Dicembre 2, 2024
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Asset allocation: aumentare il settore bancario cinese dopo l’annuncio del nuovo pacchetto di misure fiscali

Le valutazioni azionarie in Asia sono molto interessanti in una prospettiva di medio-lungo termine. Abbiamo iniziato ad accumulare posizioni in società che si prevede faranno parte dell’indice Value-up.

di Marcel Zimmermann, gestore del fondo Lemanik Asian Opportunity di Lemanik

In portafoglio abbiamo preso profitto sugli investimenti tecnologici cinesi e aumentato l’esposizione al settore bancario e immobiliare. Ci aspettiamo che il nuovo pacchetto di stimoli fiscali cinesi sia positivo a lungo termine per la stabilità del settore bancario, che è attualmente scambiato a forte sconto rispetto al book value.

A ottobre i mercati azionari asiatici si sono ritirati con prese di profitto dopo la forte performance di settembre. Le ragioni della debolezza possono essere attribuite a diversi fattori. La situazione geopolitica in Medio Oriente e in Ucraina continua a deteriorarsi. I dati relativamente forti sull’occupazione negli Stati Uniti, insieme all’aspettativa e alla poi confermata vittoria di Trump, hanno continuato a spingere al rialzo il dollaro Usa. La forte correlazione negativa con un dollaro forte ha spinto al ribasso i titoli azionari dell’Asia emergente.

I titoli del sud-est asiatico hanno sofferto maggiormente, mentre i mercati asiatici sviluppati hanno registrato una performance migliore, con e Taiwan che hanno chiuso in rialzo. Il quadro economico di ottobre è rimasto contrastante per la regione asiatica. L’indice PMI è stato espansivo nelle Filippine, in Thailandia, a Taiwan, in India, a Singapore e a Hong Kong. Una lettura negativa è arrivata da Cina, Giappone, Indonesia, Vietnam e Corea del Sud. La Cina ha annunciato ulteriori misure di stimolo fiscale da 10mila miliardi di yuan durante l’Assemblea Nazionale del Popolo (NPC) di inizio novembre. Lo stimolo è inferiore all’enorme sostegno annunciato nel 2008, ma è comunque impressionante.

In portafoglio abbiamo aumentato l’esposizione al settore bancario e immobiliare cinese e sono stati apportati ulteriori aggiustamenti alla nostra allocazione coreana. Abbiamo iniziato ad accumulare posizioni in società che si prevede faranno parte dell'”indice Value-up“. Si tratta di società con una maggiore sensibilità verso i valori degli azionisti, ma le cui valutazioni non riflettono ancora l’orientamento positivo. Continuiamo a ritenere che le valutazioni azionarie in Asia, in particolare nell’Asia emergente, siano molto interessanti in una prospettiva di medio-lungo termine. Non solo le valutazioni sono a sconto rispetto ai mercati sviluppati, ma gli investitori continuano a trascurare i mercati emergenti. Ciò si riflette nell’asset allocation degli investitori globali, che si attesta a circa il 40% al di sotto della ponderazione media storica in questa asset class.

La vittoria di Trump rafforza dollaro e tassi di interesse

I tassi di interesse torneranno a salire, spinti dall’aumento dei dazi e dal taglio delle imposte. A livello settoriale, in portafoglio focus sul settore finanziario, industriale, chimico e beni di consumo.

di Filippo Garbarino, gestore del fondo Lemanik Global Equity Opportunities

La vittoria di Donald Trump ha due effetti principali. Il primo effetto è legato a un’aggressiva politica di aumento dei dazi, destinata a far crescere l’inflazione. Maggiore inflazione si tradurrà in tassi di interesse più alti, pressione sulle obbligazioni a medio-lunga scadenza e un dollaro più alto. Il secondo effetto è invece legato alla politica fiscale. È probabile che il partito repubblicano tagli ulteriormente le imposte, sia aziendali che personali. Ciò si tradurrà in un deficit governativo più elevato ma anche in un impulso positivo ai consumi e utili aziendali in crescita. Anche la politica fiscale pertanto dovrebbe far salire i tassi di interesse, con conseguente impatto negativo sulle obbligazioni e positivo sul dollaro.

I dati recenti evidenziano che le banche centrali hanno vinto la guerra contro l’inflazione. L’indice dei prezzi al consumo Usa si è normalizzato, da un livello massimo del 9.1% all’attuale 2.4%. Il mercato del lavoro si sta ribilanciando, con il tasso di disoccupazione Usa attualmente sopra il 4% dopo aver raggiunto un minimo del 3.4% nel 2023. Pertanto, la Federal Reserve ha iniziato il suo ciclo di riduzione dei tassi con un taglio di 50 punti base in settembre e di altri 25 a novembre. L’economia Usa rimane in fase di espansione. Tuttavia, ci sono alcuni punti deboli nell’economia globale che devono essere monitorati da vicino. I prezzi alti dei beni e dei servizi stanno mettendo pressione ai consumatori e vi è stato un periodo prolungato di contrazione degli indici del settore manifatturiero. L’economia cinese e quella tedesca sono in stagnazione. Il mercato immobiliare è ancora debole a causa degli alti tassi di interesse sui mutui.

Tali punti di debolezza hanno contribuito al processo di normalizzazione dell’inflazione. La Federal Reserve sembra intenzionata a continuare ridurre i tassi nel caso in cui il quadro occupazionale si deteriori o l’inflazione scenda più del previsto. Pertanto, continuiamo a ritenere che lo scenario macroeconomico per i mercati azionari sia relativamente favorevole. L’S&P 500 quota a un multiplo di 23x gli utili del prossimo anno e l’S&P 500 Equalweight è più economico, approssimativamente a 18x. Tali livelli di valutazione non sono economici. Tuttavia, riteniamo che utili societari in crescita porteranno ad un rialzo moderato delle azioni durante i prossimi 12 mesi. A livello settoriale, il portafoglio non ha banche e petroliferi, settori considerati troppo rischiosi. Il portafoglio è sovrappeso sul settore finanziario, industriale, chimico e beni di consumo. I tecnologici sono sottopesati e non vi è esposizione sul settore hardware.

Le misure fiscali cinesi riducono le probabilità di una recessione in Usa e in Europa

Lo scenario di base rimane quello di un soft landing e di un rallentamento dell’inflazione. L’oro continua a beneficiare dei deficit pubblici sempre più significativi e di un contesto geopolitico preoccupante.

di Andrea Scauri, gestore azionario Italia presso Lemanik

I dati macroeconomici dell’ultimo mese sono stati piuttosto stabili e continuiamo a prevedere un indebolimento degli indicatori di crescita economica e un rallentamento dell’espansione globale nei prossimi due trimestri. Tuttavia, la capacità di ripresa dovrebbe essere sostenuta da politiche e misure di allentamento monetario come quelle recentemente annunciate in Cina.

I mercati azionari globali hanno chiuso ottobre in leggero calo in attesa delle elezioni statunitensi, che hanno visto la vittoria di Donald Trump. Nonostante il perdurare delle tensioni geopolitiche in Medio Oriente e l’aumento dei tassi, soprattutto negli Stati Uniti, la tenuta del mercato è stata sostenuta dall’approccio accomodante delle banche centrali, dall’annuncio di un piano di stimolo in Cina e dalla solida performance dell’economia statunitense. I principali indici europei hanno sottoperformato quelli statunitensi. Il principale indice italiano, il FTSEMIB, ha sovraperformato grazie alla buona performance del settore bancario, mentre l’indice mid-small cap è rimasto leggermente in territorio negativo (-1%), in attesa del prossimo lancio del fondo di fondi all’inizio del 2025.

Il mercato azionario cinese, dopo una forte performance in seguito all’annuncio del nuovo piano di stimolo, ha visto una correzione a ottobre in attesa di ulteriori dettagli sul piano di ripresa del governo. Ci aspettiamo l’annuncio di un pacchetto fiscale su larga scala, anche se è prematuro trarre conclusioni definitive sull’efficacia del pacchetto di interventi. Tuttavia, esso ha ridotto significativamente la probabilità di uno scenario recessivo negli Stati Uniti e in Europa.

Intanto è iniziata la stagione dei bilanci, con aspettative per gli utili del terzo trimestre sostanzialmente stabili rispetto all’anno scorso per l’Eurostoxx. In Europa, i settori del lusso, dell’auto e dell’energia sono stati i principali traini, compensati dal settore finanziario, in particolare dalle banche, che stanno vivendo un’altra forte stagione di utili. Nei mercati obbligazionari, i rendimenti a 10 anni sono aumentati sia negli Stati Uniti che in Europa. Le elezioni americane, con i mercati che prevedevano già una vittoria repubblicana, la forza dell’economia statunitense e il continuo aumento del deficit e del debito pubblico contribuiscono all’aumento dei rendimenti negli Stati Uniti. Questo fatto richiede sempre più che le banche centrali iniettino liquidità nel sistema e abbassino i tassi d’interesse a breve termine per finanziare le necessità pubbliche, uno scenario positivo per il mercato azionario (e per l’oro) nel medio termine.

Per quanto riguarda la Fed, dopo il taglio di 50 punti base nella riunione di settembre Powell ha voluto dare un segnale di stabilità post elettorale riducendo i tassi di interesse di altri 25 punti base nell’ultima riunione di novembre. Il mercato si aspetta un calo complessivo di circa 120 punti base entro la fine del 2025, portando il tasso al 3,6%. Per la Bce si prevede un taglio di 115 punti base entro la fine del 2025, portando i tassi europei al 2%. Sul fronte macroeconomico europeo, i dati di ottobre hanno mostrato variazioni minime rispetto al mese precedente e non offrono ancora segnali significativi di miglioramento del ciclo economico europeo. Il governo italiano ha approvato il Draft Budgetary Plan (DBP), che mostra conti pubblici sotto controllo e un approccio prudente e selettivo alla finanza pubblica. Grazie alla revisione al rialzo del Pil nominale e all’aumento delle entrate fiscali, il deficit/Pil è previsto al 3,3% nel 2025 (dal 3,8% nel 2024) e sotto il 3% nel 2026, con stime di crescita economica ampiamente confermate. Il rapporto debito/Pil dovrebbe raggiungere il 135,8% alla fine del 2024, con un leggero aumento al 137,8% nel 2026, per poi iniziare un percorso di riduzione a partire dal 2027 grazie al miglioramento del saldo primario e alla graduale eliminazione degli effetti dei bonus edilizi.

L’indice Bloomberg Commodities è sceso a ottobre. Gli acquisti hanno spinto l’oro a un altro record, che a nostro avviso continua a beneficiare della necessità dei governi di finanziare deficit pubblici sempre più significativi e di un contesto geopolitico preoccupante, nonostante l’aumento dei tassi di interesse reali. Il rame è stato debole, dove la mancanza di dettagli concreti da parte delle autorità cinesi ha lasciato il mercato deluso sulle prospettive di ulteriori stimoli, spingendo alcuni investitori a breve termine a liquidare una parte delle posizioni lunghe. Il petrolio ha chiuso in leggero rialzo ma ha mostrato una notevole volatilità nel corso del mese.

Il nostro scenario di base rimane quello di un atterraggio economico morbido e di un rallentamento dell’inflazione, con le banche centrali che hanno ampio spazio per tagliare i tassi e iniettare liquidità nel sistema per finanziare i crescenti deficit pubblici. La nostra view sui mercati azionari rimane neutrale, con una visione più costruttiva sui titoli di qualità e di crescita, nonché su alcuni titoli ciclici, a seguito della debole performance e del ciclo espansivo della Fed più aggressivo del previsto, nonché dell’annuncio di nuovi stimoli in Cina. La strategia che si riflette nel nostro portafoglio rimane invariata, ossia un portafoglio concentrato sulle utilities, un approccio molto selettivo sulle banche e sulle small/mid cap e nessun investimento in nomi industriali ciclici. Questo approccio si riflette anche nell’investimento in Tenaris. Non abbiamo investito in Stellantis e STM perché continuiamo a ritenere che entrambi i titoli non abbiano ancora toccato il fondo. Abbiamo ridotto leggermente la nostra esposizione a Telecom Italia Savings e mantenuto la nostra esposizione a Unipol.

L’avanzata dei BRICS e gli effetti sull’economia mondiale. Come rivedere i portafogli di investimento

Il recente vertice dei BRICS a Kazan è un punto di svolta nella costruzione di un ordine multipolare che sfida il predominio economico e finanziario occidentale dominato dagli Stati Uniti. 

Di Valerio Giunta,  AD di Startup Italia e Founder di Banking People

In occasione di una recente intervista, l’ex ambasciatore Alberto Bradanini ha dichiarato che il vertice di Kazan, in cui i Paesi aderenti al BRICS si sono riuniti, è una tappa fondamentale nello sviluppo di un sistema economico mondiale non più a traino degli Stati Uniti, e potrebbe essere ricordato per l’importanza delle decisioni prese in tema di de-dollarizzazione. “A conti fatti, non c’è dubbio che il vertice Brics di Kazan sarà riportato nei libri di storia. Gli accordi di Bretton Woods (1944) conferirono al dollaro lo status di valuta di riserva in tutto il mondo e inaugurarono l’era della prevaricazione a vantaggio dei vincitori, ossia gli Stati Uniti”, ha dichiarato Bradanini.

Durante l’incontro di Kazan, i paesi BRICS hanno lanciato un messaggio chiaro all’Occidente, evidenziando come l’attuale ordine mondiale sia percepito sempre più come una “locomotiva impazzita”, con rischi devastanti per l’umanità intera se non si intraprende una strada di cambiamento. La riunione di Kazan ha dunque gettato le basi per un futuro in cui i paesi del Sud globale possano svincolarsi dalla supremazia del dollaro e creare un sistema economico internazionale più equo, che permetta ai paesi emergenti di prosperare senza essere subordinati all’Occidente. Uno dei temi centrali del vertice è stata, infatti, la necessità di superare il “sistema di Bretton Woods“, creato nel 1944, dopo la Seconda Guerra Mondiale, e considerato ormai inadeguato dai BRICS, poiché gli Stati Uniti hanno a lungo utilizzato il dollaro come strumento di controllo economico, imponendo sanzioni e dominando il commercio globale attraverso l’uso della loro moneta. 

Al vertice di Kazan, oltre ai membri permanenti dei BRICS, erano presenti anche 13 paesi partner, alcuni dei quali sono candidati ad aderire formalmente in futuro, contribuendo ulteriormente a consolidare questo blocco. Anche per questo motivo i BRICS, che già rappresentano un terzo del PIL mondiale e una popolazione di oltre il 43% del pianeta, sono oggi un elemento di forte preoccupazione per i Paesi occidentali. Il timore più grande è rappresentato da uno degli obiettivi principali dell’organizzazione, che è quello di fornire ai suoi membri un’alternativa all’attuale sistema bancario internazionale, creando una nuova architettura finanziaria parallela che possa funzionare autonomamente anche quando si presentano ostacoli o sanzioni da parte dell’Occidente. L’organizzazione, in tal senso, intende adottare una strategia graduale, che prevede l’affiancamento dei sistemi occidentali esistenti, in modo da permettere ai suoi membri di scegliere tra le diverse opzioni a seconda delle loro esigenze. Ma in molti sono pronti a scommettere che la competizione tra i due sistemi sarà subito molto forte.

Il vertice ha anche affrontato il tema della riforma delle Nazioni Unite, e in particolare del Consiglio di Sicurezza, poiché attualmente la rappresentanza dei paesi emergenti non riflette la realtà geopolitica odierna. Le potenze emergenti, come l’India e la Cina, chiedono che venga dato loro il giusto riconoscimento. Questo processo di riforma, secondo i BRICS, sarebbe necessario per creare un sistema più inclusivo ed equilibrato. Tuttavia, contrariamente a quanto si possa pensare, la strategia dei BRICS non sembra sottesa a sovvertire l’attuale ordine globale, bensì a riformarlo per garantire una distribuzione più equa delle risorse e una maggiore stabilità internazionale.

Quanto al processo di “de-dollarizzazione”, va detto che è in atto già da anni, con Russia e Cina che ora commerciano principalmente nelle loro rispettive valute. Le numerose sanzioni imposte unilateralmente dagli Stati Uniti e dal seguito dei Paesi di tutto l’occidente, in passato sono state interpretate dai BRICS come una violazione della sovranità nazionale e una minaccia all’economia globale, e ciò ha generato una crescente diffidenza verso il dollaro. La conseguenza naturale di tale stato di cose è la volontà di molti paesi emergenti di sottrarsi al controllo valutario americano e di mettere al riparo le proprie economie da possibili ritorsioni finanziarie future.

Per chi si occupa di investimenti finanziari, il recente vertice dei BRICS offre numerosi spunti di riflessione e rappresenta un campanello d’allarme per comprendere l’evoluzione dei mercati globali. L’emergere dei BRICS come contrappeso al dominio occidentale e la volontà di de-dollarizzare i loro scambi, infatti, suggeriscono una potenziale riduzione dell’influenza del dollaro sui mercati internazionali, con possibili implicazioni sul valore delle attività denominate in dollari e sulla domanda di beni rifugio, come l’oro e le materie prime, che storicamente aumentano di valore durante periodi di incertezza valutaria. Investitori e gestori patrimoniali dovrebbero considerare con attenzione il peso economico del blocco BRICS, che attualmente rappresenta una quota significativa del PIL mondiale e una crescente influenza nelle catene di approvvigionamento globali.

Il rafforzamento dei legami commerciali e finanziari tra i membri del gruppo potrebbe portare a nuove opportunità d’investimento nei mercati emergenti, che spesso offrono margini di crescita superiori rispetto alle economie mature. Tuttavia, questa dinamica potrebbe anche comportare rischi associati alla volatilità politica e alle possibili ritorsioni da parte dei paesi occidentali, come sanzioni economiche o limitazioni all’accesso ai mercati finanziari. Inoltre, la proposta di un sistema di pagamenti alternativo basato su tecnologie come la Distributed Ledger Technology (DLT) rappresenta un’opportunità interessante per gli investitori in ambito fintech e blockchain.

Un altro elemento chiave emerso dal vertice riguarda l’incremento delle riserve in valute locali da parte dei paesi BRICS, in opposizione al dollaro. Gli investitori dovrebbero monitorare l’andamento di queste valute, come il renminbi cinese o il rublo russo, che potrebbero assumere un ruolo maggiore nelle transazioni internazionali. Una diversificazione valutaria più ampia potrebbe infatti rappresentare una strategia per minimizzare i rischi derivanti dalla volatilità del dollaro, specie per gli investitori che operano in mercati emergenti o in aree influenzate dai BRICS. Infine, il processo di riforma del sistema economico globale promosso dai BRICS potrebbe portare a un aumento della regolamentazione nei mercati occidentali e a una maggiore pressione sui tassi d’interesse e sui rendimenti dei titoli di stato americani. Gli investitori dovrebbero quindi considerare attentamente l’esposizione ai titoli legati al debito degli Stati Uniti e valutare opzioni alternative nei mercati emergenti.

Chi si occupa di investimenti finanziari dovrebbe quindi interpretare le dinamiche dei BRICS non solo come un cambiamento geopolitico, ma come un’evoluzione dei mercati globali che può influenzare asset allocation, strategie di diversificazione e scelte di lungo periodo. Infatti, sul fronte delle materie prime, i BRICS stanno acquisendo un ruolo sempre più importante nel determinare i prezzi delle risorse naturali, di cui sono produttori e grandi consumatori. Pertanto, investimenti in commodity come oro, petrolio, rame e minerali rari possono diventare più interessanti, soprattutto se gli scambi di queste risorse saranno sempre più denominati in valute diverse dal dollaro. Anche i mercati azionari dei BRICS e dei paesi emergenti presentano potenziali di crescita notevoli rispetto ai mercati sviluppati, soprattutto il settore tecnologico cinese, l’industria farmaceutica indiana, l’agribusiness brasiliano e il settore energetico russo.

Mercati ed elezioni: l’Europa riserva sorprese sui tassi, gli USA sull’Equity. Oro sempre più su

Analizziamo i mercati in vista delle imminenti elezioni americane. Guerre e tensioni geopolitiche sembrano non scalfire il trend di crescita, ma gli esiti incerti del confronto elettorale negli USA mettono paura.

Nonostante guerre e fortissime tensioni geopolitiche, i mercati fanno orecchio da mercante e sembrano poco inclini a considerare gli eventi come fattore di avversione al rischio. Ciò che guida adesso gli investitori di tutto il mondo, infatti, è la fiducia cieca sulla decrescita strutturale dell’inflazione – anche accettando livelli superiori alla soglia del 2% fissata dalle banche centrali – e la conseguente previsione di futuri guadagni sulla parte di portafoglio dedicata ai bond, nonchè l’elevata propensione al rischio sull’Equity dei settori tecnologi e finanziari, che insieme riescono a compensare la paura di una recessione. Quest’ultima, tuttavia, è ancora possibile e, per alcuni analisti tra i più autorevoli, anche probabile. 

In Italia, le previsioni di crescita sono in calo ma migliorano debito e deficit. L’istituto Ref Ricerche, infatti, ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita del PIL italiano, stimando un incremento dello 0,8% per il 2024 e il 2025, e dell’1,1% per il 2026. Secondo Ref, l’orientamento restrittivo delle politiche di bilancio frenerà la domanda interna e rallenterà l’economia; tuttavia, sono attesi miglioramenti sul fronte del deficit, previsto al 3,6% nel 2025, e del debito, con un calo stimato al 138% del PIL nel 2024. Anche l’inflazione è in calo, con stime all’1,7% per il prossimo anno. Di questo scenario, naturalmente, beneficerebbero i BTP, soprattutto quelli con scadenze più lunghe, che negli ultimi anni (da Agosto 2021 ad Ottobre 2023) hanno sopportato minusvalenze a doppia cifra (e con il 2 davanti).

La BCE, invece, riserva sorprese sui tassi, poichè potrebbe attuare presto un maxi-taglio. I membri della Banca centrale europea, infatti, hanno accennato alla possibilità di un significativo taglio dei tassi di 50 punti base a dicembre. Mārtiņš Kazāks, governatore della Banca di Lettonia, si è unito al banchiere centrale portoghese Mario Centeno nel dire che tale taglio è “sul tavolo”, dato che l’inflazione continua a rallentare. La BCE ha già effettuato tagli consecutivi dei tassi, i primi in 13 anni, e i dati recenti mostrano che l’inflazione nell’eurozona è scesa all’1,7% a settembre, al di sotto dell’obiettivo del 2% della BCE per la prima volta dal 2021.

Fuori dall’Unione Europea (ma di poco), il Regno Unito annuncia un cambio delle norme fiscali. La ministra delle Finanze britannica Rachel Reeves ha annunciato modifiche significative alla normativa fiscale del Paese, con l’obiettivo di liberare miliardi di sterline per gli investimenti nel bilancio di Ottobre-Novembre. Il cambiamento, che potrebbe spostare l’attenzione dal debito netto del settore pubblico a una misura più ampia, riguardante le passività finanziarie nette del settore pubblico (PSNFL), è pensata per creare più spazio finanziario per gli investimenti senza tagliare la spesa del settore pubblico. La mossa arriva mentre il Primo ministro Keir Starmer avverte che si prospettano tempi duri, con il governo che si trova ad affrontare un sostanziale “buco nero” nelle finanze pubbliche.

Negli Stati Uniti, Tesla guida il rimbalzo delle “Magnifiche sette“, registrando un’impennata del 19% una settimana fa e portando i titoli tecnologici delle “Magnifiche sette” – come vengono chiamate le big tech, ovvero Apple, Microsoft, Alphabet (Google), Amazon, Nvidia, Tesla e Meta Platforms – ai massimi da tre mesi dopo che la società ha ottenuto forti utili e previsto una crescita delle vendite di auto fino al 30% per il prossimo anno. Nonostante le fluttuazioni del mercato, i risultati positivi degli utili di società come United Parcel Service, che ha registrato la prima crescita dei profitti in quasi due anni, hanno contribuito a compensare i cali di titoli come IBM e Boeing. I Treasury hanno registrato un leggero rimbalzo, con i rendimenti dei titoli di Stato decennali scesi al 4,20%, mentre gli investitori si preparano a una maggiore volatilità in vista delle elezioni USA.

Nel frattempo, calano le richieste di disoccupazione, che sono scese di 15.000 unità (arrivando a 227.000 la scorsa settimana) e adesso segnalano una ripresa dalle perturbazioni causate dagli uragani Helene e Milton. Questo ritorno ai livelli precedenti all’uragano suggerisce che l’impatto economico delle tempeste potrebbe essere meno grave di quanto inizialmente temuto. Tuttavia, i rinnovi delle richieste di sussidio, un indicatore della disoccupazione in corso, sono aumentati a quasi 1,9 milioni, il valore più alto degli ultimi tre anni, riflettendo in parte gli effetti delle tempeste e del prolungato sciopero di Boeing, che ha dato origine a congedi forzati nella sua catena di fornitura.

Relativamente agli accadimenti post-elettorali, esiste negli operatori il timore che le politiche di Trump possano alimentare l’inflazione. Infatti, i trader si preparano a un possibile ritorno di Donald Trump, con il timore che le sue politiche possano peggiorare la crisi del costo della vita. Di conseguenza, i mercati delle scommesse e i rendimenti obbligazionari suggeriscono che Trump potrebbe varare misure inflazionistiche, quali forti dazi sulle importazioni e un giro di vite sull’immigrazione, misure che potrebbero entrambe far salire i prezzi. I costi dei prestiti, compresi i tassi sui mutui, stanno già aumentando con l’aumentare delle probabilità di una vittoria di Trump, con il tasso sui mutui a 30 anni che ha raggiunto il 7,09%. Nonostante gli alleati di Trump sostengano che le sue politiche non danneggeranno l’economia, i mercati indicano il contrario.

Fortunatamente, la recente ondata di vendite di Treasury statunitensi si è attenuata giovedì, con rendimenti che restano vicini ai massimi livelli da luglio. Questa settimana il rendimento a 10 anni ha toccato brevemente il 4,26%, spinto da dati economici statunitensi solidi, tra cui un calo delle richieste di sussidi di disoccupazione e risultati migliori del previsto per l’indice PMI e le vendite di abitazioni. La resilienza dell’economia, unita ai timori di politiche che aumenterebbero il deficit qualora Donald Trump vincesse le prossime elezioni, mantiene la pressione sui mercati obbligazionari. Sebbene le aspettative di tagli dei tassi da parte della Federal Reserve si siano ridimensionate, i mercati monetari prevedono comunque un taglio di 25 punti base per novembre e un allentamento di 135 punti base entro la fine del 2025.

Noncurante di tutto, l’oro sale sulla scorta delle tensioni geopolitiche e sul conseguente aumento della domanda di beni rifugio. I prezzi dell’oro hanno sfiorato i massimi storici una settimana fa, salendo dell’1% a 2.732,39 dollari l’oncia, trainate dalla domanda degli investitori in un contesto di incertezza geopolitica. Questa impennata, sostenuta dalle preoccupazioni per l’inflazione e dal disagio politico in vista delle elezioni americane, ha già fatto salire l’oro di oltre il 33% quest’anno. Nel frattempo, il palladio è balzato dell’8%, raggiungendo il livello più alto da dicembre del 2023, per via dei timori di turbolenze nelle forniture.

In arrivo nuove misure di sostegno fiscale in Cina, i gestori aumentano il peso in portafoglio

Gli investitori globali, generalmente sottopesati nell’Asia emergente, si sono affrettati ad aumentare la loro quota in Cina. In Giappone il contesto potrebbe favorire il segmento delle small/mid cap.

di Marcel Zimmermann, gestore del fondo Lemanik Asian Opportunity di Lemanik

La performance positiva degli indici azionari asiatici è stata trainata dall’inatteso pacchetto di stimoli di grandi dimensioni annunciato dal governo cinese il 25 settembre. Per il prossimo futuro ci aspettiamo ulteriori annunci di sostegno fiscale.

Il mercato azionario globale ha fatto fronte all’aumento dei rischi geopolitici in Medio Oriente e all’indebolimento dell’attività economica, mentre i rendimenti sono scesi sulla scia del rallentamento dell’inflazione e di banche centrali più accomodanti. In Cina sono stati annunciati tagli ai tassi d’interesse, riduzione del Reserve Requirement Ratio (i requisiti di riserva, cioè l’importo minimo che una banca commerciale deve detenere in liquidità), finanziamenti più convenienti per l’acquisto di immobili invenduti e un sostegno al mercato azionario. Gli investitori globali, generalmente sottopesati nell’Asia emergente, si sono affrettati ad aumentare la loro quota in Cina, mentre gli investitori locali si sono buttati sul mercato azionario. L’indice Hang Seng China è salito in cinque giorni del 19,51% e l’indice Shanghai/Shenzhen300 del 21,11%. Prevediamo che il mercato cinese si consoliderà su livelli più alti che ci saranno ulteriori annunci di sostegno fiscale.

L’MSCI Asean è salito del 6,44% nel periodo in esame, dimostrando un continuo interesse per la regione, anche se le prese di profitto da parte degli investitori esteri nell’ultima settimana hanno limitato la performance. Abbiamo aumentato la posizione di sovrappeso nella regione e ci aspettiamo che l’attuale rally continui dopo cinque anni negativi. Il mercato giapponese è diventato negativo nell’ultima settimana di settembre a causa di un risultato elettorale inaspettato per la leadership del partito al governo del Giappone. Shigeru Ishiba, 67 anni, sarà il nuovo primo ministro giapponese. La sua visione positiva sull’aumento dei tassi di interesse ha spinto lo yen a salire di quasi il 2% dopo il risultato elettorale. In Giappone ci aspettiamo uno spostamento verso società meno sensibili allo yen e più orientate al mercato interno. Ciò potrebbe favorire il segmento delle small/mid cap.

Il mercato azionario coreano continua a deludere gli investitori con un altro mese negativo. In parte a causa delle prese di profitto nel segmento tecnologico asiatico, ma anche a causa della lenta e volontaria attuazione del programma Value-up. Continuiamo a sovrappesare la Corea all’interno del fondo, in quanto le valutazioni si trovano nella parte bassa del range di negoziazione delle società globali di prim’ordine. Si può prevedere che gli investitori globali aumenteranno ulteriormente la propria ponderazione nell’Asia emergente, dato che l’eccessiva differenza di valutazione rispetto ai mercati sviluppati si sta riducendo.

Mercato immobiliare, prezzi alla prova del calo dell’offerta abitativa

L’offerta si è ridotta in quasi tutte le città, a riprova che la stretta creditizia è ancora in atto e molti tra venditori e compratori rinviano a tempi (e tassi di interesse) migliori. Previsioni per il futuro.

La contrazione del mercato immobiliare che si sta manifestando in questi ultimi mesi con dati eloquenti, era stata ampiamente preannunciata nel biennio 2022-2023 dai fattori economici fondamentali che storicamente ne determinano l’andamento. Tali grandezze, tuttavia, si sono mosse in modo asincrono ed in senso opposto, annullandosi prima vicendevolmente e, successivamente, permettendo alle componenti negative al mercato di prevalere su quelle positive.

E così, se da un lato l’aumento dell’inflazione avrebbe determinato uno spostamento di liquidità e risparmi dal settore mobiliare (conti correnti, depositi, titoli, fondi etc) a quello immobiliare, dall’altro la stretta creditizia messa in atto dalle banche ha limitato di molto l’impiego generalizzato di tale liquidità, destinandola invece a rivitalizzare il segmento delle fasce di prezzo più accessibili e molto profittevoli (piccole e medie quadrature, fino a 70-80 mq, oppure seconde case in località turistiche), relegando in un limbo il segmento delle ormai desuete grandi quadrature non di pregio – quelle superiori a 120-130 mq, costruite nel periodo che va dal c.d. Boom Economico a tutti gli anni ’80 – oggi difficilissime da vendere e oggetto di complicati (e costosi) frazionamenti. Un effetto collaterale, inoltre, è stato quello di generare una eccessiva concentrazione delle compravendite in alcune aree geografiche. Basti pensare che Roma (33% di quota) e Milano (20%) fanno da sole più della metà delle compravendite nazionali avvenute nelle grandi città.

L’accesso al credito rimane un punto molto critico, con 300.000 famiglie che, secondo Nomisma, non sono riuscite a ottenere un mutuo, mentre le erogazioni di mutui nella prima parte del 2024 si sono dimezzate rispetto al 2022. Pertanto, la domanda immobiliare ha “sbattuto la testa” contro il muro eretto dalle banche, con i loro parametri di accesso al credito sempre più a maglie strette, ed ha raggiunto il risultato inusuale di “assopirsi” in vaste aree del Paese. Tale raffreddamento di natura esogena, di recente, si è accompagnato ad un sensibile restringimento dell’offerta di abitazioni in vendita, registrato nel terzo trimestre del 2024 (dati di Idealista), ed una significativa diminuzione dello stock abitativo disponibile, evidenziando una riduzione del 7% rispetto al trimestre precedente. Su base annua, il calo risulta pari a -4% rispetto allo stesso periodo del 2023. La contrazione delle case in vendita ha colpito la maggior parte delle città italiane. Roma, per esempio, ha subito una diminuzione dello stock del 14% su base annua, mentre Milano ha registrato un calo del 4% e Torino del 3%, mentre Napoli è andata in controtendenza, aumentando lo stock di case in vendita del 6% rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno. Accanto ai risultati contrastanti delle grandi città, si registrano alcuni exploit nei centri più piccoli: Alessandria -29%, Benevento -39%, Venezia -21%,

Le previsioni di Nomisma sul mercato immobiliare italiano fino al 2026 riportano uno scenario piuttosto complesso, dove la crescita economica si scontrerà con l’inflazione e l’accesso al credito. Infatti, nonostante i dati sull’occupazione siano davvero incoraggianti, l’inflazione supera ancora gli aumenti salariali ed erode il potere d’acquisto delle famiglie italiane, già colpite dal “fenomeno” – tutto italiano – dell’assenza di un salario orario minimo per categoria e dagli stipendi “da fame” per i lavoratori più giovani. Con un tasso di inflazione ancora così elevato, la crescita reale dei valori immobiliari è più contenuta o, in alcuni casi, si annulla del tutto.

Guardando al futuro, secondo Nomisma due fattori principali influenzeranno il mercato immobiliare: la trasformazione demografica e la direttiva Case Green. La diminuzione della popolazione dei prossimi decenni, infatti, sarà solo parzialmente compensata dall’aumento del numero di nuclei familiari, mentre la direttiva europea imporrà costosi interventi di riqualificazione energetica sugli immobili, spingendo i proprietari a investire nella modernizzazione delle abitazioni. Non sappiamo con quali correttivi la direttiva europea sulle Case Green verrà ratificata in Italia, e in molti si augurano che il livello di applicazione possa essere in qualche modo armonizzato in modo tale da privilegiare la sostenibilità finanziaria per le famiglie interessate. In Italia, infatti, la percentuale di famiglie proprietarie di immobili è vicina al 70% (contro una media del 52% del resto d’Europa), ma non tutte saranno in grado di affrontare i costi della riqualificazione energetica visto che il reddito reale medio degli italiani, negli ultimi trenta anni, è addirittura diminuito; e questo spiega come, per esempio, un impiegato di banca appena assunto guadagni in Italia 1.350 euro netti mensili (compresi tredicesima e componente variabile), mentre un bancario neo-assunto tedesco ne prenda 2.600.

Naturalmente, il mercato delle locazioni sta beneficiando di questo quadro complessivo delle compravendite immobiliari, registrando una domanda in aumento – quella di chi non riesce ad avere accesso al credito bancario – e canoni in crescita del 4,6% nella prima parte del 2024. I canoni, peraltro, sono previsti in aumento per via della crescente competizione nel mercato degli affitti brevi, che sta spingendo i prezzi verso l’alto. In definitiva, solo una riduzione dei tassi e una maggiore disponibilità di credito da parte del sistema bancario potrà dare ad un numero crescente di persone la possibilità di acquistare casa. Il mercato, nel suo complesso, è in attesa di questo.

Atterraggio morbido dell’economia, ma non recessione. Portafogli selettivi su banche e small mid cap

Lo scenario di base è quello di un soft landing, nonostante i segnali di rallentamento e con le banche centrali che hanno ampio spazio per tagliare i tassi da qui a tutto il 2025.

di Andrea Scauri, gestore azionario Italia presso Lemanik

Lo scenario di base prevede una crescita economica modesta che non sfoci in una recessione, con un miglioramento in Europa e un rallentamento della velocità di crescita negli Stati Uniti, in particolare dei consumi. Le banche centrali ridurranno gradualmente i tassi di interesse reali: prima la Bce, poi la Fed.

I mercati azionari globali hanno beneficiato ancora delle prospettive di un’inflazione sempre più vicina agli obiettivi delle banche centrali, e la Fed a Settembre ha sorpreso i mercati iniziando il ciclo di espansione monetaria con un taglio dei tassi di 50 punti base invece che di 25. Contestualmente, l’annuncio di un pacchetto coordinato di misure monetarie e fiscali in Cina, volto a contrastare la debolezza del mercato immobiliare, ha ulteriormente sostenuto i guadagni. Il mercato azionario cinese ha reagito positivamente a queste misure, con l’indice MSCI China che è salito di oltre il 20% da metà settembre, portando il P/E 2025E a 10x.

Per quanto riguarda la Fed, dopo il taglio di 50 punti base nell’ultima riunione il mercato si aspetta una riduzione cumulativa di quasi -200 punti base entro la fine del 2025, al 2,9%. Per la Bce, invece, le aspettative sono per un taglio di -160 punti base entro la fine del 2025, all’1,8%, visione confermata dopo il recente taglio di 25 punti base seguito ai deboli dati macro PMI e ai deboli dati sull’inflazione in Francia e Spagna.

L’indice Bloomberg delle materie prime è salito a settembre (+4,3%), ma ad Ottobre sembra aver perso il suo smalto (-3,97%). L’oro ha segnato un altro massimo storico, sostenuto dal calo dei tassi d’interesse reali, dalla debolezza del dollaro e dalle preoccupazioni geopolitiche. Nonostante la forte performance, continuiamo a considerare l’oro un asset interessante. Anche il rame è stato molto forte, sostenuto dall’annuncio del pacchetto di stimoli in Cina. Il petrolio è stato debole, con l’Arabia Saudita che ha annunciato, secondo il Financial Times, di essere pronta ad abbandonare l’obiettivo non ufficiale di prezzo del greggio di 100 dollari al barile e di essere pronta ad aumentare la produzione per riconquistare quote di mercato. Il prezzo del gas in Europa è rimasto sostanzialmente stabile a 39 euro/MWh.

Le prospettive macroeconomiche sono caratterizzate da una crescita modesta. Nel terzo trimestre si è registrato un indebolimento degli indicatori di crescita economica, che anticipa un rallentamento della crescita globale nei prossimi due trimestri, in particolare per quanto riguarda l’occupazione (negli Stati Uniti) e il settore manifatturiero (soprattutto in Europa). Tuttavia, si prevede che comincino a emergere segnali di ripresa e di miglioramento, sostenuti dalle politiche di allentamento monetario e da misure come quelle recentemente annunciate in Cina. Negli Stati Uniti, la crescita del Pil rimane robusta, con la stima della Fed di Atlanta per il Pil reale annualizzato del terzo trimestre 2024 che è salita al +3,1% dal +2% del mese precedente. In Europa, invece, la crescita del Pil nel terzo trimestre è prevista in lieve aumento, penalizzata soprattutto dal rallentamento dell’economia tedesca. Il nostro scenario di base rimane quello di un atterraggio morbido dell’economia, nonostante i segnali di rallentamento e disinflazione, con le banche centrali che hanno ampio spazio per tagliare i tassi e iniettare liquidità nel sistema per finanziare i crescenti deficit pubblici.

La strategia che si riflette nel nostro portafoglio rimane invariata, ossia un portafoglio concentrato sulle utilities, un approccio molto selettivo sulle banche e sulle small/mid cap e nessun investimento in nomi industriali ciclici. Questo approccio si riflette anche nell’aumento del nostro investimento in Tenaris. Non abbiamo investito in Stellantis perché continuiamo a ritenere che il titolo non abbia ancora toccato il fondo e non abbiamo investito in STM, perché a nostro avviso le stime debbano essere riviste materialmente al ribasso. Stiamo aumentando la nostra esposizione a Telecom Italia Savings e aumentiamo l’esposizione a Unipol.

Scenario più favorevole al reddito fisso. Le azioni oggi valgono 20 volte gli utili previsti per il 2025

Non ci sono prove concrete a suggerire che il mercato azionario scenderà significativamente a breve. Due scenari: recessione molto vicina o futura crescita economica prossima allo zero.

di Alberto Conca, gestore Zest Asset management Sicav e responsabile investimenti Lfg+Zest

Il Pil e il Rnl (Reddito nazionale lordo) sono due variabili economiche che misurano la stessa cosa, trovandosi sui due lati dell’equazione della crescita economica: il primo si riferisce alle tendenze della produzione, mentre il secondo alle tendenze del reddito. Per questo motivo, nel lungo periodo le serie temporali hanno modelli molto simili, quasi identici. Ci sono momenti, tuttavia, in cui le due serie divergono. Questa divergenza non è quasi mai stata forte come quest’anno. Il Rnl è più del 3% al di sotto del Pil e questo segnale del lato “reddito” potrebbe indicare che la recessione potrebbe essere molto vicina o che la futura crescita economica rimarrà prossima allo zero. Il dilemma è se sarà il Pil a convergere verso il Rnl o viceversa.

La risposta potrebbe stare nel mezzo. Da un lato, notiamo che la serie storica degli indicatori anticipatori del G7 ha appena superato quota 100, come se il rallentamento economico fosse alle nostre spalle e il peggio fosse passato. La spinta per questo miglioramento potrebbe essere arrivata dalle banche centrali. Il numero di banche centrali che hanno iniziato a tagliare i tassi per stimolare l’economia è aumentato dallo 0% di inizio 2024 al 50% di oggi. Dall’altro lato, tuttavia, troviamo il PMI composito manifatturiero che rimane ben al di sotto di 50 (soglia tra espansione e contrazione economica). Storicamente, quando il PMI è al di sotto di 50, gli utili nell’S&P 500 diminuiscono in media del 17% annualizzato.

Attualmente, questo fenomeno non si sta verificando; infatti, le stime degli utili per il 2025 continuano a salire. Tuttavia, è importante capire da dove proviene questa crescita. Gli analisti macro attualmente segnalano che la crescita degli utili nell’S&P 500 per il prossimo anno sarà di circa il 14%. Utilizzando invece il metodo bottom-up e aggregando quindi tutti i titoli nell’S&P 500 dal basso, le stime della crescita degli utili salgono al 17%. C’è una differenza di circa tre punti percentuali, giustificata dal fatto che solitamente i secondi sono più ottimisti degli analisti macro. Osservando le crescite degli utili delle 500 aziende, la quota preponderante è compresa tra il 10% e il 15%. Osservando il contributo settoriale alla crescita degli utili del 2025 utilizzando il metodo bottom-up, quindi al 17%, emerge che oltre il 90% di questa crescita proviene da tre settori: Information Technology, Health Care e Communication Services. È importante notare che escludendo il settore dei materiali, la cui crescita nel 2025 sarà negativa, questi tre settori contribuirebbero ancora di più al totale dell’indice.

Approfondendo l’analisi, abbiamo identificato 16 azioni che spiegano oltre il 13% della crescita stimata degli utili per il 2025. Possiamo dividere queste azioni in due categorie, quelle relative all’assistenza sanitaria che segnalano una crescita idiosincratica, decorrelata alle tendenze economiche, e quelle relative allo sviluppo dell’intelligenza artificiale. I componenti di questo secondo gruppo è come se avessero creato un ecosistema autosufficiente, perché Meta, Google, Apple e Microsoft stanno spendendo molto in capex e la maggior parte di questa spesa corrisponde ai ricavi di Nvidia. È opportuno chiedersi se questa forte spesa in capex, che come abbiamo appena visto si trasforma in crescita, sia sostenibile o meno. Gli stessi tre settori che contribuiscono maggiormente alla crescita degli utili (Information Technology, Health Care e Communication Services) generano la maggior parte del flusso di cassa libero dell’S&P 500. Pertanto, la loro enorme spesa in conto capitale è giustificata e apparentemente sostenibile, con l’aggiunta del Consumer Discretionary, che include Amazon e Tesla (due grandi spendaccioni in conto capitale) e delle Utilities. Restano dubbi su quanto a lungo saranno sostenuti questi investimenti e quindi continueranno a supportare la crescita.

Spostando l’attenzione sulla valutazione di mercato, riferendoci ai valori di crescita degli utili per il 2025 visti sopra, attualmente paghiamo circa 20 volte gli utili dell’anno prossimo. Storicamente il picco di un ciclo viene raggiunto quando il multiplo dell’indice è nell’area 20 e il minimo nell’area 8. A oggi, siamo al top dell’intervallo. Prendendo un’altra misura di valutazione, l’Earning Yield (Utile per azioni/Prezzo delle azioni) in relazione al possibile Upside/Downside dell’S&P 500 considerando le attuali stime di crescita degli utili, la situazione è simile a quella descritta sopra. Prendendo come riferimento il rendimento medio degli utili degli ultimi cinque anni (4,5%), nelle stime del 2024, 2025 e 2026 il possibile movimento dell’S&P 500 corrisponde rispettivamente a -10,3%, +2,3% e +12,0%. Il mercato in termini di valutazione sembra essere sopravvalutato. Infine, osservando il premio di rischio azionario implicito dell’S&P 500, esso attualmente si attesta all’1,14 percento rispetto a un valore storico del 3-3,5 percento. Non ci sono ancora prove concrete a suggerire che il mercato azionario scenderà significativamente a breve, ma in termini di rendimento aggiustato per il rischio continuiamo a preferire il reddito fisso, in particolare il segmento Investment Grade, rispetto all’azionario.

L’Oro è al suo massimo storico, ma rimane un investimento interessante

L’oro ha segnato un altro massimo storico, ma nonostante la forte performance continuiamo a considerarlo un asset interessante. Manteniamo la posizione costruttiva sulle mid-small cap.

di Andrea Scauri, gestore azionario Italia presso Lemanik

L’esaurimento del carry trade dello yen suggerisce che la Fed si trova in una posizione difficile e, dopo aver tagliato i tassi lo scorso 18 Settembre, dovrà presto porre fine al Quantitative tightening ed espandere il proprio bilancio, soprattutto per finanziare il deficit degli Stati Uniti e mantenere sostenibile la situazione fiscale del Paese. Tutti questi fattori contribuiscono a rendere l’oro un investimento interessante.

I mercati azionari globali hanno chiuso agosto in rialzo, dopo una significativa correzione nella prima settimana del mese (-6%), poi recuperata nella seconda metà del mese. In Europa, i principali indici hanno chiuso il mese con performance leggermente positive, così come negli Stati Uniti, mentre gli indici asiatici sono rimasti deboli a causa dei dati deludenti sulla crescita economica cinese. La correzione iniziale è stata innescata da diversi fattori: dati macro statunitensi più deboli del previsto, aumentando i timori di una recessione anziché di uno scenario di atterraggio morbido/assenza di atterraggio; liquidazione del carry trade dello yen; preoccupazioni per il rischio geopolitico; sovra-posizionamento su alcuni settori/azioni (AI/tecnologia/crescita/cripto/Magnificent).

I risultati trimestrali di NVIDIA sono stati solidi e superiori alle aspettative, mostrando un trend sempre positivo per le applicazioni legate all’AI. Successivamente, l’inflazione negli Stati Uniti è aumentata meno del previsto per il quarto mese consecutivo, mentre alcuni dati macroeconomici di agosto hanno indicato un leggero miglioramento rispetto a luglio. Questi fattori hanno determinato la decisione del presidente della Fed Powell di effettuare il primo taglio in occasione dell’ultima riunione del FOMC

In particolare, Powell si è detto fiducioso che l’inflazione sia sulla buona strada per raggiungere il 2% e che non vuole che il mercato del lavoro si raffreddi ulteriormente. Ciò indica che la Fed vede il prossimo ciclo di tagli dei tassi non come una reazione a un marcato rallentamento dell’economia, ma piuttosto come un ritorno al tasso neutrale. Sul fronte delle elezioni statunitensi, i sondaggi attuali mostrano che Harris avrebbe qualche punto percentuale di vantaggio su Trump. Il vero punto interrogativo è se il nuovo presidente sarà in grado di fare “piazza pulita” o meno, per consentire l’attuazione delle varie proposte.

L’indice Bloomberg delle materie prime è rimasto complessivamente stabile nel mese di agosto. Il petrolio è stato debole, in quanto la possibilità di un aumento della produzione da parte dell’Opec in un momento in cui le aspettative sulla domanda rimangono incerte ha compensato il rischio di offerta legato alle tensioni in Medio Oriente. L’oro ha segnato un altro massimo storico, sostenuto dal calo dei tassi di interesse reali, dalla debolezza del dollaro e dalle preoccupazioni geopolitiche. Nonostante la forte performance (+22% da un anno all’altro), continuiamo a considerare l’oro un asset interessante.

Negli ultimi mesi si è registrata una perdita di slancio in Europa e in Cina, causata dall’indebolimento degli indicatori manifatturieri globali. Negli Stati Uniti, la crescita del Pil continua a essere solida, anche se più lenta rispetto agli ultimi trimestri, e la domanda di lavoro ha mostrato segni di rallentamento. Per questo motivo, i prossimi dati macro saranno attentamente monitorati dal mercato. Il nostro scenario di base rimane un atterraggio morbido, nonostante i segnali di rallentamento. Manteniamo la nostra posizione costruttiva nei confronti delle mid-small cap. L’avvio del ciclo espansivo da parte delle banche centrali, senza un significativo deterioramento del mercato del lavoro e dell’economia, è un elemento positivo, soprattutto per i titoli di qualità e di crescita, che al momento continuiamo a preferire ai ciclici.

Nel settore finanziario, ci aspettiamo che un contesto di graduale calo dei tassi d’interesse favorisca i titoli asset manager (il nostro preferito è Anima), le società meno sensibili al margine d’interesse (come Mediobanca) e le banche con una quota maggiore di ricavi da commissioni (Intesa). Manteniamo la nostra posizione sul Monte dei Paschi: il titolo è a buon mercato, sovra-capitalizzato e a nostro avviso con un upside speculativo legato a eventuali operazioni di M&A. Rimaniamo costruttivi sui finanziari, ci siamo riposizionati sulle utilities, siamo molto selettivi sugli industriali e abbiamo iniziato ad acquistare alcuni nomi del lusso.