Marzo 29, 2024
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Arte digitale e mercato degli NFT, una crescita da capogiro

Dalle vendite per 12,1 milioni di euro nel 2020, l’anno scorso il mercato degli NFT ha raggiunto la cifra record di 9,4 miliardi di euro solo nel terzo trimestre. Le case d’asta sempre più a caccia di artisti digitali e pronte ad organizzare aste interamente dedicate agli NFT.

Di Alessio Cardinale

Da quando a marzo del 2021 “Everydays – The First 5000 Days”, opera interamente digitale dell’artista americano che si fa chiamare Beeple, è stata battuta al prezzo record di 69 milioni dollari da Christie’s, la storia dell’arte digitale ha segnato un punto di svolta irreversibile, proiettando il mercato delle opere d’arte “non fungible token” (NFT) verso vette difficilmente ipotizzabili anche due soli anni prima. Poche settimane dopo, Jack Dorsey (cofondatore di Twitter) ha ceduto il suo primo tweet per $ 2,9 milioni. Sono bastate queste due operazioni perché le opere d’arte digitale, la cui autenticità è garantita da un NFT, venissero lanciate all’attenzione di galleristi e artisti emergenti, suscitando anche forte curiosità nel mercato di sbocco degli investitori.

Cos’è un NFT? Si tratta di un certificato crittografato registrato su tecnologia blockchain; più in dettaglio uno strumento NFT è una riga di codice incorporata in un singolo oggetto elettronico che garantisce la proprietà dell’opera. A differenza di un Bitcoin, per esempio, che è intercambiabile come ogni moneta di scambio, un NFT non è, appunto, “fungibile”, poiché unico e irripetibile: è possibile scambiare una moneta (o un Bitcoin) con un altra, ma ciò non può avvenire con gli oggetti non fungibili come un’opera d’arte o un terreno edificabile, la cui proprietà può essere documentata con atti o certificati notarili. Pertanto, un NFT dimostra la prova di possesso di un’opera digitale, ed è proprio quello che mancava sia agli artisti digitali per assicurare agli investitori l’unicità e autenticità delle proprie opere, sia al mercato.

Un altro vantaggio degli NFT è quello di permettere agli artisti di conservare il copyright dell’opera, continuando a percepire entrate economiche grazie alle royalties incassate ogni qual volta l’opera d’arte viene venduta, all’atto di ogni passaggio di mano. Oggettivamente, questo elemento di grande novità è impossibile da attuare con l’arte tradizionale, e fa degli NFT una opportunità assoluta per le case d’asta, che includono nei loro cataloghi sempre più artisti digitali e organizzano aste interamente dedicate agli NFT. E così, dopo la crescita vertiginosa del 2021 (9,4 miliardi di euro, dato ancora da aggiornare in aumento), adesso anche numerosi artisti tradizionali sperimentano la propria arte con gli NFT, che vengono acquistate perfino da importanti musei (come l’Ermitage e gli Uffizi, per esempio). A questi si aggiungono le gallerie che si sono lanciate nell’investimento primario nella Crypto Art, che assicura margini elevatissimi ma a fronte di un livello di rischio molto più elevato.

Sebbene il contenuto tecnologico-digitale abbia permesso lo sviluppo di questo strumento, le dinamiche di mercato sono esattamente le stesse di quelle dell’arte tradizionale. Pertanto, per stabilire il valore di un’opera digitale ciò che conta è il contenuto artistico dell’opera, la sensibilità dell’artista nel descrivere e sintetizzare emozioni attraverso l’uso della qualità tecnica. Il resto, come in ogni opera d’arte, lo fa anche il posizionamento del lavoro all’interno del contesto della storia dell’arte (in questo caso dell’arte digitale) e il consenso dell’ambiente artistico, composto da altri artisti, galleristi, collezionisti e case d’aste. A differenze delle opere tradizionali, però, nel caso dell’arte digitale molti artisti possono usare direttamente gli NFT – che sono strumenti accessibili e commercialmente “democratici” – per vendere in sicurezza e autonomia il proprio lavoro, senza la presenza di intermediari e gallerie, aumentando il margine di utile personale o posizionandosi in una fascia di prezzo che assicuri maggiore attrattività per gli investitori.

Tuttavia, proprio questa caratteristica ha fatto sì che artisti e galleristi non esperti del mondo digitale abbiano cominciato a comprare NFT senza avere l’esperienza adatta a valutare una forma d’arte così nuova, e gli investitori che si sono avvicinati senza la sufficiente razionalità, spinti esclusivamente dall’euforia, hanno iniziato a comprare seguendo le case d’aste e le gallerie nel momento in cui queste hanno messo in vendita i loro NFT, scambiandolo per un segnale d’acquisto “a qualunque costo”. Non appena si sono aggiunti i collezionisti – anche loro in vena di comprare senza raziocinio – i prezzi degli NFT sono schizzati alle stelle senza apparente giustificazione, in completa analogia con il primo periodo delle azioni “dotcom”, che tra il 1997 ed il 2000 alimentarono la bolla finanziaria della c.d. New Economy.  Infatti, le vendite di NFT sono passate da 12,1 milioni di euro del 2020 alla cifra record di 9,4 miliardi di euro solo nel terzo trimestre 2020. 

Per diventare dei veri e propri status symbol, gli NFT devono poter essere mostrati (senza la sua esposizione al pubblico, nessuno status symbol diviene veramente tale). Grazie alla nuova tecnologia di Samsung, chiamata NFT Aggregation Platform, i possessori delle Smart Tv dell’omonima azienda coreana potranno aggiungere le opere digitali alla collezione personale che farà da sfondo ai televisori quando non vengono utilizzati, oppure dedicare le proprie Smart Tv esclusivamente alla loro esposizione a parete (non solo come un semplice screen saver), trasformandosi in un quadro scorrevole che mostra le opere d’arte non fungible token possedute.  Si può scegliere anche la cornice digitale tra una serie di opzioni, per la cronaca.

Arte e Finanza, i gestori di fondi alla ricerca del valore. Come la logica di prodotto vanifica la ricerca di capolavori

Per trovare valore nell’Arte,  è fondamentale individuare solo gli artisti emergenti il cui grado di ricerca può confermare le aspettative future degli appassionati e del mercato. La Finanza sia al servizio dell’Arte (e non il contrario).

ll mercato dell’arte sembra ormai sempre più proiettato verso una evidente integrazione con i mercati finanziari e con i suoi maggiori players, interessati alle potenzialità delle opere d’arte ed ai loro margini di guadagno nel tempo. Secondo l’ultimo report di Deloitte, infatti, il valore totale degli asset in arte posseduti dai miliardari è di 1.712 miliardi di dollari, pari al 6% del totale dello stock di ricchezza. Eppure, l’adattabilità ai sistemi di finanza tradizionale di questo particolare settore – che più di tutti incarna il c.d. passion investment – non è affatto scontata, e sembra legata a doppio filo agli elementi “emozionali” che l’Arte, a differenze di azioni e obbligazioni, suscita nei suoi appassionati.

Fino ad un ventennio fa, l’acquisto di opere d’arte era una faccenda quasi esclusivamente privata, dovuta a motivazioni di natura estetica e, soprattutto, di status. Il valore economico-finanziario di un’opera aveva una importanza del tutto marginale. Successivamente, cominciarono a diffondersi alcune pubblicazioni che decantavano le sue qualità anti-cicliche, identificando il mercato dell’Arte come un contenitore ideale di scambi di beni rifugio, capaci di difendere il valore del patrimonio nei momenti di recessione (al pari dell’oro e dei diamanti).

Da lì in poi, quindi, un aumento vertiginoso degli acquisti e dei prezzi. Nel 2008, poi, il crollo del mercato finanziario ha generato una spinta notevole verso gli asset alternativi, portando alla ribalta anche gli scambi in altre categorie di passion investment (come le auto d’epoca ed i vini pregiati).

Ma i cambiamenti più profondi sono avvenuti nel meccanismo di attribuzione del valore. Prima del 2000, infatti, la consacrazione commerciale di un artista avveniva esclusivamente grazie al supporto indispensabile dello storico dell’arte o del critico prestigioso, e solo successivamente gli operatori commerciali e i collezionisti, insieme, ne permettevano gli scambi sul mercato; oggi, invece, è quasi sempre il mercato a influenzare le valutazioni dello storico dell’arte, nel senso che l’artista contemporaneo viene prima consacrato dagli operatori commerciali (che lo lanciano ad un certo livello di prezzo), e solo dopo , una volta “comprato”, egli riceve le attenzioni ed il riconoscimento artistico da parte dei musei o della gallerie più prestigiose.

Di conseguenza, artisti come Jeff Koons o Maurizio Cattelan sono nati letteralmente nelle fiere-mercato mondiali, e successivamente hanno avuto ingresso nei musei. Ma non è tutto. I gestori dei fondi specializzati in Arte stanno già strutturando i propri portafogli associando ai nomi dei “big” (Picasso, Monet etc) quelli di giovani artisti che, secondo i maggiori esperti, presentano margini di rendimento elevati. Una volta acquisite queste opere, i fondi avviano una gestione dei prestiti (lending) ai musei di tutto il mondo, condizionando il trasferimento dei capolavori all’esposizione delle opere delle giovani leve facenti parte del portafoglio, facendo in modo che il passaggio presso un museo di prestigio (o più musei nel corso dell’anno) determini una lievitazione del prezzo dell’artista.

Sembra un meccanismo facile, ma l’apparenza inganna; è fondamentale, infatti, individuare e proporre solo artisti emergenti il cui grado di ricerca artistica presenta caratteristiche tali da confermare le aspettative degli appassionati e rappresentare i futuri capolavori (per niente facile!).

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Con le dovute differenze, il meccanismo di formazione delle quotazioni descritto in precedenza per le opere d’arte somiglia moltissimo a quello che viene attuato nei mercati finanziari, allorquando un titolo azionario o obbligazionario viene immesso in un paniere/indice per la prima volta. Da quel momento, infatti, scatta un aumento della quotazione per via del fatto che sui titoli di quel paniere – che rappresenta un c.d. benchmark per il risparmio gestito – confluisce molta più liquidità in acquisto che su quelli che stanno al di fuori. Al contrario, quando un titolo esce fuori dal paniere-indice, perderà valore perché sarà scambiato (e apprezzato) di meno. Idem per le opere di un artista, se per loro sfortuna dovessero uscire dai “panieri” dei galleristi più autorevoli e dal giro dei musei.

Coloro che operano in finanza, oggi, sono abituati a trattare titoli di qualsivoglia tipologia e rischio, espressi sotto forma di un nome all’interno di una piattaforma telematica. Si tratta della c.d. “dematerializzazione”, che annulla del tutto l’elemento emozionale dettato dal possesso “immateriale” di una tale azione (es. Microsoft). Ebbene, se agli stessi operatori viene fornito il certificato rappresentativo di una singola azione, essi la possono “toccare con mano”, e provare la tipica emozione dettata dal possesso “fisico” del bene e dalla sua storia (non a caso le pareti degli uffici di molti consulenti finanziari sono tappezzate da antichi certificati di vecchie azioni, abbelliti da graziose cornici).

In ogni caso,  vendere e comprare in asta continua ad essere il mezzo più sicuro per investire. il “vecchio” meccanismo dell’asta, infatti, assicura che la formazione del prezzo di vendita sia l’autentico incrocio tra domanda e offerta, ed in più certifica la “storia” di un’opera (particolare fondamentale per i veri appassionati) e consente ai gestori di alimentare il portafoglio dei propri fondi. Arte e finanza, quindi, rappresentano due mondi  adesso ben integrati, ma è importante che la finanza sia a servizio dell’Arte, e non il contrario. In quest’ultimo caso, la seconda verrebbe relegata al rango inferiore di “prodotto vendibile”, determinando una selezione delle opere, da parte dei gestori dei fondi specializzati, basata essenzialmente sulla loro vendibilità e capacità di scambio sul mercato, e non sulle loro qualità artistiche immortali.

In questo consiste la logica finanziaria, che il mondo dei veri appassionati respinge con malcelato sdegno. Infatti, l’investimento in “arte vendibile” finirebbe con l’omologare sia la nuova produzione artistica sia il gusto del pubblico, togliendo spazio alle caratteristiche tipiche di ogni potenziale capolavoro: genio, racconto, capacità creativa, ma anche tracce delle circostanze storiche, culturali, sociali ed economiche dell’epoca in cui l’opera è stata concepita.

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