Bye bye Germania. Tedeschi vicini alla “soluzione finale” della Questione Europea?
Dopo la sentenza della sua Corte federale, la Germania potrebbe salutare tutti ed uscire dall’UE, portando con sé un ricchissimo “bottino” procacciato in venti anni di privilegi finanziari e di guerra commerciale condotta, in maniera disinvolta, contro i propri alleati dell’Unione.
Di Massimo Bonaventura
La “Questione Europea”, esplosa improvvisamente con l’arrivo della pandemia, ha preso un inaspettato abbrivio la scorsa settimana, allorquando la Corte federale tedesca ha sancito, in estrema sintesi, che il diritto nazionale della Germania prevale su quello europeo, spingendosi fino a dare una sorta di ultimatum all’Unione Europea ed alla BCE, le quali avrebbero dovuto spiegare, entro tre mesi, in che modo il programma di Quantitative Easing sarebbe stato rispettoso della costituzione tedesca.
L’abbrivio è continuato fino a ieri, quando Ursula von Der Leyen, rispondendo ad una lettera dell’eurodeputato tedesco Sven Giegold, ha dichiarato che “…la recente sentenza della Corte costituzionale federale solleva questioni che toccano il nucleo stesso della sovranità europea, ma la politica monetaria dell’Unione è una competenza esclusiva comunitaria, ed il diritto dell’Ue ha la precedenza sul diritto nazionale”. Inoltre, ha proseguito la Von Der Leyen, “la Corte di giustizia europea di Lussemburgo ha sempre l’ultima parola sul diritto dell’Ue e le sue sentenze sono vincolanti per tutti i tribunali nazionali”.
Infine “….Prendo questa questione molto sul serio. La Commissione sta attualmente analizzando in dettaglio la sentenza di oltre 100 pagine della Corte costituzionale federale tedesca, e sulla base dei risultati di quest’analisi, stiamo prendendo in considerazione possibili passi successivi, incluse le procedure di infrazione”.
Dietro la sentenza della Corte federale tedesca, accolta con finta rassegnazione dal governo conservatore della Merkel, pare ci sia il desiderio di una soluzione inaspettata della “questione europea”: l’uscita della Germania dall’UE, insieme ad un ricchissimo “bottino” procacciato in venti anni di guerra finanziaria e commerciale perpetrata allegramente ai propri alleati dell’Unione, ai quali va rimproverato la passiva accettazione dell’enorme surplus tedesco, contrario alle regole fondanti dell’Unione e mai fatto valere, per timore verso il paese dominante, in tutte le sedi europee.
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Ebbene, questo “paura dell’abbandono” sembra trovare nei fatti degli ultimi tre mesi un riscontro notevole. Infatti, l’ipotesi – di stampo solo apparentemente complottistico – di una uscita della Germania non è così lontana dalla realtà. Non è un mistero, infatti, che gli esponenti di spicco del partito conservatore tedesco (quello che regge la poltrona della Merkel) accarezzino da almeno due anni la possibilità di una “Germanexit” dall’Unione Europea, da realizzare adesso per via della raggiunta potenza economica neanche immaginabile soltanto venti anni fa, ed il comportamento ostruzionistico adottato nei momenti più tragici della pandemia, oltre ad essere stato deprecabile, dimostra oltre ogni dubbio che gran parte degli schieramenti politici tedeschi non hanno più alcun interesse a che il loro Paese rimanga in Europa. Adesso, forti dell’impedimento interno creato dalla sentenza della Corte federale, tutti loro mandano un messaggio chiarissimo: il primato della Corte di Giustizia Europea nell’interpretazione del diritto comunitario, ed il carattere vincolante che le decisioni della stessa hanno su tutte le corti nazionali, valgono per tutti tranne che per la Germania; se questo non sta bene, i tedeschi saranno “costretti” ad andare via, magari in compagnia della fedele Olanda di Rutte.
Del resto, dopo la sospensione del Patto di Stabilità – un vero e proprio “totem” per i paesi fondatori dell’UE – si è cominciato a respirare un clima da “liberi tutti”, che evidentemente è piaciuto molto anche all’Establishment tedesco. Per chi non ha ben presente la questione, derogare al Patto di Stabilità significa, di fatto, sospendere l’insieme di regole – trattato di Maastricht: limite di deficit/Pil al 3% e debito sotto il 60% della ricchezza nazionale – che governano dal 1997 le politiche di bilancio degli Stati membri e che sono state allargate nel corso degli anni successivi fino a giungere al famigerato Fiscal Compact.
Se così fosse, si tratterebbe di una “soluzione finale” dell’Unione Europea, generata questa volta senza alcun genocidio, ma con una dose di cinismo politico sufficiente a determinare, con un solo colpo, l’assassinio del sogno europeo che decine di milioni di suoi abitanti hanno coltivato, inutilmente, per due decenni.
Allora, se così deve essere, bye bye Germania; e, probabilmente, addio Europa.