Settembre 25, 2023
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Primo Ventures e LifeGate: partnership strategica su innovazione tecnologica e cambiamento climatico

Vincere la sfida del cambiamento climatico richiederà ingenti investimenti in ricerca e startup. Il 45% delle tecnologie che saranno applicate fino al 2050 per la neutralità carbonica sono oggi sotto forma di startup, spin-off accademici e ricerca di base.

Primo Ventures SGR, Società di Gestione del Risparmio indipendente specializzata in investimenti tecnologici, e LifeGate, Società Benefit considerata il punto di riferimento della sostenibilità in Italia, hanno annunciato una partnership strategica per l’analisi di trend e investimenti nel settore climatico. Vincere la sfida del cambiamento climatico richiederà investimenti in molteplici ambiti, tra cui uno assolutamente centrale: quello dello sviluppo di nuove tecnologie.

Nell’ultimo decennio sono stati investiti a livello globale, ogni anno, dai 3 ai 5 trilioni di dollari, ma si stima che nei prossimi venticinque anni gli investimenti per mitigare gli effetti del cambiamento climatico cresceranno esponenzialmente fino a raggiungere i 100 triliardi di dollari. Ogni attività umana, infatti, dovrà soddisfare requisiti di sostenibilità sempre più severi, come stabilito dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, adottata da tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, catalizzando lo sviluppo di nuove soluzioni attraverso le quali l’innovazione nelle tecnologie per l’energia pulita potrà accelerare per raggiungere lo scenario di neutralità carbonica (Net Zero Emissions) entro il 2050. Pertanto, mentre l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 del 55% entro il 2030 può essere raggiunto con le tecnologie esistenti, il percorso di azzeramento delle emissioni al 2050 si basa su tecnologie che non sono ancora mature o comunque non sono ancora commercializzate su ampia scala. Questo vale in particolare nei settori difficili da decarbonizzare, come l’industria pesante e i trasporti a lunga distanza. 

“La sfida del climate change richiederà uno sforzo tecnologico e finanziario senza precedenti nella storia dell’umanità” – ha dichiarato Gianluca Dettori (nella foto), Presidente di Primo Ventures – “Siamo onorati di poter collaborare con un partner scientifico e così concentrato da molti anni su questo problema come LifeGate, che da molti anni analizza e sviluppa questo settore proponendo soluzioni concrete”. Da uno studio dell’Agenzia Internazionale dell’Energia emerge che circa la metà delle tecnologie necessarie per raggiungere gli obiettivi 2050 si trova ancora in fase di startup, sotto forma di prototipo nei laboratori di ricerca o di impianto dimostrativo. Diventa quindi fondamentale analizzare un mercato emergente, che sta rapidamente rivoluzionando la nostra risposta al cambiamento climatico

Il Climate Tech a oggi rappresenta il 16% degli investimenti complessivi in Venture Capital in Europa, il 10% nel resto del mondo, ma le proiezioni suggeriscono che questa percentuale sia destinata a crescere in maniera significativa nel prossimo decennio. “Nel mondo, nel 2022, per ogni quattro dollari di venture capital investiti più di un dollaro è stato destinato a tecnologie di contrasto al cambiamento climatico. Si tratta di circa 50 miliardi di dollari, una somma cresciuta di 24 volte in 10 anni che rivoluzionerà il panorama – spiega Simone Molteni, direttore scientifico di LifeGate – ma in nessun modo questa notizia deve essere letta come un invito a rinviare la transizione ecologica in attesa di nuove tecnologie. Quello che serve oggi è già disponibile e si deve agire subito per raggiungere il primo traguardo al 2030. Di tempo ne è già stato perso abbastanza”. 

“Il risparmio sostenibile è l’ultimo tassello di uno stile di vita etico, insieme alla mobilità, all’alimentazione, all’energia. Ma forse è il tassello più importante perché può davvero cambiare le cose. Bisogna dare alle persone la possibilità di scegliere dove investire i propri risparmi per spostare la bilancia del pianeta verso un futuro migliore e più sostenibile – dichiara Enea Roveda, CEO di LifeGate“. La partnership è volta ad analizzare le dinamiche di questo settore emergente per individuare trend, spazi di opportunità e possibili attività congiunte che possano contribuire alla crescita del settore climate tech soprattutto nell’accelerare lo sviluppo di tecnologie abilitanti a raggiungere l’obiettivo della piena sostenibilitàLifeGate e Primo Ventures intendono inoltre sviluppare modelli di analisi, tracciamento e benchmarking degli investimenti sotto il profilo dei criteri ESG e di impatto delle nuove tecnologie sulla decarbonizzazione

Deutsche Bank e Cassa Depositi e Prestiti attive nei fondi di Venture Capital

Con i fondi di Venture Capital, gli investitori professionali e retail hanno l’opportunità di accedere nel settore delle aziende emergenti di tutto il mondo. L’Europa tra i principali attori tecnologici dell’economia globale.

Secondo una ricerca pubblicata dal Chief Investment Office di Deutsche Bank nel settembre 2021, nel secondo trimestre dello stesso anno gli investimenti nel Venture Capital in Europa avevano raggiunto i 34 miliardi di USD, guidati in gran parte da imprese mature e c.d. unicorn. Nel 2020, il valore complessivo delle transazioni globali di Venture Capital aveva raggiunto i 330,2 miliardi di USD. La quota più ampia di mercato era detenuta dalle Americhe (52,8%), seguite da Asia (31,0%) ed Europa (15,7%). 

L’Europa oggi è posizionata tra i maggiori attori tecnologici globali, con un capitale investito pari a 100 miliardi di USD nel 2021 e circa 100 startup “unicorno”, e cioè startup che hanno raggiunto una valutazione di mercato che supera il miliardo di dollari senza essere però quotate in Borsa. Pertanto, le ombre gettate sull’economia mondiale dalla guerra russo-ucraina e, soprattutto, dall’inflazione elevata non sembrano aver bloccato lo sviluppo del Venture Capital e l’investimento in startup. Secondo il Rapporto di ricerca Venture Capital Monitor sulle operazioni di venture capital in Italia, infatti, nei primi sei mesi dell’anno sono state effettuate 172 operazioni di investimento per quasi un miliardo (957 milioni di euro), registrando un aumento del 12% rispetto all’anno scorso (+123% come ammontare investito complessivamente). Relativamente alle sole startup con sede in Italia, venture capital e corporate venture capital hanno investito 193 milioni di euro su 99 round, le attività di sindacato tra venture capital, corporate venture capital e business angel hanno fatto registrare investimenti pari a 765 milioni di euro su 62 operazioni e i soli business angel hanno investito 27 milioni in 18 round. Il totale di queste attività porta la filiera dell’early stage in Italia ad aver investito 985 milioni di euro su 179 round (erano 466 milioni su 167 round nel I semestre 2021).

Su questa scia, alcune tra le maggiori istituzioni finanziarie hanno comunicato al mercato la nascita di strumenti specifici. La Divisione International Private Bank (IPB) di Deutsche Bank ha annunciato l’estensione della sua proposta di soluzioni di investimento, dedicata sia agli investitori in possesso dei requisiti di cliente professionale che ai clienti al dettaglio (retail), di un fondo di fondi europeo di Venture Capital, a capitale non protetto e illiquido, distribuito in esclusiva dalla Divisione IPB di Deutsche Bank. Il fondo di DB è destinato a dare accesso a un portafoglio diversificato di aziende operanti nel settore tecnologico europeo e internazionale in fase “growth”, iniziale e intermedia, selezionate tramite fondi di investimento gestiti da cinque società di Venture Capital europee: Lake Star, Project A, HV Capital, Earlybird e Headline, le quali hanno sostenuto oltre 50 aziende operanti nel settore tecnologico a livello globale e alcuni tra i principali unicorn europei. Il fondo di fondi mira a fornire un’ampia copertura del mercato e punta a ridurre il rischio di concentrazione che potrebbe altrimenti verificarsi in un tipico investimento in Venture Capital o in un singolo fondo, nonchè a ridurre le barriere all’ingresso in termini di dimensioni minime degli investimenti.

Il gruppo Cassa Depositi e Prestiti (CDP), invece, ha annunciato di aver attivato il comparto Energy Tech del Fondo Corporate Partners I di CDP Venture Capital Sgr, il fondo multi-comparto di corporate venture capital nato per investire in startup impegnate nei settori dell’energia, dei servizi, della manifattura e delle infrastrutture, con l’obbiettivo di far crescere l’ecosistema venture italiano. Il comparto Energy Tech ha siglato il primo closing per un totale di 80 milioni di euro grazie alla partecipazione di alcune big company come Baker Hughes (azienda americana che a Firenze ha l’headquarter globale della divisione Turbomachinery & Process Solutions), Edison, Snam e Italgas. L’obiettivo del nuovo strumento finanziario di CDP è quello di investire in startup e PMI ad alto potenziale innovativo ed impegnate nella sfida della transizione energetica, promuovendone lo sviluppo in collaborazione con utility di rilievo.

 

DISCLAIMER: Le informazioni e le opinioni contenute in questo articolo non costituiscono un’offerta o una sollecitazione all’investimento e non costituiscono una raccomandazione o consiglio, anche di carattere fiscale, o un’offerta, finalizzate all’investimento, e non devono in alcun caso essere interpretate come tali.Prima di ogni investimento, per una descrizione dettagliata delle caratteristiche, dei rischi e degli oneri connessi, si raccomanda di esaminare la documentazione fornita dalle fonti ufficiali e/o dagli organi di controllo che vigilano sulla commercializzazione in Italia, nonché la relazione annuale o semestrale e lo Statuto, disponibili presso i collocatori. Infatti, l’investimento in prodotti finanziari o in partecipazioni societarie è soggetto a fluttuazioni anche di grande entità, con conseguente variazione al rialzo o al ribasso dei prezzi e del valore dell’investimento, ed è possibile che non si riesca a recuperare l’importo originariamente investito.

Le “storie per intervista” di P&F e Startup Fixing: Seffiline Srl

P&F racconta le storie di startup italiane che stanno scalando il proprio modello di business. Claudio Brandoli: “Quando ci hanno concesso i primi contributi regionali, abbiamo capito che il nostro progetto era stato riconosciuto come valido da persone qualificate a valutarci”.

Intervista di Carlo Mauri e Alberto Villa

Seffiline è una azienda innovativa che è nata in Italia e si è rapidamente espansa in Europa. La sua mission è di creare kit che diano la possibilità a medici di tutte le specialità, di eseguire la terapia rigenerativa in modo sicuro, semplice ed efficace. I kit sono certificati CE e vengono distribuiti in tutta Europa attraverso una capillare rete distributiva, e sono utilizzati presso ambulatori e centri medici privati, convenzionati ed ospedali”. Questo il profilo aziendale secondo Alessandro Gennai, CEO di Seffiline, startup che opera  nel campo Medicale – in particolare nella Medicina estetica – e che recentemente è stata valutata da Startup Fixing come una delle più promettenti* Pmi innovative del settore.

Secondo la nomenclatura di Damodaran, Seffiline è da annoverare all’interno della categoria “Drugs-Biotecnology”, e la sua attività principale riguarda la ricerca, sviluppo, produzione e commercializzazione di sistemi, strumenti e apparecchiature altamente innovative rivolte alla terapia rigenerativa dei tessuti umani. Inoltre, l’azienda svolge attività di ricerca scientifica e formazione medica, e detiene alcuni diritti di privativa su proprietà intellettuale: brevetto guida registrato in Italia e patent-pending all’estero, marchio figurativo e denominativo registrati in Italia e all’estero, design industriale depositato per la guida. All’atto della redazione dell’ultimo business plan conosciuto, la società dichiarava un valore di pre-money complessivo pari a 2.997.620 euro.

P&F, in collaborazione con Carlo Mauri e Alberto Villa di Startup Fixing, ha intervistato Claudio Brandoli, product manager R&D di Seffiline.

Claudio, è possibile raccontare qualche aneddoto “leggendario” sulla nascita dell’idea e sul confronto immediatamente successivo tra i fondatori?
Se serve qualcosa di “leggendario”, ti dico che io e Alessandro (Alessandro Gennai, CEO di Seffiline, n.d.r.) siamo compagni di banco del liceo, da allora abbiamo percorso decine di migliaia di miglia sulla stessa barca a vela.
Quali sono state le maggiori difficoltà incontrate, e come sono state superate?
Sicuramente nella produzione delle prime versioni della guida e nel trovare cannule monouso performanti ad un prezzo adeguato.

Quando avete avuto la conferma che la vostra idea imprenditoriale era economicamente promettente? Esiste un momento preciso che potete raccontare?
Il fatto di esserci classificati primi in un bando regionale per startup innovative, con un contributo a fondo perduto di 100.000 euro. Lì abbiamo capito che la concretezza e la validità del progetto era riconosciuta da un team di persone qualificate a valutarci. Questo ci ha consentito di investire nella produzione dello stampo per la guida e far fare un enorme salto di qualità al kit. Un altro momento che ci ha dato sicurezza è stato il congresso SIME (Società Italiana di Medicina Estetica di Roma), dove sono stati presentati  11 lavori che parlavano di Seffiline e dove le sessioni di terapia autologa rigenerativa sono state praticamente monopolizzate dal nostro kit. E ancora, quando durante il pre-campagna di Mamacrowd abbiamo inviato il progetto ai nostri migliori clienti, tutti medici esperti in terapia rigenerativa. Sedici di loro hanno investito dai 5 ai 20mila euro nella nostra startup, persone che hanno ottima conoscenza del mercato in cui lavorano e delle potenzialità dei prodotti Seffiline.

Nel Business Plan di Seffiline, pubblicato in occasione dei vari round di Crowdfunding, è stato indicato come metodo di calcolo del valore Pre-Money il metodo dei Multipli. Come mai lo avete preferito ad altri metodi analitici come il DCF (metodo dei flussi di cassa attualizzati)? 
(Risponde Nicolò Muzzana di Thymos B&C) Abbiamo utilizzato la metodologia del Venture Capital (VC) Method, e non il Discounted Cash Flow (DCF) e nemmeno il Multiple Method, in quanto è ampiamente applicata da parte degli investitori di venture capital e consente di determinare il valore attuale della Società che l’investitore è disposto a riconoscere, in relazione alla potenzialità di valorizzazione della stessa al momento dell’Exit. Davanti a startup come Seffiline si suole utilizzare il VC Method, una metodologia ibrida tra Multiple Method e DCF. Infatti, il Venture Capital è un metodo di valutazione che si basa sull’attualizzazione del valore finale atteso, ottenuto attraverso l’applicazione di un multiplo (EV/Sales o EV/Ebitda) su una variabile (Sales o Ebitda) dell’ultimo anno di piano, momento in cui si prevede possa realizzarsi il disinvestimento (exit). DCF e Multiple Method vengono utilizzati per aziende mature e con uno storico, e sarebbero altamente “penalizzanti” per startup dal  valore decisamente inespresso nei primi loro anni di vita.

In relazione allo sviluppo delle previsioni economico- finanziarie, qual è il vostro scenario “worst case”?
(Risponde Nicolò Muzzana di Thymos B&C) Non abbiamo ipotizzato un worst case, ma alla luce delle sorprendenti risposte del mercato della medicina estetica e delle relative e puntuali analisi portate avanti riteniamo che il piano sia realistico, e addirittura conservativo, e pertanto siamo confidenti in una sua realizzazione. Ovviamente Pandemia Covid-19 permettendo.

La exit strategy di solito propone due possibili scenari:  a) M&A con un competitor, b) una possibile IPO. Quale dei due scenari ritenete che allo stato possa essere il più probabile?
(Risponde Nicolò Muzzana di Thymos B&C) Riteniamo entrambe le alternative percorribili. La prima in quanto il mercato Medtech sta vivendo un momento di forte aggregazione.  Le multinazionali stanno facendo un vero e proprio “shopping” di società target. Relativamente alla seconda alternativa, la quotazione può avvenire attraverso il mercato Euronext Growth Milano (ex AIM), e se il piano viene rispettato è ipotizzabile una quotazione nel giro di 2/3 anni. Tra l’altro, il settore di Seffiline è altamente appetibile e “sexy” per il mercato dei capitali. Altra soluzione è una quotazione in tempi più brevi, in quanto da luglio 2020 è nato anche il segmento professionale dedicato alle start up e scale-up (ex AIM Pro). A riprova di ciò, Thymos Business & Consulting (Advisor di Seffiline) ha seguito la quotazione di Premia Finance, avvenuta ad aprile 2021, una delle prime quotazione sul segmento professionale.

Gli investitori non professionali (persone fisiche) hanno beneficiato della detrazione “ordinaria” del 30% oppure sieste riusciti a farli beneficiare di quella “potenziata” (50%)?
No, gli investitori non professionali non hanno usufruito del 50%.

Saranno possibili nuovi  round nel futuro imminente?
Al momento non abbiamo in programma nuovi round. L’unica ragione che ci potrebbe spingere a un nuovo round potrebbe essere legata alla penetrazione del mercato USA.

*DISCLAIMER
Il presente documento è rivolto a investitori professionali (ai sensi della Direttiva Mifid II) che investono per proprio conto e a soggetti professionali che investono per conto dei propri clienti. Il valore dell’investimento e/o dei redditi periodici derivanti è soggetto a fluttuazioni anche di grandissima entità, con conseguente variazione al rialzo o al ribasso, ed è possibile che non si riesca a recuperare l’importo originariamente investito. Le informazioni contenute nel presente documento non devono essere considerate offerte o raccomandazioni di acquisto o vendita né sollecitazione di offerte di acquisto o di vendita di titoli e/o di partecipazioni societarie, né attività di consulenza di investimento. Prima di ogni investimento, si raccomanda di esaminare la documentazione fornita dalle fonti ufficiali e/o dagli organi di controllo che vigilano sulla commercializzazione in Italia, nonché la relazione annuale o semestrale e lo Statuto dell’azienda emittente, disponibili presso i collocatori e le piattaforme di investimento.
ProjectBi Srl, proprietaria del marchio e del software Startup Fixing, e l’editore di Patrimoni & Finanza non si assumono alcuna responsabilità relativamente all’accuratezza e alla completezza delle informazioni economiche e patrimoniali fornite dai responsabili della Società esaminate, essendo loro responsabilità fornire dati veritieri al pubblico indistinto e al mercato.
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Investire in Startup è questione di metodo, non di emozioni. In arrivo il tool di rating Startup Fixing

L’investimento in startup non può essere dettato solo dalle preferenze di natura emozionale, ma da un metodo razionale e replicabile per qualunque progetto di Equity Crowdfunding. A Settembre disponibile il tool di rating Startup Fixing dell’italiana ProjectBI.

Le recenti ricerche sui criteri di scelta adottati da chi ha investito in startup attraverso le piattaforme di Crowdfunding hanno rivelato che le loro preferenze sono dettate prevalentemente da elementi emozionali, i quali spesso consentono di “superare” persino il naturale sentimento di prudenza che si prova generalmente quando si acquistano azioni nei mercati regolamentati e che guida le nostre scelte. Infatti, è importante essere sempre informati sulle prospettive dell’azienda di cui diventiamo azionisti, ed la circostanza che i titoli siano quotati ufficialmente non deve costituire un deterrente verso la conoscenza di tutti gli elementi utili.

In buona sostanza, si tratta di un processo razionale – almeno così dovrebbe essere, nella maggior parte dei casi – che dà priorità al metodo, e relega l’emotività ad elemento del tutto secondario. Nel campo dell’Equity Crowdfunding, invece, si ha la sensazione che le scelte vengano dettate prevalentemente  da elementi emozionali o irrazionali, come l’interesse per un tema di importanza collettiva (clima, energie alternative, biotecnologie etc) oppure per le applicazioni informatiche di largo consumo. La  stessa Consob, sull’argomento, ha segnalato questa criticità nel suo sito dedicato all’Educazione Finanziaria “…il preponderante elemento emozionale nelle scelte di investimento in startup poste in essere dai risparmiatori, soprattutto non professionali, e il rischio di truffe, sono da tenere in considerazione prima di un investimento…..”.

Pertanto, è necessario uscire dalla “logica emozionale”, ma per farlo correttamente serve un metodo razionale di scelta e replicabile in tutti i progetti dell’Equity Crowdfunding. Su queste basi, la collaborazione di professionisti specializzati in diversi settori della finanza aziendale ha portato allo sviluppo di Startup Fixing, un tool di analisi che racchiude e sintetizza diverse discipline e competenze. Il tool è stato sviluppato da ProjetBI srl, che è essa stessa una startup innovativa italiana già conosciuta per aver creato nel 2018 (per conto di  Giuffrè Editore) la app “Indicatori di allerta”, finalizzata ad individuare precocemente segnali di crisi aziendale alla luce anche della riforma sulla Crisi d’impresa.

Ai fondatori di ProjectBI Carlo Mauri (Commercialista, Revisore ed Analista finanziario) e Roberto Massucco (Ingegnere Gestionale specializzato in sistemi informatici di analisi finanziaria) si è presto unito Alberto Villa, consulente finanziario autonomo, che ha portato il suo contributo di esperienza nella  formazione di assets d’investimenti, rendendo fruibile il tool agli investitori professionali e permettendo loro di beneficiare del set informativo che mette in evidenza, per tutte le proposte d’investimento in startup o in PMI innovative, l’intrinseca rischiosità ed il possibile rendimento atteso.

La fonte dei dati che alimentano il sistema di Startup Fixing sono gli stessi documenti obbligatori presenti  e pubblicamente consultabili nelle diverse piattaforme di Equity Crowdfunding. In particolare, vengono selezionati ed archiviati i dati economico-finanziari presenti nei business plan e nei bilanci. Le informazioni quantitative archiviate nel database passano alla successiva fase di analisi, dalla quale si genera finalizzata una scheda di valutazione sintetica relativa al progetto proposto sulla piattaforma. “Il fulcro di Startup Fixing – spiega Carlo Mauri – si fonda sulla coerenza tra rischio e rendimento, che deve rispettare il postulato fondamentale di ogni scelta di investimento finanziario, e cioè che ad un maggior rendimento corrisponde sempre un maggior rischio”. “Pertanto – aggiunge Mauri – abbiamo individuato dei criteri che ci consentono di apprezzare gli sviluppi del progetto in chiave prospettica, basandoci esclusivamente sulle informazioni di carattere economico e finanziario presenti nei business plan, senza apportare alcuna modifica od integrazione. In particolare, grazie al tool di Startup Fixing, siamo in grado di determinare il rendimento netto teorico atteso, assumendo che la vendita delle quote della startup si realizzerà nell’ultimo anno indicato all’interno del progetto”.

In sintesi, il tool Startup Fixing (che sarà disponibile in rete da Settembre) adotta come criterio di valutazione il metodo universalmente utilizzato per questo tipo di investimenti, denominato “Venture Capital Method”. Per quanto riguarda la verifica dell’adeguatezza del c.d. valore di Pre-Money, dichiarato nel business plan del progetto, al valore futuro dell’azienda, il tool Startup Fixing applica un tasso di attualizzazione implicito derivante dal metodo di attualizzazione dei flussi di cassa (DCF). “In ogni progetto di startup – spiega Carlo Mauri – il rischio maggiore è rappresentato dal valore di Pre-Money, che viene attribuito dagli stessi soci del progetto e, quindi, sconta la possibilità di essere un po’ troppo generoso. Se il valore determinato con il metodo DCF è sufficientemente maggiore rispetto al tasso espressione del rischio del settore di riferimento (che è una grandezza conosciuta), questo significa che chi ha redatto il business plan ha tenuto debitamente conto dell’elevato rischio specifico che inevitabilmente caratterizza progetti di questa natura”. La risultante finale di questo processo di analisi è un rating sintetico, che attribuisce un numero di “stelle” (da 1 a 5) quale espressione qualitativa del giudizio di Startup Fixing in funzione di alcuni parametri fondamentali. Più precisamente, il rating sarà più elevato:

– se il rendimento netto teorico atteso supera (o meno) il benchmark di rendimento predeterminato per questo tipo d’investimenti;
– se il business plan espone la presenza di almeno un brevetto, rendendo più difendibile l’azienda (e i suoi azionisti) dalla concorrenza;
– se la startup non beneficia di finanziamenti da parte di terzi;
– se il valore Pre-Money di partenza, autodeterminato dai fondatori della startup/Pmi, sconta adeguatamente il livello di rischio specifico del progetto in misura tale da ridurre lo stesso valore Pre-money ad un livello più conveniente per l’investitore.

Oggi le startup e le Pmi innovative godono di una particolare attenzione non solo da parte delle autorità italiane ed europee – basti pensare alle generose disposizione in materia fiscale per gli investitori, recentemente emanate dal nostro Governo – ma sempre di più anche da parte degli investitori e dei loro consulenti, e la forte crescita della raccolta fatta negli ultimi due anni lo testimonia. La tendenza ad investire nella c.d. economia reale viene sollecitata sempre più spesso dalle Istituzioni, e si ritiene che nel giro di qualche anno anche il settore delle startup e del Crowdfunding, con le dovute limitazioni in relazione ai profili di rischio, farà parte dei portafogli di tutti i risparmiatori, ma sia le nuove aziende che i futuri distributori (banche, reti, piattaforme indipendenti) dovranno dotarsi di uno strumento di analisi preventiva come Startup Fixing.

Cresce il numero delle startup “unicorno”. Luigi Capello: l’Italia segua la strada della Francia

La chiave del successo dell’industria francese del Venture Capital è stata la costituzione di un Fondo da 10 miliardi e la semplificazione della normativa per la costituzione delle startup, creando un’agenzia nazionale per la promozione delle imprese innovative e incentivi per attrarre talenti e investitori sul piano internazionale. L’Italia di recente ha compiuto passi avanti.

Da qualche tempo, un nuovo mito circola tra i giovani imprenditori e gli addetti ai lavori. Si tratta delle startup “unicorno”, ossia nuove aziende operanti in settori fortemente innovativi, non quotate in borsa, il cui valore supera a un miliardo di dollari. Se sono rare le aziende unicorno (“uni” sta per un solo miliardo di valore), ancora più rare sono quella “deca-corni”, e cioè dal valore di 10 miliardi di dollari, e rarissime quelle “etto-corni” (come Alphabet Inc. di Google e Facebook Inc), che avevano  i 100 miliardi di dollari di valore prima delle rispettive offerte pubbliche iniziali (IPO).

C’è da dire che il numero complessivo di aziende unicorno nel mondo è cresciuto notevolmente nel giro di pochi anni. Erano 39 nel 2013, 220 nel 2018, 362 nel 2019 e oggi, Secondo i dati di CB Insight di Dicembre 2020, sono 510 le startup che rientrano nella definizione di unicorno, attive soprattutto nel Fintech e nell’Healthcare e cresciute rapidamente con lo scoppio della pandemia.

Nel 2020, quindi, la consacrazione di questo trend in continuo aumento, con USA e Cina a dominare la scena. La società che controlla TikTok (ByteDance) è valutata 140 miliardi di dollari, mentre Didi Chuxingstartup del settore trasporti che possiede oltre 20 app – “appena” 62 miliardi. SpaceX, del visionario Elon Musk, vale 46 miliardi. Nessuna unicorno europea tra le prime dieci, mentre si distingue l’indiana l’indiana Paytm all’ottavo posto.

Le ex-unicorno AirBnb, Palantir e DoorDash sono uscite dalla classifica ad agosto 2020, avendo completato il percorso di quotazione in Borsa.

In Europa, «con il round di investimento da 178 milioni di euro concluso a inizio settimana dalla startup Vestiaire Collective, sono oggi 11 gli “unicorni” francesi, vale a dire aziende con una valutazione superiore al miliardo di euro. Lo ha reso noto proprio il Presidente della Repubblica Francese Macron, congratulandosi con i founder della startup in un post su LinkedIn. Un risultato straordinario, che traccia la strada da percorrere anche per il nostro Paese nella creazione di nuovi campioni nazionali». È quanto dichiara Luigi Capello, Chief Executive Officer di LVenture Group, holding leader negli investimenti in startup digitali.

Luigi Capello

«Nel 2012 le dimensioni del mercato francese del Venture Capital erano paragonabili a quelle del mercato italiano, con investimenti che sfioravano i 200 milioni di euro. Nel biennio 2014-2016, con Macron Ministro dell’Economia, c’è stato un balzo significativo, e un’ulteriore accelerazione è avvenuta con la Presidenza Macron, basti pensare che nel 2020 gli investimenti in startup in Francia hanno superato i 6 miliardi di euro rispetto ai 600 milioni di euro investiti in Italia. La chiave del successo dell’industria francese del Venture Capital è stata proprio l’aver messo al centro delle politiche economiche l’innovazione e la creazione di nuovi modelli di business. Ciò è avvenuto costituendo un Fondo da 10 miliardi con funzione di “snow-ball” del mercato, semplificando la normativa per la costituzione delle startup, creando un’agenzia nazionale per la promozione delle imprese innovative e incentivi per attrarre talenti e investitori sul piano internazionale».

«Negli ultimi mesi l’Italia ha compiuto decisi passi avanti sul sostegno alla nuova impresa digitale, con l’avvio delle operazioni di CDP Venture Capital. Per generare nuova occupazione, sviluppo economico e, conseguentemente, nuova ricchezza, l’Italia segua fino in fondo la strada della Francia – conclude Capello – puntando in maniera decisa sull’innovazione digitale e quindi sulle startup».