Settembre 19, 2025
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Trend compravendite immobiliari in Italia. Analisi per province e regioni

Diversi fattori incidono sull’andamento delle compravendite di immobili nel nostro paese. Ecco il trend a febbraio 2021, verificato su base regionale grazie ai dati analizzati da caseinvendita360.com.

L’attuale trend delle compravendite immobiliari non dipende esclusivamente la legge della domanda e offerta, ma anche diversi fattori esogeni strettamente legati allo stato di salute economiche delle singole aree geografiche da analizzare. L’andamento di mercato del mese di febbraio 2021 mostra un aumento dei prezzi delle case diffuso in diverse regioni e province dal Nord fino al Sud Italia. In misura minore, altre province registrano un trend leggermente negativo.

Prendendo a modello di analisi un appartamento di 50 metri quadrati, nel Nord Italia spicca la provincia di Belluno con un +6,54% ed un prezzo medio di vendita pari a 70.241 euro. Poi Milano, con un +4,16% ed prezzo medio di vendita pari a 216.521 euro.

Nel Centro Italia, invece, le più alte percentuali d’aumento dei prezzi si sono evidenziate nella provincia di Isernia (+8,94%, prezzo medio di vendita pari a 51.626 euro), Pescara (+6,34%, prezzo medio di vendita pari a 97.195 euro), Perugia (+4,80%, prezzo medio di vendita pari a 65.752 euro), Macerata (+4,79%, prezzo medio di vendita pari a 65,745 euro) e Oristano (+3,72%, prezzo medio di vendita pari a 71.264 euro).

Infine, per quanto riguarda le regioni del Sud Italia bisogna fare particolare attenzione alla Campania, che vede sia Napoli (+4,26%, prezzo medio di vendita pari a 136.908 euro) che Caserta (+3,66%, prezzo medio di vendita pari a 79.926 euro) sugli scudi.

La crisi da Covid-19 ha certamente avuto il suo impatto negativo, anche nel mese di Febbraio, sul mercato immobiliare di alcune province. Fattori esogeni, come la crisi a livello economico e lavorativo, ha determinato una flessione dei prezzi e una restrizione dell’accesso ai mutui.

Su tutto, le aree in cui si è registrata una diminuzione dei prezzi sono quelle in cui l’offerta è talmente abbondante rispetto alla domanda da annullare l’effetto positivo della riorganizzazione economica del tessuto produttivo delle regioni interessate e dalla ripresa delle attività.

Considerando questi fattori, nel Nord Italia si distinguono Cuneo, che segna un -7,38% e ha un prezzo medio di vendita pari a 90.789 euro; Bologna, con un trend negativo del -2,39% e un prezzo medio di vendita pari a 154.380 euro; Genova, con una riduzione percentuale pari al -1,72% e un prezzo medio di vendita pari a 84.509 euro.

Nel Centro Italia, troviamo una forte diminuzione della percentuale dei prezzi ad Ancona, che segna un -6,70% con un prezzo medio di vendita pari a 79.703 euro; Latina, con una riduzione di -2,53% e un prezzo medio di vendita pari a 91.503 euro; Sassari, che segna un -5,50% e un prezzo medio di vendita pari a 57.664 euro.

Infine, nel Sud Italia il trend negativo è stato più contenuto: Ragusa (-2,53%, prezzo medio di vendita pari a 57.664 euro); Agrigento (-1,92%, prezzo medio di vendita pari a 50.854 euro); Siracusa (-1,92%, prezzo medio di vendita pari a 56.047 euro).

In alcune regioni dove si è registrato un trend negativo, il mercato immobiliare ha visto una diminuzione dei prezzi anche a fronte della scelta di aumentare i risparmi mobiliari, trainati dall’incertezza che si sta vivendo. In altre regioni, invece, questo effetto è stato più contenuto; come in Friuli-Venezia Giulia, dove l’aumento percentuale dei prezzi è stato del 19,58%, con un costo medio per un appartamento di 50 mq pari a 84.328 euro. Al contrario, il trend ribassista ha colpito più duramente la Basilicata, che segna a febbraio 2021 un -9,54%, con un prezzo medio per unità immobiliare (50 mq) pari a 64.332 euro.

Relativamente alle altre regioni, l’andamento dei prezzi – sia la rialzo che al ribasso – si è manifestato con valori più contenuti:

– +4,16% in Lombardia, con un prezzo medio di 216.521 euro;
– +0,15% in Piemonte, con un prezzo medio di 91.999 euro;
– +0,68% in Toscana, con un prezzo medio di 138.465 euro;
– +0,65% in Valle D’Aosta,  con un prezzo medio di 111.971 euro; 
– +0,39% in Trentino Alto Adige, con un prezzo medio di 137.542 euro;
– -0,82% in Emilia Romagna , con un prezzo medio di 76.874 euro;
– -1,72% in Liguria, con prezzo medio di 84.509 euro;
– -0.98% in Veneto, con un prezzo medio pari a 55.786 euro.
– -6,70% nelle Marche, con un costo medio di 79,703 euro;
– -0,95% in Sardegna, con un costo medio di 106.756 euro;
– +0,70% in Umbria, con un prezzo medio di 63.411 euro;
– +3,57% in Molise, con un prezzo medio di 62,688 euro;
– -2,08% in Calabria, con un costo medio di 44.113 euro;
– -0,28% in Campania, con un costo medio di 101.645 euro;
– +0,67% in Puglia, con un costo medio di 98.578 euro;
– +1,06% in Sicilia, con un costo medio di 68.128 euro.

Da Milano a Palermo, solo andata. Un “Piano Marshall” per la consulenza finanziaria nel Sud Italia

Molti capitani d’industria e tantissimi top manager, dall’alto delle loro posizioni apicali, non hanno avuto (o piuttosto non hanno voluto avere) una visione  di crescita del Sud Italia, e tale mancanza di prospettiva si è trasmessa, con  uguale miopia, anche nel settore della Consulenza Finanziaria.

Di Maurizio Nicosia*

Scorrendo i recenti dati Assoreti sulla raccolta delle reti di consulenza finanziaria, sempre in brillante crescita, non ho potuto fare a meno di confrontare i dati della Lombardia con quelli della mia regione, ossia la Sicilia. Naturalmente, non mi aspettavo di trovare risposte diverse da quelle che già immaginavo, e cioè che le differenze di produttività tra le regioni del Nord Italia e quelle del Sud – ed in particolare la Sicilia – sono lo specchio esatto di due diverse economie che convivono nello stesso Paese da oltre un secolo e mezzo.

In particolare, le stime di Banca D’Italia ci dicono che la raccolta delle famiglie nella sola Lombardia è pari a 430 mld, mentre in Sicilia è di soli 70 mld, ossia circa un sesto. Partendo da questo dato, sapere che i consulenti finanziari siciliani, con i loro 13,7 mln di raccolta pro-capite, amministrano un terzo rispetto ai colleghi lombardi (39 milioni pro capite), sembra un risultato buono, oltre ogni aspettativa.

In realtà, analizzando con attenzione i dati, la situazione appare molto diversa.

In Lombardia, 4200 consulenti dividono un mercato fatto da 10 milioni di clienti con 42 mila euro di depositi pro capite, in Sicilia 1000 consulenti fanno lo stesso con un mercato da 5 milioni di clienti e con 15 mila euro di depositi pro capite. Ne consegue che il mercato medio potenziale pro capite di un consulente milanese è pari a 100 milioni [(10.000.000 x 42.000): 4.200], mentre quello di un consulente siciliano è di 75 milioni [(5.000.000 x 15.000): 1.000], e cioè il 75% di quello del collega lombardo.

Inoltre, se consideriamo gli attuali dati di portafoglio medio per consulente come una sorta di “coefficiente di penetrazione” del mercato bancario tradizionale, risalta all’attenzione che il collega milanese – o bresciano, bergamasco, fate voi – ha già in mano circa il 40% del mercato potenziale, mentre quello siciliano il 18%, e se analizziamo i dati del Sud Italia regione per regione, la situazione cambia poco. Quest’ultimo dato ci dà l’idea, in maniera ancora più chiara, del margine di miglioramento del professionista che opera nel Sud Italia, ma è bene farci delle domande sul perché esiste una differenza così marcata nella raccolta.

Le risposte sono tante e variegate. La prima deriva da un fattore culturale, in base al quale il cliente siciliano preferisce ancora una relazione primaria con il costoso ed obsoleto sportello tradizionale, probabilmente per via della percezione di un vantaggio – del tutto istintivo e consuetudinario – generato dal contatto visivo di un operatore sempre pronto, anche senza preavviso, ogni volta che si vuole.

La seconda risposta è dettata dal patrimonio medio familiare, nel senso che è più facile gestire meno clienti (ossia meno relazioni, telefonate, problemi da risolvere etc) ma con più risorse, anzichè il contrario.

La terza risposta la ricaviamo dalla mentalità dei clienti, poiché la vera linfa del settore, negli ultimi anni, è stata generata dall’inserimento dei bancari, il cui basso spirito di iniziativa imprenditoriale – non è un problema di capacità personali, ma una difficoltà indotta dal precedente approccio lavorativo – ha un po’ tarpato le ali alla crescita ed al ricambio del consulente-imprenditore di una volta.

Su tutto, esiste la grande colpa di chi, nelle posizioni apicali del sistema, non ha avuto (o non ha voluto avere) una “visione” di crescita del Sud Italia, e tale mancanza di prospettiva ha trasmesso uguale miopia anche nel settore della Consulenza FinanziariaInvece, l’analisi  appena fatta dimostra che investire al Sud può dare un ritorno economico ad alta redditività alle banche-reti veramente intenzionate a fare molto e parlare poco. Anzi, in considerazione del potenziale inespresso, negli anni a venire – quelli che ci separano da ulteriori e profondi cambiamenti nel settore della consulenza finanziaria – scardinare il modello “banca tradizionale” sarà uno dei pochi modi per mantenere la massa critica della raccolta. Infatti, riprendendo i dati già esaminati, solo in Sicilia esiste il margine per portare la media pro capite a 25-27 milioni, ottenibile aumentando il “coefficiente di penetrazione” fino al livello dei colleghi milanesi; e ciò significherebbe, per i 1.000 consulenti isolani attivi, conseguire una raccolta complessiva, negli anni a venire, pari ad oltre 13 miliardi.

Se trasferiamo lo stesso ragionamento in tutte le regioni del Sud Italia (fino alla Campania), per le reti c’è in ballo una raccolta potenziale di circa 100 milioni.

Pertanto, i consulenti siciliani sappiano che il mercato c’è, e che investire sulle proprie competenze e sulla crescita personale può dare risultati portentosi, ma sarebbe opportuno che gli intermediari cambiassero totalmente la loro visione del Sud, ponendo al centro della loro attenzione la crescita in quelle regioni solo apparentemente disagiate, ma  con un potenziale inespresso che, probabilmente, salverebbe più di una banca (e relativo top management) dall’ineluttabile acquisizione da parte di un concorrente più grosso per fare maggiore “massa critica” e rimanere sul mercato.

Oggi servirebbe un piano di investimenti di “sola andata” da parte delle banche-reti, dalle ricche sedi del Nord (Lombardia in primis) a quelle più “povere” – ma solo sulla carta – del Sud.  Una sorta di “Piano Marshall” senza il quale, anche nel campo della Consulenza Finanziaria, esisterà per sempre una “Questione Meridionale” di impossibile soluzione.

* Area manager di una importante rete di consulenza finanziaria italiana