Aprile 18, 2024
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Quale futuro per il comparto Biotech? Cosa devono sapere consulenti e investitori prima di investire

Gli investitori dovrebbero prestare molta attenzione alle fasi in cui si trovano i candidati a farmaco di un’azienda biotech, dal momento che i loro titoli in borsa sono estremamente volatili. Infatti, una mancata approvazione dei test clinici in Fase 3 è capace di far scendere il valore dell’azione anche del 50%.

E’ notizia di qualche giorno fa quella del batterio sintetico “analfabeta”, ottenuto nei laboratori britannici del Medical Research Council (e pubblicato sulla rivista Science), inattaccabile dai virus perché non capisce il loro linguaggio e non può aiutarli a replicarsi, costringendoli a soccombere. Questo batterio sintetico apre la strada alla possibilità di ottenere microrganismi, dal patrimonio genetico modificato, da trasformare in fabbriche di farmaci come antivirali, antibiotici o antitumorali, poiché il batterio non sa leggere il codice genetico dei virus e impedisce la loro riproduzione basata sulla capacità delle cellule di leggere tutti i pacchetti di informazione del loro genoma. Di conseguenza, quando il virus entra nella cellula non trova nessun aiuto per replicarsi e l’infezione semplicemente non avviene.

Sulla scorta di tecniche di laboratorio come queste – inconcepibili persino qualche anno fa – alcuni scienziati ritengono che ci troviamo nell'”età dell’oro” della biotecnologia, grazie alla quale oggi è possibile curare e prevenire le malattie, ma anche sviluppare potenziali trattamenti e vaccini. Questo progresso costante, naturalmente, sta anche presentando enormi opportunità per gli investitori, poiché il potenziale di rendimento a lungo termine di molti titoli biotecnologici è molto interessante.

Che cos’è esattamente una azienda biotech? È un’azienda che utilizza organismi viventi (ad esempio batteri o enzimi) per produrre farmaci. Questo uso di organismi viventi differenzia le biotecnologie dalle aziende farmaceutiche, che utilizzano sostanze chimiche per sviluppare nuove molecole per il settore farmaceutico. Oggi è facile associare la biotecnologia all’assistenza sanitaria e alla ricerca di cure per malattie o virus. Tuttavia, il mercato e le sue innovazioni sono più vasti, comprendendo anche le innovazioni che potrebbero consentire alle società di ridurre le malattie, la fame e la dipendenza petrolchimica, trasformando anche il modo in cui la società interagisce con l’ambiente.

Nello sviluppo di nuovi farmaci, le aziende biotech devono osservare almeno quattro passaggi (identificazione della malattia, test preclinici in vitro o su cavie, test clinici e approvazione delle agenzie governativa) prima di arrivare a vendere un farmaco. I test clinici, in particolare, prevedono tre fasi:
– Fase 1: piccoli studi progettati per trovare una dose sicura per il “candidato a farmaco” e determinare come potrebbe colpire gli esseri umani.
– Fase 2: studi che possono includere circa 100 o più pazienti e concentrarsi sulla sicurezza, sugli effetti collaterali a breve termine e sulla determinazione della dose ottimale per il farmaco.
– Fase 3: studi più ampi che possono includere centinaia o addirittura migliaia di pazienti e che si concentrano sull’efficacia con cui un farmaco sperimentale tratta una malattia bersaglio e quanto sia sicuro.

Ebbene, un candidato a farmaco deve superare con successo ogni fase per passare alla successiva. Solo una volta che un farmaco ha completato con successo uno studio di Fase 3, dimostrando sicurezza ed efficacia nel trattamento della condizione target, l’azienda biotech potrà richiedere l’approvazione normativa utilizzando i dati clinici dello studio. Negli Stati Uniti, per esempio, la FDA sovrintende alle approvazioni per i nuovi farmaci. Gli investitori, pertanto, dovrebbero prestare molta attenzione alle fasi in cui si trovano i candidati a farmaco di un’azienda biotech, dal momento che i loro titoli in borsa sono estremamente volatili. Di solito, più avanzata è la fase, minore è il rischio, ma una mancata approvazione dei test clinici in Fase 3 (con rinvio, non si tratta di una bocciatura definitiva da parte delle agenzie) è capace di far scendere il valore dell’azione anche del 60-70% in un breve lasso di tempo. Inoltre, prima di investire è importante considerare il potenziale picco di vendite annuali di un candidato a farmaco, ossia il livello più alto di vendite all’anno previsto dagli analisti. Più alto è, maggiori saranno le opportunità di guadagno dall’investimento.

Naturalmente, qualunque valutazione deve partire sul c.d. portfolio: un’azienda biotech con più farmaci sperimentali nella sua pipeline (è il termine usato per riferirsi a tutti i farmaci di un’azienda che sono in fase di sviluppo) tenderà ad avere meno rischi di una biotech con solo uno o pochissimi farmaci candidati. Infatti, il portfolio incide molto sulla posizione finanziaria dell’azienda, dal momento che la maggior parte delle biotech non raggiunge la redditività finché non lancia con successo uno o più farmaci sul mercato, e ciò implica la valutazione di un investimento su un’azienda con fondamentali economici che, in altri settori, farebbero fuggire qualunque investitore. Sopperiranno, in questo caso, i dati sulla liquidità disponibile dei suoi maggiori azionisti, sebbene si tratti di un indicatore indiretto e molte biotech, nel corso della loro vita iniziale, emettono spesso nuove azioni per aumentare la liquidità necessaria, il che riduce il valore delle azioni esistenti.

Alcune biotech, però, ricevono denaro anche attraverso partnership con grandi case farmaceutiche, nonchè sovvenzioni da agenzie governative e organizzazioni senza scopo di lucro. Prima dell’esplosione della pandemia, aziende come Moderna (NASDAQ: MRNA) o BioNTech (NASDAQ: BNTX) erano probabilmente sconosciute a tutti, ed hanno raggiunto la notorietà grazie alle partnership sviluppate con aziende più note (come Pfizer) grazie alla necessità di sviluppare e produrre i vaccini che oggi usiamo per il COVID-19.

Secondo un recente rapporto di Acumen Research and Consulting, si prevede che il mercato globale delle biotecnologie crescerà di circa il 15,5% dal 2020 al 2027, e raggiungerà un valore di mercato di oltre 850,5 miliardi di USD entro il 2027. C’è poi un nuovo rapporto del National Intelligence Council (NIC) degli Stati Uniti che indica che la biotecnologia potrebbe potenzialmente rappresentare circa il 20% dell’economia globale entro il 2040, con l’agricoltura e la produzione come alcuni dei suoi principali motori e con l’espansione delle applicazioni sanitarie. Questa crescita porterà molte opportunità agli investitori che si informano bene su ciò su cui ciascuna biotech sta lavorando e, soprattutto, su come stanno procedendo la loro ricerca e sviluppo. Infatti, le previsioni sul dato globale al 2027 non specificano quali saranno le aziende che non riusciranno a superare i test clinici e, di conseguenza, determineranno il fallimento dell’investimento.

In definitiva, l’investimento in titoli azionari biotech richiede una buona dose di saggezza (diversificazione estrema) ma anche il dovere di aggiornare costantemente le proprie informazioni, poiché può passare molto tempo tra ricerca e sviluppo della pipeline di potenziali trattamenti. È un gioco di attesa, che potrebbe portare fortuna solo agli investitori che sanno cosa aspettarsi negli anni a venire.

Biotech America ancora sugli scudi, grazie al Covid. I titoli biotecnologici più promettenti del Nasdaq

L’industria biotech sta cambiando rapidamente nell’attuale scenario economico, dominato ancora dalla pandemia. Il COVID-19 ha creato enormi opportunità di lungo periodo per le biotecnologie che sviluppano potenziali trattamenti e vaccini.  

E’ ormai noto a tutti – sia per gli addetti ai lavori che per gli investitori, anche i più piccoli – che la pandemia di COVID-19, oltre al suo carico di tragicità, crisi economica e sospetti, ha anche creato enormi opportunità per alcuni settori industriali, come le biotecnologie che sviluppano potenziali trattamenti e vaccini. Nel corso del 2020 queste potenzialità si sono tradotte in acquisti euforici di titoli farmaceutici e del settore Biotech applicato ai farmaci, e le quotazioni di oggi, soprattutto rispetto a quelle di cinque anni fa, appaiono come arrivate da una lunga corsa. Ma a detta dei migliori analisti, alcune aziende degli USA si sono rafforzate strutturalmente e adesso, dopo un sensibile ritracciamento dalle quotazioni massime di mercato, presentano margini interessanti anche per il lungo periodo.

Pertanto, i migliori titoli biotecnologici del Nasdaq da valutare in questo momento vantano solidi fondamentali e alcuni hanno già farmaci vincenti sul mercato. Ecco alcune società* che gli investitori dovrebbero tenere d’occhio.

Axsome Therapeutics – Il farmaco principale candidato di Axsome, che si chiama AXS-05, prende di mira la depressione e l’agitazione correlata al morbo di Alzheimer. Lo scorso 26 Aprile, Axsome Therapeutics ha annunciato l’approvazione della FDA della nuova domanda di farmaco per AXS-05 per il trattamento della depressione e del tabagismo. Axsome sta sviluppando un farmaco sperimentale per l’emicrania, chiamato AXS-07, per il quale prevede di richiedere l’approvazione della FDA (Food and Drug Administration) statunitense entro il secondo trimestre del 2021. AXS-05, come trattamento per la depressione, potrebbe essere un farmaco di successo, con picchi di vendita annuali – il più alto volume di vendite in dollari per anno previsto dagli analisti – stimato in 2,6 miliardi di dollari. Invece, il picco di vendita annuale previsto per AXS-07 nei soli Stati Uniti è di oltre 500 milioni di USD all’anno.

ExelixisExelixis ha sviluppato quattro farmaci che sono già sul mercato. Il suo più grande vincitore di gran lunga è Cabometyx. Il farmaco è approvato per il trattamento del carcinoma a cellule renali (RCC) e del carcinoma epatocellulare (HCC), rispettivamente i tipi più comuni di cancro del rene e del fegato. Questa azienda biotech potrebbe fornire una solida crescita in futuro espandendo l’uso di Cabometyx come parte delle terapie combinate. Exelixis e Bristol Myers Squibb (NYSE:BMY) hanno ottenuto l’approvazione negli Stati Uniti all’inizio del 2021 per Cabometyx in combinazione con l’immunoterapia Opdivo, ed Exelixis sta anche lavorando con Roche (OTC:RHHBY) per valutare un trattamento combinato Cabometyx-Tecentriq. Exelixis sta utilizzando la sua scorta di liquidità in rapida crescita per stipulare accordi di licenza e ampliare in altro modo le sue offerte. Ora sta concedendo in licenza da Aurigene un promettente farmaco contro il cancro in fase iniziale chiamato XL102.

Novavax – L’azienda potrebbe trarre vantaggio dall’essere uno dei candidati a produrre il vaccino COVID-19 NVX-CoV2373, utilizzando una subunità proteica (una singola molecola proteica) per stimolare una risposta immunitaria contro il nuovo coronavirus. La società biotecnologica all’inizio del 2021 ha riportato risultati intermedi positivi da uno studio in fase avanzata del Regno Unito sul vaccino sperimentale, e il governo degli Stati Uniti ha firmato un accordo da 1,6 miliardi di dollari con Novavax per finanziare lo sviluppo e la produzione in fase avanzata del suo vaccino, con la clausola che Novavax fornisca 100 milioni di dosi se il farmaco ha successo nei test clinici. Novavax ha anche siglato accordi di fornitura con Australia, Canada, Regno Unito e India. E’ bene ricordare che nel 2019 il titolo Novavax aveva perso quasi il 90% del suo valore quando il farmaco candidato al vaccino contro il virus respiratorio ResVax aveva fallito per la seconda volta gli studi clinici in fase avanzata. Ma il prezzo del titolo si è ripreso nel 2020 e la società ha riportato risultati straordinariamente positivi da uno studio in fase avanzata del suo vaccino antinfluenzale sperimentale NanoFlu. L’azienda prevede ora di perseguire l’approvazione della FDA del vaccino antinfluenzale. Gli analisti prevedono che, se approvato, NanoFlu potrebbe generare vendite annuali fino a 1,7 miliardi di dollari.

Regeneron – La più grande fonte di guadagno per Regeneron Pharmaceuticals è Eylea, un farmaco per le malattie degli occhi che produce in collaborazione con Bayer (OTC: BAYRY). Tutte le vendite nette di Eylea negli Stati Uniti vengono assegnate a Regeneron, e la società divide con Bayer le entrate ottenute dai mercati al di fuori degli Stati Uniti. Regeneron ha anche una redditizia partnership con Sanofi (NASDAQ:SNY), con la quale sta sviluppando congiuntamente farmaci per malattie autoimmuni Dupixent e Kevzara, farmaci antitumorali Libtayo e Zaltrap e il farmaco per il colesterolo Praluent. Regeneron ha anche vinto l’autorizzazione all’uso di emergenza negli Stati Uniti per il trattamento del COVID-19 con il suo cocktail di anticorpi REGEN-COV, che ha mostrato di poter ridurre significativamente il rischio di infezione sintomatica da parte del nuovo coronavirus.

Vertex – Vertex gode di un monopolio quasi totale nel trattamento della causa sottostante della fibrosi cistica (FC), una malattia genetica rara che provoca l’eccessivo accumulo di muco nei polmoni e nell’apparato digerente. Il suo farmaco più recente, Trikafta/Kaftrio, potrebbe dare beneficio ad oltre il 50% dei pazienti affetti da Fibrosi Cistica grazie ad una mutazione genetica stimata nel 90% dei pazienti affetti da Fibrosi Cistica. Inoltre, Vertex sta cercando di testare terapie di modifica genica (trattamenti che comportano la modifica delle sequenze di DNA) mirate alle malattie rare del sangue beta-talassemia e anemia falciforme. L’azienda è anche avanzata nella fase 1/2 della sperimentazione di un farmaco sperimentale che ha il potenziale per curare il diabete di tipo 1, una malattia che, solo negli Stati Uniti, colpisce più di 1,5 milioni di persone.

 

* Le informazioni contenute nell’articolo sono fornite unicamente a titolo informativo, e non devono essere intese né come una consulenza di investimento, né come un consiglio di acquisto, vendita o altri tipi di operazioni relative ad un investimento su prodotti o servizi, né tanto meno un invito, un’offerta o un sollecito a investire. Le informazioni del Sito vengono fornite esclusivamente in virtù del fatto che ognuno prenderà autonomamente le proprie decisioni in materia di investimenti. Inoltre, nessun elemento nel Sito rappresenta o intende rappresentare una consulenza finanziaria, legale, contabile o fiscale.

Azioni comparto HealthCare, non si vive di solo vaccino. Il profitto a lungo termine viene dalla filiera

Nella corsa per contrastare il virus i veri vincitori potrebbero non essere i produttori del farmaco, bensì quelli della cosiddetta filiera, che guadagnano a prescindere dal successo commerciale delle singole case farmaceutiche.

Quello dell’Healthcare è un settore che, molto più di ogni altro, alimenta per via endogena la propria domanda futura. Infatti, il successo di questo settore si basa su una equazione molto semplice: più la medicina consente di allungare l’aspettativa di vita e di prolungare l’apporto di attività sociale durante l’anzianità (70-80 anni), maggiore sarà la domanda di prestazioni mediche nella vecchiaia (oltre gli 80 anni), durante la quale la quiescenza prende il posto di qualunque forma di attività, insieme all’insorgenza di esigenze mediche e di assistenza sociale sempre più pressanti.

In generale, chi si avvicina agli investimenti azionari, dedicando una parte strutturale della propria asset allocation strategica, apprezza non poco i titoli come quelli del comparto sanitario, che sono relativamente meno dipendenti dalle congiunture. Infatti, su settori come quello del cibo e della salute la stragrande maggioranza delle famiglie non tirano troppo la cinghia, neanche in periodi di difficoltà economiche, determinandone la caratteristica di settori c.d. difensivi, ossia quelli che perdono meno nelle fasi di grande crisi, e guadagnano meno nelle fasi di grossa crescita.

Tale tendenza è stata puntualmente confermata durante il primo trimestre del 2020, allorquando le azioni Healthcare hanno retto meglio di quasi tutti gli altri settori, salvo poi non essere riusciti a crescere come gli altri durante la successiva fase di ripresa.

Naturalmente, discorso a parte merita il settore dei vaccini, con l’avvertenza per gli investitori che un produttore di vaccino anti-Covid non identifica automaticamente il corrispondente titolo azionario dell’azienda come un affare sicuro e stabile nel tempo. Infatti, nonostante le notizie incalzanti su previsioni di produzione e distribuzione, sul vaccino per prevenire il contagio e i sintomi da Coronavirus esistono ancora molti punti oscuri circa la sua efficacia nel tempo e l’assenza di effetti collaterali gravi. Inoltre, non è ancora chiaro quale sia la reale portata del business del vaccino, e quanti soldi le aziende produttrici potranno effettivamente guadagnare, dal momento che ci saranno sul mercato diversi prodotti concorrenti.

Pertanto, sebbene sia profittevole trovare un nuovo vaccino, non sempre il successo è assicurato. Infatti, nell’industria farmaceutica spesso sono le aziende della c.d. filiera – quelle che producono attrezzature di laboratorio, test, prodotti chimici ed altro – ad avere le chance di profitto più stabili e durevoli, perché prendono vantaggio dall’essere “spettatori attivi” durante le fasi di forte ricerca scientifica e, in ultima analisi, fornitori neutrali delle aziende che sviluppano il farmaco. Non a caso la loro performance di quest’anno è stata finora ragguardevole.

Brooks Automation Inc., ad esempio, rifornisce l’inglese Astrazeneca e, con la divisione Life Science, si occupa di provette per la conservazione di campioni, della c.d. scissione ematica, di preparazione e movimentazione dei campioni.

Wallgreens Boots Inc. rifornisce 250.000 farmacie in 20 paesi, mentre CVS Health è la più grande catena di farmacie degli Stati Uniti con quasi 10.000 punti vendita. Entrambe queste aziende possono sfruttare la distribuzione del vaccino che, negli USA, vale un mercato da circa 9 miliardi di dollari solo nel 2021.

Sebbene le recenti notizie sulla produzione e imminente distribuzione dei vaccini ci facciano ben sperare sull’inizio della fine della pandemia, ci vorrà un pò di tempo (da 6 a 12 mesi) prima che tutti possano ricevere il vaccino, e gli analisti sono concordi nel ritenere che per avere una copertura totale di tutti i cittadini dell’Unione Europea sarà necessario attendere il 2022. Inoltre, rimane il problema della cura specifica, che ancora non si è trovata e sulla quale la ricerca è appena iniziata.

Pandemia o meno, il settore sanitario sta vivendo già da anni una trasformazione enorme, che l’emergenza sanitaria ha solo accelerato. Non è solo un settore difensivo, ma molto dinamico dal punto di vista industriale, trainato com’è dallo sviluppo demografico e dalla domanda crescente di servizi sanitari proveniente dalla Cina e dai paesi emergenti.

Le aziende più all’avanguardia stanno sviluppando nuove soluzioni grazie alla Robotica, alla Telemedicina, alla Digitalizzazione, alla Elaborazione dei dati ed alla I.A. (Intelligenza Artificiale). La maggiore quota di mercato spetta agli Stati Uniti, dove persino le assicurazioni sanitarie oggi gestiscono i propri ospedali e danno lavoro a personale medico di eccellenza, fornendo direttamente assistenza sanitaria integrata ottimizzando i costi, ricevendo grandi quantità di dati su clienti e pazienti e consentendo diagnosi più rapide.

I settori chiave del comparto Healthcare, borsisticamente parlando, sono quelli della Farmaceutica, dell’Equipaggiamento, della Biotecnologia, degli Strumenti di Life Sciences, di Management specifico, di Tecnologia e Forniture Health Care, oltre alle aziende che operano nel campo della Distribuzione di servizi e prodotti Healthcare.

I gestori di sicav più attivi nel settore, anche al fine di diminuire la volatilità complessiva del fondo e dare stabilità al portafoglio, in genere puntano sui grandi produttori farmaceutici attivi a livello globale, con una solida posizione di mercato. Relativamente alle singole aree geografiche, il peso attribuito a ciascuna di esse varia – e di molto – da paese in paese. Gli USA, con il loro “carico” di colossi farmaceutici (United Health Group, Abbott Laboratories, Merck & Co, Johnson & Johnson, Ely Lily, Amgen etc), hanno generalmente il peso maggiore, variabile tra il 55% ed il 65%. A seguire, in ordine decrescente, tutti gli altri: Svizzera 5-10% (Roche Holding), Regno Unito 4-6% (AstraZeneca), Danimarca 3-5%, Germania 3-5%, Giappone 2-4%, Francia 2-4%, più altri (Irlanda, Paesi Bassi, Spagna e Australia) con minore partecipazione ai patrimoni gestiti.

In definitiva, le azioni del settore Healthcare offrono ai portafogli di investimento un forte sostegno di lungo termine, e i valori di borsa delle aziende di media e grande capitalizzazione sembrano essere ancora appetibili, a differenza di altri settori dove esiste già un discreto ipercomprato.

Coronavirus: Big Pharma spinge sul vaccino, ma il problema è la terapia. Fatturati da capogiro

Moderna dichiara di poter arrivare, entro fine 2021, a produrre fino ad un miliardo di dosi, per un fatturato complessivo pari a circa 25 miliardi. Pfizer-Biontech dichiarano una produzione pari a 1,3 miliardi di dosi entro il prossimo anno, per un fatturato pari a circa 26 miliardi. Azioni previste in rialzo anche nel lungo periodo se gli anticorpi non saranno permanenti.

Nel pieno di una gravissima seconda ondata che molti, fino a meno di due mesi fa, bollavano come previsione estrema, tutti gli occhi rimangono puntati sui diversi vaccini ormai in dirittura d’arrivo e sui quali i mercati finanziari ci hanno regalato, metaforicamente parlando, belle giornate di sole. Nell’attesa che Pfizer, Moderna ed altre case farmaceutiche comincino la produzione e la distribuzione del vaccino su vasta scala, purtroppo non si sono ancora individuati i farmaci idonei alla terapia più efficace e standardizzata, ed il tasso di mortalità rimane ancora elevato.

Dal momento che i fatti umani sono spesso guidati da scelte di natura prettamente economica, il motivo – o i motivi – per cui si sia preferito indirizzare gli sforzi della ricerca mondiale verso tale strategia (prima il vaccino, poi la cura) sono sempre meno misteriosi. Del resto, non si comprende la logica attraverso la quale fiumi di denaro – quasi un miliardo di euro di finanziamenti governativi, ad oggi – siano arrivati alle varie equipe di Big Pharma (Pfizer e Moderna, soprattutto) per aiutare chi ancora il Covid-19 non l’ha contratto, mentre sulla possibile cura le cifre impiegate, al confronto, rimangono irrisorie. Infatti, sul versante della terapia, si è preferito prestare attenzione a farmaci già esistenti ed in circolazione – o ad una combinazione di essi – e non a molecole nuove, in grado di guarire in tempi rapidi, e con meno complicanze possibili, chi il Covid-19 l’ha già contratto e rischia la vita.

Lo sviluppo del vaccino è un processo più lungo, che normalmente richiede circa 5 anni e molti test da effettuare su migliaia di persone. Data l’attuale emergenza, però, è stato proposto un periodo di tempo più ristretto, compreso tra 12 e 18 mesi, e trattandosi di un’emergenza sanitaria che interessa tutto il mondo la capacità di produzione dovrebbe essere garantita prima del termine degli studi clinici e ripartita globalmente per garantire anche un’equa distribuzione in tutti i paesi del mondo. 

Sulla scia di questa strategia preferenziale verso il vaccino, circolano numerose informazioni che sollecitano una visione favorevole al concetto di “vaccinazione di massa”, l’unica che possa bloccare il virus per sempre. L’ipotesi è corretta, ma c’è da dire che lo stesso risultato si potrebbe raggiungere trovando la cura più efficace, che consentirebbe, a costi più bassi, di affrontare il Coronavirus con serenità, conducendo una vita normale senza pensare di poter morire da un momento all’altro. Unica controindicazione della strategia pro-cura (prima la cura, poi il vaccino) è quella che il Covid-19 potrebbe rimanere in circolazione per maggiore tempo, dal momento che molte persone, sicure di potersi curare rapidamente in caso di contagio, non ricorrerebbero al vaccino. Anche questa ipotesi è corretta, ma è altrettanto corretto prevedere che sarà molto difficile attuare una vaccinazione di massa come è accaduto, ad esempio, per il Morbillo, che necessitava di una copertura pari al 95% della popolazione. Secondo un sondaggio recente, negli Stati Uniti solo il 50% dei cittadini intervistati si è dischiarato disposto a fare il vaccino.  

Su tutto, però, non è stato chiarito un punto fondamentale, e cioè se i vaccini di imminente distribuzione proteggono solo dallo sviluppo della malattia da Covid-19 vera e propria, o se tengono il virus del tutto fuori dal corpo. Il secondo caso sarebbe quello più auspicabile, dal momento che scongiurerebbe la trasmissione del virus da persona a persona, accelerando la fine della pandemia.

Tornando ai nostri temi, lo scorso 9 Novembre Pfizer ha annunciato che il suo vaccino sperimentale contro il Coronavirus, sviluppato dalla tedesca BioNTech, si è rivelato molto più efficace del previsto nell’ultima fase di test su esseri umani. La notizia è stata accolta da grande ottimismo sia tra gli operatori che tra gli investitori in Borsa, ed ha generato ordini per miliardi di dollari da parte dei governi. Eppure, i tempi per distribuire il vaccino alle masse saranno piuttosto lunghi, per via delle procedure di autorizzazione da parte delle autorità sanitarie e della capacità di Pfizer di produrre materialmente i vaccini per alcuni miliardi di persone e distribuirlo in tutto il pianeta.

L’annuncio, comunque, ha fatto salire sensibilmente sia le azioni Pfizer, cresciute del 10% nella prima seduta, e di Biontech, salite del 15%. La tedesca Biontech, da sola, oggi vale 25 miliardi di dollari, nonostante un fatturato 2019 pari a 110 milioni di euro e perdite a bilancio per 180 milioni.

Il clima euforico di borsa, naturalmente, ha trascinato al rialzo anche le azioni dell’azienda americana Moderna, che già stipulato accordi anche con l’Unione Europea per 300 milioni di dosi.

Qual è il giro d’affari immediato che scaturisce per Pfizer e Moderna, grazie a questi accordi? Il vaccino Moderna costerà intorno ai 25 euro, mentre quello di Pfizer-Biontech poco sotto i 20 dollari. Pertanto, la commessa di Moderna con l’UE porterebbe all’azienda americana un fatturato di 7,5 miliardi, e le proiezioni per la Pfizer non sono da meno.

Un pò in sordina, c’è anche il vaccino di Astrazeneca, messo a punto dall’Università di Oxford e dall’Italiana Irbm, che sta per concludere i test di fase III ed è già allo studio dell’Ema. Il farmaco è basato sull’azione di un Adenovirus e richiede una sola somministrazione; in più, costerebbe solo  4-5 euro ed , entro gennaio 2021 la società inizierà la commercializzazione, per cui si prevede una domanda sostenuta, soprattutto da parte dei paesi più poveri (ai quali sarà garantita la diffusione anche gratuita a carico dei paesi più ricchi).

Nel frattempo, il marketing istituzionale delle diverse aziende operative nel campo del vaccino anti-Covid ha cominciato a diffondere i suoi messaggi “promozionali”, soprattutto attraverso i media, scatenando una specie di gara al rialzo sul grado di efficacia di ciascun vaccino. E così, Pfizer-Biontech, che aveva inizialmente annunciato un’efficacia di poco superiore al 90%, dopo l’annuncio di Moderna (efficacia al 94,5%) ha comunicato una percentuale del 95%. La Russia, dal canto suo, ha sbandierato un notevole 92%.

Ma la battaglia si combatte anche – e soprattutto – sulle proprietà in base alle quali la distribuzione di ciascun vaccino potrà essere più o meno difficoltosa. il vaccino Pfizer-Biontech, per esempio, necessita di temperature pari a -75°C (tra i -70°C e i -80°C), e solo negli ultimi giorni prima dell’iniezione può essere portato in un normale frigorifero ad una temperatura di 4°C (dove può resistere per cinque giorni). Il vaccino Moderna, invece, può essere conservato a -20°C anche per sei mesi di stoccaggio, e poi deve restare conservata tra i 2°C e gli 8°C fino a trenta giorni (e persino a temperatura ambiente per mezza giornata).

Relativamente alle previsioni di produzione, Moderna dichiara di poter arrivare, entro fine 2021, a produrre fino ad un miliardo di dosi, per un fatturato complessivo pari a circa 25 miliardi. Pfizer-Biontech dichiarano una produzione pari a 1,3 miliardi di dosi entro il prossimo anno, per un fatturato pari a circa 26 miliardi.

Cifre da capogiro, soprattutto se consideriamo la possibilità che gli anticorpi sviluppati non siano permanenti, e quindi saranno destinati a scomparire nel giro di pochi mesi. In questo caso, il fatturato sarebbe da replicare per “enne anni”, con indubbi benefici economici strutturali per Big Pharma e per i suoi azionisti, grandi e piccoli.