Luglio 18, 2025
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Il Litigation Funding come strumento strategico per le PMI italiane e per i privati

Il Finanziamento delle liti aiuta le PMI ad affrontare le controversie nazionali ed internazionali e mitigare il rischio di soccombenza. Per i privati, un aiuto nei contenziosi economicamente più impegnativi.

A cura di Davide de Vido, avvocato del foro di Treviso e CEO di FIDEaL dell’economia

Le Piccole e Medie Imprese (PMI) rappresentano la spina dorsale italiana, costituendo la stragrande maggioranza del tessuto imprenditoriale nazionale. Esse, infatti, sono circa 4,4 milioni, ossia il 94% del numero totale di aziende presenti sul territorio, impiegano oltre 15 milioni di persone (circa l’81% della forza lavoro del settore privato), generano circa il 65% del valore aggiunto al costo dei fattori (VAF) del Paese e sono responsabili di oltre l’80% delle esportazioni italiane. In altri termini, le PMI italiane rappresentano una risorsa preziosa per il Paese e il loro successo è fondamentale per la crescita e la competitività dell’economia nazionale, nonché per il suo livello occupazionale.

Tra i diversi rischi che interessano le imprese e che possono ostacolarne l’attività e lo sviluppo – in particolare per le aziende che hanno una forte propensione all’esportazione – vi è senz’altro quella del contenzioso legale. Le aziende potrebbero infatti essere coinvolte in complessi e costosi contenziosi giudiziali o arbitrali di natura commerciale (violazioni contrattuali o controversie con fornitori e clienti), societaria (riferiti ad esempio alla responsabilità degli amministratori o revisori oppure controversie tra soci o tra soci e la società oppure ancora tra società all’esito di operazioni straordinarie d’impresa M&A Transaction), inerenti la proprietà intellettuale, inerenti la violazione delle regole della concorrenza e del mercato da parte di terzi (c.d. controversie Antitrust) e, persino, inerenti la disciplina degli investimenti eseguiti per avviare delle attività all’estero etc.

Anche in relazione ai privati esistono alcune categorie di contenzioso di natura individuale ma di grande impatto economico nella vita familiare. Si pensi alle cause risarcitorie per danni alla persona (es. assicurazioni per i gravi incidenti stradali causati da terzi) o ai casi di “malasanità” da cui derivano danni gravissimi fino al decesso del congiunto (c.d. danno tanatologico), in particolare dell’unico portatore di reddito familiare. Per tutti costoro si apre la possibilità di dover sostenere contenziosi civili complessi, costosi e di lunga durata, che spesso scoraggiano gli aventi diritto; in special modo quelli appartenenti alle fasce di reddito più sfavorite – ma non sufficientemente basse per accedere all’istituto del Gratuito Patrocinio a spese dello Stato, per i quali l’accesso alla giustizia civile comporta costi di ingresso (contributo unificato, spese legali, perizie tecniche, periti di parte) proibitivi e impossibili da sostenere se non ricorrendo all’indebitamento.

Relativamente alle imprese, i contenziosi legali generano dei costi diretti, relativi all’assistenza legale e/o tecnica e alle spese amministrative per l’accesso alla giustizia, e indiretti, quali gli appostamenti di bilancio (fondi rischi ed oneri) contro il rischio di soccombenza, connaturato per definizione ad ogni contenzioso. Non tutte le PMI possiedono la forza economica per fare fronte a tali costi, vuoi perché spesso non dispongono delle risorse finanziarie necessarie per farvi fronte, vuoi perché in un dato momento hanno l’esigenza di destinare queste risorse alla crescita e non alla gestione di un contenzioso. Queste situazioni si possono tradurre o in una difesa inadeguata o, ancor peggio, in una ipotesi di denegata giustizia perché le imprese, ob torto collo, optano per non perseguire e difendere i loro diritti.

In questo contesto, oggi le PMI possono fare affidamento su di un nuovo ed innovativo strumento strategico, in grado di fornire loro il supporto finanziario e l’expertise necessari per perseguire i loro diritti in giudizio: il Litigation Funding, noto in Italia come finanziamento delle liti. Si tratta di una operazione giuridico-economica in cui uno o più finanziatori investono in un contenzioso (stragiudiziale, giudiziale o arbitrale) di un terzo, nel quale non hanno alcun interesse, assumendosi i costi della lite e il conseguente rischio d’insuccesso, ossia il rischio di perdere l’investimento e di dovere pagare le spese processuali alla controparte. In cambio, ma solo ed esclusivamente nel caso in cui la lite abbia esito positivo, i finanziatori otterranno una quota dei proventi derivanti dall’esito della causa, mentre in caso di insuccesso il finanziato non dovrà restituire nulla al finanziatore, né corrispondergli alcun prezzo per il servizio.

Come funziona il Litigation Funding? A prescindere dalla forma giuridica del finanziatore (fondo autorizzato, fondazione, trust, associazione di scopo etc), Il processo di litigation funding in genere si svolge come segue:
a) la parte interessata presenta la sua richiesta al finanziatore;
b) la richiesta deve includere una dettagliata descrizione della controversia, le sue probabilità di successo e i costi previsti;
c) il finanziatore valuta la richiesta e, in caso di parere positivo, propone un contratto che definisce i termini dell’investimento, tra cui l’importo del finanziamento, la quota dei proventi spettante al finanziatore etc;
d) il finanziatore si fa carico dei costi legali e delle altre spese connesse alla controversia;
e) a seconda dell’esito giudiziario della causa, in caso di successo il finanziatore riceve una quota dei proventi ottenuti in giudizio e in caso di insuccesso perde il proprio investimento, tenendo la parte finanziata sgravata da qualunque obbligo economico.

I vantaggi del litigation funding sono numerosi sia per le PMI che per i privati. Le PMI, infatti:

– potranno perseguire i propri diritti legali anche contro avversari più grandi e patrimonializzati, senza dover preoccuparsi delle ingenti spese legali;
– potranno trasferire il rischio di perdite finanziarie associate al contenzioso al finanziatore, tutelando anche la propria stabilità finanziaria e concentrandosi sulle proprie attività principali, delegando la gestione finanziaria del contenzioso al finanziatore;
– nelle controversie transnazionali, dove le barriere linguistiche, culturali e legali possono ostacolare l’accesso alla giustizia, i finanziatori con esperienza specifica possono fornire alle PMI la conoscenza e l’assistenza necessarie per navigare le complesse sfide di queste controversie.
I privati, invece, potranno trovare copertura finanziaria per le spese tecnico-legali e per quelle di accesso alla Giustizia – per le cause di fascia alta il solo contributo unificato può superare i 2.000 euro – ed affrontare così ad armi pari avversari del calibro di compagnie assicurative o aziende ospedaliere.

La paura delle accuse di greenwashing diffonde il “greenhushing” tra le aziende. 10 regole per comunicare

Il clima di elevato controllo della rendicontazione ESG e il timore di multe e danni reputazionali in caso di accuse di greenwashing portano le aziende a mantenere “segreti” gli obiettivi di sostenibilità.

La paura del c.d. greenwashing (ecologismo/ambientalismo di facciata) fa allontanare le aziende da una rendicontazione trasparente delle principali pratiche adottate in ambito ESG. Secondo quanto svelato dal report Transparency Index 2024, tra le 200 maggiori imprese pubbliche e private degli Stati Uniti e della Gran Bretagna sono infatti quasi 6 su 10 (58%) le realtà che “silenziano” pubblicamente i loro reali impegni e obiettivi ESG, esponendosi così al rischio di greenhushing (dall’inglese “to hush”, ossia “mettere a tacere”); un nuovo trend in base al quale, come svelato anche sulle colonne del Wall Street Journal, le organizzazioni evitano, consapevolmente, di promuovere e comunicare i propri progressi in ambito ESG onde evitare il rischio di subire delle accuse di greenwashing.

Con il clima di crescente controllo esercitato da parte delle autorità politiche e regolatorie, infatti, e per via della maggiore attenzione dei consumatori verso gli impegni reali, concreti e misurabili intrapresi dalle aziende in tema di sostenibilità, in cui gli eventuali errori e la divulgazione di false informazioni possono comportare multe e seri danni alla reputazione aziendale, le imprese sembrano dunque essere sempre più esitanti di fronte alla prospettiva di promuovere gli sforzi sulle tematiche ESG. Con un patrimonio globale degli asset ESG che, secondo Bloomberg, si prevede che supererà, entro il 2030, i 40mila miliardi di dollari di valore, e con l’85% degli investitori che ritiene che questi ultimi portino a migliori rendimenti e a portafogli resilienti, le aziende che tacciono sui loro progressi in materia di sostenibilità potrebbero dover perdere delle interessanti opportunità d’investimento con la conseguente possibile fuga dai brand da parte dei clienti.

Una conferma, in questo senso, è arrivata dall’ultima edizione del rapporto Sustainability Perceptions Index redatto da Brand Finance, che ha rilevato come i più grandi marchi del mondo stiano perdendo miliardi di dollari di potenziale valore perché non riescono a comunicare adeguatamente i loro risultati e progressi in materia di sostenibilità.

Qualunque sia la ragione di fondo, il greenhushing priva dunque le aziende e, in ultima analisi, i consumatori del valore intrinseco che sta alla base dei programmi e delle iniziative di sostenibilità delle imprese in ambito ESG. Soffocando la condivisione delle conoscenze e limitando la diffusione delle migliori pratiche e delle soluzioni più innovative, il greenhushing ostacola il progresso e la collaborazione a livello di settore, in quanto le organizzazioni non riescono a imparare dai successi, dalle sfide e dagli sforzi in tema di sostenibilità messi in campo dai competitor. “Con le normative emergenti e gli standard di rendicontazione sempre più rigorosi all’orizzonte, vi è per le imprese il potenziale per una comunicazione più trasparente e accurata in merito alle strategie aziendali adottate in tema di ESG – spiega Ada Rosa Balzan, founder, presidente e CEO di ARB SB. I temi di sostenibilità sono relativamente nuovi per la maggior parte delle aziende italiane ed il timore di sbagliare, che fa spesso scegliere di non dire, deriva principalmente dal fatto che non si ha ancora una forte base di conoscenze ed esperienza nel trattare la comunicazione della sostenibilità”, conclude Balzan.

Ecco le 10 C che un’azienda deve possedere per una corretta comunicazione della sostenibilità, secondo il parere degli esperti di ARB SB:

1. Concretezza: comunicare solo azioni concrete che l’azienda ha intrapreso;
2. Coerenza tra comportamenti che l’azienda adotta e i principi di sostenibilità che comunica;
3. Consapevolezza che devono esserci basi scientifiche solide e riconosciute quando si comunica qualche aspetto ESG;
4. Certificazione: rafforza il messaggio di quanto si sta comunicando avere una certificazione di un ente terzo;
5. Chiarezza: utilizzare un linguaggio semplice e accessibile a tutti;
6. Cultura: essere promotori della diffusione della cultura della sostenibilità verso tutti gli stakeholder;
7. Condivisione sia interna che esterna dei principi che l’azienda ha scelto come obiettivi di sostenibilità;
8. Competenza: avere adeguate competenze interne con conoscenze sui temi della sostenibilità;
9. Comitato di sostenibilità aziendale che guidi la proprietà nelle scelte strategiche sui temi di sostenibilità;
10. Comunicare: prima fare e poi comunicare!

Dal settore finanziario al retail, come l’intelligenza artificiale disegnerà il 2025

Il 2025 sarà l’anno in cui le organizzazioni supereranno la fase di sperimentazione e adotteranno pienamente il potenziale trasformativo dell’intelligenza artificiale.

di Mauro Bonfanti, Emea Regional VP per la regione NorMed di Snowflake

L’imminente arrivo del 2025 porterà con sé una serie di evoluzioni tecnologiche destinate a rimodellare i mercati globali. L’intelligenza artificiale, in particolare, non è più un concetto futuristico, ma una realtà concreta che sta già mostrando il suo potenziale trasformativo in diversi settori, dal finanziario al manifatturiero, dal retail ai beni di largo consumo.

Sulla base di un’approfondita conoscenza del mercato e dell’analisi delle tendenze tecnologiche attuali, le previsioni seguenti intendono offrire una panoramica di come l’AI rivoluzionerà il business nel prossimo anno. Questi insight, focalizzati su specifici mercati, esaminano opportunità e sfide emergenti: dal crescente controllo sugli investimenti in AI nel settore finanziario, all’ascesa delle soluzioni di sostenibilità basate sull’intelligenza artificiale nel manifatturiero, fino all’impatto dirompente della data science nel mondo retail. L’obiettivo è fornire alle organizzazioni una “bussola” per orientarsi nelle complessità degli scenari futuri.

Servizi finanziari – Nel 2025 l’adozione dell’AI nel settore dei servizi finanziari raggiungerà un punto di svolta. Le organizzazioni si concentreranno maggiormente sulla dimostrazione di ritorni economici tangibili degli investimenti, abbandonando le iniziative che prevedono investimenti spesso difficili da valutare. I Consigli di amministrazione e gli investitori esigeranno evidenze concrete, spingendo le aziende a sviluppare iniziative AI mirate e con risultati misurabili. L’aumento di potenziali incidenti legati all’intelligenza artificiale promuoverà lo sviluppo di nuove normative, accelerando la supervisione dell’AI nel settore. Le istituzioni finanziarie dovranno implementare rapidamente framework di governance e solide protezioni per i loro sistemi di AI, garantendo la compliance ed evitando sanzioni. Infine, assisteremo a un passaggio da modelli linguistici generici di grandi dimensioni a sistemi specializzati e specifici per il settore, progettati per soddisfare le esigenze e i flussi di lavoro unici delle organizzazioni che operano in ambito finanziario.

Industrie manifatturiere – Le imprese manifatturiere sfrutteranno l’intelligenza artificiale per ottenere significativi miglioramenti in termini di efficienza e sostenibilità, ottimizzando il consumo energetico e riducendo la loro impronta di carbonio e i costi operativi. Questo cambiamento sarà determinato dalle pressioni normative, dall’evoluzione delle aspettative dei clienti e dalle richieste degli azionisti. L’intelligenza artificiale svolgerà un ruolo cruciale anche nell’ottimizzazione dei processi di controllo qualità, riducendo la dipendenza dall’ispezione manuale e accelerando la produzione. Inoltre, soluzioni AI personalizzate e specifiche per il settore supereranno di gran lunga quelle generiche, offrendo analisi su misura e garantendo un ROI più elevato.

Retail e Beni di largo consumo – L’AI generativa rivoluzionerà le industrie del retail e dei beni di largo consumo, spinta dall’avanzamento della data science. L’attenzione si sposterà dalle applicazioni rivolte ai consumatori a quelle dedicate ai suoi utilizzi fondamentali, come l’accelerazione del processo decisionale basato sui dati operativi e l’integrazione di fonti di dati eterogenee. L’adozione di una strategia dati più ampia aprirà grandi opportunità per la data science e l’apprendimento automatico all’interno delle aziende, stimolando l’intero settore ad accelerare il percorso verso l’adozione di questa tecnologia. Le data clean room favoriranno nuove forme di collaborazione e analisi nell’ecosistema, facilitando la condivisione sicura dei dati e sbloccando nuovi insight. Infine, l’upskilling alimentato dall’AI trasformerà la forza lavoro del settore, dotando i dipendenti di strumenti basati sull’intelligenza artificiale e promuovendo una cultura data-driven a tutti i livelli dell’organizzazione.

Conclusioni – Nei diversi settori esaminati emerge un filo conduttore comune: l’applicazione strategica e mirata dell’AI per rispondere a precise sfide aziendali. Il 2025 sarà l’anno in cui le organizzazioni supereranno la fase di sperimentazione e adotteranno pienamente il potenziale trasformativo dell’intelligenza artificiale. Questo cambiamento richiede un approccio diversificato, che combini competenze tecnologiche con una profonda comprensione delle esigenze specifiche del settore e del panorama normativo. Sarà fondamentale concentrarsi su risultati misurabili, governance solida e soluzioni personalizzate. Le aziende che sapranno muoversi con successo in questo panorama in evoluzione saranno nelle migliori condizioni per prosperare, sfruttando l’AI al fine di promuovere efficienza, innovazione e crescita sostenibile. La capacità di adattarsi e rispondere al rapido ritmo dei cambiamenti tecnologici costituirà, inoltre, un elemento di differenziazione fondamentale.

Industrie e banche alla prova delle innovazioni digitali. L’AI richiede più investimenti

Nel 2025 le imprese manifatturiere dovranno fare i conti con la loro preparazione tecnologica, mentre le banche dovranno competere sempre di più con Fintech e neobank in rapida evoluzione.

Le industrie manifatturiere sono focalizzate sul mantenimento di operazioni fluide, sicure e protette nei loro ambienti industriali. Per raggiungere questi obiettivi, i leader tecnologici del settore stanno combinando le tecnologie di rete, edge e AI con i dati provenienti da sensori e dispositivi sempre più sofisticati, per risolvere proattivamente i problemi, migliorare la sicurezza dei lavoratori e massimizzare l’efficienza. Ma la trasformazione del settore non è priva di ostacoli: le aziende si affidano a un numero crescente di sistemi obsoleti e devono affrontare minacce alla sicurezza sempre più gravi, a causa della proliferazione di dispositivi connessi a Internet nei luoghi di lavoro. Pertanto, è imperativo evitare interruzioni costose e gestire i rischi per la sicurezza.

Molte industrie manifatturiere hanno promosso una cultura che privilegia il cambiamento incrementale, piuttosto che quello trasformativo. Il settore è in ritardo nella modernizzazione e innovazione: su sei settori chiave intervistati nel recente “Kyndryl Readiness Report” (Ottobre 2024), i leader del settore manifatturiero si sentono meno preparati a gestire i rischi futuri. Infatti, solo il 31% dei leader del settore manifatturiero ritiene che la propria infrastruttura IT sia completamente pronta a gestire i rischi futuri, un dato inferiore alla media generale del 39%. Inoltre, nonostante l’88% dei leader del settore sia convinto che la propria infrastruttura IT sia la migliore, ben il 55% dei leader intervistati teme che i propri strumenti o processi IT siano prossimi alla fine del ciclo di vita.

Le aziende faticano a colmare i gap di competenze, a tenere il passo con il cambiamento e a vedere i risultati di business dei loro investimenti nell’AI. Nel prossimo anno, le industrie manifatturiere dovranno fare i conti con la loro preparazione tecnologica: la digitalizzazione, per quanto sia un percorso di cui si parla da tempo, non è ancora in direttura d’arrivo, la sicurezza (dagli impianti alla supply chain) rimane una priorità da risolvere e, con la corretta gestione dei dati, funzionale per poter utilizzare e beneficiare appieno delle tecnologie emergenti come l’AI generativa. Di conseguenza, una corretta strategia di conciliazione tra vecchie e nuove tecnologie diventa fondamentale per accelerare la trasformazione di un settore su cui aziende e consumatori fanno affidamento ogni giorno.

Anche nel settore dei servizi finanziari è in corso una trasformazione profonda: le transazioni digitali sono aumentate drasticamente (basta pensare agli ultimi dati dell’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano, secondo cui i pagamenti digitali hanno raggiunto un valore complessivo di 223 miliardi in Italia nei soli primi sei mesi del 2024, con una crescita solida anno su anno), le banche e i vari operatori stanno cercando di gestire i trasferimenti in tempo reale e di consentire i pagamenti internazionali. Ma la trasformazione non è solo data da una spinta interna verso l’innovazione, perché anche il contesto normativo sta cambiando rapidamente, influenzato da fattori geopolitici e dalla necessità di proteggere la privacy dei dati e garantire la sicurezza informatica. La tecnologia in questo scenario gioca un ruolo fondamentale, rappresentando sia una risposta alle esigenze degli utenti sia un catalizzatore per l’innovazione. Due ambiti principali di investimento sono il cloud e l’intelligenza artificiale (IA), ma non sono gli unici.

Il settore banking è, tra i vari intervistati nel recente Readiness Report di Kyndryl, quello che si sente maggiormente pronto a gestire i rischi e il crescente skill gap. Nell’era cosiddetta della finanza digitale, il settore sta cambiando così velocemente che le stesse banche devono dimostrarsi più agili che in passato ed essere sempre pronte a rispondere rapidamente ai cambiamenti del mercato e alle aspettative dei clienti. La spinta all’innovazione tecnologica, però, non si esaurisce qui: nel 2025, infatti, si prevedono maggiori investimenti anche in tutte quelle misure necessarie a modernizzare gli ambienti costosi e gravati da debiti tecnici, così da riuscire a farsi strada in un settore sempre più competitivo con fintech e neobank in rapida evoluzione.

Il settore bancario e finanziario, secondo i dati emersi dal “Kyndryl Readiness Report”, si distingue per un alto livello di fiducia nella propria infrastruttura IT: ben il 91% dei leader ritiene che la propria infrastruttura IT sia la migliore della categoria mentre il 41% afferma che essa è completamente pronta a gestire i rischi futuri, un dato che supera la media generale del 39%. Tuttavia, nonostante questa fiducia, emerge una preoccupazione significativa: il 45% dei leader teme che i propri strumenti o processi IT siano obsoleti o prossimi alla fine del ciclo di vita. Questo scenario evidenzia la necessità di importanti investimenti per modernizzare le infrastrutture, garantire la continuità operativa e affrontare le crescenti sfide tecnologiche e normative.

Il 2025, pertanto, sarà caratterizzato da un’importante razionalizzazione e semplificazione delle applicazioni di pagamento, con un focus sull’integrazione tra i vari sistemi per ridurre i costi operativi, ma anche a migliorare significativamente l’esperienza utente, rendendo i pagamenti più fluidi e accessibili. Questo slancio verso l’innovazione e l’efficienza nel settore dei pagamenti porterà probabilmente a un aumento delle acquisizioni e dei consolidamenti tra applicazioni di pagamento indipendenti, favorendo la creazione di ecosistemi più coesi e interconnessi, con l’obiettivo di rispondere in maniera più efficace alle esigenze degli utenti e affrontare la crescente competizione tra operatori tradizionali, fintech e neobank.

Le aziende dei settori bancario e dei pagamenti si concentreranno nel creare un ponte tra i dati che risiedono sui loro mainframe e l’IA per migliorare la cybersecurity e la compliance (anche spinti dell’entrata in vigore del regolamento DORA il 17 gennaio 2025), con applicazioni significative per i controlli normativi, il rilevamento delle frodi, il recupero rapido delle frodi e la protezione dei dati dei consumatori. L’IA generativa, infatti, può aiutare le aziende ad aggiornare rapidamente la documentazione per rispondere ai requisiti di conformità, riducendo il tempo di controllo necessario. Lo stesso utilizzo dell’IA generativa nel settore dell’antiriciclaggio è destinato a crescere, grazie alla possibilità di identificare con maggiore precisione le attività sospette e, così, di poter anticipare le relative problematiche.

Sales Summit, i venditori fanno rete. Silvio Cardinali: fattore umano insostituibile nel B2B

Tra qualche giorno il Mug di Bologna ospiterà la prima edizione del Sales Summit, evento unico in cui i migliori venditori mettono in rete le competenze. Intervista al prof. Silvio Cardinali.

Tra qualche giorno, non appena sarà cessata l’allerta meteo per domani 19 settembre (data inizialmente prevista per l’inizio dell’evento e sospesa per motivi di sicurezza) Bologna ospiterà la prima edizione del Sales Summit (Mug – Magazzini Generativi, Via Emilia Levante, 9/F), un evento dedicato al confronto tra i professionisti della vendita che vogliono elevare le proprie competenze, scoprire nuove strategie di vendita e ampliare la propria rete di contatti. Il Summit è stato realizzato grazie alla collaborazione di SaleScience, Cdo Sales Community Lab e AAAgents, che corona un percorso iniziato nel Forum Commerciale (nato nel 2010 all’interno della Compagnia delle Opere) e che segna un decennio di crescita e innovazione per una solida community di imprenditori locali e nazionali che ha diffuso conoscenza e competenze nel settore vendite, ponendo le basi per il primo Sales Summit di quest’anno.

L’evento si concentrerà su due temi cruciali per il settore vendite: da una parte l’innovazione di processi e tecnologie, dall’altra il benessere in azienda dei dipendenti. I biglietti sono già in vendita sul sito salesummit.net, dove è possibile vedere il programma completo dell’evento, che può essere seguito anche in streaming. Ne abbiamo parlato con Silvio Cardinali, Professore Associato in Marketing e Sales Management presso la Facoltà di Economia “Giorgio Fuà” dell’Università Politecnica delle Marche, nonché ispiratore del Summit e relatore.

Professore, dal 2020 ad oggi i processi di vendita hanno vissuto una vera e propria rivoluzione grazie ad una tecnologia delle informazioni sempre più accessibile a chi sovrintendente alle decisioni di spesa (capofamiglia, responsabile acquisti nelle aziende etc). Acquirenti più preparati determinano venditori più competenti e, di conseguenza, strategie commerciali in continua evoluzione: che risposta hanno dato le reti di vendita in termini di adattamento al cambiamento?
Solo negli ultimi anni, con l’affermarsi di nuovi modelli di acquisto e con l’evoluzione digitale, si è attivato un profondo processo di trasformazione che molti hanno definito Sales Transformation. Per le reti, che per quasi tutto il 900 erano state gestite allo stesso modo, è stato un salto notevole e per molti anche uno shock. Ma questa evoluzione ha spinto a ripensare i modelli con cui venivano e vengono gestite le attività commerciali e le reti di vendita. E così, la divisione commerciale si evolve da una funzione operativa – fai quello che ti viene detto – a strategica, in cui i “commerciali” danno il proprio contributo, non solo operativo, al percorso strategico di un’impresa. Inoltre, si passa da una divisione isolata, quella dei “commerciali esterni”, ad una fortemente integrata con produzione, magazzino e soprattutto con la funzione marketing. Ancora, cresce il ruolo di “intelligence” della funzione commerciale, e ciò significa considerare la conoscenza del mercato che proviene dalle vendite come una risorsa competitiva “in entrata”, in grado cioè di raccogliere costantemente informazioni dal mercato. 

Che peso ha avuto e avrà la trasformazione digitale?
la trasformazione digitale non è solo guidata dalle innovazioni tecnologiche (come l’intelligenza artificiale), ma anche da un nuovo buyer digitalmente evoluto che spinge, da un lato, ad una revisione delle modalità di contatto verso una prospettiva multicanale e, dell’altro, ad una modifica delle sales operation, delegando le attività operative e ripetitive a “macchine” e quelle a valore aggiunto ad una nuova generazione di professionisti delle vendite. Un esempio significativo è l’adozione sempre più diffusa di strumenti come il CRM (ndr: Customer Relationship Management, software e applicazioni che aiutano le aziende a gestire, analizzare e ottimizzare le interazioni con clienti e prospect), che consente di monitorare il ciclo di vendita, le diverse interazioni, ma soprattutto di comprendere e prevedere le esigenze degli acquirenti.

Come è cambiato l’approccio delle reti commerciali alla vendita? 
Un primo cambiamento è dal lato del recruiting, che oggi deve fare i conti con l’aumento della specializzazione dei profili commerciali, che adesso hanno identità professionali più diversificate, come ad esempio gli agenti on field, venditori inside, business developer, etc. Purtroppo, si tratta di profili che hanno diversi livelli di “scarsità” e pochi percorsi formativi in uscita. Inoltre, si soffre di una notevole “crisi di talenti”, figlia di una certa difficoltà ad attrarre le nuove generazioni verso la professione del venditore. Un altro importante cambiamento è relativo al rapporto con la tecnologia, una volta temuta da molti gestori di reti a causa dell’idea che “sostituirà me e i miei collaboratori e devo rifiutarla”. Invece, ora ci si rende conto che la tecnologia non è solo sostitutiva, ma soprattutto abilitante. Tuttavia, è necessario ricordare che il percorso verso la digitalizzazione non è né immediato né semplice. Secondo le stime di HBR del 2022, l’87% delle imprese aveva sperimentato un fallimento dei progetti di digital transformation. I casi di successo ci raccontano che la trasformazione va pianificata, che la tecnologia deve essere infusa nei processi (technology infusion) e non solo resa disponibile alla rete. La rete ne deve comprendere il valore nelle tasks quotidiane, deve migliorare la sua giornata lavorativa.

Quale sarà l’impatto dell’IA sulle strategie e sui processi di vendita, e soprattutto quali saranno, se ce ne sono, i limiti di applicazione dell’IA sulla attività del personale addetto alle vendite? 
In parte sarà, in parte è già stato, la maggior parte degli strumenti che utilizziamo quotidianamente sono integrati con l’IA. Dal lato dei manager, l’IA consentirà un maggior successo nelle strategie di vendita, offrendo la capacità di prevedere le esigenze future ma soprattutto un supporto decisionale critico per i manager e i responsabili di vendita, permettendo di prendere decisioni più informate e in tempo reale, basate su evidenze concrete ed aggiornate. Dal lato dei venditori, l’IA può potenziarli specialmente nei contesti in cui la relazione personale e la capacità di leggere le dinamiche umane sono fondamentali per il successo delle vendite.

Quali sono vantaggi e svantaggi dell’IA nella funzione di vendita?
L’aiuto dell’IA va in due grandi direzioni. La prima è quella che chiamiamo Automation: realizzare in maniera efficiente ed economica attività routinarie, dall’invio di una mail allo sviluppo di cadenze di contatto o alla gestione integrata dei vari touch point (mail, telefono, social ecc); la seconda è quella che chiamiamo Augmentation: attività tipica delle AI generativa come il supporto nella redazione di un testo commerciale, la predizione delle personalità di un cliente, fornendo i suggerimenti per un migliore contatto oppure stimare le intenzioni di acquisto per focalizzare l’attenzione sui clienti che realmente sono interessati (questi vengono chiamati dati di intento o INTENT DATA). Nonostante questi vantaggi, l’adozione dell’IA nei processi di vendita presenta alcuni limiti significativi, come le barriere legate ai costi di implementazione, la complessità tecnica per le piccole e medie imprese e la necessità di un cambiamento culturale all’interno dell’organizzazione, che spesso si scontra con resistenze da parte del personale, preoccupato per il potenziale impatto sull’occupazione e sulla natura del proprio ruolo. Inoltre va posta una particolare attenzione agli impatti ed ai risvolti di natura etica che – malgrado ci si stia lavorando anche a livello internazionale – è un tema ancora largamente inesplorato e non regolamentato.

Teme che il ricorso alla tecnologia possa determinare una riduzione notevole delle risorse umane nelle reti vendita? E se sì, in che misura? 
L’aspettativa è che IA sostituirà una parte importante delle tasks di un venditore, c’è chi parla di un 30%. Sostituirà pertanto quasi totalmente alcune attività che il personale commerciale non dovrà più fare perché quella sua task non crea più valore per il cliente, per l’impresa e magari non è più economicamente sostenibile. L’IA, infatti, può automatizzare una serie di attività ripetitive e operative, come l’inserimento dei dati e la gestione dei contatti, permettendo ai venditori di focalizzarsi su aspetti relazionali e strategici della vendita. La conseguenza sarà che dovrà fare altro – di solito attività a più alto valore cognitivo – e dovrà imparare ad interagire e saper gestire nuovi strumenti, in alternativa rischia di essere estromesso da nuove opportunità professionali. Infatti, la riduzione del personale sarà più evidente nelle vendite standardizzate, dove l’IA può sostituire parte dell’interazione umana, ad esempio, tramite chatbot nelle vendite online B2C. Tuttavia, nelle vendite complesse, come il B2B, la componente umana resta essenziale per creare fiducia e gestire trattative delicate. Quindi, piuttosto che eliminare i venditori, la tecnologia trasformerà le loro competenze, potenziandone il ruolo di consulenti strategici.

Che tipo di risultati si aspetta da questa edizione del Sales Summit di Bologna, sia sotto l’aspetto accademico che sotto il profilo di applicazione nelle attività produttive delle reti?
Il summit è una grande opportunità di confronto e mi aspetto un impatto verso due direzioni. Il primo è quello di incentivare l’interazione fra il mondo accademico (poco attivo in questo ambito commerciale) e le imprese, che invece manifestano esigenze emergenti in termini di stimoli per nuova conoscenza e nuovi modelli gestionali. Da questo punto di vista l’Università Politecnica delle Marche è fra le più riconosciute per l’attenzione e la rilevanza internazionale fin da quando alla fine degli anni ‘80 l’attuale rettore – prof. Gian Luca Gregori – ha attivato un filone di studi sull’argomento. Il secondo è relativo al tema, quello del benessere delle reti commerciali, che vorremmo inserire nell’agenda delle imprese italiane. Lo studio presentato da Salesience.it rappresenta il primo in Italia su questo ambito.

Grandi eredità italiane alla prova dello stile familiare: Berlusconi vs Del Vecchio

La divisione ereditaria di grandi patrimoni può far scoppiare una guerra tra gli eredi, come tra i figli di Del Vecchio, oppure rivelare l’utilità del compromesso, come nel caso degli eredi Berlusconi. 

“La ricchezza logora chi non ce l’ha”, direbbe oggi qualcuno che la sapeva lunga sul potere del denaro (e su quello fine a sé stesso); eppure, nonostante la pioggia di miliardi (di euro) caduta sui rampolli delle due grandi famiglie più patrimonializzate d’Italia – e tra le più ricche d’Europa – quell’aforisma sapientemente adattato per l’occasione sembra non valere affatto per ciò che riguarda le vicende ereditarie degli eredi di Leonardo Del Vecchio, ancora in eterna lotta a distanza di due anni abbondanti dalla morte del fondatore di Luxottica. Invece, per i figli di Silvio Berlusconi la ricchezza del capostipite non ha prodotto grossi attriti in sede ereditaria, e la fase della successione, a differenza dei Del Vecchio, si è chiusa abbastanza rapidamente e in serenità.

L’eredità Berlusconi è certamente un “caso di scuola” sul corretto utilizzo della normativa nello studio della pianificazione successoria e del conseguente carico fiscale. La cosa non sorprende affatto, poiché Silvio Berlusconi non ha mai nascosto la sua ostilità per le imposte di successione – che definiva “immorali” – e, pertanto, deve aver studiato a lungo come poter far sì che i suoi eredi fossero gravati dal minor carico impositivo possibile dopo la sua dipartita. Infatti, secondo i dati del Gc Wealth Project (progetto attuato in condivisione tra City University di New York e Università di Roma Tre), l’Italia ha una delle più basse percentuali di incasso da successioni in confronto alle entrate erariali: lo 0,11% nel 2019, contro lo 0,41% degli Usa, lo 0,50% della Germania e l’1,39% della Francia. Ciò è dovuto al sistema di imposte più generoso – a cui Berlusconi durante i suoi governi ha dato un contributo determinante – di tutta Europa, tanto che l’Italia è giustamente definita come il “paradiso fiscale delle successioni”, e per tale motivo riceve continue pressioni dai paesi c.d. “frugali” del Vecchio Continente, ossia quelli del Nord Europa.

Alla sua morte, il patrimonio di Silvio Berlusconi si attestava a circa 6,8 miliardi di dollari ed era in gran parte legato ai suoi investimenti in Fininvest, MediaForEurope, Mondadori, Banca Mediolanum, diverse società immobiliari, il teatro Manzoni di Milano e l’AC Monza, che milita in Serie A. Secondo le norme sulla successione, nel caso della famiglia Berlusconi i due terzi dell’eredità sono stati divisi in parti uguali tra i figli, mentre il restante terzo, ossia la quota disponibile, è stato attribuito in testamento a Marina e Pier Silvio Berlusconi, che così hanno ricevuto una quota ereditaria dal valore di circa 1,9 miliardi di dollari ciascuno (26,5%). Gli altri figli Barbara, Eleonora e Luigi, invece, detengono il 15,6% a testa. Tutti gli immobili che Berlusconi possedeva in Italia e all’estero al di fuori di Fininvest sono stati distribuiti in parti uguali tra i cinque figli.

Nonostante queste sensibili differenze di trattamento tra figli di “primo e secondo letto”, nessun attrito è stato registrato tra gli eredi, neanche quando si è trattato di confrontarsi con i legati testamentari lasciati da Silvio al fratello Paolo (100 milioni), a Marta Fascina (100 milioni) e a Marcello Dell’Utri (30 milioni). Al contrario, tutti i fratelli sono andati in modo spedito a chiudere la successione dei circa 6 miliardi di euro ricevuti sfruttando la legge italiana e chiedendo l’esenzione fiscale per il passaggio delle 4 holding cui fa capo il 61,2% di Fininvest con cui il Cavaliere controllava la società e il gruppo. Dal momento in cui le tasse di successione vanno calcolate in base al patrimonio netto di 458 milioni di euro (certificato dal notaio Mario Notari di Milano – 423 milioni le 4 holding e 35 milioni i beni immobili), l’esenzione fiscale ha consentito agli eredi di Berlusconi di pagare al fisco una somma inferiore ai 90.000 euro di imposta di registro, ossia circa 16.000 euro ad erede.

Questo è accaduto perché il Testo Unico sull’imposta di successione del 1990 prevede che i trasferimenti a favore dei discendenti e del coniuge di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni non sono soggetti all’imposta… a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni”. E così, i cinque fratelli Berlusconi si sono accordati a non cedere le quote della società, ossia “il grosso” dell’eredità, per i prossimi 5 anni. In teoria, se Piersilvio e Marina evitassero di cedere alla tentazione di entrare in politica, il patrimonio e le aziende del gruppo potrebbero sopravvivere per lungo tempo alla dipartita del fondatore; oppure, come sostengono i bene informati, è così forte il timore di una “vendetta postuma” di una certa parte della Politica verso la famiglia del Cavaliere, che l’ingresso in Politica è visto come un mezzo necessario per la sopravvivenza. Probabilmente la verità sta nel mezzo, con i due fratelli maggiori che potrebbero decidere di rimanere nell’ombra del partito fondato dal padre, per influenzare la vita politica evitando però gli eccessi per cui Berlusconi è stato odiato/amato dagli italiani.

In ogni caso, la famiglia Berlusconi è già avanti nei suoi programmi di sviluppo e, ad oggi, il valore delle partecipazioni aziendali degli eredi è anche aumentata sensibilmente. In casa Del Vecchio, invece, la successione non è ancora stata chiusa nonostante il lungo tempo trascorso dalla morte di Leonardo, il quale probabilmente aveva previsto tutto e con largo anticipo aveva nominato a vita i cinque amministratori di Delfin, la finanziaria di famiglia che possiede la maggioranza relativa di EssiLux e Covivio, oltre alle partecipazioni in Mediobanca, Generali e Unicredit (in tutto un patrimonio valutato circa 33 miliardi di dollari). Gli otto eredi, cui è toccato in sorte un patrimonio di circa 4 miliardi a testa, sono impegnati in una guerra intestina che rischia di distruggere quanto di buono aveva fatto il predecessore in circa 60 anni di attività ai massimi livelli imprenditoriali. In più, anche in seguito al clamore suscitato dalle tensioni tra eredi, il fisco francese ha avviato indagini sulla costellazione aziendale Del Vecchio, poiché ritiene che l’ultima residenza del fondatore non fosse Montecarlo ma Beaulieu-Sur-Mer, in Francia.

Quest’ultima “sfumatura” è di importanza fondamentale, perché nel principato di Monaco la tassa di successione per i parenti diretti è nulla, mentre in Francia può arrivare anche al 60%, e per gli eredi sarebbe una catastrofe capace di trascinare la holding EssiLux, a causa dell’importo elevatissimo delle imposte di successione, sotto il controllo francese. Infatti, oggi EssiLux è già un colosso italo-francese che vale 75 miliardi di euro, ma con il comando in Italia, e questo ai francesi, desiderosi di aggiungere anche la creatura di Del Vecchio tra i gioielli soffiati all’Italia, non piace affatto.

In definitiva, due stili familiari differenti tra gli eredi del Cavaliere e quelli di Del Vecchio. Unità di intenti da una parte, disaccordo dall’altra. Due stili familiari sviluppatisi all’interno delle rispettive mura domestiche per motivi che mai conosceremo, ma che nel caso dei figli di Del Vecchio possiamo individuare nelle notevoli differenze di età tra di loro (si va da un diciottenne ad un ultrasessantenne), che certamente non hanno favorito omogeneità di vedute e facilità di dialogo. Eppure, le pretese della Francia in merito alla questione della residenza effettiva del patron al momento della morte dovrebbero unire la famiglia in una unica battaglia comune. E’ logico pensare che anche all’interno della famiglia Berlusconi possano essersi verificati piccoli attriti e differenze di vedute tra gli eredi, ma tutto si è risolto rapidamente e soprattutto senza alcuna esposizione pubblica. Non è una differenza da poco.

Deloitte: il taglio dei tassi favorisce il Direct Credit per finanziare le transizioni green e digitale

In America del Nord e Gran Bretagna oltre il 70% del credito erogato alle imprese proviene da fondi di direct credit e solo il 22% rimane finanziato dalle banche. In Europa il rapporto di forza è rovesciato.

“La recente decisione della Bce di ridurre il Tasso Ufficiale di Sconto sembra indicare un ritorno alla “normalità” per il mercato del credito, che porterà a un maggiore accesso e un minor costo dei finanziamenti per le Pmi Italiane, con effetti positivi sulla crescita e sulla redditività. La transizione green e digitale delle imprese italiane non può essere finanziata solo dal settore pubblico o dal sistema bancario. Le risorse devono necessariamente passare anche dal risparmio privato e, in questo senso, il Direct credit rappresenta uno strumento finanziario fondamentale oltre che un’opportunità di crescita per imprese, investitori e banche”. Lo ha affermato Claudio Scardovi, Senior Partner e Private Equity Leader di Deloitte Italia, nel corso dell’evento “Direct Credit, un’opportunità per il Paese”, che si è tenuto lo scorso 19 giugno presso la sede di Deloitte di Milano.

“Della crescita del Direct Lending in Italia beneficerebbe in larga parte lo stesso settore bancario, che si sta riorientando sempre di più verso l’asset e wealth management, con progressiva diversificazione delle fonti di reddito e dei rischi patrimoniali assunti, con una minore dipendenza del valore economico creato dal Tasso Ufficiale di Sconto, destinato a scendere. Le banche Italiane, negli ultimi due anni, hanno largamente beneficiato della crescita dei tassi, soprattutto in termini di dividendi record e redditività. Le banche italiane potranno supportare lo sviluppo del direct credit, sia raccogliendo risparmi privati da investire sia lavorando in partnership con i fondi mid-market già attivi in questo settore attraverso attività di origination e co-finanziamento sui propri clienti», continua Scardovi (nella foto).

Il Direct Credit è uno strumento ancora poco conosciuto e utilizzato in Italia. Infatti, mentre in America del Nord (USA e Canada) e Gran Bretagna oltre il 70% del credito erogato alle imprese proviene da financial sponsor tra cui i fondi di direct credit, con la quota rimanente finanziata dal sistema bancario, il rapporto di forza appare rovesciato in Europa: in Francia il credito bancario è al 55% del totale, in Italia al 47% e in Germania al 37%, rispetto al 22% per gli Stati Uniti. I volumi di credito diretto non bancario – il cosiddetto shadow banking – sono molto rilevanti a livello globale e caratterizzati da elevata crescita. Il 58% di questo stock è però concentrato in America del Nord, con un capitale disponibile per finanziamenti di direct lending che ammonta a 182 miliardi di dollari a livello globale, per AUM complessivi pari a 546 miliardi.

Il direct credit è caratterizzato da durate medie ponderate dei prestiti più lunghe (oltre 5 anni la durata media negli Stati Uniti, oltre i 6 anni in Italia), a fronte di un costo medio competitivo rispetto a quello bancario (6,8% nel 2023, secondo Aifi). Guardando alle attività di investimento, la quota italiana di private debt risulta pari ad appena 2,9 miliardi di euro nel 2023, registrando, secondo Aifi, un calo del 12% rispetto al 2022, con oltre i due terzi dell’erogato concesso a grandi imprese. Il numero di operazioni è sceso del 37%, passando da 262 a 164, coinvolgendo 109 società. Di queste, il 55% sono stati finanziamenti, il 38% obbligazioni e il 7% di strumenti ibridi. Peraltro, oltre il 30% dei mini-bond è sottoscritto dalle stesse banche, con limitato uso di basket bond (portafoglio di mini-bond diversificato). Parallelamente, la raccolta degli operatori di private debt attivi in Italia è aumentata nel 2023 del 14%, raggiungendo 1.141 milioni di euro. La raccolta indipendente, che rappresenta il 96% del totale, proviene principalmente dal settore pubblico e dai fondi di fondi istituzionali (46%), seguita dalle banche (19%) e dai fondi pensione e casse di previdenza (16%).

«Considerando il vasto universo di oltre 10.000 aziende in Italia con un fatturato tra i 30 e i 100 milioni di euro, risulta evidente il notevole potenziale di crescita del mercato del private debt, che può essere colto sviluppando maggiormente la raccolta da investitori istituzionali, auspicabilmente supportandola con benefici fiscali. Ciò consentirebbe di aumentare la penetrazione del prodotto tra le piccole e medie imprese italiane e ridurrebbe la dipendenza dal settore bancario per finanziare progetti di crescita organica (principalmente investimenti) o per vie esterne (e.g. M&A)», commenta Luigi Cutugno, Partner Corporate Finance e Debt & Capital Advisory Leader di Deloitte Italia.

Alta Formazione CUOA: il ruolo del Finance nelle scelte strategiche in azienda

Un evento pensato per CFO, imprenditori, amministratori delegati, direttori generali, consulenti di direzione, professionisti, direttori corporate di banche, SGR e fondi di investimento.

Dalle analisi predittive alla trasformazione digitale fino alla crescita con M&A e al ruolo del CFO come advisor ed acceleratore di processi. Sono queste le tematiche al centro del Finance Day CUOA di quest’anno, che si svolgerà mercoledì 26 giugno dalle 14.00 alle 18.30 presso Villa Valmarana Morosini, sede della business school. 

Obiettivo dell’iniziativa, nata nel 2020 con una serie di appuntamenti online, è fornire ai professionisti insights sugli scenari e sui trend evolutivi del settore dando la parola a speaker qualificati che possano condividere la loro esperienza e il loro punto di vista.

L’approfondimento inizierà alle 14:00 con i saluti di Giuseppe Caldiera (nella foto), direttore generale di CUOA, e Francesco Gatto, responsabile del centro di competenza finance della business school. Prenderà poi la parola Marcello Mattiussi, Partner KPMG Advisory, per presentare la relazione “Overview e trend dell’Area Finance: le principali evidenze a livello nazionale e internazionale”. Il pomeriggio continuerà con tre tavole rotonde, ciascuna delle quali prenderà avvio con una breve instant survey rispetto ai temi oggetto di discussione. La prima si intitola “Scenari, analisi predittive, accesso al credito: l’importanza della capacità di pianificazione per orientare le scelte strategiche, gestire le scelte di struttura finanziaria, l’accesso al credito e al sistema finanziario”. La seconda avrà come tema “Il ruolo del Finance nella trasformazione digitale dell’azienda: orientare e guidare processi di cambiamento tecnologico coniugando finanza, tecnologia e strategia”. La terza ed ultima prenderà in esame lo sviluppo dimensionale e la crescita per linee esterne. 

Commenta Francesco Gatto (nella foto), Responsabile dell’Area Finance CUOA: “Nel contesto economico attuale, caratterizzato da una crescente incertezza e da rapidi cambiamenti, il ruolo del CFO è in continua evoluzione. Nel Finance Day abbiamo deciso di porre l’attenzione su alcune sfide cruciali del Finance da qui ai prossimi anni. Impostare e implementare analisi predittive, valutare futuri possibili scenari preparando l’azienda a ciascuno di essi, sfruttare le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, capire come utilizzare al meglio le risorse dell’intelligenza artificiale, ragionare sulla necessità della crescita e di come avviare percorsi di sviluppo attraverso acquisizione sono tutte indubbiamente capacità e competenze richieste ad un CFO “moderno”.

L’evento è pensato per CFO, imprenditori, amministratori delegati, direttori generali di aziende, consulenti di direzione, professionisti (Commercialisti, Avvocati), esponenti delle Direzione Corporate di banche, SGR e fondi di investimento.

Per informazioni:  
https://www.cuoa.it/ita/formazione/corsi-executive/finance-day-2024-le-sfide-del-finance-per-orientare-le-scelte-strategiche#:~:text=Il%20FINANCE%20DAY%202024%20rappresenta,per%20le%20sorti%20dell’azienda.

Logistica, ecco le 6 sfide che attendono il settore nel 2024

Nella Logistica 1,7 miliardi d’investimenti messi in campo solo nel 2023. Tante le sfide che attendono il settore: genuinità dei contratti di appalto, carenza di personale ed esplosione dell’e-commerce.

In crescita il comparto della Logistica in Europa, ma i numeri in crescita non devono però far dimenticare i punti deboli di un settore che nel 2023 ha registrato circa 1,7 miliardi di euro di capitali investiti, 40% in meno rispetto al 2022.

Le stime più recenti dicono che il mercato del trasporto merci e della logistica in Europa possa chiudere il 2024 con un fatturato poco superiore ai 1000 miliardi di dollari, per poi superare i 1200 miliardi nel 2029 con un tasso composito di crescita annuale nei 5 anni pari al +4,11%. Secondo il report di Mordorintelligence.com, il mercato europeo dei trasporti e della logistica è dominato da paesi come Germania, Francia, Italia, Spagna e Regno Unito. Il governo tedesco ha recentemente allocato un fondo di 530 milioni di euro (578 milioni di dollari) per migliorare i ponti lungo la rete. Le tariffe di trasporto hanno anche registrato un aumento in Europa a causa dell’inflazione, della debolezza della domanda e della guerra in Ucraina.

Oggi la logistica si trova a giocare un ruolo chiave per l’economia e le persone, come confermato dalle molte notizie che circolano sulla stampa, ma non sempre ciò avviene tramite l’utilizzo di strumenti e prassi genuine nell’ambito di filiere produttive sempre più lunghe per via del ricorso a esternalizzazioni. Recentemente, infatti, si è parlato di frodi fiscali con mancato versamento di contributi e mancato pagamento dell’Iva nei cosiddetti pseudo-appalti, lavoratori assunti ma costretti a rinunciare al trattamento di fine rapporto o ad una corretta retribuzione. Non mancano poi le indagini sul caporalato, sulle catene di fornitura e subfornitura che nascondono casi di somministrazione di manodopera irregolare. Le criticità da affrontare sono tante e non risolverle rischia di attirare sempre meno investitori.

Da inizio marzo 2024, il Governo ha messo in campo un’ulteriore stretta inasprendo le sanzioni penali per la somministrazione illecita di manodopera (d.l. n. 19 del 2 marzo 2024). L’intento è quello di garantire maggiore protezione ai lavoratori e una concorrenza leale tra le imprese. La somministrazione di manodopera se effettuata da parte di soggetti non autorizzati, come ad esempio con pseudo-appalti o distacchi fittizi, è punita con l’arresto fino a un mese o in alternativa con un’ammenda di 60 euro per ogni lavoratore e per ogni giornata di lavoro. Sanzione che riguarda tanto il somministratore non autorizzato quanto l’utilizzatore.

Per contrastare questa problematica in campo internazionale, sono nate alcune piattaforme che promuovono lo sviluppo sostenibile dell’intera filiera in ottica ambientale, sociale e di governance. TIAKI Logistics, nata grazie alla partnership con EETRA srl SB e all’impulso di Assologistica, è una delle più importanti, ed oggi beneficia degli studi e ricerche ADAPT, che promuove già da alcuni anni studi e ricerche nell’ambito delle relazioni industriali e di lavoro. In questo modo, sarà possibile per l’utenza godere della esperienza pluriennale nell’ambito dei servizi d’assistenza progettuale ad aziende, professionisti, sindacalisti e operatori delle relazioni industriali, per orientarsi nelle complesse questioni giuridiche connesse alla gestione quotidiana dei rapporti di lavoro e dei contratti di appalto e subappalto.

In particolare, questa collaborazione intende offrire alle aziende interessate una prima valutazione sulla genuinità dei propri appalti al fine di fare chiarezza e dare maggiori certezze ai contratti stipulati. Tramite un servizio di valutazione dedicato (tiakilogistics.com) le aziende potranno comprendere il livello di rischio al quale si espongono nell’ambito delle filiere di esternalizzazione attuate ottenendo altresì indicazioni e suggerimenti su come migliorare i propri contratti di appalto e subappalto. “Sebbene il settore della logistica abbia compiuto progressi significativi nelle soluzioni di efficientamento energetico e diminuzione dell’impatto ambientale, ci sono ancora molte sfide da affrontare per quanto riguarda i parametri sociali – dichiara Martina Castoldi, cofondatrice di Tiaki Logistics – Diritti dei lavoratori, condizioni contrattuali, salute e sicurezza, equità nell’accesso ai servizi: sono questi i temi dove c’è ancora molta strada da percorrere. La nostra collaborazione con ADAPT vuole dare un segnale in questo senso e fornire uno strumento facile e digitale per implementare la regolarità e il benessere sociale”.

Ecco quindi, nel dettaglio, le 6 sfide che il settore della logistica dovrà affrontare in questo 2024:
Rispetto dei parametri ESG: dalla sostenibilità, con le aziende impegnate a ridurre l’impatto ambientale, alla legalità fatta di contratti e appalti in regola. Rispettare i parametri ESG può aiutare ad attirare investimenti.
Rispetto delle genuinità delle esternalizzazioni: dalla gestione di contratti di appalto e subappalto genuini, al rispetto della normativa antinfortunistica, fino al controllo dei corretti adempimenti da parte di appaltatori e subappaltatori verso i lavoratori impiegati nell’appalto.
Carenza di manodopera: l’assenza di autisti è solo una delle mancanze. Il personale ha bisogno della giusta formazione. Le aziende devono investire nella formazione e nello sviluppo delle competenze del personale per attirare e trattenere i migliori talenti.
Innovazione e Tecnologia: la logistica non è certo esclusa dalla diffusione dell’intelligenza artificiale che può diventare fondamentale nella pianificazione e nella gestione delle scorte. Ma ciò deve essere fatto nel rispetto della normativa di riferimento e coniugando tale esigenza di sviluppo con la genuinità di eventuali appalti e subappalti.
Boom dell’E-commerce: le consegne a domicilio aumentano sempre di più, creando sfide per la logistica dell’ultimo miglio. Di conseguenza aumentano anche i resi, da gestire sopportandone il costo e l’impatto ambientale.
Sicurezza Informatica: la logistica è un settore bersaglio per gli attacchi informatici. Le aziende devono investire nella sicurezza informatica per proteggere i loro dati e sistemi.

Al via Education Week, i webinar gratuiti di 24ORE Business School

Alla terza edizione il ciclo di eventi formativi gratuiti promosso da 24ORE Business School. Quaranta appuntamenti per fare cultura su temi di attualità e scoprire nuove prospettive di lavoro.

Dallo scorso 9 Aprile e fino al 22 Aprile 2024 è tornato l’atteso appuntamento con l’Education Week, il ricco ciclo di eventi culturali e formativi gratuiti promosso per il terzo anno consecutivo da 24ORE Business School. In programma oltre 40 appuntamenti, fruibili da tutti gli interessati in live-streaming o in presenza presso le sedi di Milano e di Roma, dedicati a temi e materie di grande attualità, approfonditi da docenti, esperti del settore e testimonial d’eccezione. Durante l’Education Week, sessioni interattive permetteranno di esplorare un’ampia gamma di argomenti tra cui innovazione, project management, sport, sostenibilità, logistica, digital marketing, ma anche geopolitica, finanza, fino al personal branding.

“Da 30 anni la mission di 24ORE Business School è fornire a giovani laureati e professionisti le competenze necessarie per affrontare le sfide del mondo del lavoro, eccellere e trasformare i propri sogni in successi duraturi”, afferma Valerio Momoni (nella foto), AD di 24ORE Business School. “Con l’Education Week vogliamo offrire un momento culturale unico che permetta di scoprire nuove prospettive di lavoro, con uno sguardo fortemente rivolto alle professioni del futuro”. Un’occasione, dunque, per arricchire le competenze individuali stando al passo con le ultime tendenze, ma, come spiega Momoni, “anche un modo per restituire cultura alla società, offrendo gratuitamente l’accesso a informazioni preziose e aggiornate”. 

Tra i relatori di spicco che interverranno all’Education Week, l’Ambasciatore Stefano Pontecorvo, Mauro Bonati di Yakult Italia, Stefano Branca di Culligan International, Simona Vargas di Telepass, Carlo Diego D’Andrea dell’European Chamber of Commerce in China, Massimiliano De Blasi di Publicis Sapient, Dario Castiglia (nella foto) di RE/MAX, Dario Gargiulo di Bottega Veneta Greater China e molti altri esperti di rilevanza. Professionisti che condivideranno le loro conoscenze ed esperienze, offrendo un’opportunità unica di apprendimento e di connessione con i principali attori del mondo del business.

Oltre ai webinar con i manager d’azienda e i testimonial d’eccezione, il calendario dell’Education Week comprende esclusive open lesson che rientrano nel piano formativo di alcuni dei principali Master della Business School che per l’occasione saranno aperte al pubblico. Tra le novità, anche la presentazione in anteprima di tre libri di manualistica, dedicati a temi “caldi” come il digital marketing, logistica e supply chain e l’utilizzo di LinkedIn, il social network professionale per eccellenza. Ad inaugurare l’Education Week  è stato l’evento “Leadership: Visione, passione, entusiasmo e sviluppo dell’altro”, durante il quale è stata effettuata una approfondita esplorazione del significato della parola “leadership” attraverso le testimonianze di top manager chiamati a motivare e sviluppare il potenziale dei leader di oggi e di domani.

DATA EVENTO: Dal 9 al 22 aprile 2024
PROGRAMMA: https://www.24orebs.com/lp/education-week-aprile-2024
PER INFORMAZIONI: adriana.anceschi@24orebs.com
VIDEO: https://youtu.be/nVVFGEliNvA