. E così, i cinque fratelli Berlusconi si sono accordati a non cedere le quote della società, ossia “il grosso” dell’eredità, per i prossimi 5 anni. In teoria, se Piersilvio e Marina evitassero di cedere alla tentazione di entrare in politica, il patrimonio e le aziende del gruppo potrebbero sopravvivere per lungo tempo alla dipartita del fondatore; oppure, come sostengono i bene informati, è così forte il timore di una “vendetta postuma” di una certa parte della Politica verso la famiglia del Cavaliere, che l’ingresso in Politica è visto come un mezzo necessario per la sopravvivenza. Probabilmente la verità sta nel mezzo, con i due fratelli maggiori che potrebbero decidere di rimanere nell’ombra del partito fondato dal padre, per influenzare la vita politica evitando però gli eccessi per cui Berlusconi è stato odiato/amato dagli italiani.

In ogni caso, la famiglia Berlusconi è già avanti nei suoi programmi di sviluppo e, ad oggi, il valore delle partecipazioni aziendali degli eredi è anche aumentata sensibilmente. In casa Del Vecchio, invece, la successione non è ancora stata chiusa nonostante il lungo tempo trascorso dalla morte di Leonardo, il quale probabilmente aveva previsto tutto e con largo anticipo aveva nominato a vita i cinque amministratori di Delfin, la finanziaria di famiglia che possiede la maggioranza relativa di EssiLux e Covivio, oltre alle partecipazioni in Mediobanca, Generali e Unicredit (in tutto un patrimonio valutato circa 33 miliardi di dollari). Gli otto eredi, cui è toccato in sorte un patrimonio di circa 4 miliardi a testa, sono impegnati in una guerra intestina che rischia di distruggere quanto di buono aveva fatto il predecessore in circa 60 anni di attività ai massimi livelli imprenditoriali. In più, anche in seguito al clamore suscitato dalle tensioni tra eredi, il fisco francese ha avviato indagini sulla costellazione aziendale Del Vecchio, poiché ritiene che l’ultima residenza del fondatore non fosse Montecarlo ma Beaulieu-Sur-Mer, in Francia.

Quest’ultima “sfumatura” è di importanza fondamentale, perché nel principato di Monaco la tassa di successione per i parenti diretti è nulla, mentre in Francia può arrivare anche al 60%, e per gli eredi sarebbe una catastrofe capace di trascinare la holding EssiLux, a causa dell’importo elevatissimo delle imposte di successione, sotto il controllo francese. Infatti, oggi EssiLux è già un colosso italo-francese che vale 75 miliardi di euro, ma con il comando in Italia, e questo ai francesi, desiderosi di aggiungere anche la creatura di Del Vecchio tra i gioielli soffiati all’Italia, non piace affatto.

In definitiva, due stili familiari differenti tra gli eredi del Cavaliere e quelli di Del Vecchio. Unità di intenti da una parte, disaccordo dall’altra. Due stili familiari sviluppatisi all’interno delle rispettive mura domestiche per motivi che mai conosceremo, ma che nel caso dei figli di Del Vecchio possiamo individuare nelle notevoli differenze di età tra di loro (si va da un diciottenne ad un ultrasessantenne), che certamente non hanno favorito omogeneità di vedute e facilità di dialogo. Eppure, le pretese della Francia in merito alla questione della residenza effettiva del patron al momento della morte dovrebbero unire la famiglia in una unica battaglia comune. E’ logico pensare che anche all’interno della famiglia Berlusconi possano essersi verificati piccoli attriti e differenze di vedute tra gli eredi, ma tutto si è risolto rapidamente e soprattutto senza alcuna esposizione pubblica. Non è una differenza da poco.

Deloitte: il taglio dei tassi favorisce il Direct Credit per finanziare le transizioni green e digitale

In America del Nord e Gran Bretagna oltre il 70% del credito erogato alle imprese proviene da fondi di direct credit e solo il 22% rimane finanziato dalle banche. In Europa il rapporto di forza è rovesciato.

“La recente decisione della Bce di ridurre il Tasso Ufficiale di Sconto sembra indicare un ritorno alla “normalità” per il mercato del credito, che porterà a un maggiore accesso e un minor costo dei finanziamenti per le Pmi Italiane, con effetti positivi sulla crescita e sulla redditività. La transizione green e digitale delle imprese italiane non può essere finanziata solo dal settore pubblico o dal sistema bancario. Le risorse devono necessariamente passare anche dal risparmio privato e, in questo senso, il Direct credit rappresenta uno strumento finanziario fondamentale oltre che un’opportunità di crescita per imprese, investitori e banche”. Lo ha affermato Claudio Scardovi, Senior Partner e Private Equity Leader di Deloitte Italia, nel corso dell’evento “Direct Credit, un’opportunità per il Paese”, che si è tenuto lo scorso 19 giugno presso la sede di Deloitte di Milano.

“Della crescita del Direct Lending in Italia beneficerebbe in larga parte lo stesso settore bancario, che si sta riorientando sempre di più verso l’asset e wealth management, con progressiva diversificazione delle fonti di reddito e dei rischi patrimoniali assunti, con una minore dipendenza del valore economico creato dal Tasso Ufficiale di Sconto, destinato a scendere. Le banche Italiane, negli ultimi due anni, hanno largamente beneficiato della crescita dei tassi, soprattutto in termini di dividendi record e redditività. Le banche italiane potranno supportare lo sviluppo del direct credit, sia raccogliendo risparmi privati da investire sia lavorando in partnership con i fondi mid-market già attivi in questo settore attraverso attività di origination e co-finanziamento sui propri clienti», continua Scardovi (nella foto).

Il Direct Credit è uno strumento ancora poco conosciuto e utilizzato in Italia. Infatti, mentre in America del Nord (USA e Canada) e Gran Bretagna oltre il 70% del credito erogato alle imprese proviene da financial sponsor tra cui i fondi di direct credit, con la quota rimanente finanziata dal sistema bancario, il rapporto di forza appare rovesciato in Europa: in Francia il credito bancario è al 55% del totale, in Italia al 47% e in Germania al 37%, rispetto al 22% per gli Stati Uniti. I volumi di credito diretto non bancario – il cosiddetto shadow banking – sono molto rilevanti a livello globale e caratterizzati da elevata crescita. Il 58% di questo stock è però concentrato in America del Nord, con un capitale disponibile per finanziamenti di direct lending che ammonta a 182 miliardi di dollari a livello globale, per AUM complessivi pari a 546 miliardi.

Il direct credit è caratterizzato da durate medie ponderate dei prestiti più lunghe (oltre 5 anni la durata media negli Stati Uniti, oltre i 6 anni in Italia), a fronte di un costo medio competitivo rispetto a quello bancario (6,8% nel 2023, secondo Aifi). Guardando alle attività di investimento, la quota italiana di private debt risulta pari ad appena 2,9 miliardi di euro nel 2023, registrando, secondo Aifi, un calo del 12% rispetto al 2022, con oltre i due terzi dell’erogato concesso a grandi imprese. Il numero di operazioni è sceso del 37%, passando da 262 a 164, coinvolgendo 109 società. Di queste, il 55% sono stati finanziamenti, il 38% obbligazioni e il 7% di strumenti ibridi. Peraltro, oltre il 30% dei mini-bond è sottoscritto dalle stesse banche, con limitato uso di basket bond (portafoglio di mini-bond diversificato). Parallelamente, la raccolta degli operatori di private debt attivi in Italia è aumentata nel 2023 del 14%, raggiungendo 1.141 milioni di euro. La raccolta indipendente, che rappresenta il 96% del totale, proviene principalmente dal settore pubblico e dai fondi di fondi istituzionali (46%), seguita dalle banche (19%) e dai fondi pensione e casse di previdenza (16%).

«Considerando il vasto universo di oltre 10.000 aziende in Italia con un fatturato tra i 30 e i 100 milioni di euro, risulta evidente il notevole potenziale di crescita del mercato del private debt, che può essere colto sviluppando maggiormente la raccolta da investitori istituzionali, auspicabilmente supportandola con benefici fiscali. Ciò consentirebbe di aumentare la penetrazione del prodotto tra le piccole e medie imprese italiane e ridurrebbe la dipendenza dal settore bancario per finanziare progetti di crescita organica (principalmente investimenti) o per vie esterne (e.g. M&A)», commenta Luigi Cutugno, Partner Corporate Finance e Debt & Capital Advisory Leader di Deloitte Italia.

Alta Formazione CUOA: il ruolo del Finance nelle scelte strategiche in azienda

Un evento pensato per CFO, imprenditori, amministratori delegati, direttori generali, consulenti di direzione, professionisti, direttori corporate di banche, SGR e fondi di investimento.

Dalle analisi predittive alla trasformazione digitale fino alla crescita con M&A e al ruolo del CFO come advisor ed acceleratore di processi. Sono queste le tematiche al centro del Finance Day CUOA di quest’anno, che si svolgerà mercoledì 26 giugno dalle 14.00 alle 18.30 presso Villa Valmarana Morosini, sede della business school. 

Obiettivo dell’iniziativa, nata nel 2020 con una serie di appuntamenti online, è fornire ai professionisti insights sugli scenari e sui trend evolutivi del settore dando la parola a speaker qualificati che possano condividere la loro esperienza e il loro punto di vista.

L’approfondimento inizierà alle 14:00 con i saluti di Giuseppe Caldiera (nella foto), direttore generale di CUOA, e Francesco Gatto, responsabile del centro di competenza finance della business school. Prenderà poi la parola Marcello Mattiussi, Partner KPMG Advisory, per presentare la relazione “Overview e trend dell’Area Finance: le principali evidenze a livello nazionale e internazionale”. Il pomeriggio continuerà con tre tavole rotonde, ciascuna delle quali prenderà avvio con una breve instant survey rispetto ai temi oggetto di discussione. La prima si intitola “Scenari, analisi predittive, accesso al credito: l’importanza della capacità di pianificazione per orientare le scelte strategiche, gestire le scelte di struttura finanziaria, l’accesso al credito e al sistema finanziario”. La seconda avrà come tema “Il ruolo del Finance nella trasformazione digitale dell’azienda: orientare e guidare processi di cambiamento tecnologico coniugando finanza, tecnologia e strategia”. La terza ed ultima prenderà in esame lo sviluppo dimensionale e la crescita per linee esterne. 

Commenta Francesco Gatto (nella foto), Responsabile dell’Area Finance CUOA: “Nel contesto economico attuale, caratterizzato da una crescente incertezza e da rapidi cambiamenti, il ruolo del CFO è in continua evoluzione. Nel Finance Day abbiamo deciso di porre l’attenzione su alcune sfide cruciali del Finance da qui ai prossimi anni. Impostare e implementare analisi predittive, valutare futuri possibili scenari preparando l’azienda a ciascuno di essi, sfruttare le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, capire come utilizzare al meglio le risorse dell’intelligenza artificiale, ragionare sulla necessità della crescita e di come avviare percorsi di sviluppo attraverso acquisizione sono tutte indubbiamente capacità e competenze richieste ad un CFO “moderno”.

L’evento è pensato per CFO, imprenditori, amministratori delegati, direttori generali di aziende, consulenti di direzione, professionisti (Commercialisti, Avvocati), esponenti delle Direzione Corporate di banche, SGR e fondi di investimento.

Per informazioni:  
https://www.cuoa.it/ita/formazione/corsi-executive/finance-day-2024-le-sfide-del-finance-per-orientare-le-scelte-strategiche#:~:text=Il%20FINANCE%20DAY%202024%20rappresenta,per%20le%20sorti%20dell’azienda.

Logistica, ecco le 6 sfide che attendono il settore nel 2024

Nella Logistica 1,7 miliardi d’investimenti messi in campo solo nel 2023. Tante le sfide che attendono il settore: genuinità dei contratti di appalto, carenza di personale ed esplosione dell’e-commerce.

In crescita il comparto della Logistica in Europa, ma i numeri in crescita non devono però far dimenticare i punti deboli di un settore che nel 2023 ha registrato circa 1,7 miliardi di euro di capitali investiti, 40% in meno rispetto al 2022.

Le stime più recenti dicono che il mercato del trasporto merci e della logistica in Europa possa chiudere il 2024 con un fatturato poco superiore ai 1000 miliardi di dollari, per poi superare i 1200 miliardi nel 2029 con un tasso composito di crescita annuale nei 5 anni pari al +4,11%. Secondo il report di Mordorintelligence.com, il mercato europeo dei trasporti e della logistica è dominato da paesi come Germania, Francia, Italia, Spagna e Regno Unito. Il governo tedesco ha recentemente allocato un fondo di 530 milioni di euro (578 milioni di dollari) per migliorare i ponti lungo la rete. Le tariffe di trasporto hanno anche registrato un aumento in Europa a causa dell’inflazione, della debolezza della domanda e della guerra in Ucraina.

Oggi la logistica si trova a giocare un ruolo chiave per l’economia e le persone, come confermato dalle molte notizie che circolano sulla stampa, ma non sempre ciò avviene tramite l’utilizzo di strumenti e prassi genuine nell’ambito di filiere produttive sempre più lunghe per via del ricorso a esternalizzazioni. Recentemente, infatti, si è parlato di frodi fiscali con mancato versamento di contributi e mancato pagamento dell’Iva nei cosiddetti pseudo-appalti, lavoratori assunti ma costretti a rinunciare al trattamento di fine rapporto o ad una corretta retribuzione. Non mancano poi le indagini sul caporalato, sulle catene di fornitura e subfornitura che nascondono casi di somministrazione di manodopera irregolare. Le criticità da affrontare sono tante e non risolverle rischia di attirare sempre meno investitori.

Da inizio marzo 2024, il Governo ha messo in campo un’ulteriore stretta inasprendo le sanzioni penali per la somministrazione illecita di manodopera (d.l. n. 19 del 2 marzo 2024). L’intento è quello di garantire maggiore protezione ai lavoratori e una concorrenza leale tra le imprese. La somministrazione di manodopera se effettuata da parte di soggetti non autorizzati, come ad esempio con pseudo-appalti o distacchi fittizi, è punita con l’arresto fino a un mese o in alternativa con un’ammenda di 60 euro per ogni lavoratore e per ogni giornata di lavoro. Sanzione che riguarda tanto il somministratore non autorizzato quanto l’utilizzatore.

Per contrastare questa problematica in campo internazionale, sono nate alcune piattaforme che promuovono lo sviluppo sostenibile dell’intera filiera in ottica ambientale, sociale e di governance. TIAKI Logistics, nata grazie alla partnership con EETRA srl SB e all’impulso di Assologistica, è una delle più importanti, ed oggi beneficia degli studi e ricerche ADAPT, che promuove già da alcuni anni studi e ricerche nell’ambito delle relazioni industriali e di lavoro. In questo modo, sarà possibile per l’utenza godere della esperienza pluriennale nell’ambito dei servizi d’assistenza progettuale ad aziende, professionisti, sindacalisti e operatori delle relazioni industriali, per orientarsi nelle complesse questioni giuridiche connesse alla gestione quotidiana dei rapporti di lavoro e dei contratti di appalto e subappalto.

In particolare, questa collaborazione intende offrire alle aziende interessate una prima valutazione sulla genuinità dei propri appalti al fine di fare chiarezza e dare maggiori certezze ai contratti stipulati. Tramite un servizio di valutazione dedicato (tiakilogistics.com) le aziende potranno comprendere il livello di rischio al quale si espongono nell’ambito delle filiere di esternalizzazione attuate ottenendo altresì indicazioni e suggerimenti su come migliorare i propri contratti di appalto e subappalto. “Sebbene il settore della logistica abbia compiuto progressi significativi nelle soluzioni di efficientamento energetico e diminuzione dell’impatto ambientale, ci sono ancora molte sfide da affrontare per quanto riguarda i parametri sociali – dichiara Martina Castoldi, cofondatrice di Tiaki Logistics – Diritti dei lavoratori, condizioni contrattuali, salute e sicurezza, equità nell’accesso ai servizi: sono questi i temi dove c’è ancora molta strada da percorrere. La nostra collaborazione con ADAPT vuole dare un segnale in questo senso e fornire uno strumento facile e digitale per implementare la regolarità e il benessere sociale”.

Ecco quindi, nel dettaglio, le 6 sfide che il settore della logistica dovrà affrontare in questo 2024:
Rispetto dei parametri ESG: dalla sostenibilità, con le aziende impegnate a ridurre l’impatto ambientale, alla legalità fatta di contratti e appalti in regola. Rispettare i parametri ESG può aiutare ad attirare investimenti.
Rispetto delle genuinità delle esternalizzazioni: dalla gestione di contratti di appalto e subappalto genuini, al rispetto della normativa antinfortunistica, fino al controllo dei corretti adempimenti da parte di appaltatori e subappaltatori verso i lavoratori impiegati nell’appalto.
Carenza di manodopera: l’assenza di autisti è solo una delle mancanze. Il personale ha bisogno della giusta formazione. Le aziende devono investire nella formazione e nello sviluppo delle competenze del personale per attirare e trattenere i migliori talenti.
Innovazione e Tecnologia: la logistica non è certo esclusa dalla diffusione dell’intelligenza artificiale che può diventare fondamentale nella pianificazione e nella gestione delle scorte. Ma ciò deve essere fatto nel rispetto della normativa di riferimento e coniugando tale esigenza di sviluppo con la genuinità di eventuali appalti e subappalti.
Boom dell’E-commerce: le consegne a domicilio aumentano sempre di più, creando sfide per la logistica dell’ultimo miglio. Di conseguenza aumentano anche i resi, da gestire sopportandone il costo e l’impatto ambientale.
Sicurezza Informatica: la logistica è un settore bersaglio per gli attacchi informatici. Le aziende devono investire nella sicurezza informatica per proteggere i loro dati e sistemi.

Al via Education Week, i webinar gratuiti di 24ORE Business School

Alla terza edizione il ciclo di eventi formativi gratuiti promosso da 24ORE Business School. Quaranta appuntamenti per fare cultura su temi di attualità e scoprire nuove prospettive di lavoro.

Dallo scorso 9 Aprile e fino al 22 Aprile 2024 è tornato l’atteso appuntamento con l’Education Week, il ricco ciclo di eventi culturali e formativi gratuiti promosso per il terzo anno consecutivo da 24ORE Business School. In programma oltre 40 appuntamenti, fruibili da tutti gli interessati in live-streaming o in presenza presso le sedi di Milano e di Roma, dedicati a temi e materie di grande attualità, approfonditi da docenti, esperti del settore e testimonial d’eccezione. Durante l’Education Week, sessioni interattive permetteranno di esplorare un’ampia gamma di argomenti tra cui innovazione, project management, sport, sostenibilità, logistica, digital marketing, ma anche geopolitica, finanza, fino al personal branding.

“Da 30 anni la mission di 24ORE Business School è fornire a giovani laureati e professionisti le competenze necessarie per affrontare le sfide del mondo del lavoro, eccellere e trasformare i propri sogni in successi duraturi”, afferma Valerio Momoni (nella foto), AD di 24ORE Business School. “Con l’Education Week vogliamo offrire un momento culturale unico che permetta di scoprire nuove prospettive di lavoro, con uno sguardo fortemente rivolto alle professioni del futuro”. Un’occasione, dunque, per arricchire le competenze individuali stando al passo con le ultime tendenze, ma, come spiega Momoni, “anche un modo per restituire cultura alla società, offrendo gratuitamente l’accesso a informazioni preziose e aggiornate”. 

Tra i relatori di spicco che interverranno all’Education Week, l’Ambasciatore Stefano Pontecorvo, Mauro Bonati di Yakult Italia, Stefano Branca di Culligan International, Simona Vargas di Telepass, Carlo Diego D’Andrea dell’European Chamber of Commerce in China, Massimiliano De Blasi di Publicis Sapient, Dario Castiglia (nella foto) di RE/MAX, Dario Gargiulo di Bottega Veneta Greater China e molti altri esperti di rilevanza. Professionisti che condivideranno le loro conoscenze ed esperienze, offrendo un’opportunità unica di apprendimento e di connessione con i principali attori del mondo del business.

Oltre ai webinar con i manager d’azienda e i testimonial d’eccezione, il calendario dell’Education Week comprende esclusive open lesson che rientrano nel piano formativo di alcuni dei principali Master della Business School che per l’occasione saranno aperte al pubblico. Tra le novità, anche la presentazione in anteprima di tre libri di manualistica, dedicati a temi “caldi” come il digital marketing, logistica e supply chain e l’utilizzo di LinkedIn, il social network professionale per eccellenza. Ad inaugurare l’Education Week  è stato l’evento “Leadership: Visione, passione, entusiasmo e sviluppo dell’altro”, durante il quale è stata effettuata una approfondita esplorazione del significato della parola “leadership” attraverso le testimonianze di top manager chiamati a motivare e sviluppare il potenziale dei leader di oggi e di domani.

DATA EVENTO: Dal 9 al 22 aprile 2024
PROGRAMMA: https://www.24orebs.com/lp/education-week-aprile-2024
PER INFORMAZIONI: adriana.anceschi@24orebs.com
VIDEO: https://youtu.be/nVVFGEliNvA

Healthcare, il mercato mondiale dei servizi di consulenza sanitaria decolla grazie al digitale

Un recente rapporto spiega come la digitalizzazione contribuisca a spingere in modo significativo la crescita del mercato dei servizi di consulenza in ambito healthcare.

Vola il mercato globale dei servizi di consulenza in ambito sanitario: secondo il rapporto stilato dal The Business Research Center, il settore nel 2024 supererà i 28 miliardi di dollari di valore – dai 25 miliardi di valore del 2023 – per arrivare poi a sfiorare entro il 2028 i 50 miliardi di dollari, con un tasso di crescita annuale aggregato del 13,9%. Tra le regioni è il Nord America l’area guida, a livello mondiale, del mercato dei servizi di consulenza sanitaria mentre le stime vedono nell’Asia-Pacifico la regione più promettente in termini di crescita nel periodo di previsione oggetto dell’indagine di mercato (2024-2033).

La forza trainante dietro questa ondata di crescita è rappresentata, in primis, dall’impatto della digitalizzazione sui servizi di consulenza sanitaria. L’impiego e l’utilizzo del digitale e delle sue applicazioni, infatti, è in grado di trasformare i modelli di business, contribuendo a generare valore e favorendo la scoperta di preziose informazioni sulla gestione e il monitoraggio delle patologie. Ciò ha applicazioni dirette anche sulla rapida espansione del mercato globale dei programmi di supporto al paziente (PSP) che, secondo quanto riportato da un’analisi svolta da Insight Ace Analytic, raggiungerà i 64,36 miliardi di dollari di valore entro il 2031 con un tasso annuo di crescita del +16,62%. I PSP sono molto richiesti all’interno dell’industria farmaceutica in quanto l’assistenza sanitaria è sempre più incentrata sul paziente che ora non vuole più solo farmaci ma anche ricevere informazioni, supporto, risorse e strumenti per poter gestire efficacemente i problemi di salute. Questi strumenti sono molto utilizzati nel trattamento di malattie croniche come il diabete, il cancro e i disturbi autoimmuni, in quanto possono migliorare l’aderenza terapeutica dei pazienti, i risultati complessivi in termini di salute e l’esperienza sanitaria, diventando così sempre più una parte importante della moderna assistenza sanitaria.

Un trend, quello dell’espansione del mercato dei programmi di supporto al paziente, che sta guidando il mercato dei servizi di consulenza sanitaria anche in Italia, come confermato anche dal parere degli esperti. “La centralità del paziente è uno degli obiettivi principali che dovrebbe perseguire il nostro Servizio Sanitario Nazionale, perché ciascun soggetto è portatore di una propria complessità e necessita di risposte specifiche lungo il percorso di cura e assistenza sanitaria – spiega Davide Lucano (nella foto), amministratore delegato di OPT Spa (optsalute.it), società di consulenza e formazione che, dal 1994, opera all’interno del sistema sanità italiano per promuovere lo sviluppo di progetti ad alto valore aggiunto. Uno dei primi passi in questo senso è quello di garantire una presa in carico multidisciplinare che abbatta gli steccati tra le varie discipline, attuando un cambiamento organizzativo nei modelli di cura. È necessaria poi anche una rivoluzione culturale, con medici, infermieri e operatori sanitari che devono ribaltare il loro punto di vista, imparando a utilizzare le tecnologie digitali a sostegno della cura clinica. Solo così avremo persone in grado di sfruttare al massimo le potenzialità offerte dalle apparecchiature digitali in ambito sanitario e che siano davvero orientati al soddisfacimento della patient experience”.

In Europa è la Germania il principale mercato europeo dei servizi di consulenza sanitaria, che arriverà a toccare i 4 miliardi di dollari di valore entro il 2030 con un tasso di crescita annuale del 10,6%, di poco inferiore a quello fatto registrare da Regno Unito (10,9%) e Francia (12,7%) nel medesimo periodo. In Italia, invece, il settore della consulenza in ambito sanitario non ha ancora espresso le sue piene potenzialità e ha degli importanti margini di miglioramento. Anche in Italia, infatti, si prevede che nei prossimi anni la frequenza dei tumori e delle malattie croniche aumenterà, e si registra un costante aumento della popolazione anziana. Per questi motivi è probabile un aumento della digitalizzazione nelle soluzioni di information technology sanitarie e un aumento della spesa pubblica e del settore privato in questo tipo di infrastrutture, al fine di favorire nei grandi ospedali le reti sanitarie integrate e migliorare il coordinamento dell’assistenza al paziente.

L’espansione del mercato dei servizi di consulenza sanitaria, per via delle notevoli implicazioni a livello informatico, aumenta le preoccupazioni sulla privacy dei dati dei pazienti. Sincronizzare l’infrastruttura IT dei grandi ospedali, infatti, è un compito molto difficile per gli specialisti, e ciò rappresenta un ostacolo significativo all’espansione del mercato, dal momento che tutti i vecchi sistemi devono essere modificati quando vengono utilizzati con sistemi incompatibili. Inoltre, la carenza di professionisti IT qualificati nel settore sanitario potrebbe rappresentare un ulteriore barriera allo sviluppo dei servizi di consulenza sanitaria, soprattutto nei paesi a basso reddito e in via di sviluppo, che non hanno accesso all’assistenza sanitaria di base. I questi paesi, tuttavia, l’impennata dei progressi tecnologici nel campo degli smartphone e della connettività Internet accelereranno la crescita del mercato nei prossimi anni e creeranno un’attività redditizia.

 

24ORE Business School: consegnato il diploma a 816 studenti dei master

Battiston (EssilorLuxottica): “il Master della 24ORE Business School è stato determinante per la mia crescita professionale”. Circa il 90% dei diplomati della Scuola ha già fatto il suo ingresso nel mondo del lavoro a soli due mesi dalla fine del Master.

Tutto esaurito nell’Anfiteatro di via Monte Rosa a Milano per la consegna dei Diplomi 2024 di 24ORE Business School, la prima scuola italiana di alta formazione che da 30 anni punta a costruire un legame sempre più stretto e diretto fra i talenti e le migliori imprese del nostro Paese. Quest’anno la Master’s Graduation Ceremony, che segna idealmente il passaggio dal mondo formativo a quello del lavoro, ha visto protagonisti 816 studenti provenienti da ogni parte d’Italia.

Evidenziando che circa il 90% dei diplomati della Scuola ha già fatto il suo ingresso nel mondo del lavoro a soli due mesi dalla fine del Master, Valerio Momoni (nella foto), CEO di 24ORE Business School, ha sottolineato come “l’alta formazione e l’apprendimento continuo rivestano un ruolo sempre più cruciale in un mondo del lavoro in profonda evoluzione, dove percorsi di studio mirati rappresentano un driver fondamentale per svolgere la professione dei sogni”.

Ospite d’onore della serata Matteo Battiston, Chief Design Officer di EssilorLuxottica, che ai microfoni di SkySport (giornalista Cristiana Buonamano) ha raccontato come il Master frequentato alla 24ORE Business School sia stato determinante nel suo percorso di crescita professionale. 

Matteo Battiston

24ORE Business School, che fa parte del gruppo Digit’Ed, è la prima business school italiana che da trent’anni opera nel mercato dell’education e della formazione manageriale, con corsi di specializzazione e Master in tutte le aree più richieste dal mondo del lavoro e per tutte le funzioni aziendali. Si rivolge a giovani diplomati che cercano opportunità di carriera in ambiti dinamici e altamente competitivi; neolaureati che vogliono velocizzare l’ingresso nel mondo del lavoro e affrontare sfide complesse; professionisti che intendono accelerare la propria carriera o sviluppare nuove competenze per progredire nel proprio percorso professionale; imprenditori che ambiscono a migliorare le capacità di gestione aziendale.

La business school, di matrice professionale con finalità fortemente collegate al mondo del lavoro, assicura una formazione completa, grazie a una faculty unica composta da docenti, manager d’azienda, consulenti, giornalisti, con esperienza diretta dei diversi mercati. I percorsi in aula, contraddistinti da un approccio pragmatico, orientato al business, uniscono alla teoria delle nozioni la pratica del mondo delle aziende. Completa l’offerta un’ampia scelta di corsi fruibili online e un fitto calendario di eventi, incontri verticali e meeting di rilievo internazionale che permettono agli studenti di entrare in contatto con i player più rilevanti dei settori dell’impresa, della finanza, della tecnologia e delle istituzioni.

PMI, frena l’ottimismo sulla crescita economica. Grant Thornton: ripensare i modelli organizzativi

Secondo Grant Thornton, l’incertezza economica è il principale vincolo alla crescita delle PMI globali. Nonostante questo, il 60% delle imprese del mid-market si aspetta un aumento della redditività.

Secondo l’ultimo International Business Report (IBR) di Grant Thornton, elaborato a livello globale sui dirigenti di oltre 2.500 imprese del mid-market, nel secondo semestre del 2023 si assiste ad un calo dell’ottimismo da parte delle aziende globali, dal 67% al 65% (-2% rispetto al primo semestre 2023), con un decremento più netto in Europa, dove l’indice di fiducia economica si abbassa dal 56% al 51% (-5%), e in Italia, in discesa dal 46% al 43% (-3%). A destare preoccupazione sono le prospettive economiche incerte a causa delle tensioni geopolitiche e delle condizioni finanziarie restrittive per famiglie e imprese.

E così, nonostante il leggero calo (-1% rispetto al 1° semestre 2023), l’incertezza economica rimane ancora il vincolo più frequentemente riportato a livello globale (57%), in Europa (47% vs 49%) e in Italia, dove il dato resta stabile al 55%. A seguire, i principali ostacoli alla crescita vengono individuati nei costi del lavoro (51%) e dell’energia (52%) e dalla disponibilità di forza lavoro qualificata (50%), sebbene tutti i dati mostrino un evidente miglioramento che, seppur in modo marginale, riflette la minore preoccupazione delle aziende rispetto al semestre precedente. A questo quadro di incertezza si contrappone un numero significativo di aziende che si aspetta un aumento della redditività (in crescita dal 59% al 60%) per il prossimo anno, attribuibile principalmente al fatto che l’inflazione è stata messa sotto controllo. Una tendenza contraria mostra l’indice in Europa in lieve discesa, dal 45% al 42%, così come in Italia, dal 43% al 42%.

Il miglioramento atteso sulla profittabilità è ulteriormente rafforzato dal fatto che un numero inferiore di aziende (nel mondo dal 55% al 50%; in Europa dal 50% al 47%; in Italia dal 45% al 34%) prevede di aumentare i prezzi di vendita nei prossimi dodici mesi. Tuttavia, ad una crescita attesa della redditività si accompagna una contrazione del numero di aziende che prevede un aumento dei ricavi per il prossimo anno, che scende dal 60% al 59%. L’indice è in leggero peggioramento anche in Italia, passando dal 56% al 54% e in Europa, dove scende al 53% dal 54%.

Nonostante più della metà delle aziende globali preveda un aumento della redditività, il segmento del mid-market si mostra nel complesso in difficoltà, trovandosi a fronteggiare le molteplici sfide poste dall’economia globale. Questa incertezza trova riscontro anche nell’esiguo aumento (+1%) del numero di imprese che prevede di assumere personale nel corso di quest’anno, che passa dal 50% al 51%. In Europa le aspettative di assunzione calano dal 41% al 39%, ma il pessimismo è più marcato in Italia, con una diminuzione di ben 10 punti percentuali (dal 43% al 33%). Resta stabile invece (83%) il numero delle aziende che prevede un possibile aumento dei salari, mentre le imprese italiane si mostrano più fiduciose (in leggera ascesa dal 67% al 69%), seguite da quelle europee (dal 78% al 79%).

Prospettive poco promettenti anche per il commercio internazionale, probabilmente a causa del diffuso sentiment di sfiducia verso scenari geopolitici incerti. Le aspettative di espansione sui mercati esteri mostrano infatti un andamento in frenata, con il 43% delle aziende ottimiste su una crescita dell’export (47% nella prima metà del 2023); una tendenza analoga si riscontra in Italia e in Europa, che vedono entrambe un decremento dal 37% al 35%. Questo fenomeno è principalmente imputabile alla flessione (40% contro il 43% del primo semestre 2023) del numero di aziende che prevede di aumentare il numero di Paesi verso i quali esportare, a cui si accompagna un calo (42% vs 44%) delle aziende che prevedono di aumentare i ricavi connessi alle esportazioni. Le imprese si mostrano meno fiduciose anche in merito al ricorso a fornitori sui mercati esteri, che dovrebbe crescere secondo il 34% del campione (37% nei primi sei mesi dell’anno).

Guardando agli investimenti, restano al primo posto quelli destinati alla Tecnologia, con il 61% delle aziende a livello globale che prevede un aumento nei prossimi 12 mesi (stabile sul primo semestre 2023); in Europa il dato scende al 46% (50% nei primi sei mesi dell’anno) ed è in flessione anche in Italia (47% vs 52%). Per quanto riguarda gli altri settori si assiste ad un calo generalizzato delle aziende che prevedono di accrescere gli investimenti in competenze del personale (56% vs 57%), in ricerca e sviluppo (52% vs 54%) e nelle costruzioni (36% vs 38%). Alessandro Dragonetti (nella foto), Managing Partner & Head of Tax di Bernoni Grant Thornton, commenta “l’indice di fiducia delle nostre imprese ha registrato un calo generalizzato, che si inserisce nel più ampio quadro di incertezza sulle previsioni economiche internazionali, a causa dell’inasprimento dei conflitti geopolitici e del persistere delle politiche monetarie restrittive. Di contro, le aziende si mostrano fiduciose sulla buona tenuta della redditività nel prossimo anno, che dipenderà in gran parte da come sapranno rispondere alle sfide del contesto economico nel quale si troveranno ad operare. Questo processo dovrà necessariamente passare dal ripensamento dei modelli organizzativi, l’automazione dei processi, il potenziamento delle competenze e, non ultima, una maggiore spinta agli investimenti, ivi inclusi quelli nel capitale umano”.

La “Crisi di Suez” e le ricadute sul commercio mondiale. Scongiurare una nuova curva inflattiva

Dalla “Crisi di Suez” sono possibili ricadute sul commercio estero delle imprese e sull’economia nazionale e internazionale. Da inizio 2024 un crollo del 35% del transito di navi.

di Giovanni Da Pozzo, presidente di Promos Italia

In un contesto geopolitico già teso e incerto a causa della guerra Russo-Ucraina e del conflitto Israelo-Palestinese, l’ultima minaccia in ordine di tempo alla stabilità europea e all’export italiano proviene dal Canale di Suez, una rotta strategica e fondamentale per il commercio internazionale, considerato che da quel tratto di mare in territorio egiziano transita il 12% dei commerci globali. L’attacco portato nel corso delle ultime settimane alle navi cargo che attraversano il Canale di Suez da parte degli Houthi, gruppo di ribelli yemenita sostenuto dall’Iran, sta infatti comportando gravi conseguenze ai trasporti dall’Asia verso l’Europa.

Infatti, nei primi giorni del 2024 lo stretto che collega il Mar Rosso al Mediterraneo ha subito un crollo del 35% del transito di navi. Questo dato è la conseguenza della decisione di diverse compagnie di “cambiare rotta”, puntando la prua verso il Capo di Buona Speranza, in Sudafrica. La nuova tratta, decisamente più lunga, comporta significativi ritardi per le spedizioni. Il viaggio di una nave da Singapore a Rotterdam, uno dei principali porti europei, passando per il Sud Africa si allunga di circa il 40%, vale a dire dai 10 ai 20 giorni di navigazione in più. La conseguenza sono costi di trasporto più elevati (il prezzo di un viaggio di andata e ritorno dall’Asia all’Europa si stima possa costare quasi un milione di dollari in più) e l’aumento delle tariffe di spedizione, che in una settimana sono più che triplicate: a metà novembre spedire un container da 40 piedi da Shanghai a Genova costava 1600 dollari, oggi la cifra per la stessa tratta, con lo stesso container, è di 5200 dollari.

La riduzione dei traffici dal Canale di Suez si sta riflettendo anche sui porti italiani. Ad analizzare la situazione è stato l’ISPI, che ha preso in considerazione quelli di Genova, Venezia, Trieste, Gioia Tauro, Augusta e Livorno. Porti dai quali entra nel Paese il 54% delle importazioni marittime italiane ed esce il 40% delle esportazioni. Nel giro di qualche settimana questi porti hanno fatto registrare una riduzione del traffico del 20%, un dato rilevante e piuttosto preoccupante per l’intera economia italiana.

Questa complicazione sta generando le prime ripercussioni – per ora ancora contenute – sul commercio internazionale delle imprese italiane, ma se la “crisi” dovesse persistere il quadro potrebbe rapidamente cambiare. Secondo i dati di Confartigianato, il valore dell’import-export italiano che annualmente transita per il Canale di Suez supera i 148 miliardi di euro, di cui circa 93 miliardi di import e 53 miliardi di export, e in percentuale le merci italiane che seguono la rotta che attraversa l’Egitto rappresentano oltre il 15% delle importazioni totali dall’estero, e quasi il 9% delle esportazioni. Attraverso Suez, tra l’altro, transita anche buona parte degli acquisti di beni dalla Cina (che resta il secondo mercato di approvvigionamento del nostro Paese). E anche un terzo delle importazioni italiane nel settore della moda giungono in Italia attraverso il Mar Rosso. L’incidenza è alta anche in relazione alle importazioni di greggio e di prodotti metalmeccanici, che costituiscono circa il 30% del totale degli acquisti dall’estero. Senza dimenticare, in questa fase storica, la nostra dipendenza nell’approvvigionamento del petrolio e naturale liquefatto da “fonti alternative”, dopo l’addio al metano russo.

Se è vero che le instabilità internazionali degli ultimi anni stanno spingendo molte imprese italiane a considerare il nearshoring e il friendshoring, è altrettanto vero che è complicato pensare che queste soluzioni possano compensare l’impatto che il blocco di Suez potrebbe avere in termini di valori assoluti. Inoltre, questa ennesima potenziale crisi sta contribuendo a rafforzare quelle forme di neo-protezionismo (spinte anche dal vento della politica che soffia in questa direzione), che – secondo la Banca Mondiale – nel 2023 hanno provocato un calo del 5% dei commerci internazionali.

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Oggi non è possibile stimare quanto potrà durare quella che i giornali hanno ribattezzato “La crisi di Suez” (riportando alla mente il conflitto del 1956, quando Francia, Regno Unito e Israele occuparono militarmente il Canale trovando l’opposizione da parte dell’Egitto), certamente il segnale di una nuova instabilità – in una fase storica già parecchio complessa – è preoccupante. Nella peggiore delle ipotesi, secondo The Economist Intelligence Unit, un’escalation degli attacchi comporterebbe un incremento sensibile dei costi per le catene di approvvigionamento globali, per le imprese e per i consumatori. Non solo, c’è il rischio concreto che anche le attività cosiddette di “back end“, vale a dire le fasi finali della catena globale del lavoro, possano bloccarsi; senza contare che – sempre secondo il settimanale inglese – si stima una frenata delle crescita del PIL mondiale, che nel corso dell’anno potrebbe crescere solo del 2,5%.

E’ pertanto necessario scongiurare un’interruzione prolungata dei transiti di navi dal Canale di Suez. Se ciò dovesse avvenire, ci troveremmo di fronte ad una nuova ondata di crisi economica e occupazionale in un contesto già sfiancato dai danni del Covid e da quelli generati dalla guerra in Ucraina. L’aumento dei costi avrebbe la conseguenza di una nuova curva inflativa che, anche in questo caso, non sarebbe causata da un eccesso di domanda, e quindi di moneta in circolazione, bensì dall’ennesimo aumento dei costi, delle tariffe e dei prezzi. Secondo le stime dell’ISPI, i prezzi in Europa potrebbero aumentare – entro 12 mesi – dell’1,8% e l’inflazione core, ovvero quella che esclude le componenti più volatili, come ad esempio generi alimentari e costi dell’energia, potrebbe crescere quasi dell’1% rispetto a uno scenario senza crisi.

Un’altra fase inflattiva è quindi un rischio da scongiurare ad ogni costo, anche perché è assai difficile da contrastare, come testimoniato da quella più recente affrontata dalla Banca Centrale Europea con un aumento dei tassi di interesse che ha finito per scaricarsi sulle persone e sulle imprese, rivelandosi una contromisura inutile e deleteria. Pertanto, la “crisi di Suez” è osservata da vicino anche dalla politica, che da qualche settimana l’ha posta al centro dell’agenda, e in tal senso la buona notizia è che i 27 Paesi europei pare abbiano trovato un accordo per realizzare una missione navale congiunta nel Mar Rosso con l’obiettivo di rintuzzare gli attacchi dei ribelli Houthi e riportare la situazione ad un contesto di normalità. L’auspicio è che, almeno in questo caso, a breve potremo parlare di crisi scongiurata.