Economia USA, la recessione non si può escludere. Servirà uno stimolo fiscale
Nonostante le crepe nell’economia statunitense, la Fed non interviene sui tassi per paura di una seconda ondata di inflazione. L’unica ancora di salvezza sarebbe uno stimolo fiscale del governo.
Di Alberto Conca, gestore Zest Asset management Sicav e responsabile investimenti Lfg+Zest
Se i mercati finanziari (cioè il consenso) credono in un soft landing, allora si potrebbe concludere che quest’ultimo è l’esito più probabile. Tuttavia, i dati economici recenti suggeriscono che si stanno formando delle crepe nell’economia statunitense, in particolare tra i consumatori a basso reddito, all’interno del mercato del lavoro e in alcune aree del mercato immobiliare.
Il fatto che per più di due anni, da quel marzo 2022 in cui la Federal Reserve ha aumentato per la prima volta i tassi di interesse, l’economia Usa sia andata bene nonostante l’aumento dei tassi di interesse, non significa che non si rischi una recessione. Certo non è detto che un’economia cada sempre in recessione se i tassi di interesse rimangono a livelli elevati per un periodo prolungato. Tuttavia, le probabilità non sono a nostro favore e il secondo trimestre 2024 ha fornito poche prove che questa volta potrebbe essere diverso, nonostante gli ottimi risultati dei mercati finanziari che potrebbero indurci a pensarla in altro modo.
L’esaurimento del risparmio in eccesso delle famiglie statunitensi costringerà i consumatori a risparmiare di più, in un momento in cui la crescita dei salari si sta normalizzando e la disponibilità di credito è limitata da standard di prestito più rigidi da parte delle banche, con conseguente riduzione dei consumi. Il risultato è che la crescita delle vendite reali al dettaglio è negativa da tempo, mentre i tassi di insolvenza sui debiti delle famiglie sono in aumento e potrebbero raggiungere un livello preoccupante entro l’autunno. D’altra parte, la fascia più alta della popolazione, in termini di reddito, che rappresenta il 40% della spesa discrezionale, sta continuando a spendere, ma non si sa quanta domanda repressa rimanga. Inoltre, la sua propensione marginale al consumo è bassa. Finché i tassi d’interesse rimarranno elevati, ci aspettiamo che i consumatori congelino la loro volontà di spesa.
L’aumento dei tassi di interesse ha effetti negativi anche sul mercato immobiliare, che presenta evidenze contraddittorie: nelle case monofamiliari continua a esserci carenza di offerta, mentre vi è eccesso nel mercato multifamiliare, il quale sta portando a un rallentamento delle vendite. Inoltre, molti proprietari non sono disposti a cambiare casa perché ciò comporterebbe la stipulazione di un nuovo mutuo molto più costoso. Poiché il mercato immobiliare rappresenta una grande fonte di crescita economica, ci aspettiamo che l’attuale rallentamento abbia effetti rilevanti sull’economia, a partire dal mercato del lavoro.
In effetti, l’ultimo trimestre ci ha suggerito che il mercato del lavoro ha iniziato a raffreddarsi. Il tasso di disoccupazione è passato dal minimo del 3,4% di gennaio 2023 al 4,1% di giugno di quest’anno. Il dato più preoccupante è che negli ultimi tre mesi è aumentato costantemente (dal 3,8% al 4,1%). Contemporaneamente, il numero di lavoratori temporanei sta crollando. Perché è importante? Perché le aziende tendono a licenziare i lavoratori part-time prima di iniziare a tagliare i dipendenti a tempo pieno. La storia dimostra che quando il tasso di disoccupazione inizia a salire, tende ad auto-alimentarsi, poiché la perdita di posti di lavoro porta a una riduzione dei consumi, che a sua volta porta a un’ulteriore perdita di posti di lavoro. Una conferma del deterioramento del mercato del lavoro viene anche dal lato della domanda: il numero recente di nuove assunzioni è stato scarso, se si escludono quelle effettuate negli uffici pubblici e nel settore sanitario. Allo stesso modo, il tasso di apertura dei posti di lavoro puntano tutti nella stessa, cupa direzione.
Raffreddamento dei consumi, allargamento delle crepe nel mercato immobiliare e indebolimento del mercato del lavoro: ci sono tutti gli ingredienti necessari perché la Fed inizi a tagliare i tassi in modo aggressivo. Eppure, la banca centrale esita. L’origine di questa impasse è ancora una volta il timore che un taglio dei tassi troppo precoce possa scatenare una seconda ondata di inflazione. Mentre anni di inflazione contenuta hanno compensato i picchi registrati nel recente passato, ora siamo tornati al trend di lungo periodo e quindi un’inflazione superiore alla media rischierebbe di disancorare le aspettative a lungo termine, con lo spettro degli anni ’70 che aleggia tra le mura del Marriner S. Eccles Building. La buona notizia è che l’inflazione, dopo un inizio d’anno sorprendentemente forte, sta ora regredendo inesorabilmente verso l’obiettivo della Fed. Rispetto al trimestre precedente, siamo più fiduciosi che i prezzi continueranno a scendere nei prossimi mesi, poiché le variabili di “catch-up” stanno per entrare in gioco. Ad esempio, il tasso di crescita degli affitti dei nuovi inquilini è quasi nullo, il che ridurrà il tasso di crescita medio degli affitti, poiché i contratti esistenti che scadono vengono rinnovati a prezzi più bassi.
Purtroppo, le buone notizie finiscono qui. Una recessione non è un evento a probabilità zero. Sebbene non ci aspettiamo qualcosa di simile a quello verificatosi durante la grande crisi finanziaria, il nostro orientamento è in netto contrasto con il crescente ottimismo dei principali Ceo sulla possibilità di evitare una recessione. Con un’economia in rallentamento e la Fed incapace di tagliare in modo aggressivo, l’unica ancora di salvezza in circolazione è uno stimolo fiscale da parte del governo. Tuttavia, considerando lo stato (delicato?) del bilancio pubblico statunitense, è altamente improbabile che possa essere implementato. Piuttosto, è probabile che la necessità di ridurre il deficit di bilancio diventi un detrattore della crescita economica in futuro.