Cosa aspettarsi per il dopo elezioni Usa? L’Oro può arrivare a quota 5.000 dollari entro 24 mesi
Dollaro debole, tassi d’interesse ancora elevati rispetto al mondo occidentale e valutazioni stracciate favoriscono le asset class emergenti. L’Oro rimane ancorato a un bull market significativo.
Di Maurizio Novelli, gestore del fondo Lemanik Global Strategy
È altamente probabile che dopo le elezioni USA arriveranno i problemi. Infatti, il sistema politico è talmente polarizzato che nessun vincitore avrà la maggioranza necessaria per implementare riforme e politiche economiche risolutive. Il debito pubblico continuerà dunque a salire mentre la Fed sarà costretta a ridurre i tassi per sostenere la narrazione del soft landing. La traiettoria del debito pubblico non può essere invertita senza procurare una recessione, ma l’economia non è nella condizione di reggere una recessione senza procurare devastanti conseguenze sul debito speculativo in circolazione, che sta al 45% del Pil contro il 30% del 2007, con banche e Shadow Banking già ora in evidente difficoltà e tassi di insolvenza sul credito al consumo in netto rialzo nonostante la piena occupazione.
Per evitare la recessione, gli Stati Uniti devono continuare a fare spesa pubblica, ma riducendo i tassi si creano problemi al dollaro e ai flussi di capitale che finanziano il debito e la leva speculativa costruita su 15 anni di QE e tassi a zero. Il dollaro potrebbe dunque iniziare un ribasso significativo, procurato dalle politiche fiscali e monetarie Usa (l’Oro sale prevalentemente per questo scenario). Una discesa del dollaro innescata da queste motivazioni è abbastanza simile alle condizioni storiche che hanno portato alle sue crisi nel 1971 e nel 1986,
accompagnate da fuga di capitali dagli asset americani, vendita di Treasury da parte dei grandi investitori globali e susseguente crisi dell’economia. Quello che sembra confermare tale scenario è l’anomala debolezza del dollaro nei confronti di Euro e Renmimbi, quando Cina ed Europa sono in grande difficoltà economica e l’economia Usa sembra invece solida. La banca del Giappone ha iniziato a percepire la fragilità del sistema finanziario internazionale e ha dovuto fare retromarcia nelle intenzioni di far salire ancora i tassi. Ma nonostante la rinnovata debolezza dello yen vs dollaro emersa da tale decisione il dollaro fatica a recuperare le recenti perdite.
I costanti interventi di bail out giornalieri che sostengono la finanza americana creano problemi collaterali da tutte le parti, e in particolare alla struttura portante del sistema: dollaro e Treasuries. A un certo punto, l’America dovrà decidere se salvare il dollaro e salvare i Treasuries, oppure salvare la borsa. Per salvare il dollaro, servono politiche fiscali sostenibili, che però non sono sostenibili per Wall Street; in alternativa, si dovrebbero tenere i tassi alti per proteggere i finanziatori esteri da politiche fiscali sciagurate, ma anche questo non è sostenibile per Wall Street. In sintesi, tutto quello che si dovrebbe fare per “fare ordine in casa” non è sostenibile per Wall Street.
Per quello che si può evincere dalla storia, gli Stati Uniti hanno preferito sempre evitare politiche fiscali restrittive e sono quindi stati poi sottoposti a pesanti crisi valutarie e finanziarie. Credo che la tendenza in atto sull’Oro stia preannunciando tali eventi, anche se tutti continuano ad essere prevalentemente concentrati su quello che fa la borsa, grazie alla poderosa macchina mediatica gestita dall’industria finanziaria, che serve appunto a nascondere i fondamentali su cui è appoggiato il sistema. L’indice della borsa americana continua a rimanere un indicatore fuorviante del futuro che ci aspetta, e serve appunto ad anestetizzare la percezione del rischio di sistema e la crisi di una economia che cresce solo con l’intervento pubblico.
È evidente a tutti che gli attuali interventi di spesa pubblica per salvare l’economia dalla recessione non sono sostenibili, ma se non si dispone di alternative, essi porteranno a una inevitabile crisi sui Treasuries e sul dollaro, che sono i due principali strumenti di sostegno al debito estero americano. Del resto, la storia ci insegna che per avviare le riforme necessarie a risolvere problemi strutturali, è quasi sempre obbligatorio passare da una crisi che giustifichi tali interventi. Pertanto, mi aspetto una dinamica di accadimenti che possa seguire questa sequenza:
1) le elezioni americane non modificheranno la traiettoria del debito pubblico,
2) i mercati inizieranno quindi a creare pressioni sui Treasuries e sul dollaro,
3) tali pressioni inizieranno a contagiare i risky assets (borsa e credito).
Ciò detto, è quindi altamente probabile una recessione nel 2025, anche se i dati macro che verranno pubblicati tenderanno a smussare la caduta del Pil, come si sta facendo in Germania, in Cina e UK. Tuttavia, i consumi, i profitti delle società quotate e il mercato del lavoro evidenzieranno questo scenario, che sarà confermato anche da una inesorabile crescita delle insolvenze nel sistema a tutti i livelli, tendenza che è già in corso ora. L’aumento strutturale delle insolvenze di sistema impedirà una ripresa della circolazione del credito anche se i tassi scenderanno, poiché la propensione al rischio dei lenders rimarrà bassa a causa dei rischi di credito e per le attuali problematiche di bilancio di banche e shadow banking. L’economia continuerà a dipendere esclusivamente dalle politiche fiscali che però diventeranno man mano sempre meno sostenibili.
L’Oro rimane ancorato a un bull market significativo, sostenuto dai problemi evidenziati e dai meccanismi che i policy makers cercheranno di implementare per uscire dalla Balance Sheet Recession ed è orientato a raggiungere la valutazione di 5.000 dollari circa entro due anni. L’equity rimane largamente esposta alla contrazione dei profitti, a crisi valutarie e di debito e ad una maggiore tassazione del capitale per contenere il deficit pubblico fuori controllo. Il passaggio elettorale di novembre aprirà una fase altamente critica per l’economia mondiale e per i mercati finanziari. In caso di crisi finanziaria la Fed sarà costretta ad avviare un altro QE di importo almeno pari a 8/10 trilioni di dollari (la cifra è calcolata in base all’attuale debito pubblico e privato circolante, decisamente superiore al 2008). Questo porterebbe il bilancio Fed a 15/17 Trilioni di dollari (75% del Pil) con evidenti ripercussioni per il ruolo del dollaro come divisa di riserva e gli equilibri valutari mondiali.
Le economie dei paesi emergenti sono meglio posizionate per gestire uno scenario di stagnazione globale, perché hanno un potenziale di domanda interna ancora inespresso, una demografia favorevole e una posizione fiscale migliore. Sebbene inizialmente subiranno il contraccolpo di un calo della domanda globale e dell’export, l’eventuale impatto negativo costituisce una buy opportunity. Dollaro debole, tassi d’interesse ancora elevati rispetto al mondo occidentale e valutazioni stracciate favoriscono le asset class emergenti nel medio e lungo periodo.