Risparmio gestito e Consulenza Finanziaria: modelli industriali e rispettivi cicli di vita in completa antitesi
Quella dei consulenti finanziari è l’unica categoria produttiva al mondo capace di vedere diminuire, nel tempo, i propri margini di ricavo a fronte dell’esplosione della clientela e della domanda. Due modelli e due cicli di vita diversi tra loro, in cui uno sta “cannibalizzando” l’altro in nome della sua sopravvivenza.
Di Massimo Bonaventura
Viste sotto l’ottica “industriale”, quelle del Risparmio Gestito e della Consulenza Finanziaria sono due “industrie” che, in generale, gli addetti ai lavori tendono quasi a confondere tra loro, visto lo stretto legame commerciale tra banche–reti e consulenti finanziari. In realtà, a molti sfugge che il mercato degli strumenti di risparmio gestito e quello della Consulenza Finanziaria sono ben distinti tra loro, ed ognuno di essi obbedisce a logiche e meccanismi completamente differenti.
In particolare, oggi il futuro della Consulenza Finanziaria e dei suoi professionisti risiede nella capacità che essi avranno di contrastare la sostanziale inattività delle reti nel mettere in campo seri programmi di ricambio generazionale, sul quale sembra non ci sia una volontà politica, almeno fino ad oggi.
In discussione c’è l’attuale modello industriale del Risparmio Gestito, che è pericolosamente ancorato alle caratteristiche proprie della fase di Maturità, mentre è evidente che le due MiFID, che non sono state capaci di rilanciare il sistema, adesso lo spingono verso una fase inarrestabile di declino.
In pratica, è come un cane che si morde la coda: per sopravvivere, i gruppi bancari proprietari delle reti diminuiscono periodicamente i margini di ricavo dei consulenti – ai quali peraltro vengono “scaricate” mansioni amministrative non retribuite – e garantiscono utili e stabilità al proprio conto economico, ma contemporaneamente non investono alcunchè sui giovani, i quali dovrebbero garantire il ricambio generazionale e la continuità nel tempo della categoria.
Continuando di questo passo, invece, sembra quasi che il vero obiettivo sia la scomparsa dei consulenti finanziari, da attuare a mezzo di una loro progressiva “disintermediazione” dai prodotti finanziari, grazie anche alla tecnologia online e alla sempre maggiore familiarità delle nuove generazioni di investitori-risparmiatori con gli strumenti online di gestione dei propri risparmi.
Lo studio del ciclo di vita in cui si trovano i due settori, poi, chiarisce ancora meglio il problema. Il settore del Risparmio Gestito si trova alla fine del suo ciclo di vita, e cioè in fase in declino, dal 2008, e spiace dire che a contribuire a questo cambio di rotta sia stata la politica europea della MiFID, calata dall’alto e creata al solo scopo di competere con il più efficiente sistema finanziario americano. Il settore della Consulenza Finanziaria, invece, si trova all’inizio del suo ciclo di vita. Si potrebbe dire che esso non sia ancora nato, e che la gestazione rischia di avere un esito infausto, con il “bambino” che rischia di non vedere mai la luce oppure, passatemi il termine, di essere “cannibalizzato alla nascita”. Infatti, senza ricambio generazionale non si può passare dalla fase di declino a quella di rilancio, ma garantire solo una gestione delle masse e della clientela fino alla scomparsa dal mercato, per raggiunti limiti di età, di oltre 20.000 consulenti.
I segnali di quella “volontà politica” di cui parlavamo prima, e cioè di rallentare il ricambio generazionale tra i consulenti – bloccando così il ciclo di vita della Consulenza Finanziaria – ci sarebbero tutti, e li vediamo ogni giorno leggendo le notizie di settore. Qualche giorno fa, per esempio, il magazine Bluerating ha parlato di semplice “selezione naturale” in merito all’azione di “pulizia” che “le mandanti hanno iniziato, chi prima chi dopo, revocando il mandato ai professionisti con portafogli sotto la media e poco dinamici. Questo processo è ormai assodato nelle reti più grandi e affermate sul mercato, mentre le reti di più recente costituzione, che devono ancora crescere, paiono più clementi. Tutto ciò si traduce in una selezione mediamente mirata ai consulenti finanziari con portafogli superiori alla media e in misura marginale verso i professionisti con portafogli minori, a meno che non siano associati ai (pochissimi) giovani di belle speranze”.
Qualche settimana fa, invece, i media specializzati hanno parlato del fenomeno dei bancari in esubero e della corsa delle reti ad acquisire il loro portafoglio clienti. Infatti, il calo degli sportelli può rappresentare l’opportunità per le società mandanti di guadagnare quote di mercato a scapito dei colleghi bancari, che in base alle ultime rilevazioni Assogestioni gestiscono il 70% del patrimonio dei fondi comuni complessivamente collocati in Italia (ai consulenti finanziari il rimanente 30%). Sul punto era intervenuto anche Manlio Marucci, segretario di Federpromm-Uiltucs, secondo il quale “nei prossimi anni si porrà il problema vero del ricambio generazionale e la riqualificazione e formazione di tutto il personale…Troppe contraddizioni sono presenti sul tema, e se queste non vengono affrontate organicamente si rischia il collasso anche a livello delle stesse società di collocamento”.
La verità inconfessabile, però, è un’altra: i bancari in esubero sono circa 25.000, e quelli capaci di “migrare” clientela presso un rete di consulenza finanziaria (tranne rari casi) non sono giovani, ma alle soglie della pensione o giù di lì. Pertanto, ci si troverebbe di fronte ad una “infornata” di nuovi professionisti con una età media superiore ai 55 anni, perfettamente in linea con quella attuale dei 33.000 consulenti attivi e che tanti dubbi genera sulla continuità, entro i prossimi 7-10 anni, dell’intera categoria.
Inoltre, sui bancari di cui il sistema-filiale sta cercando di liberarsi, sussistono molte domande ancora senza risposta:
- Quanti di loro potrebbero avere le caratteristiche per diventare consulenti finanziari?
- Quanti di loro erano dedicati alle relazioni con la clientela e alla consulenza agli investimenti?
- Perché le reti, anziché investire sui giovani, stanno dirigendo le proprie attenzioni sui più costosi ex bancari, peggiorando il quadro del ricambio generazionale?
In tempi difficili per tutti – e quindi anche per le famiglie-clienti – si dovrebbe investire nella continuità di lungo periodo, affinchè la fase di declino lasci il posto a quella del rilancio. Non sembra questa la direzione in cui si stia procedendo.