Ottobre 12, 2025
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la Fed taglia i tassi, la BoE attende, le commodity puntano al superciclo

La Federal Reserve avvia il ciclo di allentamento, la Banca d’Inghilterra resta ferma; domanda solida e vincoli di offerta rafforzano le prospettive a lungo termine per le materie prime.

Le previsioni degli analisti più saggi, e cioè di una decisione della Fed più cauta rispetto al mega taglio sognato da Trump, è stata pienamente rispettata, e la Federal Reserve ha ridotto il tasso di riferimento di 25 punti base (al 4,00-4,25%, il primo taglio da dicembre).

Ad oggi, la maggior parte dei funzionari prevede almeno altri due tagli entro fine 2025 e cinque tagli in totale entro la prima metà del 2026; questo dovrebbe compensare la dichiarata delusione del presidente americano per il taglio “poco coraggioso” appena effettuato. La Federal Reserve, in particolare, segnala di voler sostenere crescita e occupazione, soprattutto di fronte ai segnali di indebolimento del mercato del lavoro, restando però vigile sull’inflazione. Ma la pressione politica crescente per ulteriori tagli ai tassi rende la posizione del presidente Jerome Powell sempre più difficile. Riuscirà davvero a decidere riunione per riunione, come sostiene, o sarà costretto a cedere alle pressioni esterne?

Ma mentre la Fed avvia l’allentamento, molte banche centrali restano in attesa: nessun taglio da parte di BCE e Banca del Giappone. La Banca del Canada ha invece ridotto i tassi di 25 punti base, segnalando un’inflazione in calo e i timori legati al mercato del lavoro. Nel Regno Unito, la Banca d’Inghilterra ha mantenuto il tasso di riferimento al 4% e ridotto il ritmo del quantitative tightening, abbassando l’obiettivo di vendita di bond da 100 a 70 miliardi di sterline. Con un’inflazione ancora alta (3,8%), l’economia del Regno Unito non è ancora ritenuta “fuori pericolo”. Dopo il taglio della Fed, comunque, i titoli tech hanno trainato i listini europei, probabilmente sulla scorta della previsione di un analogo abbassamento dei tassi alla prossima riunione della Bce.

Relativamente alle materie prime e ai metalli preziosi, dopo il taglio dei tassi della Fed l’oro spot ha rallentato a causa del rafforzamento del dollaro, ma resta vicino ai massimi storici (circa 3.707 $/oncia questa settimana). Diverse banche, tra cui UBS, prevedono un rialzo fino a 3.800 $ entro fine 2025. Invece rame, terre rare e altri minerali strategici potrebbero entrare in una fase di rialzo a lungo termine. La forte domanda da veicoli elettrici, rinnovabili e infrastrutture IA/dati, unita a vincoli geologici e sottoinvestimenti, rafforza l’idea che il potenziale delle commodity sia sottovalutato. 

Mercato azionario positivo, in attesa che la Fed tagli i tassi

Nessuna recessione tecnica Usa all’orizzonte, grazie a utili solidi, consumi resilienti e all’apertura della Fed su un possibile taglio dei tassi.

di Filippo Garbarino, gestore del fondo Lemanik Global Equity Opportunities

Nonostante l’incertezza legata ai dazi, i piani di spesa in conto capitale per il 2025 non sono stati materialmente rivisti al ribasso dalle aziende USA e questo è un segnale di grande fiducia nella performance del loro business e dell’economia americana più in generale.

Inoltre, la Fed ha segnalato una crescente apertura a un taglio dei tassi d’interesse, nel caso in cui la disinflazione dovesse proseguire o il mercato del lavoro peggiorasse. Per questo, non ci aspettiamo una recessione tecnica nel breve termine, benché l’economia Usa stia attraversando una fase di rallentamento. A sostenerla, sono i recenti risultati aziendali e le stime economiche per il 2025, che si sono dimostrati solidi, specialmente nel settore tecnologico. Inoltre, i dati relativi alle carte di credito mostrano una notevole resilienza dei consumi.

L’attuale contesto dei mercati azionari resta positivo. L’incertezza legata ai dazi abbia raggiunto il suo picco, dato che le notizie recenti su questo fronte sono migliorate. Il mercato continuerà inoltre a essere sostenuto da solidi utili aziendali e da ritorni di capitale agli azionisti, inclusi i buyback. Nell’economia USA permangono, tuttavia, due aree di debolezza: il settore manifatturiero, con l’indice ISM che indica ancora una fase di contrazione, e il mercato immobiliare, che resta stagnante a causa degli elevati tassi sui mutui. In ottica di investimenti, il nostro portafoglio ha l’obiettivo di battere i benchmark di settore nel medio periodo in una pluralità di scenari di mercato ed è sovrapesato sul settore finanziario, industriale, chimico e dei beni di consumo discrezionali. Mentre non ha banche, technology hardware, beni di consumo non discrezionali, farmaceutici, immobiliare e utilities. Anche il settore tecnologico è sottopesato per esempio su Applied Materials.

Pil USA forte e adesso un taglio dei tassi Fed. In Europa la crisi tedesca non si spegne

L’indipendenza della Fed in discussione mentre i mercati si preparano a un taglio dei tassi a settembre. Nel primo semestre ben 11.900 aziende tedesche hanno gettato la spugna.

La scorsa settimana lo S&P 500 ha chiuso a un nuovo massimo grazie ai solidi dati su PIL e consumi USA, che hanno rassicurato gli investitori nonostante le tensioni sui dazi. Nvidia ha perso terreno dopo gli utili, ma l’ottimismo sull’IA ha sostenuto titoli dei chip come Broadcom e Micron. Il 29 agosto, però, i future USA sono scesi mentre gli investitori attendevano i dati sull’inflazione dopo la revisione al rialzo del PIL. Pertanto, nonostante i record dell’S&P 500, restano timori sui tempi del trend dei tagli ai tassi e sui rischi geopolitici, sebbene i mercati stimano l’87% di probabilità di un taglio dei tassi a settembre. Nel frattempo l’oro, spinto dal dollaro debole e dai timori sull’indipendenza della Fed, ha toccato il massimo da 5 settimane a 3.417 $/oncia.  

Ciò che preoccupa di più è la pressione costante che il presidente Trump sta esercitando sulla Fed. Sul tema, l’ex presidente della Fed di New York, Bill Dudley, avverte che il tentativo di Trump di licenziare la governatrice Lisa Cook potrebbe minare l’indipendenza della banca centrale. Se dovesse riuscirci, Trump potrebbe presto nominare la maggioranza nel consiglio della Fed, ottenendo influenza sulla politica dei tassi d’interesse, e ciò aprirebbe la porta a tagli dei tassi guidati dalla politica e a caos interno. I mercati non hanno ancora reagito, ma Dudley ritiene che dovrebbero preoccuparsi. 

Sul fronte dei dazi, giovedì scorso l’UE ha accettato di eliminare i dazi sui beni industriali americani e concedere vantaggi sui frutti di mare, in cambio di dazi USA più bassi sulle auto. L’accordo necessita ancora l’ok dell’UE, mentre restano le tensioni sulla digital tax alle aziende tech statunitensi. In Europa, I titoli bancari sono vicini ai massimi dal 2008, con un +40% da inizio anno, grazie a utili solidi e minori timori di tagli ai tassi. Gli analisti parlano di un “punto ottimale”, ma le tensioni politiche in Francia e l’aumento dei default potrebbero mettere alla prova il sentiment. In più, si è registrato un calo dell’1,5% delle vendite al dettaglio tedesche di luglio (molto peggio delle attese), mentre la debole domanda dei consumatori aumenta la pressione su un’economia già in contrazione. 

E se c’è una fonte di grande preoccupazione per l’economia europea, quella è certamente la situazione in Germania, un tempo locomotiva di tutto il continente. Nel primo semestre del 2025, ben 11.900 aziende tedesche hanno gettato la spugna, un aumento del 9,4% rispetto all’anno precedente. I fallimenti di giganti come Gerry Weber e Lilium mostrano come la crisi può colpire sia aziende con decine d’anni di vita, sia startup in settori potenzialmente esplosivi. A luglio, le insolvenze aziendali in Germania sono aumentate del 19,2% rispetto all’anno precedente; un’escalation che ha fatto svanire le speranze di una ripresa, dopo un breve ed effimero calo a maggio. Secondo l’Ufficio federale di statistica, l’onda di fallimenti non si è mai fermata, e tutto questo sembra essere il segnale di una crisi economica e strutturale che è frutto di errori successi in diversi anni.

 

Il 2025 anno positivo per le mid-small cap italiane. Approccio ancora più selettivo sulle azioni

Nel 2025 economia globale su livelli simili a quelli del 2024. Le azioni offriranno ancora una copertura migliore rispetto alle obbligazioni. In portafoglio nuove posizioni su Diasorin e Interpump.

di Andrea Scauri, gestore azionario Italia presso Lemanik

Un taglio dei tassi più aggressivo da parte della Bce, unito all’atteso miglioramento dei PMI manifatturieri e all’imminente lancio del fondo di fondi nella prima parte del 2025, dovrebbe sostenere le mid-small cap italiane. I dati macroeconomici di novembre hanno confermato la solidità dell’economia statunitense, mostrando solo una lieve perdita di slancio. In Europa, la ripresa rimane debole, mentre in Cina le prospettive economiche dipenderanno dagli stimoli che le autorità metteranno in atto (prossima catalizzatrice la Central Economic Work Conference) e dall’evoluzione della politica commerciale statunitense

Al momento manteniamo una visione neutrale/leggermente positiva sui mercati azionari, in attesa che alcuni catalizzatori acquisiscano maggiore visibilità e inizino a concretizzarsi in Europa, dove gli indici scambiano a valutazioni significativamente più basse rispetto agli Stati Uniti. Tra i fattori chiave da tenere d’occhio: la Bce potrebbe attuare tagli dei tassi più significativi del previsto; nuove misure di stimolo in Cina; la possibilità di un cessate il fuoco tra Russia e Ucraina; cambiamenti di leadership in Germania, con un allentamento delle regole fiscali e nuovi stimoli economici.

Guardando al 2025, ci aspettiamo un’economia globale su livelli simili a quelli del 2024 (circa +3,2%), con significative divergenze regionali e banche centrali meno sincronizzate. L’elemento critico sarà Trump, con effetti degli interventi sul commercio, la deregolamentazione, la politica fiscale e l’immigrazione difficili da prevedere nella loro portata. Con le banche centrali che hanno un ampio margine di manovra per tagliare i tassi e iniettare liquidità per finanziare i crescenti deficit pubblici, e considerando la prospettiva di un’economia che eviti la recessione, continuiamo a vedere le azioni come una copertura migliore rispetto alle obbligazioni.

In questo contesto, abbiamo apportato alcune modifiche al nostro portafoglio. In particolare un aumento della posizione su Banco BPM, dove ci aspettiamo un rilancio del prezzo dell’offerta da parte di Unicredit. Una nuova posizione costruita su Diasorin, sulla scorta di un atteso miglioramento dell’attività negli Stati Uniti. Una nuova posizione su Interpump, poiché riteniamo che l’esposizione industriale all’attività statunitense possa giocare un ruolo di traino per una società di qualità, che tratta vicino alla parte inferiore del range di valutazione. Abbiamo un approccio molto selettivo su banche e small/mid cap e non investiamo in nomi industriali ciclici. Inoltre, abbiamo mantenuto il nostro posizionamento sul Monte dei Paschi e questo approccio si riflette anche nel nostro investimento in Tenaris. Non abbiamo investito in Stellantis e STM perché continuiamo a ritenere che entrambi i titoli non abbiano ancora toccato il fondo. Abbiamo infine mantenuto l’esposizione a Telecom Italia Savings e Unipol.

Mercati ed elezioni: l’Europa riserva sorprese sui tassi, gli USA sull’Equity. Oro sempre più su

Analizziamo i mercati in vista delle imminenti elezioni americane. Guerre e tensioni geopolitiche sembrano non scalfire il trend di crescita, ma gli esiti incerti del confronto elettorale negli USA mettono paura.

Nonostante guerre e fortissime tensioni geopolitiche, i mercati fanno orecchio da mercante e sembrano poco inclini a considerare gli eventi come fattore di avversione al rischio. Ciò che guida adesso gli investitori di tutto il mondo, infatti, è la fiducia cieca sulla decrescita strutturale dell’inflazione – anche accettando livelli superiori alla soglia del 2% fissata dalle banche centrali – e la conseguente previsione di futuri guadagni sulla parte di portafoglio dedicata ai bond, nonchè l’elevata propensione al rischio sull’Equity dei settori tecnologi e finanziari, che insieme riescono a compensare la paura di una recessione. Quest’ultima, tuttavia, è ancora possibile e, per alcuni analisti tra i più autorevoli, anche probabile. 

In Italia, le previsioni di crescita sono in calo ma migliorano debito e deficit. L’istituto Ref Ricerche, infatti, ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita del PIL italiano, stimando un incremento dello 0,8% per il 2024 e il 2025, e dell’1,1% per il 2026. Secondo Ref, l’orientamento restrittivo delle politiche di bilancio frenerà la domanda interna e rallenterà l’economia; tuttavia, sono attesi miglioramenti sul fronte del deficit, previsto al 3,6% nel 2025, e del debito, con un calo stimato al 138% del PIL nel 2024. Anche l’inflazione è in calo, con stime all’1,7% per il prossimo anno. Di questo scenario, naturalmente, beneficerebbero i BTP, soprattutto quelli con scadenze più lunghe, che negli ultimi anni (da Agosto 2021 ad Ottobre 2023) hanno sopportato minusvalenze a doppia cifra (e con il 2 davanti).

La BCE, invece, riserva sorprese sui tassi, poichè potrebbe attuare presto un maxi-taglio. I membri della Banca centrale europea, infatti, hanno accennato alla possibilità di un significativo taglio dei tassi di 50 punti base a dicembre. Mārtiņš Kazāks, governatore della Banca di Lettonia, si è unito al banchiere centrale portoghese Mario Centeno nel dire che tale taglio è “sul tavolo”, dato che l’inflazione continua a rallentare. La BCE ha già effettuato tagli consecutivi dei tassi, i primi in 13 anni, e i dati recenti mostrano che l’inflazione nell’eurozona è scesa all’1,7% a settembre, al di sotto dell’obiettivo del 2% della BCE per la prima volta dal 2021.

Fuori dall’Unione Europea (ma di poco), il Regno Unito annuncia un cambio delle norme fiscali. La ministra delle Finanze britannica Rachel Reeves ha annunciato modifiche significative alla normativa fiscale del Paese, con l’obiettivo di liberare miliardi di sterline per gli investimenti nel bilancio di Ottobre-Novembre. Il cambiamento, che potrebbe spostare l’attenzione dal debito netto del settore pubblico a una misura più ampia, riguardante le passività finanziarie nette del settore pubblico (PSNFL), è pensata per creare più spazio finanziario per gli investimenti senza tagliare la spesa del settore pubblico. La mossa arriva mentre il Primo ministro Keir Starmer avverte che si prospettano tempi duri, con il governo che si trova ad affrontare un sostanziale “buco nero” nelle finanze pubbliche.

Negli Stati Uniti, Tesla guida il rimbalzo delle “Magnifiche sette“, registrando un’impennata del 19% una settimana fa e portando i titoli tecnologici delle “Magnifiche sette” – come vengono chiamate le big tech, ovvero Apple, Microsoft, Alphabet (Google), Amazon, Nvidia, Tesla e Meta Platforms – ai massimi da tre mesi dopo che la società ha ottenuto forti utili e previsto una crescita delle vendite di auto fino al 30% per il prossimo anno. Nonostante le fluttuazioni del mercato, i risultati positivi degli utili di società come United Parcel Service, che ha registrato la prima crescita dei profitti in quasi due anni, hanno contribuito a compensare i cali di titoli come IBM e Boeing. I Treasury hanno registrato un leggero rimbalzo, con i rendimenti dei titoli di Stato decennali scesi al 4,20%, mentre gli investitori si preparano a una maggiore volatilità in vista delle elezioni USA.

Nel frattempo, calano le richieste di disoccupazione, che sono scese di 15.000 unità (arrivando a 227.000 la scorsa settimana) e adesso segnalano una ripresa dalle perturbazioni causate dagli uragani Helene e Milton. Questo ritorno ai livelli precedenti all’uragano suggerisce che l’impatto economico delle tempeste potrebbe essere meno grave di quanto inizialmente temuto. Tuttavia, i rinnovi delle richieste di sussidio, un indicatore della disoccupazione in corso, sono aumentati a quasi 1,9 milioni, il valore più alto degli ultimi tre anni, riflettendo in parte gli effetti delle tempeste e del prolungato sciopero di Boeing, che ha dato origine a congedi forzati nella sua catena di fornitura.

Relativamente agli accadimenti post-elettorali, esiste negli operatori il timore che le politiche di Trump possano alimentare l’inflazione. Infatti, i trader si preparano a un possibile ritorno di Donald Trump, con il timore che le sue politiche possano peggiorare la crisi del costo della vita. Di conseguenza, i mercati delle scommesse e i rendimenti obbligazionari suggeriscono che Trump potrebbe varare misure inflazionistiche, quali forti dazi sulle importazioni e un giro di vite sull’immigrazione, misure che potrebbero entrambe far salire i prezzi. I costi dei prestiti, compresi i tassi sui mutui, stanno già aumentando con l’aumentare delle probabilità di una vittoria di Trump, con il tasso sui mutui a 30 anni che ha raggiunto il 7,09%. Nonostante gli alleati di Trump sostengano che le sue politiche non danneggeranno l’economia, i mercati indicano il contrario.

Fortunatamente, la recente ondata di vendite di Treasury statunitensi si è attenuata giovedì, con rendimenti che restano vicini ai massimi livelli da luglio. Questa settimana il rendimento a 10 anni ha toccato brevemente il 4,26%, spinto da dati economici statunitensi solidi, tra cui un calo delle richieste di sussidi di disoccupazione e risultati migliori del previsto per l’indice PMI e le vendite di abitazioni. La resilienza dell’economia, unita ai timori di politiche che aumenterebbero il deficit qualora Donald Trump vincesse le prossime elezioni, mantiene la pressione sui mercati obbligazionari. Sebbene le aspettative di tagli dei tassi da parte della Federal Reserve si siano ridimensionate, i mercati monetari prevedono comunque un taglio di 25 punti base per novembre e un allentamento di 135 punti base entro la fine del 2025.

Noncurante di tutto, l’oro sale sulla scorta delle tensioni geopolitiche e sul conseguente aumento della domanda di beni rifugio. I prezzi dell’oro hanno sfiorato i massimi storici una settimana fa, salendo dell’1% a 2.732,39 dollari l’oncia, trainate dalla domanda degli investitori in un contesto di incertezza geopolitica. Questa impennata, sostenuta dalle preoccupazioni per l’inflazione e dal disagio politico in vista delle elezioni americane, ha già fatto salire l’oro di oltre il 33% quest’anno. Nel frattempo, il palladio è balzato dell’8%, raggiungendo il livello più alto da dicembre del 2023, per via dei timori di turbolenze nelle forniture.

L’inflazione rallenta in Europa. Nvidia al di sotto delle aspettative: IA una bolla pronta a scoppiare?

L’inflazione si attenua in Europa, il Dow raggiunge un nuovo record e il mercato del lavoro USA mostra una forza sorprendente. Nel frattempo, le azioni Nvidia inferiori alle aspettative: si teme una bolla.

La scorsa settimana Nvidia ha riportato risultati contrastanti, che segnala un cambiamento del sentiment nei confronti del gigante dei microprocessori. Nonostante l’impressionante aumento del 120% del valore delle azioni nel corso dell’anno, le azioni di Nvidia hanno subito un calo del 7% nelle sedute after-hour. Il calo è legato alle crescenti preoccupazioni degli investitori riguardo alle difficoltà di produzione dei prossimi chip Blackwell e, soprattutto, alla potenziale bolla dell’intelligenza artificiale.

Eppure i mercati, stretti su pochissimi spunti al rialzo – forse uno solo, trainante, e cioè l’IA – continuano a vedere il bicchiere mezzo pieno. Infatti, i mercati finanziari hanno registrato un’impennata a metà settimana scorsa (giovedì), con Wall Street sostenuta dai dati economici incoraggianti sulla crescita e l’occupazione negli USA. In quella seduta, il Dow Jones ha raggiunto un nuovo record di chiusura, guadagnando lo 0,59%, mentre a Parigi il CAC 40 è salito dello 0,84%, arrivando al livello più alto da metà luglio, alimentato da prospettive economiche ottimistiche. La borsa di Milano, infine, è salita dello 0,6%. Di contro l’oro non smette di brillare, registrando prezzi in lieve rialzo (+0,91% a 2.526 $ l’oncia) spinti dalle speranze di un taglio dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve a settembre. Peraltro, le attuali incertezze economiche e geopolitiche continuano a sostenere la domanda di oro e altri metalli preziosi come argento, platino e palladio che hanno registrato ottime prestazioni, riflettendo una più ampia fiducia del mercato nei beni rifugio.

L’inflazione in rallentamento in Europa alimenta lo scenario di ribasso dei tassi. I prezzi al consumo hanno mostrato segni di sollievo in agosto, con il tasso della Germania che è sceso sotto la soglia critica del 2%, grazie a un calo del 5,1% dei prezzi dell’energia. Anche la Spagna ha riportato notizie positive, con un tasso d’inflazione sceso al 2,4%, grazie alla riduzione dei costi dei generi alimentari e del carburante. Per quanto riguarda l’Italia, la stima dell’Eurostat indica un’inflazione in calo all’1,3% (dall’1,6%). Questi sviluppi suggeriscono che l’Europa stia finalmente iniziando a vedere la luce in fondo al tunnel dell’inflazione, e una loro stabilizzazione durante i prossimi mesi segnerebbe una spinta al ribasso con alti margini di certezza per gli investitori, che a quel punto potrebbero dirigere liquidità “pesante” verso il settore obbligazionario.

Cosa potrebbe turbare questo quadro deflattivo? Il mercato del lavoro USA, per esempio, che mostra una forza inaspettata. Il 24 agosto l’occupazione negli Stati Uniti ha registrato un rimbalzo positivo, con il numero di disoccupati ufficialmente sceso di 2.000 unità a 231.000. Questo calo inaspettato evidenzia la persistente resilienza del mercato del lavoro statunitense, in controtendenza rispetto ad alcune previsioni economiche, e fa intravedere l’allontanamento di una recessione più volte annunciata con la segreta speranza di poter consentire un ciclo di ribasso dei tassi più rapido. Anche la BCE, del resto, è stata invitata ad andarci piano coi tagli dei tassi, messa in guardia da Isabel Schnabel (nella foto), membro del Comitato esecutivo della Banca centrale europea (BCE), contraria ad un taglio troppo rapido dei tassi e incerta sul percorso per riportare l’inflazione al 2%. Secondo la Schnabel, infatti, sebbene le prospettive di fondo della BCE suggeriscano che l’inflazione potrebbe raggiungere l’obiettivo entro il 2025, le persistenti pressioni sui prezzi, in particolare nel settore dei servizi, consigliano un approccio più graduale nell’allentamento delle politiche monetarie restrittive.

Su tutto, però, incombe la nube dell’IA, che secondo diversi analisti potrebbe essere una bolla speculativa pronta a scoppiare, alimentando preoccupazioni diffuse lungo le più disparate direzioni: dai timori di una “superintelligenza” incontrollabile alle richieste di una regolamentazione più severa da parte dei sostenitori dell’etica nel campo dell’IA. Tuttavia, la preoccupazione maggiore che scuote i mercati è legata all’eventualità di una bolla speculativa guidata dall’IA. La recente performance azionaria di Nvidia ha riacceso questi timori, mentre i giganti tecnologici continuano a riversare denaro nell’intelligenza artificiale, spesso senza ottenere rendimenti significativi a breve termine; tutti segnali tipici delle innovazioni “disruptive” che, come Internet nel 2000, hanno segnato un passaggio doloroso dei mercati prima di dispiegare i propri effetti positivi. Nonostante questi aspetti poco rassicuranti, alcuni leader del settore, come Sundar Pichai di Google, sostengono che “il rischio di sotto-investire è drammaticamente maggiore rispetto al rischio di sovrainvestire”, respingendo le preoccupazioni relative a un mercato dell’IA eccessivamente gonfiato. 

Nel 2024 la politica al centro dei mercati finanziari. Effetti sulle valute

Dal dollaro USA allo Yen, passando per l’Euro e la Sterlina. Ecco una analisi sulle più importanti valute mondiali, alla luce dei cambiamenti dettati dalle elezioni in gran parte del mondo.

di Roberto Gusmerini, Head of Dealing Ebury Italia

Il primo semestre del 2024 si è concluso, ma quali sono stati i principali sviluppi sul mercato dei cambi fino ad oggi? L’attenzione si è concentrata principalmente sul rallentamento della tempistica dei tagli dei tassi di interesse nelle principali economie. Ciò è stato particolarmente evidente negli Stati Uniti, dove il dot plot del FOMC di giugno indica un solo taglio dei tassi nel 2024.

Il dollaro USA, che ha sovraperformato tutte le valute del G10 quest’anno, è stato quindi favorito. Riteniamo che la Banca d’Inghilterra inizierà ad allentare la politica monetaria in agosto, dopo le elezioni nel paese, mentre la Banca centrale norvegese, quella australiana e quella neozelandese non sembrano intenzionate a ridurre i tassi prima della fine del 2024. Al contrario, la Banca nazionale svizzera e la Riksbank svedese sono state le prime banche centrali del G10 a tagliare i tassi, seguite a giugno dalla BCE e dalla Bank of Canada.

Sul fronte macroeconomico, negli ultimi mesi si è registrato un costante calo dei tassi di inflazione in tutto il mondo, anche se in alcuni casi il processo di disinflazione ha recentemente subito un arresto. Anche la domanda mondiale ha retto bene, con un andamento delle economie largamente superiore alle attese, in particolare in Europa. Ciò può spiegare in parte il rallentamento delle aspettative di taglio dei tassi nel G10. A giugno l’attenzione dei mercati si è spostata in gran parte sulla politica. Le elezioni in Messico, Sudafrica e India hanno provocato volatilità sia nei mercati locali che in quelli dei cambi. I risultati delle elezioni parlamentari europee hanno contribuito a una debole performance dell’euro, a causa della convocazione di elezioni anticipate in Francia. Il doppio turno elettorale ha un pò tradito le attese di un possibile governo di destra: il Rassemblement National di Le Pen, dopo aver ottenuto il maggior numero di voti, non è riuscito a raggiungere la maggioranza assoluta al secondo turno ed è fuori da ogni ipotesi di governo. 

Quest’anno la sterlina ha sovraperformato rispetto a tutte le altre valute del G10, ad eccezione del dollaro, sostenuta dall’ampia ripresa dell’economia britannica e dalla certezza nel panorama politico, con la vittoria del partito laburista nelle elezioni del 4 luglio che non è mai stata in discussione. Le tradizionali valute rifugio, lo yen e il franco svizzero, hanno registrato le peggiori performance nel G10, a causa della riluttanza della BoJ ad aumentare rapidamente i tassi e del secondo taglio dei tassi da inizio anno da parte della Banca Nazionale Svizzera. Le valute dei mercati emergenti, invece, hanno registrato una performance eterogenea, anche se tutte le valute da noi prese in considerazione hanno perso terreno rispetto al dollaro nell’ultimo anno. La rupia indiana e il rand sudafricano hanno registrato le performance migliori, mentre quelle dell’America Latina hanno perso terreno, in particolare il real brasiliano, il peso messicano e il peso cileno

Cosa possiamo aspettarci dai mercati questo mese? Luglio e agosto sono di solito periodi relativamente tranquilli per i mercati, anche se la volatilità potrebbe aumentare a causa dell’incertezza politica in corso. Le lotte politiche in Francia potrebbero frenare la crescita della moneta comune nel caso in cui dovessero sorgere problemi da una coalizione che appare in debole equilibrio. Continuiamo inoltre a prevedere un rafforzamento dei dati sull’attività nell’area dell’euro, con la pubblicazione dei dati preliminari sul PIL del secondo trimestre (30/07) che probabilmente mostreranno un altro trimestre di crescita positiva. La BCE, nel frattempo, manterrà i tassi fermi (18/07), ma la Lagarde probabilmente terrà aperte le possibilità di tagliare ancora a settembre. 

La costituzione di una maggioranza laburista nel Regno Unito costituisce un fattore leggermente positivo per la sterlina. Questo era già completamente scontato dai mercati, anche se potremmo assistere a un nuovo rialzo degli asset britannici nelle prossime settimane se il neo-premier Starmer dovesse aumentare la retorica a favore di un avvicinamento tra Regno Unito e Unione Europea. I dati sull’indice dei prezzi al consumo di giugno (17/07) potrebbero mostrare che l’inflazione britannica si è attestata al di sotto dell’obiettivo del 2% per la prima volta in oltre tre anni. Questo sarà l’ultimo dato sull’inflazione prima della prossima riunione della Banca d’Inghilterra e un eventuale dato debole potrebbe portare ad un taglio ad agosto. 

Negli Stati Uniti, gli investitori dovrebbero presto rivolgere la loro attenzione alle conseguenze delle elezioni presidenziali di novembre, che finora sono rimaste in secondo piano. La disastrosa performance di Joe Biden nel primo dibattito elettorale di giugno sembra aver spianato la strada a un secondo mandato alla Casa Bianca per Donald Trump, che secondo i bookmaker ha una probabilità del 65% di vittoria. Questo potrebbe presto riflettersi in un rafforzamento del dollaro, qualora i mercati iniziassero a prevedere un maggiore protezionismo sotto la sua amministrazione. A fine mese (31/07) si riunirà anche la Federal Reserve. Prevediamo ancora due tagli dei tassi entro la fine del 2024 e cercheremo di individuare eventuali segnali di una svolta dovish nel messaggio della Fed durante la riunione di questo mese. 

Per il resto, gli investitori terranno d’occhio gli sviluppi in Giappone e monitoreranno attentamente l’andamento dello yen, che attualmente viaggia vicino ai minimi di quattro decenni rispetto al dollaro. Questo potrebbe innescare un intervento diretto sul mercato dei cambi delle autorità giapponesi questo mese e potrebbe portare a toni più restrittivi da parte della Banca del Giappone nella riunione di luglio. Riteniamo che la BoJ a luglio alzerà i tassi per la seconda volta da inizio anno, anche se probabilmente dovrebbe essere accompagnata da una serie di commenti hawkish per innescare qualcosa di più di una modesta ripresa della valuta giapponese.

Lemanik: grandi opportunità di investimento nello spazio delle utility e delle rinnovabili

Il taglio dei tassi della Bce dovrebbe fungere da catalizzatore positivo per le mid-small cap italiane e per i flussi verso i mercati azionari. Portafoglio riposizionato su titoli sensibili ai tassi d’interesse come Enel, A2A, Erg.

di Andrea Scauri, gestore azionario Italia di Lemanik

Il nostro scenario di base prevede una crescita economica modesta che non sfoci in una recessione, con un miglioramento in Europa e un rallentamento della velocità di crescita negli Stati Uniti, soprattutto per quanto riguarda i consumi. In questo contesto non ci aspettiamo grandi movimenti tra gli indici ma, al contrario, rotazioni settoriali rilevanti. Per questo motivo vediamo grandi opportunità nello spazio delle azioni di utility e rinnovabili rispetto al settore industriale e (in parte) a quello finanziario.

A maggio si è registrato un netto miglioramento delle stime sugli utili, soprattutto negli Stati Uniti e in Europa, mentre si è registrato un peggioramento in Cina. A livello settoriale, i miglioramenti più significativi sono stati osservati nei settori finanziario e dei servizi di pubblica utilità mentre si sono registrate maggiori revisioni al ribasso nei semiconduttori e nel software. Il gruppo dei “magnifici 7” ha dominato i mercati, mentre anche i mercati azionari asiatici ed europei hanno fatto bene.

In Italia, l’indice principale FTSEMIB ha registrato un +3,5%, il FTSEMID +3%, così come le small cap. Continuiamo a essere costruttivi sulle mid-small cap italiane: storicamente, queste hanno sovraperformato, in media, all’inizio del ciclo di riduzione dei tassi. Il taglio dei tassi della Bce dovrebbe fungere da catalizzatore positivo per le mid-small cap e per i flussi verso i mercati azionari. I rendimenti dei titoli di stato sono scesi leggermente, ma sono rimasti al di sopra della media degli ultimi 12 mesi sia negli Stati Uniti che nell’Ue. Negli Stati Uniti, i verbali della riunione del Fomc hanno confermato che il Comitato intende mantenere l’attuale politica restrittiva più a lungo del previsto, in risposta ai deludenti dati sull’inflazione del primo trimestre. Contrariamente alla conferenza stampa più accomodante del presidente Powell, sembra che “alcuni” membri del Comitato siano più disposti a inasprire ulteriormente la politica monetaria in caso di aumento dei rischi di inflazione.

Gli operatori di mercato si aspettano che il ciclo di tagli sia guidato dalla Bce, con un taglio cumulativo di -70 pb entro la fine del 2024 al 3,3%. Per quanto riguarda la Fed, invece, il mercato si aspetta che il primo taglio avvenga tra settembre (probabilità 45%) e novembre, con un taglio cumulativo di -50 pb entro la fine del 2024 al 5%. La nostra view è che le banche centrali avvieranno il ciclo espansivo nei prossimi mesi, in un contesto di progressiva disinflazione e di necessità di finanziare ampi deficit pubblici, tornando a iniettare liquidità nel sistema in caso di forte rallentamento economico.

La nostra view rimane costruttiva, considerando i segnali di stabilizzazione degli indicatori macro in Europa e del taglio dei tassi da parte della Bce, che potrebbe indirizzare i flussi soprattutto verso le mid-small caps. D’altro canto, segnaliamo che il posizionamento degli investitori sta tornando a salire e che permane un potenziale rischio geopolitico (con la Cina che sta effettuando esercitazioni militari nello stretto di Taiwan) e che stiamo entrando in un periodo più fragile dal punto di vista della stagionalità. In questo contesto, abbiamo ampiamente spostato il portafoglio per riposizionarci sulla maggior parte dei nomi sensibili ai tassi d’interesse come Enel, A2A, Erg. Rimaniamo costruttivi sui titoli finanziari, ma ora con una percentuale di investimento inferiore, e molto selettivi sui titoli industriali dove vediamo rischi sugli utili, ad esempio il settore automobilistico. Dopo la debole performance del settore del lusso, non vediamo più alcun motivo per essere sottopesati. Questo spiega la nostra recente acquisizione di quote in RACE.

Tensioni geopolitiche e mosse delle banche centrali: l’impatto sui mercati finanziari

L’inflazione rimane al centro di tutte le attenzioni, poiché il percorso verso la disinflazione non sembra ancora del tutto spianato. le economie sembrano dimostrare una resistenza maggiore del previsto.

A cura di Roberto Gusmerini*

Il mese scorso ha messo a dura prova la stabilità dei mercati finanziari, colpendo gli investitori con una serie di eventi di rilevanza globale. Dati macroeconomici, tensioni geopolitiche e decisioni delle politiche monetarie hanno contribuito a delineare un paesaggio di incertezza e fluttuazioni significative. Il conflitto in Medio Oriente, aggravatosi improvvisamente, ha catalizzato l’attenzione dei mercati. La crescente inquietudine geopolitica ha spinto gli investitori verso beni rifugio, determinando un picco del prezzo del petrolio Brent, che ha oltrepassato la soglia psicologica dei 90 dollari al barile – il punto più alto dallo scoppio delle ostilità nella Striscia di Gaza. Questa ondata di instabilità ha minacciato di esasperare le già tese relazioni internazionali. Tuttavia, è stato evitato uno scenario di guerra totale, e questo ha, per ora, parzialmente calmato il nervosismo degli investitori.

La politica monetaria delle banche centrali continua a esercitare la sua influenza predominante sull’animato palcoscenico valutario. Le aspettative di taglio dei tassi sono state temperate, con particolare riferimento agli Stati Uniti dove è cresciuta la percezione che i tassi possano rimanere elevati più del previsto. Gli indicatori di inflazione nell’economia più grande al mondo hanno indotto i mercati a ridimensionare le probabilità di vedere manovre espansive dalla Federal Reserve quest’anno, mentre si sono levate voci di possibili rialzi, prontamente mitigate dalle dichiarazioni del governatore Powell. Nonostante ciò, il dollaro americano ha mostrato un apprezzamento significativo nel corso dell’anno, anche se di recente ha assistito a un arresto del rally, allentando parte dei guadagni nei confronti delle valute principali.

Le recenti dichiarazioni della Fed hanno delineato un approccio più cauto e accomodante, aumentando l’asticella per l’ipotesi di rialzi futuri dei tassi negli USA. Inoltre, un rallentamento della crescita economica e un mercato del lavoro non più così fervido negli Stati Uniti hanno riportato sul tavolo delle discussioni la possibilità di tagli dei tassi anticipati a settembre, mentre il mercato sconta due tagli entro la fine dell’anno. In tale scenario, il dollaro australiano si è distinto, raggiungendo un picco di performance contro il dollaro USA grazie all’aspettativa che la Reserve Bank of Australia possa assumere una posizione più incisiva per arginare l’inflazione. Un mercato del lavoro vigoroso e la pressione inflattiva lasciano presagire non solo l’assenza di tagli imminenti ma l’orientamento verso una politica di rialzi dei tassi.

Ultimo ma non meno importante, assistiamo a un’incoraggiante ripresa economica in Europa, con le economie dell’Eurozona e del Regno Unito che sembrano essersi lasciate alle spalle la fase più critica. Questo dinamismo ha portato sostegno e vigore a euro e sterlina, le quali hanno recuperato terreno nei confronti del dollaro negli ultimi tempi. Come sempre, è fondamentale monitorare incessantemente il panorama dei mercati finanziari poiché gli scenari possono evolversi rapidamente. A completamento dell’analisi sui mercati finanziari e valutari, emergono sviluppi rilevanti riguardanti alcune delle valute fondamentali e alcune meno centrali nel contesto globale.

Il marasma che ha afflitto i mercati il mese scorso ha visto lo yen giapponese e la corona svedese come i protagonisti meno lusinghieri. Quest’ultima, in particolar modo, ha subito il contraccolpo di un’economia che procede a passo rallentato e di un atteggiamento ultra-cauto adottato dalla Riksbank, la banca centrale di Svezia. Le indicazioni di un possibile taglio dei tassi nella prossima riunione di maggio hanno avuto un impatto tangibile sulla posizione della corona, addirittura mandandola al suo livello più basso dallo scorso novembre contro euro.

Spostando lo sguardo ai mercati emergenti, il peso cileno ha sfoggiato una performance notevolmente più positiva il mese scorso, guadagnando terreno fino a posizionarsi intorno al livello di 929 contro il dollaro USA e tornando sotto 1000 contro l’euro, livello che non si vedevano da fine gennaio. Fattori come il costante prezzo elevato del rame e un contesto macroeconomico cileno generalmente positivo hanno certamente contribuito a questo rafforzamento. In termini di politiche monetarie, poi, abbiamo assistito ad un’apertura della BCE ad un primo taglio dei tassi a partire da giugno. La presidente Christine Lagarde ha percepito una maggiore tranquillità in un ambiente meno teso, mentre l’inflazione, seppur mitigata, continua a richiedere attenzione.

Roberto Gusmerini

Per quanto riguarda la Banca del Giappone, ad aprile i tassi sono stati mantenuti invariati dopo il rialzo del mese precedente. Di contro, l’inerzia nell’ultima riunione ha causato un calo dello yen giapponese, portandolo vicino ai livelli minimi degli ultimi 30 anni. Sembra che la banca centrale sia intervenuta per rafforzare lo yen, l’iniziativa ha riportato USD/JPY sotto 153, ma come manovre simili fatte in passato da altre banche centrali anche questa non convince i mercati, infatti il cambio è tornato nel giro di pochi giorni in area 156. Dal canto oro, i mercati restano in trepidante attesa per qualsiasi segno che possa fornire indicazioni sulla direzione futura dei tassi d’interesse da parte delle maggiori economie mondiali. In aggiunta, la situazione dell’inflazione rimane al centro di tutte le attenzioni, poiché il percorso verso la disinflazione non sembra ancora del tutto spianato. Stati Uniti e Area Euro mostrano segnali di un’inflazione che, sebbene lontano dai picchi, non dà segni di arrendersi facilmente.

I dati sull’attività economica e sulle prospettive di crescita sono altresì cruciali. Nonostante le tensioni inflattive e la stretta monetaria, le economie sembrano dimostrare una resistenza maggiore del previsto. In questo contesto, gli indicatori PMI sia in Eurozona sia nel Regno Unito riflettono un ottimismo moderato, suggerendo un’espansione dell’attività economica. Sorprendentemente, una convergenza dei dati tra Stati Uniti ed altre aree economiche principali potrebbe rafforzare le posizioni di euro e sterlina nei confronti del dollaro.

* Head of Dealing Ebury Italia

Il taglio dei tassi favorirà le mid-small cap italiane?

La crescita economica è modesta, ma non ci sarà una recessione. Il debito pubblico Usa e gli elevati disavanzi fiscali impongono alle banche centrali di continuare a sostenere la liquidità.

di Andrea Scauri*

Alla luce dei segnali di stabilizzazione degli indicatori macro in Europa e in previsione del prossimo taglio dei tassi da parte della Bce, che potrebbe indirizzare i flussi soprattutto verso le mid-small cap, siamo più costruttivi. Il nostro scenario di base ipotizza una crescita economica modesta ma non una recessione, con una graduale riduzione dei tassi d’interesse reali da parte delle banche centrali.

Ad aprile i mercati azionari globali hanno chiuso in territorio negativo, prendendo fiato dopo la forte corsa iniziata a ottobre 2023. La performance è stata guidata dai timori di un rallentamento della crescita economica negli Stati Uniti, a seguito di alcuni dati macroeconomici deludenti, dall’inflazione che ha sorpreso positivamente aumentando la probabilità di un ritardo nei tagli dei tassi d’interesse da parte della Fed e dal riemergere del rischio geopolitico. La crescita del Pil statunitense è stata più debole del previsto nel primo trimestre, a causa del rallentamento della spesa pubblica, della forte crescita delle importazioni e dell’aumento dei prezzi dell’energia per i consumatori. L’attività economica negli Stati Uniti ha continuato a crescere in aprile, ma il tasso di espansione è rallentato. Si segnala anche un leggero miglioramento dell’attività economica in Europa, grazie alla componente dei servizi, mentre il segmento manifatturiero è rimasto debole.

Gli indici europei hanno sovraperformato i principali mercati statunitensi, iniziando a recuperare parte del gap di valutazione, presumibilmente giustificato dalle aspettative che il taglio dei tassi della Bce avverrà prima di quello della Fed e grazie al relativo miglioramento dell’attività economica nell’Eurozona rispetto agli Stati Uniti. In Italia, il settore finanziario è rimasto molto solido, spinto dalle aspettative di un buon trimestre, con lo spread commerciale in leggero calo rispetto ai massimi di fine 2023 e l’Euribor 3M che rimane vicino ai livelli più alti dalla fine del 2008, e dalla riduzione delle preoccupazioni sul rischio di recessione. D’altro canto, le valutazioni compresse delle small-cap hanno spinto a ulteriori potenziali de listing.

Continuiamo a essere costruttivi sulle mid-small cap italiane: storicamente, queste hanno sovraperformato, in media, all’inizio del ciclo di riduzione dei tassi. Prevediamo che la Bce taglierà presto i tassi, il che dovrebbe fungere da catalizzatore positivo per le mid-small cap e i flussi del mercato azionario. Le prospettive per i tagli dei tassi della Fed sono cambiate drasticamente quest’anno: il mercato si aspetta che il primo taglio avvenga solo a novembre, con una riduzione cumulativa di 35 pb entro la fine del 2024, al 4,98%. D’altra parte, le aspettative per il primo taglio da parte della Bce sono per giugno, con il mercato che prevede 70bps di tagli cumulativi entro la fine del 2024, al 3,2%.

L’aumento del debito pubblico statunitense, unito all’attuale posizione fiscale caratterizzata da elevati disavanzi che sta assumendo caratteristiche simili anche in Europa, suggerisce che questa condizione non è sostenibile senza maggiore liquidità. Ciò implica che le banche centrali continueranno a sostenere il finanziamento del debito pubblico e ad adottare un approccio moderatamente accomodante ai tassi reali, utilizzando anche strumenti di politica monetaria per sostenere la liquidità. Questo scenario è favorevole al mercato azionario nel medio termine. Ad aprile il fondo azionario Italia di Lemanik ha beneficiato del sovrappeso nei titoli finanziari e di nomi di qualità nel settore industriale come Danieli, Leonardo e Iveco. In questo contesto, dopo le forti performance dei nomi sopra citati, abbiamo tagliato la nostra posizione su Leonardo e cancellato quella su Iveco, a causa di valutazioni che sembrano corrette. Abbiamo mantenuto la nostra posizione su Danieli, poiché la valutazione è ancora molto interessante.

* Gestore azionario Italia di Lemanik