Gennaio 19, 2025

Trump vs Harris: il mondo attende mentre l’economia Usa segue il suo sentiero

Economia USA: i singoli numeri non sono allarmanti, ma persiste preoccupazione dal punto di vista macroeconomico. Nel frattempo la Bce taglia di nuovo i tassi.

di David Pascucci, analista dei mercati di XTB

A pochi giorni dal primo dibattito pubblico tra Kamala Harris e Donald Trump, durante il quale i due candidati alla presidenza degli Usa hanno tenuto un confronto di circa 1 ora e 45 minuti, si sono affrontati vari temi, soprattutto quelli relativi a geopolitica ed economia.  In sintesi, si parte subito con il dibattito economico, tema molto caro agli americani, con la Harris che promette sgravi fiscali per le piccole imprese mentre Trump ribatte parlando della attuale situazione definita come “disastrosa” per via dell’inflazione. Harris afferma di avere un piano per la classe media e in generale per la “working class” parlando di “economia delle opportunità” mentre Trump ribatte a questa affermazione accusando l’attuale governo di essere stato “disastroso” per tutte le classi.

La Harris accusa Trump di aver lasciato l’economia Usa con la disoccupazione più alta dalla grande depressione del 1929, Trump ribatte dicendo che ha creato una delle economie più forti anche grazie ai dazi nei confronti della Cina. Sul tema geopolitico Trump afferma che con lui alla presidenza finirà la guerra tra Russia e Ucraina, nel mentre la Harris afferma che con lui alla presidenza avremmo avuto Putin a Kiev con gli occhi puntati verso l’Europa. Un dibattito alquanto inconsistente dal punto di vista dell’economia, con pochi punti chiari da ambo le parti e senza alcun punto forte e presa di posizione nei confronti dell’attuale situazione economica.

La situazione economica degli Usa, per quanto i numeri presi singolarmente non siano eccessivamente allarmanti, risulta preoccupante da un punto di vista macroeconomico. La disoccupazione non é alta, si trova poco sopra il 4%, ma di fatto la tendenza al rialzo sembra essere segnata e quando vediamo una disoccupazione al rialzo con questi ritmi, non abbiamo visto di certo un’espansione economica, anzi, abbiamo sempre assistito ad un rallentamento. Il rallentamento del mercato del lavoro viene confermato dal ribasso dell’inflazione, spinto solitamente da un calo della domanda, mentre da un punto di vista della gestione delle politiche monetarie, la Fed dovrà attuare un ciclo di taglio dei tassi qualora dovesse peggiorare il mercato del lavoro, evento che è già sotto gli occhi di tutti.  

Al momento, vedendo le correlazioni macroeconomiche principali, il prossimo presidente avrà a che fare una situazione alquanto delicata che ricorda le stesse condizioni viste tra il 2000 e il 2003 e tra il 2007 e il 2009, ossia tassi alti, inflazione al di sopra del target e disoccupazione sui minimi in via di peggioramento, condizioni che hanno portato ad un epilogo tutt’altro che roseo sui mercati azionari. Il futuro esito delle elezioni non potrà quindi fermare quelle che sono le leggi macroeconomiche, forze inarrestabili nel momento in cui iniziano a intraprendere una direzione ben precisa. Ricordiamo che le decisioni in merito alle politiche monetarie, o a politiche fiscali, hanno un impatto sull’economia solamente dopo che il quadro macro si é assestato sulle sue regole fondamentali.  

Il mercato del lavoro è al momento al centro dell’attenzione degli operatori di mercato, un mercato del lavoro che è precario a livello globale, questo per via del forte aumento dei tassi di interesse su scala globale, condizione essenziale per una diminuzione di quell’inflazione che è andata sui massimi storici circa 2 anni fa. Il rallentamento attuale sembra essere inevitabile, il mercato del lavoro sarà il primo vero compito da svolgere per il nuovo presidente degli Usa, un compito non facile considerando la grandezza imponente di questa variabile economica fondamentale.

Nel frattempo, la Bce ha portato i tassi di interesse dal 4,25% al 4%, un taglio già ampiamente previsto dagli operatori che di certo non rimangono sorpresi da questa decisione piú che doverosa. Con un’inflazione al 2,2%, quindi vicina al target, questo dovrebbe essere uno dei tanti tagli che vedremo nel corso dei prossimi mesi. L’entitá dei prossimi tagli sará strettamente dipendente dall’andamento dell’inflazione, giá al 2,2% e dall’andamento del tasso di disoccupazione che potrebbe essere determinante cosí come lo é per l’economia Usa. Qualora l’economia dovesse rallentare in modo vistoso, come stiamo vedendo in Germania, il ritmo dei tagli potrebbe diventare ancor piú aggressivo.

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