Immobili commerciali, i fondi soffrono. Quanto rende investire in un negozio nelle grandi città
I fondi aperti domiciliati in Lussemburgo e Irlanda controllano la quota più rilevante del mercato degli immobili commerciali, e una crisi di fiducia potrebbe costringerli a svendere gli asset, innescando una spirale negativa.
Mentre il mercato immobiliare residenziale italiano mostra alcuni segnali di cedimento (allungamento dei tempi di vendita, diminuzione delle compravendite) legati alla stretta creditizia in atto, a preoccupare gli addetti ai lavori di quasi tutta Europa è il settore degli immobili commerciali, dove il tipico moltiplicatore della finanza ha prima fatto lievitare i prezzi molto in su – tanto da far parlare di “bolla degli immobili commerciali” – e poi ha causato una brusca inversione di tendenza su compravendite e prezzi, amplificata dal fenomeno di origine pandemica dello smart working (che ha diminuito le necessità di spazi).
In tal senso, l’allarme è stato lanciato nell’ultimo bollettino della Banca centrale europea, che ha registrato tra ottobre e dicembre 2022 un crollo delle transazioni del 44% su base annua, mentre nei due trimestri precedenti i prezzi erano già scesi del 14%. Ad aumentare la preoccupazione giunge la circostanza che il settore è dominato da fondi di investimento immobiliare, che nel 2012 valevano 323 miliardi di euro ed oggi ne valgono 1.000, avendo triplicato il proprio valore in soli dieci anni.
Questa tipologia di immobili è concentrata per lo più in Germania, Lussemburgo, Francia, Olanda e Italia, e molti di essi fanno parte di fondi immobiliari aperti, i cui sottoscrittori possono in qualunque momento ritirare l’investimento e creare, in caso di improvvise crisi di fiducia, un gravissimo stress finanziario per via della loro tradizionale gestione con poca cassa e attivi – cioè gli immobili – non facili da liquidare come un qualunque investimento finanziario. Per questi fondi, pertanto, qualora si dovesse generare un panico improvviso potrebbe succedere ciò che è accaduto alla Silicon Valley Bank in USA, allorquando i correntisti, presi dal panico, sono corsi contemporaneamente a liquidare tutti i propri depositi e trasferirli altrove.
Secondo Citigroup, entro la fine del 2024 i prezzi degli immobili potrebbero calare ancora tra il 20 e il 40%, soprattutto in Austria, Germania, Francia e Olanda, per i quali i fondi aperti domiciliati in Lussemburgo e Irlanda controllano la quota più rilevante del mercato. Una crisi di fiducia potrebbe costringerli a svendere gli asset, innescando una spirale negativa. Tuttavia, nel mattone commerciale, dove si concentrano i rischi europei, dovrebbe esserci una limitata flessione dei prezzi. Anche in Italia la quota dei fondi è alta, ma si tratta quasi interamente di fondi chiusi, meno esposti al rischio-panico.
Inoltre, nel nostro Paese si arriva da un 2022 molto positivo, durante il quale le compravendite di immobili commerciali sono aumentate del 4,9%. In particolare, il 77,7% delle operazioni su tale tipologia immobiliare ha riguardato la locazione, mentre il 22,3% le operazioni di acquisto, con gli investitori in aumento dal 48,9% al 53,3%. I rendimenti lordi da locazione hanno sempre attratto gli investitori, ancora di più adesso con l’inflazione che spinge verso il mattone. Si acquistano negozi per affittarli, oppure per trasformarli, se possibile, in abitazioni laddove il cambio d’uso sia possibile. I rendimenti annui lordi possono superare anche il 10% in vie di passaggio, per scendere in alcune zone top. Nelle grandi città i rendimenti annui lordi possono andare dall’8,7% medio di Milano all’11,7% di Roma e al 10,6% di Firenze e Torino.