Aprile 16, 2024
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Bancari aspiranti consulenti, ecco il processo di selezione. Spiegato bene

Intervista di P&F dedicata ai bancari che rivestono un ruolo di forte prossimità al cliente e vogliono valutare un cambiamento professionale. Rispondono alle nostre domande due recruiter professionisti di Startup Italia.

Oggi l’industria del risparmio trova nel sistema bancario il canale di distribuzione quasi esclusivo, nel quale coesistono due realtà profondamente diverse fino a qualche anno fa, ed oggi gradualmente più vicine in termini di approccio alla clientela. Bancari e consulenti finanziari, infatti, cominciano a convergere sempre di più verso un unico centro – il cliente – partendo però da due direzioni differenti: una maggiore attenzione alla qualità della relazione e del servizio post vendita per i dipendenti di banca adibiti ai rapporti con i risparmiatori, ed un processo di progressiva (e mal sopportata, a dire il vero) “bancarizzazione” per i consulenti non autonomi, cui vengono demandate mansioni amministrative (non retribuite, n.d.r.) sempre più stringenti e simili, per certi versi, a quelle di un bancario.

Le banche tradizionali, rispetto alle banche-reti, devono affrontare ogni anno problemi relativi alla sostenibilità del proprio conto economico, ormai scarsamente remunerato dall’attività caratteristica – quella del credito – e, a causa della continua chiusura delle filiali e della conseguente riduzione del personale, finiscono con l’inasprire la qualità del lavoro di molti gestori affluent e private bankers, i quali oggi vedono con favore la possibilità di trasformarsi in consulenti finanziari e migliorare la propria vita lavorativa facendo tesoro della esperienza e dell’indotto di clientela bancaria da migrare in una nuova realtà lavorativa.

Da qui deriva l’attenzione mostrata dalle reti di consulenza finanziaria verso i candidati provenienti dalle filiali bancarie, e il quadro che emerge dall’intervista che segue risulta utilissimo proprio per quei bancari che, rivestendo un ruolo commerciale di forte prossimità alla clientela, intendono valutare un percorso di selezione per nulla scontato o prevedibile, nel quale la professionalità del selezionatore e l’analisi approfondita del candidato-persona contano più di qualunque altro “numero”. Spesso, infatti, per l’azienda committente – di solito una banca-rete – i numeri contano molto, per cui la “mediazione” di professionisti votati a garantire principalmente l’interesse della risorsa umana da selezionare (che ha una storia personale e un equilibrio finanziario da assicurare alla famiglia) fa da bilanciere tra aspettative che, a volte, possono risultare non perfettamente in linea tra candidato e potenziale datore di lavoro. Per dare agli interessati un quadro abbastanza esaustivo di ciò che li aspetterebbe in caso di selezione, abbiamo intervistato Antonella Russo e Luca Baldinini (entrambi nella foto) di Startup Italia, società di Rimini specializzata, tra le altre cose, in selezione del personale per gruppi bancari e reti di consulenza finanziaria.

Da quanto tempo vi occupate di recruiting verso il personale bancario per conto delle reti di Consulenza Finanziaria?
(Antonella Russo e Luca Baldinini) Entrambi da circa 10 anni.

Siete voi a selezionare direttamente i candidati, oppure ricevete anche candidature spontanee?
(Antonella Russo e Luca Baldinini) Per la grande maggioranza la nostra è un’attività di ricerca e selezione che facciamo personalmente sul territorio. Riceviamo candidature spontanee solo marginalmente, e si tratta in genere di candidati già conosciuti in precedenza, con i quali nel corso del tempo è maturato un reciproco interesse alla valutazione.

Come riuscite a capire se un candidato ha le caratteristiche adatte per affrontare i profondi cambiamenti imposti nella migrazione da lavoratore dipendente a libero professionista?
(Antonella Russo) Andando ad approfondire sia il percorso professionale sia le ambizioni di crescita. Solitamente, ci basiamo inizialmente sugli elementi tecnici che ci permettono di verificare il target richiesto, ma nel racconto dell’esperienza lavorativa emergono anche alcune caratteristiche personali importanti, quali ad esempio la propensione allo sviluppo in autonomia dei clienti o le attitudini che portano ad una maggiore fidelizzazione del cliente.
Consulente finanziario(Luca Baldinini) E’ un processo complesso e nella maggior parte dei casi anche lungo, dura spesso ben oltre i sei mesi. Lo si comprende per gradi, assieme al manager che dovrà inserirlo nella struttura. Oltre ai dati fondamentali sulle masse e sulla qualità della relazione con la clientela, è necessario capire se il candidato bancario ha le caratteristiche caratteriali per poter diventare un imprenditore di se stesso e le capacità commerciali nello sviluppo della clientela. Queste cose si capiscono conoscendo meglio la persona e la sua storia lavorativa.

Come si svolge un iter di selezione, dal primo incontro alle dimissioni e alla firma del contratto con la società mandante?
(Antonella Russo) In genere i primi 2 o 3 incontri sono conoscitivi; si approfondiscono società, progetto di sviluppo e modalità operative, nonché esperienza e aspettative del candidato. In caso di reciproco interesse, si procede con la valutazione del potenziale attraverso una puntuale analisi del portafoglio trasferibile con successiva valutazione di sostenibilità. La società presenta quindi una proposta economica e, se accettata, una successiva lettera d’intenti. Si procede quindi con le dimissioni e la firma del contratto.
(Luca Baldinini) Molto schematicamente, c’è un primo contatto telefonico o via web per valutare target ed interesse del candidato; si procede poi con l’iter di incontri con il manager, il primo è conoscitivo ed i successivi sono di approfondimento sui temi che interessano al candidato; poi c’è l’analisi del portafoglio, la fase contrattuale e di gestione degli eventuali vincoli come un patto di non concorrenza o il normale preavviso. Lo step finale è una lettera d’intenti, che da al candidato la possibilità di procedere con le dimissioni e con il passaggio nella nuova realtà lavorativa.

A quale fase di solito si ferma il vostro intervento, e comincia quello della mandante e dei suoi recruiter?
(Antonella Russo) Questo aspetto varia a seconda del cliente che seguiamo. Sicuramente contattiamo i candidati dopo i primi incontri , sia per un feedback, ma anche per comprendere la percezione di società e persona incontrata. Cerchiamo quindi di capire se la società presentata è quella più in linea con i desiderata del candidato e se ci sia bisogno di un allineamento tra le parti. I percorsi di cambiamento dalla banca verso società di rete sono piuttosto lunghi, per cui spesso si rendono necessari successivi contatti per attività di supporto. Ci sono dei candidati che supportiamo fino quasi a fine trattativa e altri che hanno già dall’inizio le idee molto chiare (idee in genere maturate attraverso precedenti contatti con reti).
(Luca Baldinini) Generalmente affianchiamo il candidato ed il manager fino a fissare il primo incontro ed interveniamo poi con chiamate di follow up durante il percorso del candidato. Non c’è un momento preciso in cui si ferma la nostra attività, ma spesso il candidato viene preso in mano dal manager che si occupa del reclutamento fin dal primo incontro.

Quali sono, in ordine di priorità, le motivazioni che spingono un bancario a valutare l’offerta di una rete di consulenza finanziaria?
(Antonella Russo) Motivazioni economiche, ambizione e voglia di crescere professionalmente, maggiore autonomia e possibilità di offrire un servizio migliorativo al cliente.
(Luca Baldinini) Miglioramento delle condizioni lavorative, economics, maggiore libertà decisionale e gestione del proprio tempo sono le principali motivazioni, per taluni candidati può essere più importante l’una o l’altra.

Se dovesse tracciare una statistica, qual è la percentuale di successo dei bancari, in termini di migrazione portafoglio clienti, all’interno di una rete?
(Antonella Russo e Luca Baldinini) Anche in questo caso molto dipende dal ruolo del candidato e dalla seniority. Tendenzialmente un 30% per i gestori affluent e tra il 70 e l’80% per i Private con elevata seniority.

Avete registrato un incremento delle candidature di bancari negli ultimi anni?
(Antonella Russo) No, non c’è stato un aumento delle candidature rispetto al passato, probabilmente per via di una maggiore conoscenza delle società rispetto al passato.
(Luca Baldinini) Relativamente ai candidati bancari interessati rispetto ai contatti totali, abbiamo assistito negli anni ad un decremento: ad inizio attività la risposta positiva era tra il 35/40%, mentre oggi si attesta intorno al 10/20%. 

Quanto pesa lo stress accumulato nel lavoro in banca sulla scelta di cambiare radicalmente la propria posizione lavorativa?
(Antonella Russo) Lo stress indotto dalle pressioni di tipo commerciale è sicuramente uno dei principali fattori che incidono sulla decisione di cambiamento.
(Luca Baldinini) Per alcuni candidati incide sicuramente, e il miglioramento delle condizioni lavorative è una delle motivazioni più forti.

Quali sono le sue previsioni per questo segmento specifico di recruiting nei prossimi anni?
(Antonella Russo) Il progressivo incremento delle dimensioni dei gruppi bancari sicuramente renderà più interessante nei prossimi anni la nostra attività nel settore specifico, e probabilmente favorirà il processo di passaggio del bancario verso la rete. Tuttavia, c’è da considerare che anche le banche negli ultimi anni stanno proponendo dei percorsi interessanti con contratti misti o con un progressivo passaggio alla libera professione. Questo aspetto sta consentendo alle banche di mantenere un certo livello di competitività rispetto alle società di rete.
(Luca Baldinini) Per prossimi anni prevedo ancora richiesta da parte degli istituti per questo tipo di figura. Penso che anche le banche tradizionali, e non solo quelle di rete, cominceranno a muoversi in questa direzione anche se più lentamente per via della complessità delle loro strutture. Fino a che la situazione di mercato resterà questa, con i tassi molto bassi, i conti economici delle banche dipenderanno sempre di più dai ricavi derivanti dalla gestione del risparmio dei loro clienti, per cui la ricerca di figure che hanno in mano la clientela nel segmento della raccolta sarà più intensa.

Reti di consulenza, il recruitment dei bancari secondo i cacciatori di teste

Nell’ultimo biennio c’è stato un forte risveglio dell’attività di ricerca e selezione delle banche-reti nel mondo dei bancari. Per analizzare il perché di tale tendenza abbiamo intervistato una delle principali aziende di cacciatori di teste italiane.

Intervista di Alessio Cardinale

Tutti coloro che hanno svolto attività di recruitment in qualità di manager di rete, sanno quanto sia stato importante, tra il 1997 ed il 2005, ricercare potenziali consulenti finanziari tra i bancari che gestivano i rapporti con la clientela. Si trattava di pochi candidati, di solito corrispondenti con i responsabili del “borsino titoli” o dei direttori della filiale, in un epoca in cui in banca il risparmio gestito era snobbato e si vendevano ancora obbligazioni bancarie e titoli di stato; le polizze unit linked emettevano i primi vagiti e chi, negli anni successivi, ha inventato il termine “bancassicurazione”, probabilmente andava ancora al liceo.

A quel tempo il recruiting manager si incaricava di mappare le filiali del territorio e, se non aveva una assistente personale brava a gestire le telefonate, si occupava personalmente di contattare i bancari target, mettendo a frutto la specifica formazione ricevuta sull’argomento. Nell’ultimo biennio c’è stato un forte risveglio dell’attività di ricerca e selezione delle banche-reti nel mondo dei bancari, per cui vale la pena analizzare come le modalità di recruiting dei bancari siano cambiate negli ultimi quindici anni. Infatti, sembra che oggi quasi tutti i manager non si occupino più di chiamare direttamente i candidati (salvo qualcuno che lo fa con modalità discutibili), né “appaltino” il contatto telefonico alle proprie assistenti, ma pagano delle aziende di “cacciatori di teste” – i c.d. headhunter – che si occupano di effettuare la ricerca e la selezione dei candidati. P&F ha intervistato il CEO di Startup Italia, Valerio Giunta*, a cui abbiamo posto alcune domande.

Da quanto tempo la sua azienda si occupa di recruiting verso il personale bancario per conto delle reti di Consulenza Finanziaria?
Startup Italia è attiva già dal 2011 nel campo delle ricerca e selezione del personale da inserire nelle organizzazioni commerciali e nelle reti ci vendita, e dal 2012 ha iniziato ad operare anche per le banche-reti, cominciando dalla città di Rimini per poi estenderci pian piano in tutto il territorio nazionale, per conto di alcune tra le maggiori reti di consulenza finanziaria

Vi occupate personalmente di selezionare i candidati, oppure ricevete anche candidature spontanee?
Noi siamo fondamentalmente dei “cacciatori di teste”, e operiamo in modo tale da proteggere la riservatezza dei potenziali candidati. Per cui, tranne un paio di auto-segnalazioni l’anno, non riceviamo candidature spontanee, ma individuiamo direttamente i candidati tra gli iscritti all’Organismo Unico o tra il personale bancario con portafoglio clienti.

Come riuscite a capire se un candidato bancario ha le caratteristiche adatte per affrontare i profondi cambiamenti imposti nella migrazione da lavoratore dipendente a libero professionista?
La prima cosa da fare per selezionare un potenziale candidato è sgombrare il campo da eventuali possibilità di insuccesso nel passaggio dal lavoro dipendente al lavoro autonomo. Questo approccio pragmatico ci consente di tutelare sia gli interessi del nostro interlocutore, che ha una famiglia ed un proprio equilibrio finanziario su cui essa si regge, sia quelli della società mandante per cui operiamo. Noi stimiamo che un candidato proveniente dalla banca tradizionale possa riuscire a far migrare presso la banca-rete un terzo della clientela che lì gestiva. Di conseguenza, al fine di evitare che l’entusiasmo di un candidato possa trascinarlo verso una scelta sbagliata, difficilmente prendiamo in considerazione dipendenti con meno di 50 milioni di portafoglio. Inoltre, chiediamo subito che tipo di relazione è riuscito a costruire con i primi 10-15 clienti per valore di portafoglio, e come questi potrebbero reagire di fronte ad un eventuale cambio di banca e di professione. Così diamo al candidato un immediato spunto di riflessione e ci facciamo subito una idea di chi abbiamo di fronte, e soprattutto se è il caso di proseguire il colloquio o meno.

4) Vi fermate ai dati numerici oppure esiste una fase di “approfondimento” sulla persona?
Certamente sì. Nel rispetto di questo approccio prudenziale, chiediamo al candidato alcune notizie sulla organizzazione familiare, ad esempio se è l’unico portatore di reddito e se ha impegni debitori come il mutuo per la casa, oppure se ha impegni presi nell’interesse dei figli, come gli studi all’estero o altro che richieda un impegno economico. Solo dopo aver ricevuto queste informazioni approfondiamo il grado di interesse e di motivazione del candidato verso un cambiamento che comporta, anche per noi, un elevato livello di responsabilità. In tal senso, se le informazioni ricevute non soddisfano tale principio di responsabilità e riteniamo che il candidato possa avere dei problemi nel cambiamento lavorativo, gli suggeriamo di non proseguire, anche contro il suo parere. In tal senso, non prendiamo incarichi da parte di manager di rete “aggressivi”, che presentino alla società mandante candidati con alte probabilità di insuccesso. Il nostro buon nome viene prima del guadagno.

5) Come si svolge un iter di selezione, dal primo incontro alle dimissioni e alla firma del contratto con la società mandante?
A causa del lockdown, raramente oggi facciamo primi colloqui in presenza, preferendo quelli da remoto, in video conference, che ci danno anche maggiore possibilità di vedere candidati in tutto il territorio nazionale e in meno tempo. In ogni caso, dopo aver selezionato e contattato il candidato, effettuiamo noi il primo incontro in assenza del manager della società mandante, che interviene dal secondo incontro in poi, allo scopo di presentare la banca-rete e spiegare quali sono i suoi punti di forza. Nel frattempo, noi registriamo i rispettivi feedback, del candidato e del manager, e durante il terzo incontro verifichiamo se le rispettive motivazioni di ricerca e cambiamento sono allineate e consentono il proseguimento degli incontri. In particolare, il candidato deve analizzare l’opportunità del cambiamento avendo presente i vantaggi che da esso possono derivare per la clientela, facendo attenzione ai costi a cui essa va incontro nel migrare il proprio patrimonio nella nuova banca.  

6) Quindi a quale fase si ferma il vostro intervento, e comincia quello della mandante e dei suoi recruiter?
Non c’è un momento sempre uguale in cui ci fermiamo, perché molti degli aspetti della fase di recruitment sono condivisi con il management della banca. A volte il candidato ci vuole accanto fino alla fase della decisione, poiché manteniamo comunque un atteggiamento neutrale fino all’ultimo.

7) Quali sono, in ordine di priorità, le motivazioni che spingono un bancario a valutare l’offerta di una rete di consulenza finanziaria?
Certamente le motivazioni personali sono prevalenti rispetto ad altri elementi ugualmente importanti, come lo stile etico della banca e del manager. Chi ha maggiori spinte al cambiamento è guidato da fatti personalissimi, che sono anche di natura economica ma più spesso di natura relazionale. Le stesse banche hanno acquisito una certa consapevolezza di questi elementi, ed evitano di affidare la selezione ai manager più “aggressivi”, che magari assicurano un elevato numero di candidati ma anche un alto numero di insuccessi; e nessuno può permettersi oggi di selezionare un bancario che non migliora la propria posizione personale, ed anzi la peggiora. Gli altri elementi, come la piattaforma informatica e la c.d. architettura aperta sono solo di contorno, ciò che conta è l’etica.

8) Avete registrato un incremento delle candidature di bancari negli ultimi anni? Se sì, in che percentuale?
Certamente c’è stato un incremento, sebbene non siamo in grado di stimarlo con precisione a livello generale. Possiamo dire, però, che a seguito del primo lockdown molti bancari hanno provato un certo disagio, perché non erano in grado di raggiungere la clientela e continuare la gestione dei portafogli in un momento di grande volatilità dei mercati e di incertezza, al contrario dei consulenti finanziari abilitati fuori sede. Inoltre, le continue fusioni tra gruppi bancari ha determinato una certa incertezza sia sulle nuove procedure sia sulla solidità della propria posizione lavorativa. Ciò ha permesso un raffronto “a pelle” tra le due realtà ed ha innescato profonde riflessioni. Un fatto innegabile è che oggi abbiamo maggiore risposta da parte dei bancari rispetto a due anni fa.

9) Quanto pesa lo stress accumulato nel lavoro in banca sulla scelta di cambiare radicalmente la propria posizione lavorativa?
Lo stress pesa molto, è uno dei motivi principali per cui si cambia, ma non può essere quello prevalente. Per quanto detto prima, è importante che sussistano certi elementi quantitativi, qualitativi e motivazionali, tra i quali c’è anche lo stress da lavoro. Sottolinea, però, che anche la professione di consulente finanziario può vivere momenti di stress, ma sicuramente inferiori a quelli di un bancario.

10) Quali sono le sue previsioni per questo segmento specifico di recruiting nei prossimi anni?
A nostro avviso i prossimi saranno gli ultimi anni in cui il recruitment avrà le attuali caratteristiche. L’abbassamento dei margini di ricavo, imposto indirettamente dalla MiFID, peserà anche sui c.d. “cambi di casacca”, sia da una rete all’altra, sia da una banca tradizionale ad una rete. Il punto di pareggio sugli investimenti effettuati dalle banche-reti per mettere dentro buoni candidati, fino ad oggi a 5 anni, verrà ridotto sensibilmente per dare stabilità ai conti economici. C’è anche da tener presente che, nei prossimi 3-4 anni, le operazioni di M&A bancario produrranno un buon numero di fuoriuscite, per cui le reti potrebbero trovarsi di fronte ad una domanda abbondante, che potrà essere intercettata da aziende come la nostra.

* Valerio Giunta, CEO Startup Italia e delegato nazionale assemblea Enasarco

Consulenti finanziari, la pandemia detta i tempi della “nuova frontiera” del recruiting

P&F ha intervistato alcuni esperti di selezione di risorse umane nel settore della Consulenza Finanziaria, per comprendere come le reti di consulenza finanziaria si stanno posizionando nell’offerta di cambiamento ai consulenti finanziari.

La pandemia ha cambiato lo stile di vita di tutti, senza distinzione di etnia, nazionalità, genere, religione, sesso e colore politico. I profondi cambiamenti dettati dall’emergenza hanno investito anche tutti i settori produttivi e professionali, sebbene in misura differente da una categoria all’altra. Una di queste è quella dei consulenti finanziari, rapidamente adattati ad una improvvisa accelerazione dei cambiamenti che avrebbero richiesto ancora qualche anno.

Consulente finanziario

Ciò si è reso possibile perché le trasformazioni avvenute nell’offerta di consulenza finanziaria e nelle modalità di relazione sono state accettate velocemente anche dagli attori della domanda, ossia gli investitori, anch’essi travolti dagli eventi.

Rimanendo all’interno della categoria, è interessante analizzare “dal di dentro” se anche l’attività di recruiting – che non si è mai fermata – si sia anche, in qualche modo, “evoluta” verso modalità differenti rispetto al periodo pre-pandemia. Per farlo, P&F ha intervistato alcuni esperti di selezione di risorse umane nel settore della Consulenza FinanziariaGiorgio Kottas, Alex Mercuri e Antonella Russo di Startup Italia – per comprendere come le reti bancarie si stanno posizionando nell’offerta di cambiamento ai consulenti finanziari. A giudicare dalle risposte ricevute, le motivazioni che spingono al cambiamento sono diverse a seconda della fascia d’età e della provenienza dal mondo bancario.

In ogni caso, è evidente che, pur crescendo il bisogno di sicurezza dei consulenti (integrazione pensionistica, protezione dagli eventi riguardanti la salute), i pacchetti offerti durante i colloqui di selezione dei candidati sono ancora troppo sbilanciati verso il bonus di ingresso, e quindi su elementi attrattivi di breve periodo.

Quali cambiamenti avete riscontrato nell’attività di recruiting dallo scoppio della pandemia ad oggi?
GIORGIO KOTTAS: Tra i cambiamenti che ho notato dopo lo scoppio della pandemia posso indicare sicuramente le modalità di incontro, effettuate sempre più spesso tramite video call. Questo mezzo ha permesso di far confrontare recruiter e reti con profili che, soprattutto nella prima fase della pandemia, non avrebbero fatto incontri.
ALEX MERCURI: Sono cambiate le modalità di incontro. Se prima tutti gli incontri si facevano dal vivo, oggi è normale fare i primi e secondi incontri via video.
ANTONELLA RUSSO:  Nel primo periodo della pandemia c’è stato un incremento degli appuntamenti dovuti all’introduzione dello strumento della video call; strumento che sarà sicuramente utile anche in futuro e che permette di trovare più facilmente un punto di incontro tra esigenze del candidato e impegni professionali del manager, portando una minore caduta degli appuntamenti stessi.

Qual è l’identikit del consulente finanziario più ricercato dalle società mandanti?
GIORGIO KOTTAS: Il candidato “ideale” ha una seniority importante in termini di fidelizzazione, anni di relazione con i clienti e proattività nella ricerca di nuovi clienti. I profili adeguati , più che in termini di masse trasferibili, devono avere determinate soft skill, in particolare la mentalità imprenditoriale e la voglia di crescere professionalmente.
ALEX MERCURI: Il consulente finanziario più ricercato è quello con masse di almeno 15/20 milioni di euro, esperienza decennale nel settore e una forte spinta allo sviluppo.
ANTONELLA RUSSO:  Il candidato ideale deve avere principalmente un nucleo di clienti fidelizzati, elevate competenze in ambito commerciale che gli permettano di continuare a sviluppare clientela nel tempo e infine ambizione e voglia di crescere e migliorarsi.

Che peso ha, nella decisione di cambiare banca, l’obiettivo di “monetizzare” in anticipo il valore del portafoglio clienti costruito negli anni, e che peso ha il progetto aziendale complessivo della nuova mandante?
GIORGIO KOTTAS: Il peso dipende dall’età anagrafica: i bancari a fine carriera vedono come obbiettivo primario nel passaggio la monetizzazione delle loro relazioni, i candidati giovani, quelli dai 35 ai 40 anni, hanno come priorità trovare un progetto di crescita professionale nella nuova realtà.
ALEX MERCURI: Penso che monetizzare sia uno dei fattori che spingono i consulenti a cambiare, soprattutto i bancari, ma non è l’unico aspetto. Un consulente che ha davanti a se ancora 20/25 anni di lavoro, valuta soprattutto il marchio e le possibilità di sviluppo all’interno dell’azienda.
ANTONELLA RUSSO:  La maggior parte dei candidati non parla subito di crescita in termini economici, dando per scontato comunque che allo sforzo conseguente un passaggio corrisponda un miglioramento economico. Ad ogni modo, tale elemento emerge velocemente nei bancari che si avviano alla fine della carriera lavorativa, che hanno un’importante esperienza alle spalle e che vantano relazioni di lungo corso, oppure nei consulenti finanziari che decidono di cambiare rete. Meno evidente invece nei dipendenti bancari più giovani, che fanno riferimento invece a progetti che gli permettano di crescere professionalmente e alla possibilità di fare consulenza in modo più autonomo, svincolandosi dalle logiche della banca.

Escludendo il bonus ed il trattamento economico riservato ai candidati, quali sono gli altri elementi più attrattivi che possono rafforzare nel consulente la scelta di un cambiamento?
GIORGIO KOTTAS: Oltre a gli economics, una spinta è data dalla maggiore autonomia lavorativa e di scelta dei prodotti e servizi in termini di consulenza verso il cliente.
ALEX MERCURI: Il marchio forte sul mercato, in primis, e poi la possibilità di poter lavorare liberamente senza spingere prodotti di casa.
ANTONELLA RUSSO: I principali elementi attrattivi sono costituiti dalla possibilità di lavorare in autonomia, senza pressioni di tipo commerciale, oppure le maggiori prospettive di crescita sia in termini di sviluppo di nuovi clienti, sia in ambito manageriale; infine, la possibilità di conciliare al meglio l’attività professionale con le esigenze private e familiari (questo è riscontrabile in particolar modo nelle donne).

Esistono aziende mandanti che inseriscono nell’offerta economica strumenti di sicurezza familiare come piani pensione o polizze sanitarie? Se sì, che tipo di strumenti vengono proposti?
GIORGIO KOTTAS: A parte le polizze sanitarie, non sono a conoscenza di proposte di altro tipo da parte delle società mandanti per le quali ho lavorato.
ALEX MERCURI: Anche io non ho notizie di bonus sotto forma di piani pensione riservati ai consulenti finanziari da includere nella nuova rete.
ANTONELLA RUSSO:  Si, le polizze sanitarie sono inserite dalla maggior parte delle società mandanti, spesso allargate anche i componenti del nucleo familiare. Per quanto riguarda le integrazioni pensionistiche, solo alcune reti prevedono dei piani di accantonamento ad hoc.

Che peso danno i consulenti finanziari alle attività di formazione proposte dalle società mandanti?
GIORGIO KOTTAS: La formazione è un aspetto della nuova rete di cui si entrerà a far parte, sempre più  richiesto da parte di consulenti.
ALEX MERCURI: Tra tutti gli aspetti che motivano un consulente a scegliere una nuova rete, non penso che quello della formazione sia determinante.
ANTONELLA RUSSO:  La formazione è un aspetto sempre più  richiesto da parte dei consulenti. Anche in questo caso, la domanda è maggiore nei giovani professionisti.

In definitiva, la pandemia sta accelerando dei cambiamenti nella struttura della domanda e dell’offerta di risorse umane nella Consulenza Finanziaria, oppure no? Se no, perché?
GIORGIO KOTTAS: La struttura della domanda e dell’offerta stanno cambiando per motivi di mercato, a causa delle aggregazioni di gruppi bancari sempre più grandi. Per le banche c’è la necessità di crescere nelle masse amministrate, e questo avviene tramite acquisizioni di piccole realtà. La pandemia ha portato ad un ritardo per alcuni progetti di aggregazione e/o acquisizione all’interno di diversi istituti, e questo può influire nel malessere di alcuni candidati che aspettavano una promozione o una crescita di ruolo.
ALEX MERCURI:  La pandemia sta mettendo alla luce alcune inefficienze del sistema bancario tradizionale, che si trova indietro rispetto alla digitalizzazione e durante i lockdown ha avuto difficoltà a seguire i clienti. Non è un caso che sia stato un anno record di raccolta per le reti. Questa inefficienza sta portando molti gestori bancari a valutare un cambiamento.
ANTONELLA RUSSO:  Sicuramente c’è stato un cambiamento nell’ultimo anno, perché da un lato le principali reti presenti sul mercato hanno accelerato la loro crescita, e dall’altro le banche hanno avuto maggiori difficoltà a portare avanti progetti e prospettive di carriera dei dipendenti. Questo ha portato ad un maggiore malessere nei dipendenti, e una maggiore apertura alla valutazione di opportunità migliorative.

Quale potrebbe essere, tra qualche anno, la nuova frontiera del recruiting per i consulenti finanziari?
GIORGIO KOTTAS: L’utilizzo di strumenti di comunicazione a distanza sarà sempre più utilizzato, ma la presenza di head hunter nel settore diventerà sempre più importante per creare relazioni di lungo termine con i candidati, sempre più ricercati da tutti i player di mercato. Sarà importante “coccolare” e seguire il candidato fin dai primi contatti, e supportarlo nelle scelte fino alla firma del nuovo mandato.
ALEX MERCURI:  Penso che nei prossimi anni potrebbe affermarsi sempre di più la figura del procuratore, una figura che conosce le offerte del mercato e che può consigliare la realtà ideale al proprio assistito.
ANTONELLA RUSSO:  L’introduzione di strumenti e progetti che supportino la crescita dei più giovani. Inoltre, l’introduzione di strumenti sia a sostegno di un passaggio dalla banca alla rete, che di sostegno familiare, possono sicuramente agevolare la scelta di un cambiamento così importante.

Reclutamento, i manager e le reti hanno perso lo stile

Il Recruitment non è una vendita, ma un processo di trasmissione al candidato dei valori aziendali, all’interno di una relazione perfettamente alla pari.

Editoriale di Alessio Cardinale*

Molti consulenti finanziari, anche durante il 2020, stanno assistendo in diretta nazionale ad una accesa competizione tra reti,  effettuata a suon di bonus di ingresso (probabilmente gli ultimi “a pioggia”, perchè la MiFID II e le trasformazioni innescate dalla pandemia di Coronavirus stanno influenzando indirettamente anche le regole di questa particolare attività di raccolta masse).

E così, molti professionisti, anche negli ultimi due mesi in cui l’emergenza ha segnato il successo di meeting e colloqui in video, hanno ricevuto una telefonata mirata a reclutarli. A chiamare, di solito, sono giovani “head-hunters” oppure, sempre più spesso, le assistenti personali dei manager, munite dello schema di domande chiuse-aperte sulla scrivania.

I cacciatori di teste, si sa, costano, e le reti da tempo hanno scaricato sui manager questa voce di spesa non indifferente (compensandola con qualche basis point di over commission in più, o con qualche promessa di carriera).

I manager che appartengono alla vecchia scuola (quelli che facevano lunghi corsi di recruiting, e poi se la cavavano da soli, con risultati visibili), arricciano un pò il naso di fronte a certi estremismi del sistema, caratterizzato oggi da molta improvvisazione e scarsa preparazione. Nel caso del reclutamento, poi, l’improvvisazione del manager poco preparato si scarica ineluttabilmente sulla propria assistente, la quale, destinata solo ad eseguire gli ordini, farà quel che può (spesso maldestramente), con risultati deludenti: decine e decine di contatti “bruciati”, e pochissimi candidati.

A qualcuno di voi, magari più attento ed esperto della materia, potrà  interessare un colloquio telefonico di questo tipo, avvenuto di recente:

  • “…buongiorno, sono la signora Anna Rossi, la chiamo da parte del manager dott. Fantastico di Migliorbancarete per fissare un incontro e farle una proposta economica… posso farle alcune domande? Sì? Bene. Da quanti anni lavora in Peggiorbanca? Da 15 o da 20? E’ iscritto all’albo?...”
  • “…signora, si chiama Organismo Unico…se lavoro da 20 anni come consulente, sarebbe piuttosto strano che non vi fossi iscritto...”
  • “…ah sì (risatina di imbarazzo). Solo un’altra domanda: ha un portafoglio clienti di almeno 15 milioni di euro?

Dopo questa illuminata domanda, le reazioni possono essere di due tipi:

A) reazione del consulente-narciso (“…sì, signora, 18,5 milioni per l’esattezza, e 182 clienti che mi amano follemente…);

B) reazione del consulente evoluto/riservato (“…chi le ha dato questa informazione, non le sembra inopportuno chiederlo al telefono…?”).

Avendo avuto una significativa formazione ed esperienza nel Reclutamento, faccio queste riflessioni:

  • il manager non chiama personalmente: non è capace di farlo?
  • forse il candidato (inconsapevole) non merita la sua attenzione?
  • se è così indaffarato da non poter fare una telefonata di recruiting, quanto tempo sarà in grado di dedicare al nuovo collega se dovesse lavorare nella sua struttura?
  • perchè chiede così brutalmente del suo portafoglio, è interessato al suo carisma ed alla sua competenza, oppure la risorsa lo interessa solo per la raccolta che sarebbe in grado di apportare?
  • perchè consente ad una collaboratrice di fare domande così riservate e personali?
  • In fondo, chi è costui, chi lo conosce?

Il dialogo non è inventato, quel tal manager e la sua assistente esistono davvero (vivono tra noi), e non sono i soli a lavorare con queste modalità. Pertanto, è lecito concludere che  esso rappresenti il canto del cigno di un business model che, avendo eliminato la figura del praticante, sta esalando l’ultimo respiro per mancanza di ricambio generazionale. Infatti, se si fosse assicurato alla professione di consulente un buon numero di giovani ingressi ogni anno, si sarebbe garantita anche una diversificazione delle strategie di Reclutamento in base all’esperienza, alla preparazione ed alla competenza (indici di qualità), e non solo in base al portafoglio complessivo ed al numero di clienti (indici di quantità). Mancando del tutto la “nuova linfa”, le reti si sono impegnate per anni ad offrire i pacchetti-bonus più esotici pur di acchiappare un buon portafoglista (le reti ed i magazine di finanza e mercati ci vanno matti, e non mancano mai di notiziare sull’argomento), e si sono concentrate esclusivamente sugli indici di quantità, con conseguenze evidenti in fatto di stile e sostanza, con buona pace del ricambio generazionale della professione.

Peraltro, questo modo di agire ha costretto le società mandanti a dover mantenere livelli di bonus molto elevati – fino al 2,5% delle masse gestite – penalizzando i propri conti economici (molte non ce l’hanno fatta a rimanere sul mercato, e sono state acquisite); altre, invece, hanno dovuto reclutare frettolosamente giovani consulenti per “ereditare” lo spezzatino dei portafogli di quelli più anziani, ormai stanchi e sulla soglia della pensione.

In definitiva, il successo nella professione è anche una questione di stile, e lo stile è lo specchio delle politiche di recruitment che il sistema richiede. Però lo stile, anche in questo periodo di declino del business model, fa ancora la differenza tra chi riesce a reclutare colleghi di valore, e chi no. Selezionare una nuova risorsa, infatti, non è la mera vendita di un premio in denaro o di provvigioni più elevate, ma un processo di trasmissione, all’interno di una relazione alla pari tra colleghi, dei valori aziendali riconosciuti dal mercato.

Il candidato non è un robot-portafoglio, ma una persona, con i suoi obiettivi e i suoi sogni, ed ogni sollecitazione in più (o qualunque forzatura commerciale) rappresenta per chi recluta l’assunzione di una maggiore responsabilità morale in caso di fallimento del consulente nella nuova struttura. Pertanto, vanno esplorati in profondità, durante il percorso di selezione, tutti gli elementi utili al candidato, al fine di costruire un’offerta condivisa e su misura.

Il valore umano viene prima di tutto, qualunque manager degno del ruolo dovrebbe saperlo. Dovrebbero saperlo anche le aziende che vogliono reclutare, perché lo stile, nell’imminente futuro, farà sempre di più la differenza.

* Consulente patrimoniale, editore e direttore editoriale di PATRIMONI&FINANZA

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