Ottobre 12, 2025
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Coronavirus, la scelta del vaccino vince su quella della terapia. Le teorie complottiste alla prova dei costi

Perché si è preferito concentrare gli sforzi sulla ricerca del vaccino, lasciando scoperta lo studio di un trattamento farmacologico specifico? E’ un quesito suggestivo, che merita una analisi puntuale e obiettiva dei costi e delle priorità. Con buona pace dei “teorici del complotto”.

I numerosi progetti di laboratorio per la preparazione di vaccini contro il virus SARS-CoV-2 vengono coordinati, a livello internazionale, dalla Coalition for Epidemic Preparedness and Innovations (CEPI), che ha lo scopo di promuovere lo sviluppo  di vaccini contro i microorganismi come il c.d. Covid-19, in grado di causare una pandemia o epidemie a carattere regionale e diffuso. I preparati di Pfizer, Moderna e Astrazeneca, pertanto, sono i primi – o i più celebri, da questa parte del mondo – ad aver tagliato il traguardo degli esperimenti sugli esseri umani e ad essere commercializzati e distribuiti. Ma altri seguiranno, spinti da un business prospettico di tutto rispetto e dall’esigenza di coprire i costi di ricerca sostenuti, soprattutto se la copertura dei vaccini sul corpo umano sarà limitata ad un periodo di protezione limitato nel tempo (generalmente compreso tra 4 e 8 mesi) e, quindi, se la vaccinazione dovrà essere ripetuta ogni anno.

Attualmente, i ricercatori stanno lavorando su tre tipologie di vaccini, quello a RNA, quello a DNA e quello Proteico. Il vaccino a RNA (da RiboNucleic Acid, Acido Ribonucleico) si basa su una sequenza di RNA sintetizzata in laboratorio che, una volta iniettata nell’organismo umano, induce le cellule a produrre una proteina simile a quella verso cui si vuole indurre la risposta immunitaria, producendo così gli anticorpi attivi contro il virus. Il vaccino a DNA (da DeoxyriboNucleic Acid, Acido Desossiribonucleico) ha un meccanismo simile a quello con RNA, dal momento che viene introdotto un frammento di DNA sintetizzato in laboratorio in grado d’indurre le cellule a sintetizzare una proteina simile a quella verso cui si vuole indurre la  risposta immunitaria. Il vaccino proteico, infine, utilizza in laboratorio la sequenza RNA del virus per sintetizzare proteine o frammenti di proteine dal capside virale, iniettandole successivamente nell’organismo umano in combinazione con sostanze che esaltano la risposta immunitaria.

La comunicazione dei media mondiali, fino ad oggi, è stata concorde nell’imputare ai vaccini il ruolo di “salvatori del mondo”, generando in tutti i paesi della Terra la sensazione – e la convinzione – che, una volta trovato il vaccino, il Covid sparirà. Ma è proprio così?

Non esattamente. Innanzitutto, per far sì che il vaccino (o i vaccini) determinino la scomparsa del virus, sarà necessario raggiungere l’immunità di gregge, e per farlo serve una copertura compresa tra il 70% e l’85% dell’intera popolazione di un paese (bambini inclusi). Impresa quasi impossibile, soprattutto se consideriamo la naturale dispersione che deriva dal dover iniettare due dosi di vaccino a testa a distanza di qualche giorno. Solo in Italia, per fare un esempio, si tratterebbe di 45 milioni di persone, e prima di avere in stock 90 milioni di dosi (45 x 2 volte) ci vorranno molti mesi e, probabilmente, altri periodi di lockdown e colorature di cartina geografica.

Allo stato attuale, quindi, possiamo ipotizzare di arrivare all’immunità di gregge in Europa non prima del 2022, mentre in USA le previsioni di un maggiore sforzo distributivo indicano in Luglio-Agosto 2021 il raggiungimento di questo traguardo. Da qui alla fine del prossimo anno, pertanto, è ipotizzabile che la curva dei contagi verrà sottoposta ad altre “ondate”, ed il mondo – sia quello c.d. occidentale che tutto il resto – conterà altri morti, dal momento che un protocollo di cura unico ancora non esiste.

Già, la cura. E’ lecito chiedersi perché non siano stati fatti passi avanti verso la scoperta di una terapia risolutiva per tutti, e si sia preferito concentrare gli sforzi verso il vaccino il quale, normalmente, necessiterebbe di una attività di ricerca lunga da 4 a 5 anni.  Ci si chiede, senza scadere nello sterile complottismo cui certi ambienti sono piuttosto avvezzi, se sia stata effettivamente ponderata la scelta di concentrare gli sforzi sul vaccino e non sul farmaco.

Probabilmente, la strada del vaccino si è rivelata più efficace per via dell’abbattimento dei tempi di ricerca, sperimentazione e distribuzione (da 60 a 15-16 mesi), e per via di una migliore organizzazione scientifica grazie alla quale la Ricerca sui vaccini aveva maggiori chance di successo, a differenza di quella del farmaco (che partiva quasi da zero, come vedremo in seguito).

Infatti, le terapie farmacologiche usate oggi per combattere il Covid sono “non specifiche”, e vengono somministrate in una combinazione di specialità proprie di altre patologie prima di ottenere dei risultati che, purtroppo, non sono ancora pienamente risolutivi, soprattutto nei casi più gravi. La Ricerca, già da qualche mese, si sta concentrando su un’altra classe di farmaci, già esistenti ma finora poco noti, che agisce per placare le infiammazioni “fuori controllo” – come è quella scatenata dal Covid-19 – e che lavora direttamente sul c.d. “Sistema del Complemento”, e cioè su un elemento del sistema immunitario, costituito da circa 30 proteine che circolano nel sangue, che gioca un ruolo fondamentale nella protezione contro le infezioni, uccidendo i batteri e avvertendo le cellule del sistema immunitario di entrare in azione.

In parole semplici, il Sistema del Complemento entra in azione quando è necessario sconfiggere un’infiammazione, e “si spegne” una volta che l’infezione è stata affrontata. Esistono casi, però, in cui il Complemento “non si spegne”, e dà vita ad una reazione a catena che sfugge al controllo, come nella Sepsi (la più famigerata Setticemia), causata da un’eccessiva risposta infiammatoria del Sistema. Ed è esattamente ciò che sembra avvenire anche nei casi più gravi di Covid-19, dove i casi più severi sono, appunto, causati dall’azione anti-infiammatoria del Sistema del Complemento andato fuori controllo. Pertanto, trovare un farmaco in grado di bloccare a piacimento l’azione del Complemento potrebbe essere un trattamento efficace per guarire i pazienti gravi di Covid-19.

C’è da dire che il Sistema del Complemento è un elemento fondamentale della nostra difesa contro tutti i batteri, per cui bloccare la sua azione potrebbe provocare il rischio di contrarre altre infezioni. Ma anche questo rischio potrebbe essere agevolmente gestito, associando una terapia antibiotica alla somministrazione dei farmaci inibitori del Complemento.

I farmaci appartenenti a questa classe – come dicevamo – esistono già, ma hanno costi altissimi, in quanto destinati alla cura di malattie rarissime e, quindi, generalmente a carico dello Stato (c.d. cura compassionevole, molto utilizzata in Italia). Quello dei costi insostenibili per una famiglia è certamente un altro dei motivi che dovrebbe scoraggiare i professionisti del complotto sanitario dal continuare a sostenere che si sia preferito impegnarsi nel vaccino per motivi di cartello, “perché i farmaci costano di meno”. Infatti, una singola dose del farmaco inibitore Ravulizumab (distribuito sotto il nome di Ultomiris), ad esempio, costa circa 5.400 euro, e siccome la sua azione è pari ad un mese, potrebbero essere necessarie due dosi, con un costo a paziente pari a quasi 11.000 euro interamente a carico dello Stato. Il vaccino, invece, costerà intorno ai 20 euro, rappresenta un costo più che sostenibile e sarà a carico dei pazienti.

Peraltro, i farmaci inibitori del Complemento sarebbero efficaci solo contro i casi gravi di Covid, mentre per i casi lievi rischierebbero di causare una eccessiva risposta immunitaria e, quindi, una infezione settica anche letale.

Il risultato, in sintesi, è che per la maggioranza dei pazienti affetti da Coronavirus – quelli non gravi – il farmaco specifico è ancora allo stadio di pura ipotesi, ed anche le molecole attualmente allo studio richiedono comunque almeno due anni di analisi di laboratorio e sperimentazione. Pertanto, la scoperta di una terapia specifica per il Covid avrebbe richiesto complessivamente più tempo del vaccino, con buona pace dei teorici del complotto.

In aumento chi può spendere oltre 250.000 euro per la casa. Ecco quanto costa costruire una villetta singola

La pandemia ha fatto riavvicinare i potenziali acquirenti di case alle zone di campagna limitrofe alle grandi città, rivelando la tendenza ad un aumento di quanti detengono una disponibilità di spesa compresa tra 250.000 e 350.000 euro. La soluzione abitativa indipendente o semi-indipendente, per costoro, è diventata la priorità.

A seguito dello scoppio della pandemia, come sappiamo, le motivazioni di acquisto degli immobili sono profondamente mutate, determinando un punto di svolta del mercato immobiliare al quale operatori ed investitori si sono dovuti adeguare rapidamente. In relazione alle somme da destinare all’acquisto della casa, grazie ai dati disponibili (Ufficio Studi Tecnocasa, dati a Luglio 2020) oggi possiamo analizzare il trend attuale sulle varie fasce di disponibilità economica dei potenziali acquirenti. La maggiore concentrazione, come nelle previsioni, si rileva ancora nella fascia più bassa, fino a 119 mila € (26,0%). Segue con il 23,2% la fascia tra 120 e 169 mila € e con il 22,1% il range compreso tra 170 a 249 mila €.

In particolare, si registra un aumento della percentuale di chi desidera spendere più di 250 mila € a Roma e Milano, dove la maggioranza delle richieste riguarda immobili dal valore compreso tra 250 e 349 mila € (24,4% per Roma e 25,2% per Milano). 

Scendendo lungo lo Stivale, Firenze e Bari vedono una maggiore concentrazione nella fascia compresa tra 170 e 249 mila € (rispettivamente con 35,4% e 29,2%), mentre a Bologna e Verona incide maggiormente la fascia di spesa compresa tra 120 e 169 mila € (29,3% e 30,9%).

Invece nelle altre grandi città – ossia Genova, Napoli, Palermo e Torino – la disponibilità di spesa resta concentrata nella fascia di spesa inferiore a 120 mila €.

Partiamo col dire che costruire una casa non è uguale, per impegno, tempi di attesa e stress, a ristrutturare un appartamento in città. Infatti, le spese da sostenere per il progetto, i materiali, le finiture e lo stile, la distribuzione delle camere e degli ambienti, si affiancano a quelle necessarie per i permessi e la documentazione necessaria da inoltrare alle autorità competenti per territorio. Inoltre, le relazioni con le ditte che si occupano di edificare, nonché quelli con i fornitori, rappresentano sempre una occasione di fisiologiche incomprensioni e malintesi che finiscono per essere piuttosto costosi in termini economici. Per questo, nel caso si voglia optare per costruire la propria casa, è fondamentale assumere un professionista indipendente dalla ditta, di vostra fiducia, che segua i lavori e li faccia eseguire in maniera rispondente ai vostri desideri ed al preventivo (salvo i classici imprevisti, quasi sempre da conteggiare e di cui spesso nessuno ha colpa).

Detto questo, proviamo a calcolare quali sono i costi per realizzare da zero una casa in muratura (al netto del costo di acquisto del terreno, per il momento), servendoci di una simulazione ben dettagliata basata sull’esempio di una casa di 100 mq a piano con giardino, affidandoci al costo per metro cubo anziché a quello per metro quadrato (quest’ultimo troppo variabile per dare una indicazione attendibile).

Procedendo in senso inverso, e cioè arrivando prima alle conclusioni e analizzando successivamente i parametri e le singole voci di costo, la spesa complessiva necessaria per la costruzione di una villetta di 100 mq a singolo piano oscilla tra 180.000 e 300.000 euro, mentre quella relativa alla stessa costruzione su un solo piano da 100 mq varia dai 90.000 euro ai 150.000 euro. A questi dati si arriva assumendo i seguenti parametri di calcolo: un’altezza media di 3,0 m per piano, un prezzo al mc di costruzione oscillante dai 300 euro ai 500 euro, e quindi una cubatura complessiva rispettivamente di 600 mc (100 mq x 2 piani x 3,0 m di altezza) e di 300 mc (100 mq x 1 piano x 3,0 m di altezza).

Limitandoci a questa analisi, però, rimaniamo troppo “in superficie”, e rischiamo di non informare a sufficienza chi volesse imbarcarsi nell’impresa. E’ necessario, cioè, conoscere le singole voci del c.d. capitolato di spesa, per comprendere con quanti attori (professionisti, maestranze e ditte fornitrici) entreremo in stretta relazione per un vero e proprio “periodo di passione”. Ci viene in aiuto, in tal senso, la tabella dettagliata descritta nell’immagine.

Operativamente, prima di iniziare i lavori per costruire da zero una casa singola, dobbiamo considerare tre voci di costo: l’acquisto del terreno edificabile, la stesura del progetto e gli oneri comunali per il permesso di costruire. Relativamente al terreno edificabile, è importantissimo conoscere il suo coefficiente di edificabilità: più alto è il coefficiente, minore dovrà essere l’estensione del terreno sul quale costruire. Assumendo come esempio una estensione del terreno pari al classico lotto di 1.000 mq, nei due esempi considerati – villetta da 100 mq su un piano o su due piani sopra terra – il coefficiente di edificabilità dovrà essere pari rispettivamente a 0,30 (un piano) e 0,60 (due piani). Allo stesso risultato si giungerebbe qualora il coefficiente di edificabilità fosse inferiore (es. 0,20), ma il lotto di terreno edificabile fosse pari a 3.000 mq (per costruire due piani) o a 1.500 mq (sufficienti per costruire un solo piano).

Il costo del terreno edificabile, naturalmente, varia di zona in zona e da tanti altri fattori. Un terreno edificabile nelle zone immediatamente limitrofe alle grandi città (come Roma o Milano) costa molto di più di altre, e dipende anche dalla vicinanza dei mezzi di trasporto pubblico e dalla presenza di centri commerciali e scuole. In media, si può ipotizzare che i costi per un terreno edificabile partano da 150 euro al mq in su. l progetti edilizi, inoltre, deve contenere tutti i calcoli richiesti per realizzare la casa, il piano della sicurezza del cantiere e tutte le informazioni necessarie al comune per approvare il lavoro.

Il costo di un professionista (architetto, geometra o ingegnere) per realizzare il progetto è pari a circa il 3% della spesa complessiva per i lavori (da 5.000 a 10.000 euro), mentre per il fondamentale ruolo (per il vostro stress) di direttore dei lavori – che peraltro è obbligatorio – dovete calcolare il 5% circa del costo totale del lavoro (ossia da 7.500 a 12.500 euro), sebbene in molte regioni italiane i prezzi per questo tipo di consulenze sono più bassi anche del 30%, così come il costo delle maestranze, determinando una notevole riduzione del costo di costruzione complessivo a parità di qualità.

Per ottenere il permesso di costruire bisogna pagare il contributo di concessione ai sensi del D.M. 9 maggio 1978, nonché gli oneri di urbanizzazione. Il calcolo di oneri e contributi viene effettuato rispettivamente sulla base dei metri cubi e sulla base dei metri quadri, ma nel calcolo dei secondi rientrano anche altre caratteristiche della casa da costruire (come la sua classe energetica, che deve essere certificata). 

Per farla breve, è possibile stimare in una cifra oscillante tra 5.000 e 8.000 euro il costo per ottenere il permesso di costruire una villetta di 100 mq con giardino.

Su tutto, una volta presa la decisione ed elaborato il progetto, bisogna anche impegnarsi a risparmiare sulle forniture. Per farlo, è fondamentale farsi guidare dalla ditta di costruzione per la scelta dei materiali al miglior prezzo. Infatti, le imprese edili conoscono dove poter comprare materiali di ottime qualità a prezzi competitivi, come i blocchi di fine stock, per ridurre il costo del materiale senza scadere nella bassa qualità.