Maggio 3, 2024
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Ethenea Independent Investors: crisi pandemica più grave ma più breve di quella del 2008

Vaccini e politiche espansive torneranno a favorire la propensione al rischio degli investitori e quindi le azioni, i corporate bond e i titoli high yield. Scenario positivo per tutto il primo semestre 2021.

“La crisi finanziaria del 2008 era una crisi sistemica, innescata da uno shock endogeno. Quella attuale legata alla pandemia da coronavirus, al contrario, è stata innescata da uno shock esogeno paragonabile a una catastrofe naturale o a una guerra. Finora, la politica economica ha offerto un forte sostegno, mentre il settore finanziario non solo è rimasto relativamente indenne, ma ha anche beneficiato di strumenti di politica monetaria molto favorevoli. Di conseguenza, ci attendiamo che le ripercussioni della crisi saranno più profonde, ma meno durature di quelle osservate a seguito della crisi finanziaria globale del decennio scorso”. È l’analisi di Andrea Siviero, Investment Strategist di Ethenea Independent Investors.

La crisi del 2008 fu innescata dalla concorrenza di diversi fattori sistemici – spiega Siviero – quali la deregolamentazione finanziaria, una lunga fase di politica monetaria accomodante, l’esplosione del credito e un indebitamento elevato, a cui si sono aggiunte le ripercussioni di profondi e crescenti squilibri globali. Dopo una crisi finanziaria, le economie hanno bisogno di tempo e di adeguati interventi politici per poter consolidare i propri bilanci e ridurre l’indebitamento dovuto all’esplosione del credito. Tuttavia, in quell’occasione la politica fiscale non ha offerto un sostegno sufficiente a causa delle preoccupazioni legate all’elevato indebitamento privato e pubblico. La Bce addirittura alzò i tassi d’interesse, allarmata dal temporaneo aumento dell’inflazione.

Oggi la situazione appare meno critica nel lungo termine, ma la crisi continuerà comunque a esercitare significative ripercussioni nel medio termine. È probabile che il risparmio aumenterà e che le spese per consumi, soprattutto nel settore dei servizi e in altri ambiti penalizzati dal distanziamento sociale, rimarranno moderate ancora per qualche tempo. Le persistenti incertezze e i problemi di bilancio continueranno a gravare sugli investimenti aziendali e anche il mercato del lavoro avrà bisogno di tempo per riprendersi.

Andrea Siviero

“Il nostro scenario di base per il 2021 è quello di una ripresa economica graduale, sostenuta dai progressi nello sviluppo di vaccini efficaci contro il Covid-19 e dal perdurare di una politica economica espansiva”, precisa Siviero. “Questi elementi dovrebbero tornare a favorire la propensione al rischio degli investitori, sostenendo i mercati azionari ma anche quelli di altri asset rischiosi, tra cui le obbligazioni societarie e i titoli high yield. Uno scenario positivo anche per i paesi emergenti, le cui economie beneficerebbero di nuovi afflussi di capitali. Anche i rendimenti dei titoli di Stato dovrebbero aumentare dopo i livelli estremamente bassi toccati a seguito della crisi da coronavirus. Considerati tuttavia i bassi tassi d’inflazione e le incertezze riguardo alla ripresa economica e all’indebitamento elevato, è plausibile che le banche centrali si muoveranno con grande cautela, assumendo un atteggiamento attendista prima di rialzare i tassi, evitando così anche un incremento dei rendimenti che potrebbe frenare prematuramente la ripresa”.

“Tuttavia, questo scenario positivo potrebbe essere minacciato da decisioni politiche errate, incidenti geopolitici, notizie negative sul fronte della pandemia o da una ripresa economica deludente accompagnata da fallimenti societari. La nostra convinzione di base è che lo scenario positivo si protrarrà all’incirca per i primi sei mesi del 2021 e crediamo in ogni caso che il 2021 sarà un anno migliore di quello che lo ha preceduto, sia sul piano umano sia su quello economico”.

Coronavirus: Big Pharma spinge sul vaccino, ma il problema è la terapia. Fatturati da capogiro

Moderna dichiara di poter arrivare, entro fine 2021, a produrre fino ad un miliardo di dosi, per un fatturato complessivo pari a circa 25 miliardi. Pfizer-Biontech dichiarano una produzione pari a 1,3 miliardi di dosi entro il prossimo anno, per un fatturato pari a circa 26 miliardi. Azioni previste in rialzo anche nel lungo periodo se gli anticorpi non saranno permanenti.

Nel pieno di una gravissima seconda ondata che molti, fino a meno di due mesi fa, bollavano come previsione estrema, tutti gli occhi rimangono puntati sui diversi vaccini ormai in dirittura d’arrivo e sui quali i mercati finanziari ci hanno regalato, metaforicamente parlando, belle giornate di sole. Nell’attesa che Pfizer, Moderna ed altre case farmaceutiche comincino la produzione e la distribuzione del vaccino su vasta scala, purtroppo non si sono ancora individuati i farmaci idonei alla terapia più efficace e standardizzata, ed il tasso di mortalità rimane ancora elevato.

Dal momento che i fatti umani sono spesso guidati da scelte di natura prettamente economica, il motivo – o i motivi – per cui si sia preferito indirizzare gli sforzi della ricerca mondiale verso tale strategia (prima il vaccino, poi la cura) sono sempre meno misteriosi. Del resto, non si comprende la logica attraverso la quale fiumi di denaro – quasi un miliardo di euro di finanziamenti governativi, ad oggi – siano arrivati alle varie equipe di Big Pharma (Pfizer e Moderna, soprattutto) per aiutare chi ancora il Covid-19 non l’ha contratto, mentre sulla possibile cura le cifre impiegate, al confronto, rimangono irrisorie. Infatti, sul versante della terapia, si è preferito prestare attenzione a farmaci già esistenti ed in circolazione – o ad una combinazione di essi – e non a molecole nuove, in grado di guarire in tempi rapidi, e con meno complicanze possibili, chi il Covid-19 l’ha già contratto e rischia la vita.

Lo sviluppo del vaccino è un processo più lungo, che normalmente richiede circa 5 anni e molti test da effettuare su migliaia di persone. Data l’attuale emergenza, però, è stato proposto un periodo di tempo più ristretto, compreso tra 12 e 18 mesi, e trattandosi di un’emergenza sanitaria che interessa tutto il mondo la capacità di produzione dovrebbe essere garantita prima del termine degli studi clinici e ripartita globalmente per garantire anche un’equa distribuzione in tutti i paesi del mondo. 

Sulla scia di questa strategia preferenziale verso il vaccino, circolano numerose informazioni che sollecitano una visione favorevole al concetto di “vaccinazione di massa”, l’unica che possa bloccare il virus per sempre. L’ipotesi è corretta, ma c’è da dire che lo stesso risultato si potrebbe raggiungere trovando la cura più efficace, che consentirebbe, a costi più bassi, di affrontare il Coronavirus con serenità, conducendo una vita normale senza pensare di poter morire da un momento all’altro. Unica controindicazione della strategia pro-cura (prima la cura, poi il vaccino) è quella che il Covid-19 potrebbe rimanere in circolazione per maggiore tempo, dal momento che molte persone, sicure di potersi curare rapidamente in caso di contagio, non ricorrerebbero al vaccino. Anche questa ipotesi è corretta, ma è altrettanto corretto prevedere che sarà molto difficile attuare una vaccinazione di massa come è accaduto, ad esempio, per il Morbillo, che necessitava di una copertura pari al 95% della popolazione. Secondo un sondaggio recente, negli Stati Uniti solo il 50% dei cittadini intervistati si è dischiarato disposto a fare il vaccino.  

Su tutto, però, non è stato chiarito un punto fondamentale, e cioè se i vaccini di imminente distribuzione proteggono solo dallo sviluppo della malattia da Covid-19 vera e propria, o se tengono il virus del tutto fuori dal corpo. Il secondo caso sarebbe quello più auspicabile, dal momento che scongiurerebbe la trasmissione del virus da persona a persona, accelerando la fine della pandemia.

Tornando ai nostri temi, lo scorso 9 Novembre Pfizer ha annunciato che il suo vaccino sperimentale contro il Coronavirus, sviluppato dalla tedesca BioNTech, si è rivelato molto più efficace del previsto nell’ultima fase di test su esseri umani. La notizia è stata accolta da grande ottimismo sia tra gli operatori che tra gli investitori in Borsa, ed ha generato ordini per miliardi di dollari da parte dei governi. Eppure, i tempi per distribuire il vaccino alle masse saranno piuttosto lunghi, per via delle procedure di autorizzazione da parte delle autorità sanitarie e della capacità di Pfizer di produrre materialmente i vaccini per alcuni miliardi di persone e distribuirlo in tutto il pianeta.

L’annuncio, comunque, ha fatto salire sensibilmente sia le azioni Pfizer, cresciute del 10% nella prima seduta, e di Biontech, salite del 15%. La tedesca Biontech, da sola, oggi vale 25 miliardi di dollari, nonostante un fatturato 2019 pari a 110 milioni di euro e perdite a bilancio per 180 milioni.

Il clima euforico di borsa, naturalmente, ha trascinato al rialzo anche le azioni dell’azienda americana Moderna, che già stipulato accordi anche con l’Unione Europea per 300 milioni di dosi.

Qual è il giro d’affari immediato che scaturisce per Pfizer e Moderna, grazie a questi accordi? Il vaccino Moderna costerà intorno ai 25 euro, mentre quello di Pfizer-Biontech poco sotto i 20 dollari. Pertanto, la commessa di Moderna con l’UE porterebbe all’azienda americana un fatturato di 7,5 miliardi, e le proiezioni per la Pfizer non sono da meno.

Un pò in sordina, c’è anche il vaccino di Astrazeneca, messo a punto dall’Università di Oxford e dall’Italiana Irbm, che sta per concludere i test di fase III ed è già allo studio dell’Ema. Il farmaco è basato sull’azione di un Adenovirus e richiede una sola somministrazione; in più, costerebbe solo  4-5 euro ed , entro gennaio 2021 la società inizierà la commercializzazione, per cui si prevede una domanda sostenuta, soprattutto da parte dei paesi più poveri (ai quali sarà garantita la diffusione anche gratuita a carico dei paesi più ricchi).

Nel frattempo, il marketing istituzionale delle diverse aziende operative nel campo del vaccino anti-Covid ha cominciato a diffondere i suoi messaggi “promozionali”, soprattutto attraverso i media, scatenando una specie di gara al rialzo sul grado di efficacia di ciascun vaccino. E così, Pfizer-Biontech, che aveva inizialmente annunciato un’efficacia di poco superiore al 90%, dopo l’annuncio di Moderna (efficacia al 94,5%) ha comunicato una percentuale del 95%. La Russia, dal canto suo, ha sbandierato un notevole 92%.

Ma la battaglia si combatte anche – e soprattutto – sulle proprietà in base alle quali la distribuzione di ciascun vaccino potrà essere più o meno difficoltosa. il vaccino Pfizer-Biontech, per esempio, necessita di temperature pari a -75°C (tra i -70°C e i -80°C), e solo negli ultimi giorni prima dell’iniezione può essere portato in un normale frigorifero ad una temperatura di 4°C (dove può resistere per cinque giorni). Il vaccino Moderna, invece, può essere conservato a -20°C anche per sei mesi di stoccaggio, e poi deve restare conservata tra i 2°C e gli 8°C fino a trenta giorni (e persino a temperatura ambiente per mezza giornata).

Relativamente alle previsioni di produzione, Moderna dichiara di poter arrivare, entro fine 2021, a produrre fino ad un miliardo di dosi, per un fatturato complessivo pari a circa 25 miliardi. Pfizer-Biontech dichiarano una produzione pari a 1,3 miliardi di dosi entro il prossimo anno, per un fatturato pari a circa 26 miliardi.

Cifre da capogiro, soprattutto se consideriamo la possibilità che gli anticorpi sviluppati non siano permanenti, e quindi saranno destinati a scomparire nel giro di pochi mesi. In questo caso, il fatturato sarebbe da replicare per “enne anni”, con indubbi benefici economici strutturali per Big Pharma e per i suoi azionisti, grandi e piccoli.

Ethenea, Volker Schmidt: Gran Bretagna verso il punto di non ritorno?

Gli errori di Johnson nel fronteggiare la pandemia più dannosi della Brexit. La Bank of England potrebbe essere costretta a tagliare i tassi fino a -0,5% in caso di hard Brexit.

“Nel secondo trimestre dell’anno, la produzione economica della Gran Bretagna è caduta del 20,4% rispetto al trimestre precedente, ben al di sotto della media dell’Eurozona, dove il calo si è fermato al 12,1%. Una differenza che, a nostro parere, è chiaramente dovuta a una gestione sbagliata nel contenimento del Coronavirus e non al risultato dei negoziati sulla Brexit, che pure appaiono in stallo”, spiega Volker Schmidt, Senior Portfolio Manager Ethenea.

Prima della crisi pandemica, il Regno Unito appariva stabile quanto la Germania: economia in buona forma, dati solidi, crescita sostenuta, basso livello di nuovo debito. Tuttavia la pandemia o, meglio, la risposta inadeguata adottata dal governo ha cambiato drasticamente la situazione. L’amministrazione britannica ha impiegato troppo tempo a prendere misure efficaci e la riapertura dell’economia è stata troppo lenta. E mentre molti paesi della zona euro hanno riacquistato un certo slancio economico, la Gran Bretagna si trova in ritardo e, a causa del massiccio aumento di nuove infezioni, rischia di dover nuovamente tenere a freno l’economia prima di ripartire davvero.

La Bank of England costretta ai tassi negativi? Inoltre, in due occasioni nel mese di marzo 2020, la Banca Centrale d’Inghilterra ha ridotto il tasso base dallo 0,75% allo 0,1%. Benché comprensibili, queste misure hanno però eroso le risorse della Banca centrale in vista di possibili interventi sui tassi di interesse per frenare gli effetti negativi della Brexit. Sulla scia di questi tagli dei tassi e delle incertezze sulla Brexit, il Regno Unito ha emesso per la prima volta obbligazioni a rendimento negativo a 6 mesi: “Noi, insieme a molti altri osservatori di mercato, prevediamo che il tasso di base possa scendere ulteriormente in territorio negativo”, aggiunge Schmidt, “e potrebbe anche arrivare rapidamente a -0,5% in caso di hard Brexit”.

Oltre a questo, l’aumento del tasso di disoccupazione, in particolare nei settori della vendita al dettaglio e dell’intrattenimento, e vincoli più severi per l’erogazione dei mutui immobiliari, sono segnali chiari del fatto che l’economia del Regno Unito sta già vivendo una situazione problematica. La crisi da Coronavirus ha ridotto in modo significativo sia il margine di manovra della banca centrale sia la capacità di agire del governo. Se da un lato governo e banca centrale sono già in allarme e le possibili misure di sostegno dovrebbe incontrare poca resistenza, dall’altro lato è lecito chiedersi se queste misure non avranno un effetto troppo limitato nel contesto di una pandemia continuativa. Del resto, quella del Regno Unito è stata una delle economie sviluppate colpite più duramente dalla pandemia, con una caduta del PIL di quasi il 22% nella prima metà del 2020, molto più pronunciata rispetto ad altri Paesi per via del fatto che il lockdown è partito più tardi, ma è durato più a lungo che nel resto d’Europa a causa di un rallentamento meno rapido dei casi.

Volker Schmidt

La pandemia sarà il capro espiatorio dell’amministrazione Johnson? “Il lockdown e il conseguente collasso economico nell’Ue e nel Regno Unito probabilmente non cambieranno le prospettive per i negoziati sulla Brexit. Si può certamente sostenere che la difficile situazione economica dovrebbe spingere i negoziatori a raggiungere un accordo amichevole, tuttavia questa situazione offre ai responsabili politici del Regno Unito l’opportunità di attribuire il fallimento dei negoziati sulla Brexit alla crisi del Coronavirus. Chi potrebbe provare il contrario?”, fa notare Schmidt.

La Gran Bretagna partiva da una posizione migliore della media per far fronte alla pandemia, ma il vantaggio è stato sprecato con noncuranza. Se poi dovesse aggiungersi una Brexit dura (o più dura), ne risulterebbe una combinazione esplosiva, con conseguenze economiche e politiche difficili da prevedere. Ciò che è chiaro è che la Gran Bretagna perderà terreno, in particolare rispetto all’Ue. Fin dall’inizio, molti hanno giudicato un errore storico la decisione di uscire dall’Unione Europea. Oggi, la pandemia, le politiche fallimentari dell’amministrazione Johnson e la Brexit potrebbero rappresentare una battuta d’arresto irreversibile per la Gran Bretagna.

Enasarco Libera, lettera aperta ai ministeri vigilanti: inerzie e ritardi dei vostri dirigenti

“Agenti di commercio e consulenti finanziari pagano sulla loro pelle (e su quella delle loro famiglie) i ritardi e le inerzie dei dirigenti ben remunerati dei vostri ministeri…”

Gentili Ministri, siamo agenti di commercio e consulenti finanziari, partecipi della Lista Enasarco Libera, impegnati ogni giorno, come milioni di lavoratori, nello svolgimento di un’attività autonoma che si trova esposta da mesi alle conseguenze nefaste e funeste dell’emergenza Coronavirus. Un’emergenza che si è aggiunta in maniera devastante alla crisi strutturale e alle rapide e continue trasformazioni tecnologiche che investono i nostri settori.

Purtroppo, dobbiamo fare i conti, nello nostre sfide quotidiane, con una Pubblica Amministrazione e, più in generale, con un potere pubblico che ha finito per far aumentare  le difficoltà, le incertezze, gli ostacoli di chi, come noi, opera come lavoratore autonomo, sottoposto a una tassazione svantaggiosa, e privo di adeguate politiche di sostegno e di supporto al credito, alla formazione, alla strumentazione e quindi alla competitività.

Nonostante questo quadro non favorevole, la lista Enasarco Libera, unitamente alla UILTuCS, si è fatta promotrice presso l’attuale Consiglio di amministrazione della Fondazione di un’iniziativa per ottenere, in via del tutto straordinaria, delle anticipazioni su conti FIRR «nella misura lorda massima del 30% delle somme accantonate dall’agente presso il fondo FIRR», subordinatamente alla valutazione di sostenibilità economica e finanziaria della proposta.  La soluzione indicata prevede, nello specifico, che le anticipazioni saranno erogate nella misura del 10% nel più breve tempo possibile e comunque entro il 31 dicembre 2020. Mentre ulteriori due erogazioni, ognuna fino al massimo del 10%, potranno essere effettuate previa verifica di solvibilità e specifiche approvazioni con successive deliberazioni a cura del Consiglio di Amministrazione.

Ebbene, egregi Ministri, sappiate che dal 9 giugno si attende l’approvazione della determina, deliberata in Consiglio di amministrazione della Fondazione, da parte dei ministeri vigilanti, che peccano ancora una volta di mancanza di attenzione e tempestività, particolarmente grave in un momento di emergenza come quello attuale.

Non è ammissibile che, in presenza di una crisi drammatica economica e sociale come quella che viviamo, i dirigenti dei vostri ministeri agiscano con tale ritardo nella valutazione e approvazione di un atto che permette di garantire a migliaia di agenti di commercio e consulenti finanziari un minimo di ristoro con risorse che, per di più, sono il frutto di versamenti a favore degli stessi iscritti alla Cassa.

Ma i ritardi e le inadempienze non finiscono certo qui. Il Consiglio di amministrazione della Fondazione, con la delibera n. 59 del 10 giugno 2020, ha autorizzato lo stanziamento straordinario di natura assistenziale di una ulteriore somma di 16 milioni di euro per interventi e misure di assistenza e supporto per gli iscritti alla Cassa più in difficoltà. Ebbene, anche su questa iniziativa della Fondazione si attende il provvedimento autorizzativo dei ministeri vigilanti. Anche su questa iniziativa, insomma, si è accumulato un ritardo intollerabile a danno di una categoria che vive sulla propria pelle un grave disagio economico.

Gentili Ministri, a questo punto riteniamo urgente che prendiate in mano voi direttamente le questioni che abbiamo denunciato.

Ma l’occasione torna propizia e utile per sottolineare come queste nostre proposte siano coerenti con la visione del welfare che riteniamo opportuno debba essere assicurato dalla Fondazione Enasarco. Un welfare a supporto dell’attività lavorativa, perché deve essere chiaro anche ai ministeri vigilanti e alla politica che senza il lavoro e senza redditi adeguati è inutile parlare di sostenibilità previdenziale.

Per questo il secondo pilastro previdenziale Enasarco deve essere più flessibile e venire incontro ai bisogni di vite lavorative sempre più lunghe ed incerte.

Per questo la “nostra” Fondazione Enasarco dovrà essere in grado di assicurare un welfare attivo e adeguato al nuovo contesto economico e sociale.

E, dunque, nella nuova consiliatura che verrà scelta dagli iscritti nelle elezioni di queste settimane, una volta eletti, lavoreremo per far partire anche i seguenti servizi:

  • aumento del credito in favore degli iscritti alla Fondazione;
  • aumento del sostegno all’acquisto della strumentazione (auto, computer, etc.);
  • previsione di contributi per la formazione e l’aggiornamento professionale;
  • attivazione della sanità integrativa;
  • mobilitazione politica per misure fiscali in favore della platea degli iscritti alla Fondazione.

L’iscrizione alla Fondazione Enasarco, insomma, non deve costituire uno svantaggio competitivo, un maggior costo, ma diventare il volano, la leva, lo strumento per un sostegno più efficace e per servizi più efficienti.

Bond o azioni, chi ha ragione? Mercati finanziari a due facce, una rivolta al passato e l’altra al futuro

I mercati appaiono divisi. Mentre il Nasdaq Composite svetta a +22.70% da inizio anno, i titoli governativi indicano una grave recessione. Il “risk free” non esiste più, si tratta solo di scegliere il tipo di rischio con il quale ci si sente più a proprio agio.

Di Andrea De Gaetano, Analista Finanziario indipendente  

I mercati appaiono divisi, come Giano Bifronte, la divinità romana con due volti: uno rivolto al passato, l’altro al futuro. Il Nasdaq Composite, che svetta a +22.70% da inizio anno, guarda al futuro, confortato dai risultati dei giganti tecnologici superiori alle attese, fiducioso nella prossima scoperta di un vaccino per il Coronavirus, galvanizzato dalle vendite on-line.  

I titoli governativi guardano al passato degli ultimi tre mesi e indicano una grave recessione, confermata dai dati catastrofici sui PIL mondiali, i peggiori dal dopoguerra. Di conseguenza, la disoccupazione esplode, mentre le trimestrali delle aziende della Old Economy presentano cali a doppia cifra sia di profitti che di utili.

Gli investitori, sostenuti dalle banche centrali e alla ricerca di porti sicuri, si sono arroccati nei bond governativi, con rendimenti collassati a 0.53% sul T-Note decennale USA e Bund tedeschi a -0.55%, ancora più bassi di un mese fa.

Il settore dei bond High Yield USA, in scia al recupero dell’azionario, ha registrato il miglior mese da ottobre 2011 (+4.78%), recuperando buona parte dei cali di marzo e aprile. I bond High Yield USA oggi rendono il 5.29% più dei Treasury: rendimenti calati, ma decisamente più alti dei livelli pre-Covid di febbraio, quando rendevano circa il 3.30% più dei Treasury, e questo significa che c’è ancora stress nelle aziende più indebitate del settore energetico USA.

I mercati azionari europei chiudono il mese di luglio sostanzialmente invariati rispetto al mese scorso, mentre i mercati USA chiudono il mese in rialzo, +4.71% l’indice S&P500, aiutati dal ribasso del dollaro, che ha perso quasi il 5% in luglio, il più forte calo mensile in un decennio. L’oro, invece, ha accelerato al rialzo, in direzione opposta ai rendimenti dei treasury bond.

Insieme alle notizie quotidiane relative all’aumento dei casi di Coronavirus negli Stati Uniti, arriva anche quella del PIL USA in calo del 32.9% su base annua nel secondo trimestre 2020, dopo un primo trimestre al passo del -5%. Peraltro, repubblicani e democratici faticano a trovare un accordo sul quinto pacchetto di stimoli all’economia, e su tutto svetta l’incertezza elettorale delle presidenziali di Novembre.

Il mercato del lavoro USA mostra un parziale recupero, con il tasso di disoccupazione sceso dal 14.7% di aprile all’11.1% di giugno e 7,3 milioni di nuovi posti di lavoro tra maggio e giugno, dopo una perdita di 20,5 milioni in aprile. Meglio del previsto, ma la situazione è terribile: in febbraio, pre-Covid, il tasso di disoccupazione era al 3.5%.

Jerome Powell, nella conferenza stampa della FED mercoledì 29 luglio, ha detto che il Covid ha creato uno shock disinflazionistico, cosa che giustifica una politica monetaria molto accomodante e i tassi d’interesse invariati a 0-0.25%.

L’inflazione USA in giugno 2020 si è attestata a 0.6%, zavorrata dalla componente energetica. Al netto di alimentari ed energia, l’inflazione USA è all’1.2%.

Il calo del PIL è stato molto severo anche in Europa. Eurostat stima un calo del PIL area euro del 12.1% nel secondo trimestre 2020, il peggior dato dal 1995, da quando vengono registrate le serie storiche Eurostat.

L’inflazione europea ha sorpreso al rialzo, in salita allo 0.4% in luglio dallo 0.3% di giugno e dallo 0.1% di maggio. Al netto di alimentari ed energia, l’inflazione europea è all’1.3%. Il mercato, spaventato dalla pandemia, si aspettava un crollo dei consumi che c’è stato, ma le misure di stimolo fiscale e monetario da parte di Governi e banche centrali in tutto il mondo hanno forte potenziale inflazionistico. L’oro è salito anche per questo.

Sul fronte della disoccupazione, quella europea è al 7.8% in giugno, dal 7.7% in maggio. In Europa, il driver dei mercati è stato l’accordo sul Recovery Fund. Il colpo d’ala dell’Europa, una volta tanto, ha creato euforia sull’euro, risalito nei confronti della principali valute, fino alla soglia di 1.20 con dollaro. Anche le borse europee hanno complessivamente recuperato, nonostante abbiano chiuso il mese di luglio sottotono.

Ricompattata l’Europa dall’emergenza Coronavirus, si sono accorciate le distanze tra i cosiddetti “Paesi frugali”, contrari all’accordo, (Olanda, Austria, Danimarca, Svezia), ed il resto d’Europa. Ne è scaturito un accordo che prevede un fondo di 750 miliardi, di cui 360 miliardi di finanziamenti a fondo perduto e 390 di prestiti. La Commissione Europea reperirà fondi sui mercati, con emissioni di bond garantiti dal bilancio europeo.

Secondo la BCE (Bollettino Economico del 30 luglio), ci sono chiari segnali di ripresa nell’attività economica dell’area Euro, sebbene a livelli ancora inferiori a quelli pre-Covid.

In Cina, nel secondo trimestre, il PIL è salito del 3.2% rispetto all’anno scorso, recuperando dalla contrazione con la fine del lockdown e le misure di stimolo all’economia. La produzione industriale è cresciuta del 4.8% rispetto a un anno fa, espandendosi per il terzo mese consecutivo. Le vendite al dettaglio sono scese dell’1.8% sull’anno, molto peggio delle attese, dopo un calo del 2.8% in maggio.

Se confrontiamo i rendimenti di Titoli di Stato USA, Cina, Italia, quelli cinesi (massimo rating) rendono 20 volte di più dei Titoli di Stato USA sulla scadenza a 1 anno (2.23%), e quasi 6 volte tanto sulla scadenza decennale (2.96%). I BOT italiani a un anno hanno rendimento negativo (-0.2%), il BTP decennale 1.065%. Grandi capitali hanno iniziato a muoversi con l’inclusione della Cina nel paniere MSCI world e dello yuan nelle riserve monetarie mondiali.

Siamo all’inizio di una nuova era?

I mercati azionari cinesi che rappresentano la Cina continentale, CSI300 (+8.52% YTD) e Shanghai SE Composite (+14.61% YTD), hanno registrato le migliori performance al mondo da inizio anno, dopo Nasdaq 100 e Composite. In un contesto straordinario da pandemia, i mercati si stanno comportando in modo anomalo, mostrando divergenze estreme fra settori azionari: i big della tecnologia come Amazon su nuovi massimi storici, e i titoli industriali tradizionali (come linee aeree, energetici, banche) che quotano a valori dimezzati rispetto a inizio anno.

“Mind the gap!” ammonisce il Financial Times, notando la differenza di performance fra i migliori 5 titoli dell’S&P500 e il resto del mercato.

Altra divergenza estrema l’andamento fra S&P500 sui massimi e rendimenti Treasury sui minimi. In un’economia sana, in espansione, l’azionario sale e anche i tassi tendono a salire con la richiesta di credito e nuovi investimenti da parte di aziende e privati. Oggi sta accadendo il contrario: rendimenti bond sui minimi, borse in volata. Lo spread, però, tende a chiudersi nel tempo; pertanto, i rendimenti dei bond dovrebbero risalire e/o azionario scendere.

Da notare anche il forte gap di performance tra mercati azionari europei e mercati USA: l’indice S&P500, dopo una folle altalena, è a + 1.25% da inizio anno, mentre l’indice Eurostoxx 600 è in calo del 14.30% (l’italiano FTMIB è in calo del 18.78% nello stesso periodo). Ci si chiede, quindi, se questo gap di performance USAEuropa verrà chiuso grazie a un recupero dell’Europa o ad un calo di quello USA. La seconda ipotesi appare più probabile, ma mancano maggiori conferme.

Segui la pillola informativa di Andrea De Gaetano sui bond cinesi – LeFonti.tv

Generalmente, i mercati deboli tendono ad anticipare la discesa. Fu così anche nel 2007, quando il mercato italiano anticipò la discesa degli altri mercati di circa 6 mesi, con l’indice FTMIB che segnò i massimi a maggio 2007 e iniziò una discesa da cui non si è mai completamente ripreso, mentre l’indice S&P500 segnò i massimi in ottobre 2007. Pertanto, la corsa straordinaria dell’azionario globale iniziata a metà marzo suggerisce adesso una pausa di consolidamento, già verificata sui mercati azionari europei che hanno chiuso deboli il mese di luglio.

C’è da dire che l’azionario USA è più forte (+5.51% dal 30 giugno al 31 luglio) anche grazie all’indebolimento del dollaro. Infatti, per l’investitore europeo, al netto della svalutazione del dollaro, la performance dell’indice S&P500 dal 30 giugno al 31 luglio è +0.61%.

Anche BCE e FED si sono prese una pausa prima di decidere nuovi stimoli (si vedrà in settembre, il 10 la BCE e il 16 la FED). Passate le trimestrali e scontati nei prezzi gli ottimi risultati dei giganti tech USA, l’incertezza delle presidenziali USA riprenderà la scena, insieme alla nuova Guerra Fredda fra USA e Cina.

Nelle more, meglio fare attenzione all’indice VIX, noto come indice della paura: livelli superiori a 20 tendono ad associarsi a mercati più turbolenti (fu così tra 1998 e il 2003). In marzo 2020, il VIX ha superato quota 80, per tornare a quota 24.46 di venerdì 31 luglio. Nuova opportunità in vista di acquisto put sull’indice S&P500? Non dovrebbe mancare molto, dal momento che si prevedono stime molto negative per gli utili aziendali USA per la seconda metà del 2020.

andreadegaetano@outlook.com

In definitiva, a partire dagli anni 2000 prendere un aereo è diventato più economico ma più impegnativo, prima con la paura del terrorismo, oggi del Coronavirus. Allo stesso modo, prendere posizione sui mercati è diventato più complesso: grandi opportunità, grazie all’accessibilità ai mercati in tutto il mondo, e costi di negoziazione scesi con il progresso tecnologico; ma l’asticella del rischio/rendimento si è spostata verso l’alto, costringendo gli investitori ad assumere più rischi per guadagnare. Soprattutto gli investitori europei, che devono fare i conti con titoli di stato a rendimenti sotto zero.

Il “risk free” non esiste più. Si tratta solo di scegliere il tipo di rischio con il quale ci si sente più a proprio agio.

Il Coronavirus cambia i trend del mercato azionario USA. Dalla cannabis alla Health Defence

La combinazione tra effetti del Covid19 e invecchiamento della popolazione rischia di diventare una “tempesta perfetta” in tutti i paesi avanzati in cui si ritrovano queste caratteristiche demografiche. La pandemia ha reso familiari i nuovi sistemi di difesa della salute da poter utilizzare comodamente anche a casa propria.

Negli Stati Uniti, la pandemia di Covid19 ha finito con il creare un equilibrio surreale tra paura del contagio e paura di perdere il benessere economico, unico vero faro che guida la vita degli americani in moltissime dinamiche sociali. Infatti, mentre i nuovi casi di Coronavirus continuano a salire al ritmo anche di 50.000 al giorno, il business non si è mai fermato davvero nel mondo. In USA, in particolare, tutto ciò ha finito con il plasmare negativamente il comportamento dei cittadini anche per l’atteggiamento bonario delle istituzioni verso una “nuova normalità” fatta di continuità produttiva all’interno di un contesto in cui l’incolumità non è assicurata.

E così, dopo un record di numeri di infezione, ora gli Stati Uniti contano 2,9 milioni di casi confermati, ed i centri per il controllo e la prevenzione delle malattie stimano che in realtà potrebbero esserci quasi 30 milioni di casi. I funzionari statali stanno ora rispondendo all’aumento delle infezioni, arrestando o invertendo i piani di riapertura delle attività. Il governatore della Carolina del Nord, per esempio, ha reso obbligatoria la mascherina anche in pubblico, mentre la Florida sta nuovamente chiudendo i suoi bar per cercare di rallentare la diffusione del contagio.

Anche le aziende stanno rispondendo. Apple (NASDAQ: AAPL) continua a chiudere le sue sedi di vendita al dettaglio negli stati più colpiti; Disney (NYSE: DIS) ha sospeso i suoi piani per riaprire la Disneyland della California, e Delta Air Lines (NYSE: DAL) ha finalmente introdotto l’obbligo della mascherina a bordo, pena l’espulsione dal volo.

Steve Goldstein

Con un vaccino ancora molto lontano dall’essere commercializzato, chi desidera la continuazione del “toro” di borsa interrotto bruscamente a fine Febbraio dovrà affrontare molte sfide per riportare il calendario indietro di quattro mesi. Secondo Steve Goldstein (MarketWatch), tutti sono “diventati” epidemiologi grazie al “romanzo Coronavirus”. E così gli analisti di Wall Street stanno modellando a piacimento i numeri delle infezioni, spesso improvvisando previsioni sull’impatto che la pandemia avrà sull’economia e sulle famiglie, mentre gli americani stanno ancora lottando per bilanciare i protocolli di distanziamento sociale con una certa brama di vita “normale”.

Christopher Woods

In ogni caso, l’aumento dei contagiati ha riportato la paura sul mercato. Gli analisti sono tornati a lavorare da casa, mentre le teorie più differenti continuano a diffondersi da un giorno all’altro. Secondo Christopher Wood, responsabile delle strategie azionarie globali di Jefferies, il picco nei casi è forse un segno che il virus sta perdendo forza. Le sue prove? Il virus si sta diffondendo al di fuori delle città affollate, sta iniziando a colpire principalmente i giovani e il tasso di mortalità sembra diminuire, come è successo con il virus SARS. Wood sostiene che una seconda ondata d’urto sui contagi (e sul mercato azionario) non sia affatto probabile, perché i funzionari del governo USA lavoreranno insieme alle aziende per prevenire ulteriori blocchi a livello nazionale e mantenere così l’economia in funzione anche durante l’estate, e cioè nel periodo tradizionalmente più esposto a fasi di elevata volatilità dei mercati.

In frangenti come questo, il mercato azionario deve necessariamente individuare nuovi spunti. A parte il segmento tecnologico, trainato fortemente dalle fasi di lockdown, gli analisti sono adesso alla ricerca di soluzioni anche “esotiche” nel proprio genere, pur di assicurarsi un margine. I titoli azionari delle aziende che lavorano la Cannabis, per esempio, sono passati dal volare in alto a schiantarsi al suolo, anche perché gli investitori non erano più disposti a sostenere gli stock di marijuana quando l’economia ha iniziato a soffrire. Sfortunatamente, questo ha significato che anche alcuni dei nomi più forti nel mondo della cannabis sono stati decimati, anche perché il processo di legalizzazione degli Stati Uniti rimane ancora a metà del guado e i coltivatori legali lottano duramente con quelli del mercato illegale. In aiuto della produzione, alcuni scienziati hanno diffuso diversi studi secondo i quali la cannabis – o almeno alcune proteine ​​ricche di CBD – possano aiutare a curare il Covid-19, ma non esistono riscontri autorevoli in tal senso. In più, il calo della spesa dei consumatori e l’aumento della disoccupazione stanno danneggiando parecchio il settore, ma c’è ancora speranza, almeno per le aziende più forti, le quali hanno già iniziato a rimbalzare verso l’alto dopo che gli investitori avevano superato le loro reazioni eccessivamente emotive del mese di Marzo.

Sulla scorta di questa tendenza, diversi analisti (InvestorPlace, per esempio) stanno raccomandando l’investimento in alcune società attive nel comparto della Cannabis che si ritiene possano trarre maggiori benefici dal contesto attuale e futuro, nonostante il Covid.

Per tutto il resto, il Coronavirus sta causando il caos sull’intera economia, ma è sicuro che, nel comportamento dei consumatori, l’abitudine alla ricerca su Internet e ai social media sopravvivranno alla pandemia. Pertanto, questa realtà finirà con il creare un forte catalizzatore non solo per le Big Companies, ma anche per le aziende tecnologiche catalogabili oggi tra le “micro” e le “small cap”, ossia tra quelle a bassa capitalizzazione. Le Small cap, in particolare, sono attività più cicliche e meno diversificate, e quindi vanno bene quando il ciclo economico si riprende. Tra le più promettenti, i migliori analisti consigliano BWX Technologies (NYSE: BWXT), eHealth (NASDAQ: EHTH), TreeHouse Foods (NYSE: THS) e United Therapeutics (NASDAQ: UTHR).

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Per quanto riguarda il segmento dell’assistenza sanitaria, la sua “consumerizzazione” pare determinerà le migliori opportunità di investimento del settore. Ma cosa significa esattamente “consumerizzare” l’assistenza sanitaria? Secondo UBS, sulla scia del nuovo Coronavirus, le persone hanno iniziato a rivendicare un maggiore controllo sulla propria salute attraverso la ricerca e la difesa, anche presso la propria abitazione. La pandemia ha reso familiare a tutti la mascherina N95, i dispositivi di protezione individuale, i ventilatori e ogni sorta di nuovi sistemi di difesa della salute da poter utilizzare comodamente a casa propria.

La combinazione tra effetti del Covid19 e invecchiamento della popolazione – come è accaduto nel Nord Italia – rischia di diventare una “tempesta perfetta” in tutti i paesi “avanzati” in cui si ritrovano queste caratteristiche demografiche. La conseguenza è che le generazioni di consumatori più giovani vorranno possedere, ovunque si trovino, dei sistemi personali di difesa della salute (HHD, Home Health Defence), e questo profondo cambiamento nello stile di vita aprirà un mercato stimato in almeno 600 miliardi di USD nel solo continente americano.

Focus mercato immobiliare. Giù prezzi ed affitti brevi, effetto superbonus sulla prima casa

Al momento, chi vuole vendere in fretta deve necessariamente adattare i prezzi alle mutate circostanze del mercato.  Chi ha la possibilità di attendere la ripresa di un ritmo regolare degli scambi, farà meglio a mutare le proprie aspettative.

Il Covid-19 ha cambiato, dalla sera alla mattina, le condizioni del mercato immobiliare, sebbene i prezzi siano sembrati, in un primissimo momento, alquanto stabili. Ma è solo una illusione percettiva, perché alla ripresa delle contrattazioni le quotazioni del residenziale e del commerciale stanno calando bruscamente, tanto che la peggiore delle previsioni di Febbraio è diventata oggi la più ottimistica.

Dopo l’inattività forzata causata dal lockdown, molti proprietari sono stati alla finestra, in attesa di vedere come si sarebbero comportati gli utenti in termini di visite e di offerte. Il risultato – piuttosto scontato – è quello che, al momento, chi vuole vendere deve necessariamente adattare i prezzi alle circostanze di un mercato semi-paralizzato dai profondi mutamenti avvenuti nelle relazioni sociali, sperando che si tratti solo di un  periodo di forzata “sospensione”. In caso contrario, chi ha la possibilità di attendere la ripresa di un ritmo regolare degli scambi, farà meglio a mutare le proprie aspettative.

A causa della pandemia, in generale, il rischio di correzioni nel settore immobiliare sembra essersi accresciuto, ma ciò è solo una logica amplificazione degli effetti di quanto stava già accadendo dal 2019, quando erano già evidenti i segnali di sopravvalutazione dei prezzi delle case rispetto ad una domanda sempre più funzione diretta del ciclo economico, delle mutate condizioni di reddito dell’ormai defunto “Ceto Medio” (con la generazione dei c.d. millennials che avanza in tutta la sua precarietà lavorativa) e del livello dell’occupazione. E’ questa la conclusione a cui sono giunti gli economisti della BCE, per i quali il rischio di una ulteriore discesa dei prezzi delle case è oggi più concreto. Infatti, secondo i loro modelli statistici, sussiste una probabilità del 5% che i prezzi crollino fino al 15% nei prossimi 4 trimestri, e quindi fino alla vigilia dell’estate 2021.

Questo scenario assai funesto, proveniente da una fonte piuttosto attendibile come la BCE, arriva insieme ai dati di altri players delle previsioni sul mercato delle case. Secondo Scenari Immobiliari, per esempio, il consuntivo 2020 vedrà una perdita di fatturato del mercato immobiliare del 18 per cento, pari a circa 106 miliardi di euro di valore complessivo. Questo dato, però, verrebbe compensato nel corso del 2021 da una forte ripresa e da un “rimbalzo” notevole, proporzionato agli effetti della pandemia e dal relativo blocco delle compravendite. In Europa, chi sta peggio è la Spagna, con un pesante -20,4%, mentre la Germania contiene le perdite al 10,3%. Nell’insieme, tutti i 28 Paesi dell’Unione Europea nel 2020 subiranno una flessione complessiva di fatturato di poco inferiore ai 1.000 miliardi di euro, pari al 18,1% rispetto al 2019.

In Italia, le cose non stanno messe meglio. Infatti, l’impatto del Coronavirus è stato forte anche sul settore immobiliare, e per Confedilizia e FIAIP le misure di sostegno contenute nel decreto Rilancio non sono tutte sufficienti per favorire una ripresa di compravendite, locazioni e mutui. Unica possibile “oasi” del mercato sembra essere quella della prima casa, trainata dopo la quarantena dal c.d. Superbonus del 110%, anche se secondo gli esperti di FIAIP questo strumento andrebbe migliorato sia come durata (per cinque anni, fino al 2025, contro le ipotesi del Governo che si fermano al 2022), sia in quanto ad estensione della misura, da allargare anche  alle seconde case, che già sono ricomprese nel c.d. Sisma-bonus.

Relativamente al settore degli affitti, si stima che le vacanze o trasferte di lavoro siano state cancellate in una “forbice” percentuale che, a seconda delle località, è compresa tra l’80 ed il 95%, con una forte ricaduta sull’area degli affitti brevi. I proprietari di seconde case, infatti, si stanno dirigendo verso una stabilizzazione delle fonti di reddito alternative alla pensione, aumentando l’offerta di affitti a medio/lungo termine, da preferire ad una gestione meno sicura di affitti settimanali, mensili o transitori (studenti o lavoratori fuori sede a tempo determinato).

L’aumento repentino di proprietari di immobili con problemi economici, inoltre, sta causando un fenomeno strano per il nostro Paese, nel quale queste persone in difficoltà si vedono costrette a vendere la loro abitazione per realizzare una “riserva di serenità” e andare a vivere in affitto. Eppure, l’acquisto continua a convenire rispetto all’affitto, per via dei tassi di interesse dei mutui ancora particolarmente convenienti, prezzi contenuti e/o in discesa e canoni di locazione in ascesa. Prima di lanciarsi nell’acquisto, però, chi vuole realizzare un investimento deve fare alcune valutazioni relativamente alla rendita ricavabile, al netto della tassazione, dal successivo affitto a terzi. Infatti, non tutte le zone sono vantaggiose, ed anche la tipologia dell’immobile può fare la differenza. E’ il caso dei monolocali, che rendono maggiormente a livello di affitti, soprattutto nelle città d’arte in previsione del rilancio del turismo nel 2021 o nelle mete preferite dagli studenti universitari fuori sede (Milano e Roma, soprattutto, ma anche Napoli e Palermo).

Arte al tempo del Coronavirus. Nessuno crollo dei prezzi, avanza il piccolo collezionismo online

Il mercato è pronto ad aprire agli acquirenti minori, grazie alle piattaforme di scambi e aste online ed ai collezionisti interessati all’aspetto economico dell‘Arte come prodotto “razionale” e non solo emozionale.

La pandemia del Coronavirus si è abbattuta con forza in quasi tutti i mercati, e quello degli investimenti in arte – segmento del più ampio settore degli alternative o passion investment – non fa certo eccezione. Dopo la prima fase di buio, conseguente al generalizzato lockdown a cui investitori e galleristi si sono dovuti adattare, il mercato comincia a mostrare i primi segnali di reazione.

In linea generale, questo evento così invasivo e minaccioso ha portato ad una velocizzazione del processo di digitalizzazione in moltissimi ambiti professionali e commerciali (ma anche sociali, come la scuola e l’università), ed il mercato dell’Arte non ne è certamente rimasto fuori, adattandosi perfettamente alle circostanze.

C’è da dire che, mentre le quotazioni degli strumenti finanziari tradizionali non hanno ancora prezzato la possibile via di uscita – sanitaria e/o finanziaria – dalla pandemia, gli scambi di opere d’arte di valore medio-alto – che avvengono necessariamente nelle affollate sedi delle aste, come una volta succedeva in borsa valori – si sono talmente rarefatti che non si può neanche parlare di crollo dei prezzi, ma di una situazione di sospensione (quella che la Consob non è riuscita a realizzare con prontezza tra il 9 ed il 14 Marzo per il mercato azionario) che ha di fatto congelato i prezzi ad un livello pre-Coronavirus, e solo quando le restrizioni saranno finite si potrà capire se le quotazioni dell’Arte saranno scese oppure, come si prevede per le opere di grandi artisti, avranno mantenuto una certa stabilità.

Quindi il mercato si è fermato del tutto? Ovviamente no, e l’offerta si sta adeguando alle circostanze. Artisti come Banksy, per esempio, fanno “smart working”. Costretto anche lui ad osservare la quarantena, il maggior esponente della street art – che ha fondato il suo mito artistico anche sulla segretezza della sua identità – ha deciso di valorizzare la sua abitazione disegnando i suoi ormai celebri ratti sulle pareti, maniglie e tavolette della toilette, ritratti mentre corrono su rotoli di carta igienica o sul tubetto del dentifricio. Una mossa di non poco conto, considerando che soltanto le decorazioni del suo bagno hanno fatto triplicare l’ipotetico prezzo di vendita del suo appartamento.

In generale, chi acquista opere d’arte o altri passion investment (mobili d’antiquariato e bottiglie di vino vintage) nell’80% dei casi è un collezionista appassionato, mentre il restante 20% desidera investire solo per interesse economico o per trovare un “rifugio” al patrimonio. Altro requisito è quello di avere patrimoni molto consistenti, ma chi li detiene, al momento, ha sospeso le proprie partecipazioni alle aste e alimenta il mercato “secondario” privato.

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Il valore delle opere scambiate nel mondo è arrivato, prima dello scoppio della pandemia, a 64 miliardi di dollari di valore, raggiunto anche grazie ai 1.000 scambi di opere dal prezzo superiore a due milioni di dollari. In Cina il mercato è cresciuto del 214% tra il 2009 e il 2014, ed era riuscito a superare gli Stati Uniti fino a quando il calo della borsa cinese ha permesso agli Usa di tornare ad essere primi in un mercato in cui un’opera d’arte dell’artista più famoso è considerata un trofeo. Ma adesso il mercato è pronto ad aprire agli acquirenti minori, perché le piattaforme affidabili di scambi online – così come le aste – si svilupperanno sempre di più ed i collezionisti interessati semplicemente all’aspetto economico (sono secondi solo al settore della gioielleria) hanno imparato a considerare l‘Arte come un prodotto “razionale” e non solo emozionale.

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In Italia i compratori rappresentano il 2% del mercato, e adesso in molti si avvicinano a questo mondo con disponibilità di poche migliaia di euro. Del resto, le occasioni per tutte le tasche non mancano, e Banksy stesso, nell’ottobre 2019, aveva aperto un temporary shop online mettendo in vendita su ordinazione (chiuse da tempo) una ventina di opere esposte anche nell’omonimo temporary shop allestito a Croydon (a sud di Londra). I prezzi erano assolutamente popolari: 10 sterline per le lattine di vernice spray o le tazze con vari disegni, 30 sterline per una t-shirt, 850 sterline per un giubbotto antiproiettile “John Bull” che riproduceva la bandiera dell’Inghilterra. Molte opere di Banksy possono essere tuttora acquistate online sui siti di gallerie e case d’asta, ma oggi i prezzi di una sua serigrafia in edizione limitata vengono dichiarati solo su espressa richiesta via mail.

Come per le opere d’arte più importanti, anche per quelle minori – e soprattutto per queste – vale il principio consigliato spesso dallo stesso Banksy: “comprate un’opera d’arte se vi piace, non solo perché pensate di poter fare un buon investimento”. Secondo il rapporto The art Market di UBS, il 31% delle opere scambiate nel mondo vale fino a 5.000 dollari, pertanto sembra che i piccoli risparmiatori si stiano avvicinando sempre di più a questo mercato, sviluppato anche dalle aste online. In Italia, per esempio, il 60% delle compravendite vede prezzi inferiori a 5.000 euro, specialmente per quanto riguarda le opere su carta di formato medio-piccolo che, secondo alcuni studi, possono avere una rivalutazione compresa tra il 10 ed il 15% annuo.

Affidandosi agli esperti, è bene “anticipare” il trend di alcuni artisti emergenti, per approfittare della crescita di valore che li accompagna nei primi 3-5 anni dalla loro “emersione”. Nel canale online, per esempio, le opere di artisti come il siciliano (ma milanese di adozione) Marco Fratini e la estone Elisaveta Sivas sono molto richieste.

Il primo è un pittore “espressionista metropolitano” che fonda la sua produzione sull’utilizzo esclusivo delle penne Bic di colore nero. I suoi primi disegni su “carta+Bic”, ognuno dei quali richiede un lungo lavoro manuale (tutti realizzati a mano, nessun processo di stampa e/o riproduzione in serie), venivano scambiati due anni fa a circa 600 euro, e cioè poco più del prezzo medio al pubblico praticato dall’artista; oggi, grazie alla scelta di produrre le sue opere solo su richiesta ed in numero limitato, queste passano di mano a non meno di 1.200 euro nel mercato secondario. 

La seconda è pittrice e ceramista a tutto tondo, proveniente da San Pietroburgo con un passaggio per qualche anno in Italia, presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo. In pochi anni, il progetto artistico della Sivas è cresciuto contro ogni aspettativa, ed oggi è apprezzato in tutta Europa (dalla Germania all’Olanda, passando per Cipro e Italia), ma esistono ancora notevoli margini di apprezzamento per il valore delle sue opere, ancora sottovalutate in relazione alla sua capacità di espressione artistica. Le sue quotazioni, attualmente, vanno dai 1.500 euro ai 4.800 euro, a seconda dell’opera (scultura in ceramica o olio su tela), e sono molto richieste soprattutto in Nord Europa, dove prima della pandemia molte gallerie importanti stavano cominciando ad interessarsi alla produzione della Sivas.

La previsione/sensazione è che, ad emergenza finita, le opere di artisti come Fratini e la Sivas riceveranno ancora più attenzione da parte dei piccoli collezionisti, e finchè gli artisti minori non saranno inclini ad effettuare produzione in serie, è prevedibile che le loro quotazioni possano aumentare, grazie alla crescita della domanda di settore. 

Consulenza finanziaria e reclutamento nel dopo pandemia. Head hunter e managers a confronto

I consulenti finanziari, nonostante la pandemia, sono riusciti a dare continuità al proprio servizio, ma lo scenario fa prevedere dei cambiamenti nel personal marketing e nel recruiting, che fino a pochi giorni prima dello scoppio della pandemia stava vivendo una stagione di grande vivacità. Tre manager di rete ed un head hunter rispondono alle nostre domande.

Dopo quasi due mesi di distanziamento sociale e di quarantena forzata, la maggior parte delle persone ha cominciato ad accettare una “nuova normalità”, fatta di nuove regole di relazione, in sostituzione di quelle “vecchie”. Alcune cose, poi, non torneranno mai più. Questo scenario – fantascientifico ancora fino a qualche settimana fa – incide profondamente, nel breve termine, su tutte quelle attività che contano sull’assembramento-prossimità di un gran numero di persone nello stesso spazio (solo a titolo di esempio: ristoranti, caffè, discoteche, palestre, hotel, teatri, cinema, centri commerciali, musei, stadi, sale congressi, navi da crociera, voli aerei, trasporti pubblici, scuole), e su quelle che contano in una forte relazione di prossimità fisica il proprio successo, come la professione del consulente finanziario.

Per tutti, comunque, seguirà una stagione di adattamento, durante la quale si assisterà all’esplosione di servizi online e a distanza, oppure di attività che faranno del distanziamento sociale la nuova modalità di erogazione: palestre, che cominceranno a vendere attrezzature per esercizio a casa e fare sessioni online; sale cinematografiche e voli aerei, che taglieranno metà delle loro poltrone; mentre i meeting aziendali si terranno in grandi sale con posti distanziati tra loro.

Nel frattempo, i consulenti finanziari, costretti come sono a limitare gli incontri fisici, hanno fatto sentire la propria presenza ai clienti con un frequente contatto telefonico o, per quelli più evoluti, in video, riscontrando risultati di buon livello che, insieme all’uso della tecnologia (firme elettroniche, e-mail e scansioni), sono riuscite a dare continuità al servizio in una fase di mercato, comunque, bloccata dalle logiche della MIFiD II che hanno rivelato inopportuni limiti operativi. Lo scenario, però impone dei cambiamenti, soprattutto sul personal marketing del consulente e sul recruiting, che fino a pochi giorni prima dello scoppio della pandemia stava vivendo una stagione di grande vivacità. Su questi argomenti, abbiamo chiesto a Giancarlo Patti, group manager di Deutsche Bank Financial Advisors (Imperia), Maurizio Nicosia, area manager di Widiba (Palermo-Sicilia), Fabio Cavazzuti, group manager di Fineco Bank (Massa, Viareggio e Camaiore), e Paola Maietta (Milano), head hunter esperta per conto di primarie reti e istituti di credito, di rispondere a sei domande sui consulenti finanziari abilitati fuori sede.

1) Quali sono i cambiamenti a cui andrà incontro il settore della consulenza finanziaria nell’immediato futuro?

Giancarlo Patti L’emergenza Covid-19 sta accentuando la differenza tra chi può contare sul sostegno di un consulente finanziario e chi invece si rivolge al canale banca tradizionale. I rapporti one to one che caratterizzano l’operatività tradizionale del consulente si accentueranno, ed assisteremo ad un amento della domanda di consulenza.

Maurizio NicosiaIl distanziamento sociale è entrato “a gamba tesa” nell’attività e le occasioni di contatto con i clienti saranno sempre meno fisiche e sempre più tecnologiche. Si incrementeranno il numero dei contatti con il singolo cliente che si lascia coinvolgere dalle riunioni tecnologiche, mentre potrebbero raffreddarsi i rapporti personali che si alimentano grazie alla presenza fisica. Io personalmente non penso di essere disposto a trascurare la relazione personale con i clienti che, condizioni ambientali permettendo, continuerò a privilegiare.

Paola MaiettaLa vita è fatta di cambiamenti a volte inaspettati , come questa pandemia che ha costretto il mondo intero ad un repentino cambio di rotta. Un bravo consulente prima macinava chilometri per visitare i clienti, ma già adesso si sta aiutando con la tecnologia per rimanere attive e vicino ai propri clienti, attraverso contatti telefonici e video, riducendo a zero gli spostamenti ma ottenendo comunque buoni risultati.

Fabio CavazzutiCi sarà una spinta fortissima verso la consulenza. Le cause o le motivazioni sono da ricercare in una sempre maggiore complessità del mondo degli investimenti e nel fatto che per i clienti è sempre più difficile gestire il proprio patrimonio senza seguire logiche di obiettivo e orizzonte temporale.

2) E’ previsto un calo del numero dei consulenti, oppure il sistema saprà contenere le fuoriuscite?

Giancarlo PattiNon assisteremo ad un ridimensionamento del numero dei consulenti , e se alcune posizioni non saranno più in grado di sostenersi è la conseguenza di un processo di selezione naturale già avviato con Mifid II. Vedo un grande futuro per quei CF che, oltre alle competenze personali, potranno avvalersi del supporto di reti “lungimiranti”, quelle cioè che daranno la possibilità di fare lavorare in team i consulenti che lo desiderano….modello studio associato.  Mi viene anche  in mente il “vecchio” praticantato che consentiva ad una figura junior  di affiancarne una senior.

Maurizio NicosiaIl calo dei consulenti è legato fisiologicamente all’evolversi della professione, alla riduzione dei margini e alla concentrazione delle masse, che continuerà a tagliare fuori i consulenti meno professionalizzati. La trasformazione del consulente, da venditore di prodotti a gestore del benessere familiare, sta aprendo nuove prospettive nel settore che ancora non sono state colte pienamente, soprattutto dalle nuove generazioni che potrebbero avvicinarsi alla professione. E’ indiscutibile che lavorare in un mondo privo di certezze sul futuro alimenta la necessità della presenza di un consulente.

Paola MaiettaPotrebbe esserci una leggera flessione, in quanto già il mondo della consulenza ha risentito della Mifid II e dei bassi rendimenti dei mercati.  Dopo il Coronavirus sicuramente i professionisti si ritroveranno a dover far fronte ad un nuovo scenario finanziario in cui il professionista che gestiva un portafoglio di piccola entità avrà maggiore difficoltà a rimanere nel mercato.

Fabio CavazzutiSecondo me il numero dei consulenti è destinato ad aumentare, soprattutto se sarà alimentato dai bancari in uscita dal mondo del credito tradizionale.

3) Le attività di recruiting si sono semplicemente fermate, per poi riprendere dal punto in cui si sono interrotte, oppure i tempi di risoluzione dell’emergenza Coronavirus rischiano di far ricominciare da zero tutto il lavoro svolto dagli haed hunter e dai manager di rete dedicati al reclutamento?

Giancarlo PattiLa tecnologia e la capacità relazionale ci hanno aiutato a non interrompere le attività di recruiting. Le trattative esistenti sono state portate avanti ed ho notato che, dialogando a distanza, c’è una maggiore attenzione alle persone, e si approfondiscono aspetti toccati in precedenza in modo più superficiale. Non si tratta proprio di una ripartenza da zero.

Maurizio NicosiaIl cambiamento da parte dei consulenti è sempre stato dettato da due criteri: la ricerca di un ambiente di lavoro migliore e la voglia di crescere in una realtà che esalti l’imprenditorialità del consulente. La situazione attuale non cambia questo stato di cose. L’ostacolo oggi è “sistemico”, e si lega alla paura di cambiare giusto in questo momento. Le trattative andranno avanti con i consulenti che sono mossi da un bisogno di miglioramento per se stessi e per i propri clienti.

Paola MaiettaL’attività di reclutamento non si è mai fermata: lo smart working, infatti, ha permesso la continuità del lavoro di selezione garantendo, grazie alla digitalizzazione, i contatti con i candidati.

Fabio CavazzutiLe attività di recruiting si sono semplicemente fermate, e riprenderanno presto dal punto in cui si sono interrotte. Al momento, ci si limita alle public relation, ma appena sarà possibile i colloqui riprenderanno con ancora più vigore.

4) Quali saranno gli skill richiesti in seguito ai cambiamenti a cui assisteremo nei prossimi mesi?

Giancarlo PattiNon credo che gli skill di un consulente finanziario cambieranno a breve in seguito a questa pandemia, ma una maggior confidenza con la tecnologia aiuterà chi saprà padroneggiarla. Ho assistito a video call con ultra ottantenni che erano felicissimi di avere un consulente che gli “stava vicino”  in un momento nel quale la banca tradizionale non lo faceva neanche accedere allo sportello!  Pronti ad un cambiamento invece dovranno esserlo gli intermediari, i quali non potranno più tardare a  dotarsi della possibilità di gestire  operazioni a distanza, nel rispetto della normativa.

Maurizio NicosiaLe competenze in materia economica, patrimoniale e familiare saranno più che mai al centro dell’approccio dell’attività. La pianificazione e la consulenza, anche avulsa da strumenti finanziari, diventeranno la strada maestra per il percorso di crescita futura. Questo periodo ci sta insegnando che i maghi del rendimento non avranno vita facile o, in generale, non avranno più vita, mentre l’educazione finanziaria avrà un ruolo di fondamentale importanza.

Paola MaiettaGli skill saranno sempre gli stessi, con l’aggiunta di una maggiore flessibilità e disponibilità al ricorso ai sistemi informatici.

Fabio CavazzutiSaranno quelli richiesti da sempre per poter fare questo lavoro: ambizione, capacità relazionale, competenza e consapevolezza di fare un lavoro utile agli individui e alla Società.

5) Come cambieranno gli incentivi per i consulenti che decideranno di accettare una nuova offerta di lavoro da un’altra rete?

Giancarlo PattiNell’immediato non vedo all’orizzonte un cambiamento nella politica degli incentivi, ma il tema è collegato al momentum nel quale si trova una rete. Chi decide di lasciare il mondo bancario tradizionale, o di cambiare rete, sempre più sarà attento alla sostenibilità del business, ovvero ai costi applicati ai clienti e alla possibilità di essere in grado di presidiare il rapporto con un imprenditore , un’azienda o un privato, allo stesso modo e con le stesse leve commerciali.

Maurizio NicosiaGli incentivi sono da sempre serviti a compensare il sacrificio del cambiamento da parte del consulente, ma non sono mai stati la vera molla propulsiva. Più le reti insisteranno sulla professionalità, e più si andrà verso una personalizzazione estrema dell’offerta, privilegiando la redditività prospettica del candidato. Probabilmente si affiancheranno alle offerte sistemi di protezione personali e familiari più importanti di quelli attuali.

Paola MaiettaE’ difficile dare una risposta, in quanto la trattativa, anche se segue dei parametri stabiliti, è sempre un percorso individuale. Gli accordi possono variare sulla base di tanti fattori.

Fabio CavazzutiIl cambiamento sarà rivolto a premiare con incentivi soprattutto coloro che si sposteranno dagli istituti bancari, e sarà in parte fisso per dare stabilità, ed in parte variabile per favorire chi ha particolari ambizioni.

6) A quale tipo di trasformazione andrà incontro il personal marketing del consulente finanziario, e di quali mezzi si dovrà dotare?

Giancarlo PattiUn consulente che svolgeva già bene la propria attività non dovrà “trasformare” il suo marketing, ma implementarlo, capire se intende rivolgersi ad una nicchia di mercato, specializzarsi con maggiori competenze e …..farlo sapere! Per promuovere la propria immagine, il CF  dovrà padroneggiare i canali social per comunicare con i clienti acquisiti e potenziali, evitando di essere uno dei tanti “esperti di virus” che affollano la Rete e costruendo l’immagine di esperto di “virus finanziari”.

Maurizio NicosiaLa tecnologia e gli strumenti social al servizio del consulente saranno indispensabili. Le reti che hanno fatto dell’approccio tecnologico e della semplicità del suo utilizzo un punto focale dello sviluppo daranno una mano importante al consulente, perchè lo sviluppo di nuova clientela passerà sempre più attraverso i canali social ed acquisire reputazione sul web potrebbe fare la differenza. Sarà importante sapere organizzare riunioni e contatti con la clientela attraverso il Web, pertanto bisognerà acquisire competenze importanti nella gestione sia dei social che dei programmi di video conferenza.

Paola MaiettaLa comunicazione è alla base di ogni business, il crescente utilizzo dei social media impone di non sottovalutare l’opportunità che questi strumenti offrono anche al consulente finanziario. Oggi si è tutti collegati tramite i social network ed è anche grazie a loro che un potenziale cliente può ricercare informazioni su un professionista: ecco che il personal marketing assume un’importanza rilevante con una presentazione del proprio profilo, senza sottovalutare il fatto che la fama di un buon consulente può passare anche da cliente a cliente.

Fabio CavazzutiI cambiamenti sono già in corso. Al tradizionale uso del telefono occorre unire visibilità sulle piattaforme, l’utilizzo della e-mail e di tutti gli strumenti di interazione possibili.

Pandemia e finanza di coppia, i piani familiari per gestire le emergenze. Suggerimenti utili

Nella famiglia i soldi non sono esattamente di chi se li procura, ed ognuno nella coppia collabora economicamente sia producendo reddito di qualunque natura (dallo stipendio agli utili provenienti da investimenti), sia contribuendo a contenere i passivi e, in definitiva, risparmiando.

Mai come oggi, in piena pandemia da Covid19, vale il concetto che le famiglie sono molto simili alle aziende: se non si effettua un attento controllo di gestione e di tesoreria, anche le migliori di esse vanno economicamente a gambe all’aria.

L’impatto che il Coronavirus può avere sulla sicurezza del lavoro o sulle finanze è fonte di preoccupazione per tutti, ma è anche una opportunità per le coppie di rivedere i piani di famiglia e lavorare insieme per sostenere la stabilità presente e futura.

I consigli degli esperti, in questo particolare settore che coinvolge più elementi emozionali che finanziari, convergono su alcuni suggerimenti fondamentali, dalla natura affatto scontata, la cui efficacia dipenderà moltissimo dalla propria capacità di condividere le decisioni, uscendo fuori dagli schemi – o dalla loro assenza – dettati dall’intimità coniugale e adottando un atteggiamento più distaccato, eventualmente facendosi aiutare da una figura esterna. In ogni caso, qualunque suggerimento trova il suo fondamento in alcuni principi stabiliti nel matrimonio civile. In particolare, nell’articolo Art. 143 del Codice civile si parla dei diritti e doveri reciproci dei coniugi: “Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”.

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Nella famiglia, pertanto, i soldi non sono esattamente di chi se li procura, ed ognuno nella coppia collabora economicamente sia producendo reddito di qualunque natura (dallo stipendio agli utili provenienti da investimenti), sia contribuendo a contenere i passivi, esattamente come un’azienda che dedica agli acquisti un ufficio specifico. In più, nell’azienda-famiglia si coprono con il proprio lavoro diretto tutte attività (dalla cura dei figli alle faccende domestiche) che se non fossero svolte da uno dei due membri della coppia richiederebbero un esborso di denaro per assumere collaboratori esterni (colf, baby sitter etc), e quindi hanno un valore quantificabile.

Tornando ai piani familiari, per elaborarne uno veramente efficace bisogna partire dalle basi.

1) Fissare il tempo con il partner per parlare di soldi – Prima di fare qualsiasi altra cosa, la coppia dovrebbe “prendersi del tempo”, organizzando una discussione sul denaro, da soli o con un consulente finanziario. Si tratta di una conversazione seria, da affrontare preferibilmente nel fine settimana, quando si è liberi dai pensieri del proprio lavoro e non ci sono distrazioni. Infatti, le discussioni sul denaro possono essere difficili da gestire, ma in un periodo come questo c’è maggiore disponibilità per affrontare almeno i punti fondamentali: rivedere le proprie spese mensili per comprendere il loro “livello di combustione”, ossia il tasso di velocità di spesa; subito dopo, chiedersi quanti soldi mancherebbero se uno dei due perdesse il proprio lavoro o diminuisse le entrate, e come potrebbe essere gestito il periodo di transizione tra la perdita del lavoro ed il successivo reimpiego lavorativo.

Dopo aver esaminato questi punti, la coppia avrà un’idea più concreta della propria posizione finanziaria, e porre in essere le basi per parlare di prevenzione dei possibili problemi.

2) Istituire un fondo di emergenza – La creazione di un fondo di emergenza è una prima decisione che serve a risolvere il bisogno di sicurezza della coppia, anche in relazione ai figli. Gli esperti in genere raccomandano di risparmiare l’equivalente di tre-sei mesi di spese correnti mensili, quale “cuscinetto di cassa” nel caso in cui il Coronavirus continui a incidere negativamente sull’economia e, se non è ancora successo, pensare che possa influire ancora più pesantemente sull’Economia ed incidere sulla sicurezza della propria posizione lavorativa. Come regola generale, meno stabile è il lavoro, maggiore deve essere la contribuzione in un conto di semplice deposito, in modo da avere la disponibilità immediata delle somme.

3) Ridurre le spese non necessarie – Molti europei hanno già iniziato a farlo, ma è negli Stati Uniti che si è avuta la maggiore contrazione: il 52% degli adulti ha ridotto la spesa, secondo un recente sondaggio. Sarà sufficiente esaminare le spese discrezionali (es. alimenti ordinati da fuori, prodotti di marca, prodotti premium) e passare ad articoli generici fino a quando l’economia non si riprende.

4) Rivedere o stipulare la propria copertura assicurativa – Stipulare una polizza sanitaria-infortuni, oppure una di responsabilità civile diventa fondamentale in qualunque famiglia, anche perché permette di fare piani di emergenza senza accantonare quantità eccessive di denaro in conti deposito. E’ bene farsi assistere da un consulente prima di familiarizzare da autodidatta con i piani assicurativi, anche per districarsi dalle c.d. franchigie che, se da un lato diminuiscono il costo della polizza, dall’altro rischiano di vanificare lo sforzo. Se si è già titolari di un’assicurazione sulla vita, si dovrebbe uscire dalla genericità ed indicare con esattezza la persona che ha diritto a ricevere le somme in caso di premorienza.

5) Trovare un consulente finanziario – Si tratta di una regola “di chiusura”. Molte coppie, infatti, non hanno il tempo né la voglia di fare tutto da soli, e decidono di ricevere un aiuto professionale per elaborare un piano finanziario. Trovarne uno è molto semplice, ma è bene confrontarsi con almeno un paio di essi prima di decidere di affidarvi a qualcuno. Infatti, quando si assume un professionista, è fondamentale che sia non solo capace, ma che si impegni anche a mettere al primo posto gli interessi del cliente. Negli USA, per esempio, un pianificatore finanziario certificato (CFP) deve essere rigorosamente formato in 72 aree di competenza finanziaria e deve accumulare migliaia di ore di esperienza prima di guadagnare la certificazione. In Italia, i consulenti finanziari devono passare un esame difficilissimo e sono tutti “certificati” dall’appartenenza ad un Organismo Unico che vigila attentamente sul loro operato.

In generale, è meglio fare molti colloqui con un potenziale consulente, prestare particolare attenzione al suo stile di comunicazione ed alla puntualità nel rispondere alle domande, anche a quelle che sembrano superflue.