Marzo 29, 2024
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In Cina le notizie sul taglio dell’imposta di bollo confondono i traders. Indici fuori dal trading rangebound?

Gli indici azionari cinesi hanno vissuto un andamento altalenante a causa dei rumors sul taglio dell’imposta di bollo. L’euforia dei traders sui possibili tagli dei costi di negoziazione è durata poco. Indici cinesi fuori dal trading rangebound dopo tre mesi.

La recente proposta della Cina di ridurre l’imposta di bollo – che avrebbe l’effetto di portare un taglio dei costi di negoziazione – è stata interpretata erroneamente da molti investitori, nonostante tale provvedimento non sia stato ufficialmente menzionato dal governo. In una conferenza stampa, Zang Tiewei, portavoce del Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo, il principale organo legislativo della nazione, ha affermato che ci sono piani per modificare le bozze di delibera sulle leggi relative all’imposta di bollo, come l’abbassamento del tasso e la portata del prelievo.

Sebbene il commento di Zang non abbia menzionato il trading azionario, parecchi investitori (soprattutto quelli più piccoli) sono stati presi dall’euforia, alimentando i guadagni nelle azioni degli intermediari quotati in borsa, poiché questi ultimi trarrebbero maggior beneficio dall’aumento del volume delle transazioni a seguito del taglio. I guadagni, però, sono stati di breve durata, dopo che gli analisti di Huaxi Securities hanno sottolineato che i commenti erano stati interpretati in modo errato, perché le autorità di mercato tendono a tagliare i costi di negoziazione solo quando occorre rilanciare il mercato.

Le conseguenze sui listini non si sono fatte attendere: l’indice CSI300, che replica i 300 titoli più grandi sia di Shanghai che di Shenzhen, venerdì è balzato fino all’1,5% a un massimo intraday prima di cedere la maggior parte dei guadagni della giornata per chiudere la giornata in rialzo dello 0,5%. Gli indicatori di riferimento in entrambi i mercati sono aumentati prima di chiudere in ribasso. “I mercati cinesi sono stabili ora, e gli investitori hanno una buona fiducia”, ha affermato Li Lifeng, stratega di Huaxi, “per cui la possibilità di una riduzione dell’imposta di bollo a breve termine è estremamente bassa”.

L’emendamento al disegno di legge sull’imposta di bollo non interessa la compravendita di azioni, ha affermato il Securities Times, quotidiano gestito dal People’s Daily, portavoce del Partito comunista, citando fonti governative non identificate.

Nel complesso, l’indice Shanghai Composite è uscito da quasi tre mesi di trading rangebound, ossia da quella strategia di trading che cerca di identificare e capitalizzare il trading di azioni nei canali di prezzo, dopo aver trovato i principali livelli di supporto e resistenza e averli collegati con le linee di tendenza orizzontali (acquistando un titolo al supporto della linea di tendenza inferiore, in basso nel canale, e vendendo in prossimità della resistenza della linea di tendenza superiore, in cima al canale). Tale strategia ha trovato fine questo mese, poiché i timori di un brusco cambiamento nell’allentamento della politica monetaria e la forza dello yuan hanno aumentato l’attrattiva delle attività legate alla valuta locale.

Gli acquisti esteri di azioni cinesi onshore sono aumentati al livello più alto quest’anno a maggio, e i costi di transazione più elevati in genere vengono vissuti come una tassa dagli investitori a breve termine (come i day trader) e dai trader ad alta frequenza, che si affidano a transazioni rapide per realizzare profitti rapidi. Gli investitori a lungo termine, i fondi istituzionali e i gestori patrimoniali sono generalmente indifferenti alle mutazioni dei costi di transazione.

La Cina, fino ad oggi, ha già adeguato dieci volte l’aliquota dell’imposta di bollo sulle transazioni di azioni. L’ultima volta è stata nel settembre 2008, durante la crisi finanziaria globale, quando Pechino ha abolito l’imposta sull’acquisto di azioni e ha mantenuto il tasso di vendita allo 0,1 per cento. Le imposte di bollo in Cina vengono applicate anche ad altre aree, come le transazioni immobiliari, e i costi di negoziazione delle azioni di Hong Kong, per esempio, sono tra i più alti al mondo: a partire da agosto verrà imposta una tassa dello 0,13 per cento sia sull’acquisto che sulla vendita, contro l’attuale 0,1 per cento.

100 giorni di Brexit. In aumento le ripercussioni economiche per il Regno Unito

I danni maggiori nella finanza e nei comparti interessati dalle barriere non tariffarie. La Brexit costerà all’economia britannica più di 40 miliardi di sterline entro la fine del 2022, e la sterlina resta lontana dai livelli pre-Brexit.

di Volker Schmidt*

All’inizio di gennaio 2021, il periodo di transizione dell’accordo sulla Brexit è giunto a termine e il Regno Unito ha lasciato per sempre l’UE. Questo non solo ha reso il Regno Unito un paese terzo, alterando profondamente le relazioni con l’Unione Europea, ma ha anche modificato l’accesso del Regno Unito al mercato unico. Oggi, 100 giorni dopo, è ormai chiaro che Brexit sta causando cambiamenti economici di vasta portata, che sembrano destinati a durare nel tempo.

Secondo le ultime proiezioni della Commissione europea, Brexit costerà all’economia britannica più di 40 miliardi di sterline entro la fine del 2022, che corrispondono a circa il 2,25% del Prodotto interno lordo del Regno Unito, pari a 2,85 trilioni di sterline. A titolo di paragone, per gli stati dell’UE è prevista una perdita media di circa lo 0,5%. A pesare sull’economia sono, in particolare, le condizioni commerciali dell’accordo. Anche se il Regno Unito e l’UE hanno stretto un accordo di libero scambio che esclude la possibilità di imporre dazi, il carico burocratico sta aumentando notevolmente. Per esempio, le aziende britanniche devono dimostrare che le merci esportate nell’UE sono state prodotte prevalentemente nel loro paese: in un’economia globalizzata, con catene di produzione complesse, questo non è affatto facile.

Oltre a questo, ci sono i controlli sanitari e di sicurezza, l’Iva sulle importazioni e altri intralci che comportano rallentamenti e ostacolano il commercio. Molte aziende, soprattutto piccole e medie, non sono in grado di affrontare le sfide burocratiche e hanno temporaneamente sospeso le loro esportazioni. Secondo il New York Times, le esportazioni che hanno attraversato la Manica in gennaio sono crollate di oltre due terzi rispetto all’anno precedente. I produttori di pesce, carne e prodotti lattiero-caseari sono stati particolarmente colpiti e vi sono casi di deperimento di tonnellate di alimenti che non sono riusciti a superare il campo minato burocratico e raggiungere i porti di Francia e Olanda.

Londra continua a perdere terreno come centro finanziario. Anche l’industria finanziaria britannica, che per molto tempo è stata il più importante e il più grande centro di negoziazione di titoli in Europa, sta risentendo delle conseguenze di Brexit. Praticamente da un giorno all’altro, il trading azionario si è spostato nell’Europa continentale, in particolare ad Amsterdam e Parigi, mentre il trading di derivati è in larga parte migrato a New York. Il colosso del settlement, Euroclear, ha recentemente completato il trasferimento a Bruxelles di circa 50 titoli irlandesi, per un valore equivalente di circa 100 miliardi di euro, prima gestiti a Londra. In precedenza, per gestire le transazioni sui titoli l’Irlanda si affidava alla filiale di Euroclear “Crest”, con sede nel Regno Unito.

Ma i cambiamenti imposti da Brexit sono solo agli inizi. Le regole sulle future relazioni commerciali sono ancora in fase di trattativa e gli scontri sulle disposizioni speciali per l’Irlanda del Nord mostrano che il capitolo Brexit è tutt’altro che concluso. Per evitare controlli alle frontiere tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda, l’accordo di uscita dall’Unione Europea prevede che le regole del mercato unico dell’Unione continuino ad applicarsi all’Irlanda del Nord. A tal fine, un confine commerciale tra Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito doveva essere introdotto alla fine del periodo di transizione e comunque al più tardi all’inizio di aprile. Ora, però, il governo britannico ha esteso unilateralmente questo periodo di proroga, cosa che l’UE considera come una violazione dell’accordo. Poiché il governo britannico non ha ancora revocato il suo comunicato, l’UE sta portando la questione alla Corte di giustizia europea. Se la Corte dovesse pronunciarsi a favore dell’UE, potrebbero essere imposte sanzioni finanziarie. Di conseguenza, il clima tra Londra e Bruxelles sta diventando sempre più teso.

Nonostante il rialzo, la sterlina britannica è lontana dai livelli pre-Brexit. La sterlina britannica ha notevolmente recuperato rispetto all’euro da quando il Regno Unito ha lasciato l’UE. Mentre la valuta britannica era ferma a circa 1,10 a dicembre, oggi una sterlina vale già 1,16 euro. Questo è certamente dovuto in parte alla campagna vaccinale, molto più efficace nel Regno Unito: non solo è stato vaccinato il gruppo a rischio over 70, ma complessivamente un britannico su quattro ha ricevuto la vaccinazione. In secondo luogo, la valuta è sostenuta dal fatto che l’incertezza che circondava Brexit è quasi scomparsa. Ora, secondo l’opinione diffusa di molti sostenitori di Brexit, Londra ha di nuovo il controllo della propria politica estera e del proprio destino economico, e questo si riflette non soltanto nel successo della campagna vaccinale, ma, per il futuro, anche nelle rinnovate relazioni commerciali fuori dall’Europa, per esempio con Cina e Stati Uniti. Tuttavia, è anche vero che la ripresa della sterlina è partita da un livello estremamente basso in termini storici ed è ancora lontana dai livelli pre-Brexit di oltre 1,40 euro. Nel breve termine, la forza della sterlina potrebbe certamente acquisire ulteriore slancio, ma nel lungo termine, resta da vedere se Londra può trarre un vantaggio economico sostenibile dall’apparentemente sovranità riconquistata e dal vantaggio sui vaccini. 

* Senior Portfolio manager di Ethenea Independent Investors

Con la Brexit il business abbandona Londra. Volker Schmidt: processo irreversibile

Secondo Volker Schmidt di Ethenea, Londra ha già perso il suo status di centro finanziario europeo, e questo processo probabilmente sarà irreversibile.

Sebbene l’accordo su Brexit sia in vigore solo da poco tempo, ha già avuto un impatto sul settore finanziario: “Per decenni Londra è stata considerata il centro del trading azionario transnazionale, ma con Brexit e la fine del periodo di transizione, sembra non essere più così”, afferma Volker Schmidt, Senior Portfolio Manager di Ethenea Independent Investors.

Aquis Exchange, la seconda piattaforma di trading per le azioni europee nel Regno Unito, ha dichiarato che all’inizio di gennaio il 99,6% delle negoziazioni è stato effettuato attraverso la piattaforma gemella di Parigi. Lo stesso è da Cboe Global Markets, Inc. (precedentemente Chicago Board Options Exchange): circa il 90% delle operazioni di trading azionario dell’Unione Europea è stato eseguito ad Amsterdam, aggiunge Schmidt, quando nel 2020 quasi l’intero volume era stato gestito da Londra.

“Nel complesso, soltanto nel primo giorno di trading dell’anno, circa 6 miliardi di euro sono stati spostati da Londra all’Europa continentale”, spiega Schmidt. “In questo modo, non solo il Ministero delle Finanze britannico di conseguenza perde il relativo gettito fiscale, ma è ragionevole supporre che in futuro le società preferiranno quotare le loro attività nel mercato comunitario per beneficiare di condizioni di trading più fluide e senza intoppi. Questo dimostra chiaramente che Londra ha già perso il suo status di centro finanziario europeo e questo processo probabilmente sarà irreversibile”.

L’impatto sulle catene di approvvigionamento – Uno dei punti chiave dell’accordo Brexit riguarda l’assenza di dazi nel commercio bilaterale tra Regno Unito e Unione Europea. Tuttavia, poche settimane dopo, i problemi stanno diventando sempre più evidenti. “Da un lato, i piccoli commercianti al dettaglio e le aziende di trasporto si stanno lamentando della crescente burocrazia e dell’aumento di carte che questo comporta”, afferma l’esperto di Ethenea. “Ci sono code alla frontiera, camion che vengono respinti e catene di approvvigionamento che stanno collassando. Molte società di trasporto hanno provvisoriamente sospeso le consegne. Ma anche le grandi aziende sembrano essere state colte alla sprovvista dalle incertezze e sembrano non essere adeguatamente preparate. Affinché le merci possano beneficiare del trattamento duty-free, è necessario dimostrarne la provenienza dall’Unione Europea o dal Regno Unito”, spiega Schmidt.

“Tuttavia, se le merci vengono importate nel Regno Unito e successivamente esportate nell’Unione Europea – con poca o nessuna ulteriore lavorazione – si applicherebbero i dazi doganali. Marks & Spencer, ad esempio, ha il suo marchio di dolciumi “Percy Pig” prodotto da Katjes in Germania, li importa nel Regno Unito e da lì li distribuisce anche in Irlanda: d’ora in poi dovranno pagare i dazi doganali. Per questo motivo, in futuro, le aziende si troveranno di fronte alla scelta di pagare gli oneri doganali o di riorganizzare le loro catene di approvvigionamento, in modo che i magazzini possano essere riforniti senza dover coinvolgere le strutture britanniche. Quest’ultima sarà una sfida enorme soprattutto per le piccole e medie imprese”.

Volker Schmidt

Diritti di voto revocati agli investitori – “L’11 marzo 2019, le compagnie aeree Ryanair e Wizzair hanno annunciato che in caso di Brexit avrebbero revocato i diritti di voto ai loro azionisti britannici e all’inizio di quest’anno hanno effettivamente implementato la revoca,” afferma Schmidt. “Alla base di questa decisione c’è il regolamento secondo il quale i voli all’interno dell’UE possono essere operati solo da compagnie possedute per la maggioranza da azionisti dell’Unione Europea o almeno sotto il loro controllo. Nel peggiore dei casi il risultato sarebbe stato lo stop dei voli. Nonostante Ryanair abbia sede in Irlanda, un gran numero dei suoi azionisti, principalmente investitori istituzionali e fondi, provengono dal Regno Unito. Lo stesso discorso vale per Wizzair che ha sede in Ungheria”.

“Questi sono solo i primi effetti e ce ne saranno molti altri, alcuni dei quali del tutto inaspettati”, conclude Schmidt. “Riteniamo quindi opportuno essere flessibili e diversificati in tutti i settori, per essere pronti in caso di eventuali futuri sviluppi”.

Equiduct, forte crescita nel 2020. Quota di mercato europeo e turnover in aumento

La piattaforma focalizzata sul segmento europeo ha continuato a guadagnare volume e quote di mercato, nonostante il contesto competitivo. 

Equiduct, la piattaforma pan-europea focalizzata sul segmento retail, ha pubblicato di recente i risultati delle transazioni per l’anno 2020. Ha riportato un ADV (volume medio giornaliero) complessivo pari a 281 milioni di euro per l’ultimo trimestre dell’anno, con un guadagno del 65% rispetto allo stesso trimestre del 2019. Il volume medio giornaliero per il 2020 ha raggiunto quota 283 milioni di euro, contro i 149 milioni di euro del 2019, ossia un incremento dell’88%. In confronto, l’attività di trading nei mercati europei tradizionali è cresciuta solo del 5% anno su anno.

Equiduct ha inoltre registrato un incremento del 132% delle operazioni totali – passando dai 6,3 milioni del 2019 ai 14,6 milioni di transazioni nel 2020, e la sua quota di mercato in tutta Europa è salita del 78%.

Questo successo segue il lancio, nel 2019, di Apex – il servizio di best execution senza commissioni per gli intermediari retail. Apex è un servizio di trading regolamentato, conforme alla normativa MiFID e completamente trasparente, che permette l’esecuzione degli ordini retail nell’order book di tutta Europa ed è supportato da un insieme di provider della liquidità e di broker attivi.

Dave Murphy

Dave Murphy, CEO di Equiduct, ha dichiarato: “Il 2020 è stato un anno di forte volatilità e la partecipazione del segmento retail è aumentata. Crediamo che sia responsabilità delle borse offrire soluzioni innovative per migliorare i mercati e questo aspetto riveste un ruolo centrale nella nostra attività. Diamo spazio alle esigenze degli operatori e cerchiamo di migliorare costantemente la nostra offerta – che già si presenta come best-in-class. Per questa ragione abbiamo lanciato Apex un anno fa, per offrire un terreno di gioco di livello ai broker retail che non sempre sono riusciti a beneficiare dell’accesso a più fonti di liquidità dopo l’introduzione delle normative MiFID”. “La nostra tecnologia è stata ideata per i broker retail, con l’obiettivo di migliorare significativamente l’esperienza finanziaria degli investitori finali e la best execution per tutti gli attori coinvolti. I risultati sorprendenti che abbiamo ottenuto nel 2020 testimoniano l’evidente apprezzamento dei nostri servizi da parte della comunità retail, con un miglioramento di quasi il 90% del turnover”.

Secondo Wail Azizi, Managing Director e Global Head of Growth di Equiduct, “I broker retail hanno dimostrato uno straordinario interesse per le soluzioni innovative che consentono di fornire best execution ad un costo più vantaggioso per i propri clienti. Inviare semplicemente gli ordini alle principali piazze di negoziazione non è più sufficiente. Con il 2021 siamo certi che avremo la possibilità di accogliere un numero ancora maggiore di membri sulla nostra piattaforma, aiutandoli ad offrire una best execution efficiente dal punto di vista dei costi ad un numero crescente d’investitori retail in tutta Europa”.

Equiduct, che è un segmento di mercato di Börse Berlin, è una piattaforma di trading innovativa, che garantisce a tutti gli operatori di accedere ai prezzi migliori disponibili in Europa, utilizzando un sistema proprietario di calcolo per l’individuazione del prezzo su ben 11 mercati, ricoprendo 16 tra i principali indici europei.

Equiduct, Fineco Bank aderisce alla piattaforma di trading Apex per il segmento retail

Fineco, il maggiore broker retail italiano, aderisce ad Apex, il servizio di trading in borsa di Equiduct destinato alla clientela retail con zero commissioni. 11 mercati europei ed oltre 1500 titoli tramite un’unica piattaforma.

Equiduct, la piattaforma pan-europea focalizzata sul segmento retail, ha annunciato oggi che Fineco Bank ha aderito al servizio offerto dalla piattaforma di trading Apex. Fineco è il maggiore broker italiano per il segmento retail, nonché una delle principali piattaforme online d’Europa. Apex offrirà accesso alle attività di trading di 11 mercati europei e ad oltre 1500 titoli tramite un’unica piattaforma, garantendo contemporaneamente la Best Execution dei servizi.

“Siamo lieti di dare il benvenuto a Fineco nella piattaforma Apex. Si tratta di un passo significativo per lo sviluppo della presenza di Equiduct in Italia. Le caratteristiche uniche e le peculiarità commerciali di Apex non solo garantiranno a Fineco la Best Execution dei servizi, ma forniranno anche un vantaggio competitivo senza pari in termini di costi di esecuzione e di convenienza di accesso ai dati dei mercati di tutta Europa”, ha dichiarato Dave Murphy, CEO di Equiduct.

Lanciato nel novembre del 2019, Apex è il primo servizio di trading senza commissioni per il segmento retail in Europa. E’ in grado di garantire la Best Execution per ogni transazione calcolando automaticamente il prezzo migliore possibile per ogni ordine nell’istante stesso in cui si verifica l’operazione.

Gli ordini retail inviati a Equiduct saranno negoziati contro un gruppo di provider di liquidità, oltre che di altri broker presenti nell’order book (piena esecuzione multilaterale). Apex offre servizi di pre e post-trading assolutamente trasparenti e pubblica giornalmente dei report sulla qualità dell’esecuzione degli ordini che comprovano la Best Execution di ogni negoziazione.

Paolo Di Grazia

Paolo Di Grazia, Deputy General Manager & Head-Global Business di FinecoBank ha dichiarato: “Siamo partner di Equiduct ormai da molti anni. Intendiamo continuare ad offrire un’elevata qualità delle transazioni estendendola ad un più ampio pubblico d’investitori. Ecco perché abbiamo deciso di aderire ad Apex ed alle sue soluzioni efficienti e tecnologicamente avanzate”.

Equiduct, segmento di mercato di Börse Berlin (operatore regolamentato ai sensi dell’Articolo 44 di MiFID II) è un’innovativa piattaforma di trading, al servizio dei clienti in tutta Europa, che consente ai broker retail e agli operatori istituzionali di ottenere la Best Execution negli ETF e nei titoli azionari più liquidi e frammentati, offrendo la possibilità di negoziare realmente in tutta Europa, su ben 11 mercati, e ricoprendo 16 tra i principali indici europei.

FinecoBank è una delle più importanti banche FinTech in Europa. Quotata nel FTSE MIB, Fineco propone un modello di business unico in Europa, che combina piattaforme di trading con un network di consulenti finanziari. La partnership con Equiduct nasce dalla forte tendenza alla internazionalizzazione del gruppo Fineco, che dal 2017 è attiva anche nel Regno Unito, con un’offerta focalizzata sui servizi di brokerage, di banking e di investimento, e dal 2018 in Irlanda, dove è stata fondata Fineco Asset Management.