Dicembre 7, 2023
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USA, la recessione è già in corso ma i dati macro “politicizzati” la nascondono

I dati macro USA camuffati per gestire l’opinione pubblica, i mercati e la propensione al rischio. il sistema privato Usa, dopo 14 anni di QE, è esposto ad un elevato rischio di insolvenza. 

Di Maurizio Novelli, gestore Lemanik Global strategy fund

I mercati azionari tornano sui massimi storici mentre i fondamentali continuano a deteriorarsi sia a livello macro che micro. Purtroppo il contesto nel quale ci troviamo a operare è sempre più inficiato dal fatto che alcuni dati macro sono ormai platealmente “politicizzati“. Infatti appare abbastanza evidente che, mentre i principali indicatori che utilizziamo da anni per interpretare il trend dell’economia americana confermano uno scenario di recessione già in atto (PMI, Leading Indicators, fiducia dei consumatori e delle imprese, ciclo del credito, profitti societari e commercio internazionale), i dati del Pil e del mercato del lavoro sembrano andare dall’altra parte.

Ormai i dati del mercato del lavoro Usa sono diventati indecifrabili a causa delle continue revisioni e modifiche di calcolo, tanto che il Bureau of Labor Statistics ha dichiarato che questi dati non sono confrontabili con quelli dell’anno scorso a causa delle modifiche apportate al meccanismo di calcolo. Tra il 2022 e il 2023 le grandi società tecnologiche di Wall Street hanno licenziato 565.000 dipendenti. Poiché la tecnologia è il settore trainante dell’economia ma riduce la forza lavoro come se fosse in recessione, trovo alquanto difficile che altri settori abbiano potuto assorbire questi licenziamenti. I dati sul Pil sono invece facilmente comprensibili nella loro “fabbricazione”, grazie al deflatore utilizzato per ottenere il Pil reale depurato dall’inflazione. Tuttavia, a parte questi aspetti ormai noti da tempo, appare sempre più evidente che il soft landing è già iniziato dall’inizio dell’anno in corso, mentre gli investitori pensano che sia uno scenario che deve ancora concretizzarsi. Infatti l’Europa è in recessione, la Cina è in crisi, il Giappone, nonostante poderose politiche reflazionistiche, chiude il Pil del terzo trimestre a -0,5%, con un tendenziale annuo a – 2,1%.

Un pessimo risultato per un’economia che ha impostato una strategia decisamente reflazionistica, al punto da mettere a rischio la stabilità valutaria e finanziaria. Germania, Giappone e Cina, le economie più esposte al ciclo economico internazionale, sono tutte in stagnazione ed evidenziano che l’economia mondiale è in stallo. Gli Stati Uniti hanno finora galleggiato grazie a politiche fiscali stratosferiche ma insostenibili, perseguite con l’intento di evitare il fallout di un sistema privato che è super indebitato e si sta sgretolando sotto il peso dei tassi d’interesse e delle insolvenze, che nonostante tutti gli interventi hanno iniziato a salire comunque in modo inesorabile. Infatti, analizzando il contributo fiscale alla crescita reale del Pil Usa, si scopre facilmente che, se gli Stati Uniti chiuderanno l’anno in corso con una crescita “ufficiale” al 2,2% circa (stime attuali), ben il 2,7% di crescita reale arriva dalla spesa pubblica (1% Federale e 1,7% Locale), evidenziando che l’intero settore privato ha espresso un contributo negativo di 0,1% in termini reali (sempre secondo i dati “ufficiali”). Analizzando i dati in termini nominali (non depurati dall’inflazione) si scoprono però cose interessanti. La spesa pubblica in termini nominali ha prodotto un contributo al Pil nominale pari a circa l’8,07% nel terzo trimestre con il Pil nominale che è cresciuto complessivamente dell’8%. Sembrerebbe dunque che il Pil nominale Usa del solo settore privato, senza la spesa pubblica, sarebbe in realtà a crescita zero in termini nominali, se da questo dato dovessimo sottrarre l’inflazione per ottenere il Pil reale del settore privato il numero sarebbe da panico (- 3,5% circa). In sintesi: mentre la spesa pubblica sostiene il Pil, il settore privato è già in pesante recessione. Questo ci fa capire quanto siano “politicizzati” certi dati per gestire l’opinione pubblica, i mercati e la propensione al rischio.

Sistema privato Usa a rischio insolvenza. La realtà è che il sistema privato Usa, dopo 14 anni di “festa del debito” supportata da QE e tassi a zero, si è esposto ad un elevato rischio di insolvenza. Infatti una elevata percentuale di tale debito (circa un 25%) è stato utilizzato per “misallocation of capital”, cioè per investimenti la cui redditività era compatibile solo in un contesto di costo del credito pari a zero o molto basso. Per calcolare la percentuale di “misallocation” basta guardare a come si è gonfiato il settore del Private Credit, del Venture Capital, del Private Equity e di tutto il settore dello Shadow Banking System americano, che attualmente è il principale “distributore di rischio” sui mercati finanziari e il principale fornitore di credito al sistema. Per distributore di rischio” si intende il ruolo che un intermediario ricopre nel collocare prodotti finanziari (credito, fondi o equity) a investitori istituzionali e non, attraverso cartolarizzazioni di loans, credito e strumenti finanziari. Nel 2005-2007 tale ruolo è stato ricoperto dalle banche Usa, che spargevano il rischio di credito nel sistema attraverso il collocamento di MBS (Mortgage Backed Securities), ABS (Asset backed securities) e CLO (Collateralized loan obligation). Attualmente tale attività si è spostata dal settore bancario (regolamentato) allo Shadow Banking (non regolamentato).

La concomitanza di credito facile (QE) e mancanza di regolamentazione e/o vigilanza ha prodotto un disastro ancora non visibile sui mercati ufficiali ma già molto visibile nei mercati non ufficiali, esattamente come nel 2006 si vedevano i problemi che sono poi esplosi nel 2008. Insolvenza di sistema e crescita del credito non sono mai andati nella stessa direzione e sono tra loro decorrelati. Se fosse vero che l’economia Usa cresce del 2%-3%, come si vuole far credere, non avremmo una contrazione del credito, un aumento delle insolvenze, crisi bancarie e la necessità di abnormi stimoli fiscali. In realtà il sistema è “saltato” con l’arrivo della pandemia del 2020, è stato temporaneamente “salvato” dagli interventi, e ora con la insostenibilità degli interventi sta tornando ancora nella situazione di insostenibilità.

Il problema principale è che i colossali interventi monetari e fiscali sono stati finalizzati a salvataggi. Gli stimoli fiscali e monetari di salvataggio non hanno gli stessi effetti degli stimoli fiscali per investimenti e tendono a perdere il loro effetto molto presto. Il paradosso è che l’effetto più rilevante di tali stimoli ha scatenato un’ulteriore ondata finanziaria speculativa di cui non avevamo bisogno, mentre l’economia reale è stata molto meno brillante, dato che per ottenere un dollaro di Pil degli ultimi due anni abbiamo fatto 5 dollari di nuovo debito. Questo conferma che i salvataggi hanno, nel medio periodo, un moltiplicatore fiscale negativo. A questo punto, considerando che il soft landing è già in corso da quasi un anno, fabbricato da alcuni dati macro “politicizzati”, occorre chiedersi se siamo nella condizione di uscire dal pantano o ci rimaniamo dentro per un bel po’ di tempo, con il rischio di affrontare in seguito un hard landing.

Emergenza Credit Crunch, la situazione e le soluzioni per le PMI nell’Eurozona

Le banche hanno aumentato i requisiti per l’approvazione di prestiti, influenzando direttamente la liquidità e la capacità di crescita delle PMI.

In un contesto economico sempre più sfidante, l’ultimo Bank Lending Survey della Banca Centrale Europea (BCE) ha evidenziato un inasprimento sostanziale degli standard creditizi applicati dalle banche dell’Eurozona. “Questo fenomeno, noto come “credit crunch“, sta impattando significativamente sulle nostre piccole e medie imprese (PMI), che trovano crescenti difficoltà nell’accesso al credito”, ha dichiarato in una recente intervista Giordano Guerrieri CEO di Finera.

Secondo l’analisi recente dell’Ufficio Studi della CGIA, questa restrizione creditizia sta esercitando una pressione senza precedenti sulle PMI, vitali per l’economia dell’area euro. Le banche, rispondendo a un ambiente economico incerto e a regolamentazioni più stringenti, hanno aumentato i requisiti per l’approvazione di prestiti, influenzando direttamente la liquidità e la capacità di crescita delle PMI. Nello specifico, da agosto 2022 ad agosto 2023 si è registrata una marcata diminuzione degli impieghi bancari vivi verso le imprese italiane, con un calo del 7,7% rispetto all’anno precedente, pari a una contrazione di 55,8 miliardi di euro. Questa riduzione ha colpito in modo più accentuato le piccole imprese con meno di 20 dipendenti (che rappresentano circa il 98% del totale delle imprese in Italia), con un calo dell’8,7%, mentre le imprese di dimensioni maggiori hanno registrato una diminuzione leggermente inferiore, del 7,5%.

Sulla base della analisi della CGIA, secondo Giordano Guerrieri sono almeno tre le cause principali di questa restrizione creditizia, tutte strettamente interconnesse. La prima causa è l’aumento dei tassi di interesse da parte della BCE, che ha reso il debito più costoso. A ciò si aggiunge il fatto che il calo dei volumi di credito è legato anche al rallentamento del Pil nazionale, che ha comportato una diminuzione della domanda di prestiti e come terza causa la ridotta liquidità delle banche dovuta alla necessità di restituire alla BCE i fondi Tltro, per un totale di 174 miliardi di euro entro settembre 2024.

Di fronte a questa situazione critica, che ha portato molte banche a limitare il credito alle imprese, esistono tuttavia alcune soluzioni concrete per sostenere le PMI. Tra queste troviamo ad esempio la possibilità di un aumento delle garanzie statali sui prestiti alle PMI, al fine di ridurre il rischio percepito dalle banche e facilitare l’accesso al credito. Un’altra possibilità è data dall’introduzione di incentivi fiscali per le banche che offrono condizioni di prestito favorevoli alle PMI, incoraggiando così un maggiore flusso di credito verso questo settore. Non bisogna dimenticare che, “In una situazione di credit crunch, le imprese possono e devono ricorrere alla finanza agevolata e agli strumenti di finanza alternativa, come il crowdfunding o il peer-to-peer lending, che possono offrire alle PMI opzioni di finanziamento più flessibili”, spiega Guerrieri.

Per superare l’attuale crisi di liquidità e assicurare alle PMI dell’Eurozona le risorse necessarie per prosperare e sostenere l’economia, è necessario un approccio proattivo e coordinato, sia da parte delle PMI, che devono abbandonare la mentalità bancocentrica e aprirsi alle valide alternative disponibili per ottenere liquidità, sia da parte di istituzioni europee, stati membri, settore bancario e governi, che devono collaborare per fornire costantemente soluzioni utili a superare il credit crunch.  

Qual è il futuro delle quotazioni del caffè? Il 2024 è una enigma

I prezzi del caffè sono risaliti in ottobre e novembre dopo un calo piuttosto prolungato. Il rimbalzo è dovuto al calo delle scorte e all’incertezza sul fenomeno meteorologico El Niño.

Di XTB Online Trading

Il mercato delle materie prime è legato soprattutto al petrolio, al gas o anche all’oro. È meno comune parlare del mercato del caffè, nonostante sia uno dei mercati delle materie prime più attivi al mondo, subito dopo il petrolio.

Il caffè in generale A volte è considerato un bene di lusso dal mercato e un bene essenziale dai consumatori. Il Brasile è leader indiscusso nel mondo, specializzato nel caffè Arabica (utilizzato principalmente nelle macchine per caffè espresso) ma è anche il secondo produttore mondiale di caffè di tipo Robusta (utilizzato principalmente per la produzione di caffè solubile). Tuttavia, i problemi di produzione in Brasile spesso causano notevoli aumenti del prezzo del caffè in tutto il mondo, mentre, d’altro canto, i buoni raccolti causano forti cali. Sebbene la domanda sia cresciuta dinamicamente e abbia segnato un leggero arresto dopo il 2020, abbiamo avuto due periodi in cui l’offerta ha superato di gran lunga la domanda. Erano gli anni 2014-2016 e 2020-2022.

Nonostante ciò, le scorte sui mercati tendono a ridursi e i prezzi del caffè sono attualmente a livelli relativamente elevati. Da dove viene questo? Il caffè non può essere conservato indefinitamente, come ad esempio l’oro. Nel mercato delle materie prime agricole, la capacità di stoccaggio è limitata: i prodotti agricoli, semplicemente, si deteriorano. Di conseguenza, nonostante l’enorme eccesso di offerta sul mercato negli ultimi anni, abbiamo assistito a un calo delle scorte di fine stagione, che sono ora vicine ai livelli più bassi degli ultimi 10 anni. Allora perché l’impennata dei prezzi, quando c’era un enorme eccesso di offerta sul mercato? Questo è dovuto ai prezzi bassi del caffè certificato e di alta qualità. Sebbene il Brasile sia il più grande produttore di caffè al mondo, i paesi dell’America Centrale sono all’avanguardia nella produzione del “miglior” caffè.

La mancanza di disponibilità di caffè per la fornitura è stato il problema che ha causato forti aumenti dei prezzi del caffè, prossimi a 250 centesimi per libbra nel 2022. Questi sono stati i livelli più alti in più di 10 anni. Era il 2011 che avevamo prezzi vicini ai più alti di sempre, intorno ai 300 centesimi per libbra. A metà degli anni Novanta era solo leggermente più alto. Le scarse scorte di caffè certificato sono il risultato di un raccolto eccessivo di caffè in tutto il mondo, che a un certo punto ha fatto scendere i prezzi al di sotto dei 100 centesimi per libbra. Si stima che il costo marginale della produzione di caffè nelle piantagioni più piccole sia pari ad almeno 120 centesimi per libbra. Con i prezzi bassi da anni, la produzione di caffè certificato è diminuita notevolmente.

Ma non è tutto. Dal 1° dicembre cambiano le regole per certificare il caffè nei magazzini ICE. Fino ad ora, il caffè rimasto troppo a lungo nei magazzini poteva ricevere una “penalità di vecchiaia”, che ammontava a pochi centesimi per libbra di caffè. Per evitare di vendere il caffè a importi inferiori, i commercianti lo ritiravano dai magazzini e lo hanno ricertificavano, vendendolo al di fuori del mercato contrattuale. Dal 1° dicembre tale pratica non sarà più consentita, e il caffè una volta certificato non potrà più passare. Molti partecipanti a questo mercato hanno ritirato le azioni dalla borsa negli ultimi mesi per evitare la penalità di vecchiaia, con conseguente massiccio calo delle azioni. Dopo il primo dicembre vedremo se il mercato è stato effettivamente così teso e se i titoli precedentemente ritirati torneranno sul mercato per l’ultima volta. Reuters stima che almeno 160.000 siano in attesa di certificazione, ovvero oltre la metà delle scorte attualmente disponibili.

Qual è il futuro dei prezzi del caffè? I prezzi del caffè sono risaliti in ottobre, anche se dopo un calo piuttosto prolungato. Il rimbalzo dei prezzi del caffè è dovuto al calo delle scorte e all’incertezza sul fenomeno meteorologico El Nino. Quest’ultimo tende a influenzare in modo significativo i cambiamenti in termini di temperatura e precipitazioni, che potrebbero esporre i raccolti di caffè a rese inferiori. D’altro canto, le previsioni al momento indicano una crescita quasi record della produzione di caffè brasiliano. Oltre a ciò, il Brasile sta esportando quasi la maggior quantità di caffè della storia, il che è in contrasto con il quadro di scorte di caffè estremamente basse. Tuttavia, gli speculatori hanno ridotto significativamente il numero di posizioni Short sul mercato, suggerendo un ulteriore rimbalzo dei prezzi. La stessa cosa dice la stagionalità del mercato del caffè, che di solito suggerisce prezzi più alti alla fine dell’anno.

Tuttavia, il prossimo anno è un enigma: si prevede una produzione globale estremamente elevata di 174 milioni di sacchi, con una domanda record che supera i 170 milioni di sacchi. Se questa immagine del mercato persiste, difficilmente gli aumenti continueranno. Tuttavia, se si dovesse verificare che la produzione di caffè in Brasile non riprendesse affatto, e che El Niño pagasse il suo “pedaggio” negativo, il mercato potrebbe essere vicino al deficit per la stagione 2023/2024. In tal caso, potrebbe risultare che i prezzi estremamente bassi del caffè sulla borsa ICE abbiano dimostrato che il mercato potrebbe effettivamente essere a corto di caffè, almeno della migliore qualità.

Separazione e divorzio: il “mistero giuridico” dell’assegnazione della casa coniugale

In sede di separazione, la casa coniugale viene generalmente assegnata alla ex moglie per tempi lunghissimi. Tuttavia, quale sia la natura giuridica di questa prassi rimane un mistero fitto.

Di Alessio Cardinale

Il tema della protezione del patrimonio ha una sua evidenza specifica quando la coppia si disgrega. In tale circostanza, infatti, avviene certamente un indebolimento patrimoniale spesso irreversibile, anche in termini prospettici. Eppure, non dovrebbe essere  così, e gli obiettivi di conservazione degli asset a beneficio delle generazioni successive non dovrebbe venir meno neanche in questa occasione. L’assegnazione della casa coniugale, in particolare, rappresenta il punto di svolta di qualunque essere umano – di sesso maschile nella quasi totalità dei casi – poiché impone una completa riorganizzazione economica e sociale dell’individuo.

Infatti, in tema di assegnazione della casa coniugale neanche il valore locativo dell’immobile assegnato viene riconosciuto quale compensazione economica (almeno parziale) di quanto stabilito come alimenti per l’ex coniuge, quando spettanti. La circostanza è piuttosto grave, poiché l’assegnazione della casa coniugale ad un solo soggetto – che molto spesso non è nemmeno il comproprietario dell’immobile – per via della sua lunga durata (anche tutta la vita) determina una gravissima compressione del diritto di proprietà.

A testimonianza della perdita di fatto del titolo di proprietà o comproprietà – che si supporrebbe temporaneo, ma nessun giudice stabilisce un termine e l’assegnazione dura praticamente tutta la vita – secondo diverse pronunce della Corte di Cassazione l’ex marito che entra nella casa assegnata alla moglie dopo la separazione rischia una condanna per violazione di domicilio, anche se ne è proprietario o comproprietario. In sintesi, grazie alle decisioni dei tribunali civili, le ex mogli (molto raramente gli ex mariti) diventano titolari esclusive del diritto di abitare l’appartamento, e in virtù dello ius excludendi alios hanno il diritto di decidere chi può avere accesso alla casa, anche se l’ex marito continua ad esserne proprietario o comproprietario.

La questione, quindi, assume nel tempo i contorni di una requisizione a termine indefinito, per la quale andrebbe riconosciuto a chi la subisce un giusto indennizzo economico o un equo valore compensativo a valere sul mantenimento o sui beni della ex moglie assegnataria, soprattutto allorquando anche lei è titolare di un reddito o di beni fungibili di buon valore economico (immobili, preziosi, depositi bancari etc). Infatti, in tema di privazione forzosa dall’utilizzo dei propri beni, il Diritto ci dice che l’esecuzione forzata è un procedimento esecutivo, di natura coattiva, che nasce dal principio di responsabilità patrimoniale ed è diretto a sottrarre al debitore determinati beni (pignorabili) al fine di soddisfare il creditore procedente (articolo 2740 Codice Civile). La requisizione, invece, è l’atto giuridico con cui si priva un soggetto dei suoi diritti di possesso (e talvolta di proprietà) di un bene, ed è un provvedimento con il quale la pubblica amministrazione sottrae al privato, in via temporanea o definitiva, il godimento di un bene per il superiore interesse pubblico contro il pagamento di un indennizzo. Nel diritto penale, infine, la confisca è l’acquisizione coattiva, senza indennizzo, da parte della pubblica amministrazione di determinati beni o dell’intero patrimonio di chi ha commesso un reato, quale conseguenza di questo.

Orbene, nel caso dell’assegnazione della casa coniugale il giudice che la dispone non fa alcuna menzione del fondamentale requisito del periodo di tempo massimo a cui dovrebbe necessariamente sottostare; di conseguenza, risulta impossibile catalogare tale istituto all’interno di una fattispecie giuridicamente prevedibile e perfetta, dal momento che, senza la definizione di un limite temporale ben definito, non ha alcuna fonte nel diritto se non nella giurisprudenza di merito. Infatti:
– tra i coniugi, al momento del divorzio, non è ancora sorto alcun rapporto di debito o di credito non onorato che consenta di procedere ad un procedimento di esecuzione e ad una esecuzione immobiliare forzata;
– ad eccezione del mantenimento diretto, previsto dall’Ordinamento (L. 54/2006 e successive modificazioni) ma accuratamente inapplicato nei tribunali di merito, l’obbligo alimentare viene generalmente assolto a mezzo assegno (di norma mensile), ed è la sua mancata corresponsione FUTURA che farebbe scattare eventuali e successive azioni esecutive (es. pignoramenti presso terzi);
– nonostante uno dei coniugi venga privato per lungo tempo dell’utilizzo di un proprio bene, non è prevista alcuna forma di indennizzo, per cui non può parlarsi di requisizione;
– parimenti, non può parlarsi di confisca, dal momento che non esiste un reato che ne giustifichi l’applicazione, nè di occupazione strumentale, poichè non è la Pubblica Amministrazione a farsene promotrice ma un tribunale a beneficio di un terzo.

In considerazione dell’assenza di un termine temporale, della sua lunghissima durata e della mancanza di un indennizzo, gli effetti dell’assegnazione della casa ad un solo coniuge somiglierebbero di più a quelli di un esproprio per pubblica utilità, ma nel caso dell’assegnazione della casa coniugale l’utilità insisterebbe a beneficio di una sola persona e dei figli eventualmente conviventi. Qualcuno potrebbe osservare che tale particolare fattispecie sia generata dal supremo interesse del minore che abita la casa coniugale, per il quale non sarebbe concepibile l’ipotesi di un allontanamento per soggiacere agli interessi di natura patrimoniale degli adulti. Ma anche questa teoria non è efficace, perchè in molti casi di divorzio e di susseguente assegnazione esclusiva della casa coniugale non insistono minori, ma figli maggiorenni (anche trentenni). Il mistero, pertanto, rimane, e determina l’urgenza di legiferare una disciplina giuridica chiara e inequivocabile, che tuteli anche gli interessi legittimi dei proprietari immobiliari. La prassi odierna dell’assegnazione della casa coniugale, infatti, fuoriesce dal perimetro dello Stato di Diritto democratico e  finisce con il somigliare molto a una di quelle usate nei sistemi giuridici asserviti all’economia collettivista.

Real Estate, Milano si conferma mercato più dinamico e attrattivo della penisola

L’aumento dei prezzi nelle aree più centrali di Milano ha un impatto complessivamente sfavorevole sul numero totale di transazioni registrate. La domanda si riorienta verso la periferia.

L’ottava edizione di Real Estate DATA HUB, il rapporto realizzato dai Centri Studi di RE/MAX Italia e di Avalon Real Estate sul mercato immobiliare italiano dedica un focus alle città di Milano, Roma, Napoli e Bergamo e relative regioni. In generale, Milano si conferma un mercato più dinamico rispetto al resto della penisola, come dimostrano i tempi di affitto e vendita più rapidi. Nel primo semestre 2023, le case sono state vendute in media in meno di tre mesi e affittate in 50 giorni, anche se l’incremento dei canoni fa prevedere un allungamento dei tempi.

Escludendo le nuove costruzioni e le nude proprietà, la media dei prezzi a Milano registra un trend di graduale e continua crescita e, da gennaio a settembre, si attesta sul valore medio di 3.730 euro/mq. Lato previsionale, per il quarto trimestre del 2023 l’andamento dei prezzi sarà condizionato dalla stagionalità, che storicamente spinge i prezzi al rialzo, e dalle dinamiche di mercato legate all’attuale contrazione della domanda e al maggiore sconto richiesto. Secondo RE/MAX Italia è plausibile, quindi, aspettarsi prezzi in un intervallo compreso fra i 3.842 euro/mq e i 3.637 euro/mq.

Analizzando la media dei prezzi per tipologia di immobile, si nota un andamento più stabile per i trilocali e più volatile per i monolocali. Salgono i prezzi nei quartieri di Piazza Firenze, Fiera, Molino Dorino, Udine, Ripamonti, Lotto, Lodi e Niguarda. L’attenzione della domanda verso quartieri più periferici ma ben serviti dal trasporto pubblico sta contribuendo ad una crescita del prezzo medio al metro quadro anche in queste aree. “Le dinamiche del mercato immobiliare dei prossimi mesi, ovviamente, saranno fortemente condizionate dagli interventi di politica monetaria che andranno a influenzare le decisioni degli investitori e l’andamento del Real Estate in termini di numero di transazioni, volumi, rendimenti e prezzi”, commenta Dario Castiglia, CEO di RE/MAX Italia.

Forte interesse anche su quartieri più vicini al Centro, come Porta Romana, Piazza Firenze e Solari. Sul fronte creditizio,  a Milano il numero di mutui erogati per finalità di acquisto passa dal 92,86% del secondo semestre 2022 al 95,42% del primo semestre 2023. Aumenta la richiesta di soluzioni a tasso fisso, la cui percentuale passa dal 57,30% del secondo semestre 2022 al 61,29% del primo semestre 2023. Sul totale dei mutui erogati, diminuisce sensibilmente il numero di celibi/nubili, a favore di conviventi e separati. Complessivamente aumenta del 2,14% la media dell’erogato, portandosi poco oltre i 153 mila euro, 28 mila euro in più rispetto alla media nazionale.  

Milano: comparto immobiliare logistico, direzionale e ricettivo. Anche nel 2023 Milano continua a essere la location più richiesta da chi investe nel comparto logistico. Si conferma la crescita dei prime rent nell’area metropolitana meneghina, sia per gli asset logistici tradizionali sia per i last mile, dettata dall’aumento di prodotti built to suit di grado A, con spazi di alta qualità e dotati di certificazione energetica. Ad oggi il canone prime registrato nella provincia di Milano si assesta nell’intorno dei 65 €/mq/anno; nel caso di immobili last mile di recente edificazione il prezzo medio sale a 105 €/mq/anno.

Nel settore direzionale, Milano, insieme a Roma, si conferma realtà trainante. Se nel primo trimestre 2023 si è registrato un assorbimento inferiore rispetto al primo trimestre 2022, nel secondo trimestre 2023 il comparto risulta solo in lieve riduzione rispetto al 2022, segnando un riallineamento al trend storico. La domanda rimane comunque forte e rivolta prevalentemente verso prodotti di qualità, sostenibili ed energeticamente efficienti. Le transazioni nel primo semestre 2023 a Milano si sono concentrate nelle location prime situate nel centro storico della città e nel CDB di Porta Nuova. Al contempo, è evidente un interesse anche verso zone periferiche nel Nord e Sud-Ovest dell’hinterland milanese. Nel settore immobiliare retail, invece, il trend principale sembra essere quello di assorbimento e ricambio degli spazi di medie dimensioni a fronte del quale si manifesta una maggiore difficoltà di collocamento sul mercato per i locali di piccole e grandi dimensioni. Inoltre, emergono segnali di forte interesse per il mondo del lusso High Street. Nel corso dell’ultimo semestre, infatti, sono stati locati spazi nel Quadrilatero della Moda a brand di alto livello nonostante un aumento di circa il 2% del canone immobiliare richiesto.

Milano si conferma location di forte interesse anche per il settore ricettivo, con particolare attenzione verso la riqualificazione di immobili storici con l’obiettivo di raggiungere segmenti upper-scale e luxury. L’attrattività si dimostra sia nei confronti di player già presenti, sia con i debutti di nuovi marchi. Per via della vivacità urbana, accompagnata dalla prospettiva delle Olimpiadi e Paralimpiadi Invernali del 2026, il primo semestre del 2023 è stato caratterizzato da un forte sviluppo immobiliare ricettivo, sia in termini di compravendite, sia in termini di operazioni di ristrutturazione e riqualificazione immobiliare.

ETHENEA: Bce e Fed, stop agli interventi sui tassi

Nell’Eurozona l’inflazione potrebbe risalire per vie dei prezzi energetici. L’economia Usa è robusta, mentre in Cina la debolezza della domanda esterna e le tensioni commerciali con Stati Uniti ed Europa freneranno la crescita.

“A fronte del rapido rallentamento della crescita e dell’inflazione, la Bce resta alle prese con un dilemma: se combattere aggressivamente l’inflazione rischiando di causare un grave indebolimento dell’economia o aspettare ancora, correndo il rischio di innescare una pericolosa stagflazione. In linea con le nostre previsioni per la Fed, ci attendiamo che anche la Bce assuma per ora un atteggiamento attendista”. È l’analisi di Michael Blümke, Portfolio manager Ethenea Independent investors.

I dati economici provenienti dall’Eurozona continuano a deludere, rimanendo ben al di sotto delle stime. Il settore privato esibisce debolezza, il che potrebbe indicare che la regione è entrata in recessione. Il clima economico è peggiorato e a ottobre i Purchasing Managers’ Index sono scesi ai minimi degli ultimi tre anni. Gli indicatori del settore manifatturiero e di quello dei servizi continuano a scivolare sempre più profondamente in territorio di contrazione. Nel terzo trimestre gli standard di concessione del credito sono divenuti ancora più restrittivi. Il mercato del lavoro è solido ma va indebolendosi data la diminuzione dei nuovi posti di lavoro. La fiducia dei consumatori si è stabilizzata su livelli estremamente bassi e i consumi delle famiglie sono in calo, il che fa accelerare la flessione delle vendite al dettaglio. La debolezza della domanda estera e le tensioni geopolitiche gravano sulla produzione industriale, continuando a penalizzare le economie orientate all’esportazione come quelle di Germania e Italia. Grazie agli effetti di base, le pressioni sui prezzi sono decisamente diminuite a ottobre, ma l’inflazione di fondo, pari al 4,2%, resta ancora troppo alta, mentre l’inflazione complessiva potrebbe tornare a salire a seguito del rincaro dei prezzi energetici.

Negli Usa, l’economia continua a mostrarsi sorprendentemente robusta, registrando una crescita annualizzata del 4,9% nel terzo trimestre rispetto a quello precedente. A ottobre, gli indicatori anticipatori hanno evidenziato un lieve miglioramento sia nel settore manifatturiero che in quello dei servizi, segnalando una moderata espansione nei prossimi mesi. Le tensioni sul mercato del lavoro stanno gradualmente attenuandosi e il rapporto tra domanda e offerta appare più equilibrato. L’occupazione continua a imprimere slancio alla spesa per consumi, come dimostra la crescita delle vendite al dettaglio. Non si colgono segnali di recessione grazie al robusto sostegno fiscale, al solido andamento dei redditi e al vigore del mercato del lavoro.

L’economia statunitense deve tuttavia fare i conti con diversi ostacoli che potrebbero avere un impatto negativo nei prossimi trimestri: condizioni di finanziamento restrittive, elevati accordi salariali nel settore automobilistico, rincaro del petrolio, una possibile chiusura del governo a novembre e un disavanzo di bilancio in rapida crescita, per citarne solo alcuni. In un tale contesto non sorprende che a ottobre la fiducia dei consumatori sia scesa per il terzo mese consecutivo. L’ulteriore inasprimento delle condizioni finanziarie, effettuato a ottobre, rappresenta uno strumento utile alla banca centrale statunitense nella sua lotta all’inflazione. Al contempo sono tuttavia aumentati i rischi legati a un orientamento eccessivamente restrittivo, per cui bisogna attentamente valutare la necessità di effettuare ulteriori rialzi per combattere l’inflazione. “Alla luce dell’aumento delle aspettative di inflazione, la Fed deve procedere con molta cautela. Ci attendiamo che nell’immediato futuro le autorità monetarie si asterranno dall’intervenire sui tassi”, sottolinea Blümke.

La congiuntura cinese resta debole, ma nel terzo trimestre ha registrato un miglioramento. Per sostenere l’economia e il settore immobiliare ancora in difficoltà, l’Assemblea nazionale del popolo ha deliberato di alzare il deficit di bilancio dal 3% al 3,8% del Pil. Alle amministrazioni regionali è stato chiesto di completare rapidamente l’emissione di obbligazioni speciali per finanziare progetti infrastrutturali. Anche la Banca Popolare Cinese continua a erogare abbondante liquidità e ha sollecitato le banche a concedere prestiti ai costruttori immobiliari. Gli stimoli monetari e fiscali cominciano a sortire i primi effetti: nel terzo trimestre la crescita del Pil ha registrato un’accelerazione (+1,3% su base trimestrale).

La ripresa alimentata dai consumi ha evidenziato un’espansione a settembre, con conseguente miglioramento delle vendite al dettaglio e della produzione industriale. Gli investimenti continuano tuttavia a risentire fortemente dell’impatto negativo del settore immobiliare. Anche gli indicatori anticipatori della futura attività economica sono tornati in territorio espansivo. “Nel prossimo futuro la debolezza della domanda esterna e le tensioni commerciali con Stati Uniti ed Europa freneranno la crescita cinese“, conclude Blümke. “Permane tuttora un concreto pericolo di deflazione, visto che a settembre l’inflazione complessiva è rimasta invariata allo 0% rispetto all’anno precedente e l’indice dei prezzi alla produzione ha evidenziato un calo ulteriore (-2,5% su base annua)”.

Immobiliare, aumentano gli acquisti per investimento. Aumenta lo sconto in trattativa

Lo sconto medio in trattativa è pari all’8,1%, in aumento rispetto al 2022. Cresce la forbice tra prezzo richiesto e prezzo finale. La percentuale di acquisto di case vacanza rimane alta.

Di Fabiana Megliola

L’Ufficio Studi Tecnocasa ha analizzato le compravendite nel primo semestre del 2023. Lo studio rileva che nel 66,5% dei casi le compravendite sono state realizzate da famiglie (coppie e coppie con figli), mentre il 33,5% degli acquirenti è single. Rispetto agli ultimi anni si registra una costante contrazione della percentuale di compravendite da parte di famiglie, aumenta infatti la componente di acquirenti single.

Focalizzando l’analisi solo sugli acquisti da parte di famiglie, si evidenzia come la tipologia più scambiata sia il trilocale, scelto nel 33,9% dei casi. Al secondo posto si piazzano le soluzioni indipendenti e semi-indipendenti che si stabilizzano al 23,3%. Le tipologie indipendenti hanno evidenziato un netto aumento di richieste e di compravendite in seguito alla comparsa della pandemia, nella prima parte del 2021 infatti avevano raggiunto quota 26,5%, ma a partire dal 2022 si registra un rallentamento di questa tendenza, si resta comunque al di sopra delle percentuali che si registravano prima dell’arrivo del virus. Alta anche la percentuale di acquisto di 4 locali, che nella prima parte dell’anno sfiora il 19%.

Gli acquisti per investimento salgono al 20,2%. Si tratta della percentuale più alta registrata negli ultimi anni, determinata anche dall’aumento dei tassi di inflazione che spinge più persone a investire i propri risparmi sul mercato del mattone. La percentuale di acquisto di case vacanza rimane alta (8,8%), sostanzialmente uguale a quella registrata nella prima parte del 2022, ma più alta di quelle registrate negli anni precedenti, in particolare nel 2019 e nel 2020 quando non si superava il 6,7%. L’arrivo della pandemia, infatti, ha evidenziato un netto aumento di richieste e di compravendite di case vacanza. La maggior parte delle operazioni riguarda comunque l’acquisto dell’abitazione principale (71%), seppur in calo rispetto agli anni precedenti.

Relativamente all’accesso al credito, nel primo semestre del 2023 il 51,7% delle famiglie ha comprato senza l’ausilio di un mutuo bancario, percentuale nettamente più alta rispetto a quelle registrate negli anni precedenti. L’aumento dei tassi sui mutui ha determinato un importante calo della percentuale di acquisti con mutuo, che nel 2021 arrivava al 54%, nella prima parte del 2022 si attestava al 52,9%, mentre nel primo semestre del 2023 è scesa al 48,3%.  

Nel primo semestre del 2023, a livello italiano, lo sconto medio in trattativa applicato alle compravendite, rispetto a un anno fa, ha registrato un aumento portandosi a -8,1%. Si amplia, quindi, la forbice tra quanto richiesto dalla proprietà e il prezzo finale di compravendita. Oggi siamo in una fase di transizione del mercato che, da un periodo di forte euforia, entra in uno di maggiore riflessione. Tuttavia, le percentuali cambiano se si analizzano le diverse tipologie immobiliari. A seconda della vetustà dell’immobile si registra un ribasso maggiore per le tipologie usate (-8,2%) rispetto a quelle ristrutturate (-6,8%) e nuove (-4,7%). Le prime, infatti, quasi sempre necessitano di interventi di riqualificazione e, di conseguenza, si tratta maggiormente sul prezzo alla luce anche degli ulteriori costi che si dovranno poi sostenere per rimodernare l’abitazione. Ribassi più importanti, intorno all’11%, si evidenziano per l’acquisto degli immobili a uso investimento che contano sul potere di acquisto dell’acquirente. In base alle tipologie scambiate si riscontra una contrazione superiore alla media per i monolocali (-10,6%) e per le soluzioni popolari (-10,3%). Sale lo sconto medio in trattativa per le soluzioni seminterrate (-10,4%), per quelle disposte su più livelli (-9,0%) e per quelle posizionate a piano terra (-8,4%). I piani alti e gli ultimi piani hanno ribassi più contenuti (-7,7% e -7,4%). Risultato abbastanza prevedibile visto che si tratta di tipologie sempre piuttosto ambite e poco presenti sul mercato. I dati indicati mostrano dunque coerenza con il quadro immobiliare che si sta disegnando.  

Lemanik: rallentamento e debito faranno scendere i tassi di interesse reali

Il conflitto tra Israele e Hamas ha aggiunto ulteriore complessità sul fronte dell’inflazione e della crescita, sulla quale prevediamo un rallentamento nel resto del 2023 e nella prima metà del 2024.

Di Andrea Scauri*

Il conflitto tra Israele e Hamas ha aggiunto ulteriore complessità sul fronte dell’inflazione e della crescita a un contesto macroeconomico già complesso. Nei prossimi mesi prevediamo un rallentamento della crescita economica, poiché il forte aumento dei tassi d’interesse inizierà ad avere un effetto restrittivo sull’economia. La curva dei rendimenti Usa a 2 e a 10 anni sta iniziando ad appiattirsi, come è tipico quando si avvicina la prospettiva di un rallentamento economico significativo e il mercato inizia a prezzare l’assenza di ulteriori rialzi dei tassi nel breve termine”. 

L’Eurozona ha registrato un ulteriore rallentamento economico, con il Pmi composito sceso a 46,5 punti, rispetto ai 47,2 di settembre e al livello più basso degli ultimi 35 mesi. La componente manifatturiera è rimasta stabile ma in territorio di profonda recessione (a 43 punti), mentre quella dei servizi è scesa a 47,8 punti dai 48,7 di settembre. Anche la Cina ha mostrato segni di rallentamento, con il Pmi manifatturiero sceso a 50,6 punti a settembre, mentre le preoccupazioni per il settore immobiliare sono rimaste elevate.

Sul fronte societario, questo trimestre abbiamo assistito a un aumento dei profit warning, con diverse aziende che hanno segnalato una riduzione dei volumi e/o della domanda, un peggioramento del contesto macroeconomico e pressioni inflazionistiche. In particolare: Worldline (titolo -59%), nel settore dei pagamenti, ha ridotto significativamente le aspettative per il 2023-24 segnalando un rallentamento maggiore del previsto dei consumi discrezionali in Germania e la decisione di interrompere i rapporti con alcuni commercianti online; Electrolux (titolo -14%), nel settore degli elettrodomestici, ha riportato risultati trimestrali ben al di sotto delle aspettative, con una crescita organica dei ricavi del -7,9% rispetto al -5,2% previsto, una domanda che rimane poco promettente. Sanofi (titolo -19%), nel settore farmaceutico, ha rivisto al ribasso le sue previsioni per il 2024 a causa di un aumento degli investimenti previsti in R&S e in parte a causa di un’aliquota fiscale più elevata; Société Generale (titolo -11%), nel settore bancario, ha ridotto la crescita annua dei ricavi prevista per i prossimi 3 anni da almeno il 3% a un intervallo compreso tra lo 0% e il 2%, riducendo anche l’obiettivo di ROTE; Alstom (titolo -38%), gruppo industriale operante nel settore delle infrastrutture ferroviarie, ha ridotto la propria guidance di Fcf per il 2024 di circa 1 miliardo di euro, a causa dell’inatteso aumento delle scorte, dei ritardi nell’esecuzione dei contratti e del rinvio degli ordini.

Continuiamo a prevedere che i tassi di interesse reali scenderanno nei prossimi mesi in risposta all’indebolimento del contesto macroeconomico e all’aumento del debito pubblico, con un leggero ampliamento degli spread creditizi. Sul fronte delle imprese, prevediamo un ulteriore rallentamento della crescita nel resto del 2023 e nella prima metà del 2024, in quanto i volumi rimangono sotto pressione, l’effetto positivo dei prezzi si attenua e i portafogli ordini si normalizzano. Anche le aziende che hanno necessità di rifinanziamenti significativi nel 2024 e nel 2025 dovranno essere monitorate attentamente, poiché le spese per interessi aumenteranno.

In questo scenario, in portafoglio continuiamo a preferire la qualità ai ciclici. Sui finanziari abbiamo concentrato il nostro posizionamento su due banche (Banco BPM e Banca Monte dei Paschi) sulla base della valutazione e dell’interesse speculativo, mentre abbiamo chiuso il nostro posizionamento su Mediobanca. Sebbene il piano industriale annunciato sia solido, la performance del titolo dovrebbe essere stata favorita dalle recenti speculazioni sulla prossima nomina del consiglio di amministrazione. Sul petrolio, abbiamo mantenuto la nostra posizione su Tenaris, così come la nostra partecipazione in Saipem. Il nostro posizionamento si concentra poi sui temi legati al cosiddetto “green capex“, con titoli come Danieli e Prysmian, che beneficeranno di un ciclo di investimenti a lungo termine nei rispettivi settori.

*Gestore azionario Italia di Lemanik

ETHENEA: segnali negativi sopravvalutati, non ci aspettiamo una recessione nel 2023

La politica monetaria dovrà rimanere restrittiva per un periodo più lungo. L’economia globale continua a rallentare a causa della politica monetaria restrittiva e dell’inflazione.

“Al momento non è possibile prevedere eventuali tagli dei tassi. Le banche centrali potrebbero iniziare a ridurli rapidamente, se l’orientamento monetario restrittivo dovesse causare una recessione. Una tale eventualità non rientra tuttavia ancora nel nostro scenario di riferimento”. È l’analisi di Michael Blümke, Portfolio manager Ethenea Independent investors.

L’economia globale continua a rallentare a causa della politica monetaria restrittiva e dell’inflazione ancora elevata. Il commercio internazionale risente delle tensioni geopolitiche e delle restrizioni commerciali. L’Fmi ha lasciato invariate al 3% proprie previsioni di crescita globale per il 2023, rivedendole leggermente al ribasso al 2,9% per il prossimo anno. Mentre la stima per gli Usa è stata lievemente alzata, quelle relative a Europa e Cina sono state abbassate. I rispettivi indicatori anticipatori confermano questo quadro. Malgrado un leggero aumento dei tassi di disoccupazione, in termini storici le condizioni sui mercati del lavoro restano tese.

L’inflazione complessiva è tendenzialmente in calo, ma in un contesto caratterizzato dall’affievolirsi degli effetti di base, da mercati del lavoro robusti, da salari reali in aumento e dal perdurante supporto fiscale bisognerà attendere ancora prima che l’indice dei prezzi scenda ai livelli obiettivo delle banche centrali. “I tassi di riferimento delle economie avanzate restano tenacemente ai massimi storici o in prossimità di tali livelli”, conclude Blümke. “Tuttavia, poiché aumentano i segnali indicanti che il tasso d’interesse neutrale (ovvero il tasso al quale la politica monetaria non è né espansiva né restrittiva) sarà probabilmente più elevato rispetto ai tempi pre-pandemia, la politica monetaria dovrà rimanere restrittiva per un periodo più lungo”.

Mercato immobiliare negativo nel breve periodo, ma positivo nel lungo termine

L’impatto dello scenario macroeconomico è sfavorevole per l’immobiliare nel breve periodo, ma la visione nel medio-lungo periodo rimane positiva. Banche iper-selettive e mutui acquisto casa in calo del 36,3%.

“Come prevedibile, l’aumento dei tassi di interesse, unito all’incremento dei prezzi degli immobili, ha determinato una contrazione delle transazioni nell’ultima parte del 2022 e nei primi mesi del 2023, con un rallentamento della domanda a fronte di un’offerta stabile. Uno scenario che potrebbe prolungarsi nell’ultima parte dell’anno, soprattutto se i tassi di interesse verranno mantenuti su alti livelli per almeno altri 12/18 mesi”, commenta Dario Castiglia (nella foto), CEO & Founder di RE/MAX Italia.

Secondo le analisi riportate nel Real Estate DATA HUB, l’impatto sull’immobiliare dello scenario macroeconomico sembrerebbe tendenzialmente sfavorevole nel breve periodo, anche se il Centro Studi di RE/MAX Italia conferma una visione positiva nel medio-lungo periodo grazie alla probabile stabilizzazione dei tassi di interesse. “Le dinamiche del mercato immobiliare dei prossimi mesi, ovviamente, saranno fortemente condizionate dagli interventi di politica monetaria che andranno a influenzare le decisioni degli investitori e l’andamento del Real Estate in termini di numero di transazioni, volumi, rendimenti e prezzi”, aggiunge Castiglia.

La visione positiva di RE/MAX Italia trova fondamento nel primo semestre 2023, dove si osserva un maggior dinamismo rispetto allo stesso periodo del 2022, anche se il contesto economico generale fa prevedere una maggiore volatilità del mercato nel medio-lungo termine. Secondo l’analisi degli immobili transati, si conferma la preferenza degli acquirenti per i trilocali (40,32% sul totale). Seguono i bilocali (22,90%) e i quadrilocali (18,81%). Si registra anche un aumento degli immobili transati con cinque o più locali rispetto all’anno precedente. Stabili i monolocali, che rappresentano circa il 3% del totale. Le regioni che trainano il mercato immobiliare si confermano essere la Lombardia al Nord, seguita da Veneto e Piemonte; il Lazio al Centro, insieme ad Emilia-Romagna e Toscana; la Puglia al Sud, con la Campania. Nelle Isole il maggior numero di immobili transati si registra in Sicilia. Confrontando i primi tre trimestri del 2023 rispetto allo stesso periodo del 2022, si nota un declino della domanda diffuso su tutta la Penisola.

Analizzando tempi di vendita e locazione, i giorni di mercato risultano essere in continua riduzione, con tempi minori al Nord rispetto al Sud. Nel terzo trimestre del 2023 sono necessari in media circa 6 mesi e mezzo per concludere una transazione. L’andamento dei prezzi rivela complessivamente un trend di crescita nel lungo periodo. Nel breve, il primo trimestre 2023 registra prezzi al metro quadro più alti del 2,40% rispetto al primo trimestre 2022 e del 1,10% rispetto al primo trimestre 2021. Decresce il secondo trimestre 2023, che osserva un -1,08% rispetto alla media dei prezzi del 2022 e un +3,45% rispetto allo stesso periodo del 2021. Prosegue il trend nel terzo trimestre, che segna un -7,09% rispetto all’anno precedente. Si ricorda che il 2022 aveva registrato una sensibile crescita dei prezzi, mentre il confronto con il 2021 restituisce una decrescita più contenuta, pari al -1,89%. La base dati fa riferimento ai soli immobili esistenti, escludendo le nuove costruzioni e le nude proprietà.

Relativamente al mercato creditizio, dai dati riportati nel report Banche e istituzioni finanziarie – II trimestre 2023 – pubblicato da Banca d’Italia a fine settembre, le famiglie italiane hanno ricevuto finanziamenti per l’acquisto dell’abitazione per 10.521 milioni di euro nel secondo trimestre 2023. Rispetto allo stesso trimestre del 2022 si registra una diminuzione delle erogazioni pari a -33,3%, per un controvalore di oltre 5.2 miliardi di euro. In particolare, l’importo medio finanziato è aumentato del 2,56%, passando da 121.802 euro del quarto trimestre 2022 a quasi 124.923 euro. Il 92,16% dei mutui erogati nel primo semestre è finalizzato all’acquisto; in diminuzione le seconde case e le surroghe. Tra chi richiede un mutuo, diminuisce il numero dei coniugati, mentre aumentano celibi, nubili e pensionati, segnale di maggior prudenza da parte delle famiglie. La fascia di età predominante è quella dei giovani dai 18 ai 34 anni.

Alla luce del contesto macroeconomico, i tassi dovrebbero aver toccato l’apice della crescita e, a meno di ulteriori scossoni legati all’andamento dell’economia, sono attesi stabili e in leggero ribasso a partire dal 2024. Le politiche di credito degli istituti tuttavia restano iper-selettive, e se analizziamo i volumi di mutuo in questo secondo trimestre 2023 notiamo un calo del -36,3% delle operazioni a supporto di un acquisto immobiliare, segno che la contrazione continua a coinvolgere, come già fatto nel precedente trimestre, questa tipologia di finanziamenti. Cambia invece la situazione legata alle operazioni di sostituzione e surroga, che salgono del 45,2%.