Settembre 19, 2025
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Come aprire un B&B a conduzione familiare e integrare (bene) il reddito

Il settore dei B&B è letteralmente esploso, e con esso il reddito integrativo generato dai turisti che visitano l’Italia da tutto il mondo. Il rischio d’impresa? prossimo allo zero.

In Italia, e soprattutto nel Meridione del nostro Paese, l’arte dell’accoglienza ha tradizioni secolari, ed è ciò che ci contraddistingue nel mondo rispetto ad altri paesi turisticamente interessanti. Negli ultimi anni, complice il Web con i suoi portali specializzati nel settore ricettivo, sempre più spesso i proprietari di case o appartamenti con più di 3 o 4 camere decidono di ristrutturarli e destinarli all’ospitalità, senza però considerarsi dei veri e propri imprenditori: Si tratta di iniziative “artigianali”, che hanno il pregio di associare ad una buona struttura la relazione di prossimità – per chi la vuole – con i titolari, i quali così riescono ad integrare notevolmente il proprio reddito.

Le regole per mettere su una iniziativa del genere sono più o meno note, un po’ meno i dettagli amministrativi. Innanzitutto, il proprietario dell’immobile destinato a B&B deve avere al suo interno (o nelle immediate vicinanze) la sua residenza o il domicilio durante il periodo di apertura dell’attività, e questa è una delle prime caratteristiche che differenzia un B&B da un attività ricettiva di tipo imprenditoriale. Il bed and breakfast, infatti, è una struttura considerata “extralberghiera”, e può comprendere al massimo l’alloggio e la prima colazione. Qualunque altro servizio relativo ai pasti non è compreso, sebbene le strutture a conduzione familiare più ampie, sempre più frequentemente, assicurano agli ospiti anche pasti non regolari fatti arrivare da fornitori esterni. 

In generale, il numero di camere di un B&B non deve superare una certa soglia (fino a 6, a seconda della località), con alcune regioni che stabiliscono limiti di stanze e posti letto anche in base alla forma imprenditoriale o non imprenditoriale. Relativamente ai giorni di permanenza, gli ospiti di un B&B non possono soggiornare più di un certo periodo, cosa che non accade per le attività ricettive imprenditoriali. La disciplina di settore è rappresentata dalla legge quadro n° 135 del 29 marzo 2001, che delega alle regioni il numero di posti letto (che va da 6 a 20), il numero di camere (da 3 a 6), e i giorni massimi di permanenza degli ospiti

L’investimento iniziale per aprire un B&B è di solito l’argomento che segna il confine tra il “fare” e il “non fare”. Infatti, la clientela che si rivolge a queste strutture predilige camere ampie, dotate di tutti i comfort (servizio con box doccia, TV, WiFi, frigobar) e con arredamento moderno – niente armadio e cassettiera della bis-bis-nonna, per intenderci – per cui i costi di ristrutturazione possono oscillare dai 30.000 ai 50.000 euro. A questi vanno aggiunti i costi necessari per le pratiche burocratiche e le consulenze tecniche, nonché i costi previsti per le attività di promozione del B&B. Dal punto di vista fiscale, i redditi derivanti dai contratti di locazione breve (art. 3 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23) sono gravati da imposta cedolare secca, con aliquota del 21%, e se l’attività è occasionale il ricavato concorre a tassazione fra i redditi diversi (art. 67, c. 1, lett. i) del Tuir). L’attività stabile di B&B, invece, configura l’esercizio di una attività imprenditoriale a tutti gli effetti, con obbligo di apertura della partita IVA.

I proprietari – o i gestori , figura molto diffusa soprattutto con chi ha investito in numerose unità immobiliari – che svolgono attività senza partita IVA e che utilizzano le piattaforme di intermediazione e di prenotazione online, subiscono la trattenuta del 21% se il pagamento pattuito viene incassato direttamente dal portale (Booking, Air B&B, Trivago etc). In questo caso, il proprietario/gestore riceve il compenso al netto di commissioni dovute alla piattaforma e di imposte; quest’ultime vengono versate all’Erario dalla stessa piattaforma entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui è effettuata la ritenuta. In alternativa alla cedolare secca, si può optare per il regime fiscale ordinario, e i ricavi generati dall’affitto breve, al netto dei costi documentati, graveranno sull’imponibile IRPEF. Tuttavia, dal momento che lo scaglione IRPEF più basso è del 23%, la cedolare secca del 21% risulterebbe già più conveniente della sommatoria di IRPEF e addizionali regionali e comunali (che al minimo scaglione IRPEF è già pari a circa il 25%); di conseguenza, più cresce lo scaglione IRPEF più la cedolare secca diventa conveniente (vedi tabella).

E’ bene però ricordare che, qualora si scelga la cedolare secca, il reddito imponibile è pari al 95% del totale dei ricavi da locazione, al netto di una detrazione forfettaria di solo il 5% per i costi sostenuti.

Relativamente al reddito prospettico, questo è strettamente collegato all’investimento iniziale. Infatti, per calcolare il rendimento annuale dell’investimento è bene ricomprendere tutti i costi eventualmente nella ristrutturazione dell’immobile, oltre all’eventuale prezzo pagato per acquistarlo.  In ogni caso, anche se l’abitazione è già di proprietà della famiglia – come accade nel 70-80% dei casi – il metodo di calcolo più corretto prevede necessariamente la sommatoria tra valore dell’immobile alla data antecedente alla ristrutturazione più i costi sostenuti. Per i “puristi” del rendimento, la base di calcolo dovrebbe essere il valore dell’immobile alla data di completamento dei lavori, lievitato per via delle migliorie e delle nuove rifiniture, ma è naturale che coloro che già possiedono l’immobile da tanti anni tenderanno a non aggiungere la stima del suo valore al calcolo del rendimento, e la cosa è perfettamente comprensibile finchè si rimane proprietari. In caso di vendita della struttura, però, il metodo di calcolo sarà ineluttabilmente quello descritto (puristi o meno).

Dal rendimento lordo (incassi lordi), naturalmente, oltre alla imposta cedolare secca e alle eventuali commissioni delle piattaforme online vanno detratti i costi variabili (pulizie settimanali/giornaliere, prodotti alimentari, manutenzione ordinaria e straordinaria, spese condominiali) e gli eventuali costi fissi (es. mutuo ipotecario o qualunque altra forma di finanziamento originariamente stipulato per l’acquisto della casa); solo dopo queste detrazioni si potrà imputare il risultato netto alla base di calcolo. In ogni caso, il reddito dipende anche dalla capacità della famiglia di promuovere la struttura nelle piattaforme, dal prezzo proposto, dalla elevata qualità dell’accoglienza e del servizio erogato, tutti fattori che di solito assicurano ogni anno l’arrivo “spontaneo” di nuovi clienti su segnalazione di quelli già venuti negli anni precedenti. L’esperienza delle famiglie/gestori di B&B italiani, infatti, rivela che dopo il terzo anno almeno il 60% dei nuovi clienti arrivi grazie al “passa-parola”, per cui il costo delle commissioni da pagare alle piattaforme (mediamente il 14%) diminuisce notevolmente, accrescendo il reddito lordo e poi il rendimento netto.

Dal punto di vista amministrativo, per aprire un B&B familiare è necessario procedere alla c.d. SCIA (segnalazione certificata di inizio attività), allegando una documentazione di rito, accessibile a tutte le famiglie (planimetria dell’abitazione, visura catastale, contratto di proprietà etc), e la ricevuta di pagamento della spese di segreteria e delle imposte. Inoltre, entro l’1 Ottobre di ogni anno si dovrà comunicare all’Ufficio Provinciale i prezzi minimi e massimi applicati, nonchè il periodo di apertura dal 1° gennaio dell’anno successivo (dal 1° Dicembre per le zone montane). Una volta presentata la documentazione, il B&B può immediatamente iniziare a funzionare.

A monte di tutto, sussistono altri requisiti da rispettare. Innanzitutto, i familiari che gestiscono la struttura devono possedere particolari requisiti morali, devono garantire la massima igiene dei luoghi: la pulizia deve avvenire quotidianamente, il cambio della biancheria due volte a settimana e comunque ad ogni cambio di ospite. A questo si aggiunge l’obbligo di garantire la sicurezza degli impianti elettrici, del gas e di riscaldamento; una grandezza minima per ogni tipo di camera (almeno 8 mq per la camera singola e almeno 14 mq per la camera doppia); la presenza degli arredi di base (armadi per i vestiti, letti, comodini, lampade e sedie); attrezzatura minima necessaria nei bagni (water, lavandino, specchio, vasca da bagno o doccia, prese di corrente).

Ancora, i cibi e le bevande devono essere preconfezionate e senza possibilità di alterazione o manipolazione, i prezzi  esposti all’interno del B&B e comunicati all’ufficio competente della Regione, le generalità dei clienti registrate e comunicate alla Questura. Infine, la detenzione di televisori all’interno di una struttura ricettiva obbliga il titolare al pagamento di un canone speciale e agevolato, calcolato in base al numero dei televisori posseduti. In definitiva, in alcune regioni, città e località italiane i flussi turistici assicurano un livello di occupazione dei B&B di buona qualità vicino ai 150 giorni/anno, equivalenti a circa 21 settimane per ogni anno. L’aumento dei prezzi delle materie prime occorso negli ultimi due anni, a causa dell’inflazione elevata, ha aumentato il costo delle ristrutturazioni di circa il 35%, ma il reddito prospettico è mediamente molto elevato, e offre adeguata copertura finanziaria all’attuale livello dei prezzi delle materie prime che, ormai, sono “acquisiti” dal mercato e difficilmente suscettibili di scendere in futuro. In ogni caso, il settore degli affitti brevi/brevissimi, per sua stessa natura, elimina il c.d. rischio-inquilino, elevatissimo nel settore degli affitti medio-lunghi, dove in alcune regioni d’Italia si arriva anche al 50% di inquilini morosi

Millennials e consulenti finanziari, un rapporto difficile. I giovani investitori costretti ad utilizzare app e piattaforme digitali

Il modello tradizionale di addebito delle commissioni, basato sulle masse amministrate, rende i clienti più giovani poco attrattivi per i consulenti. Allora, a chi deve rivolgersi oggi un millennial per le sue esigenze finanziarie?

Oggi, in Italia, le quote di mercato del risparmio sono suddivise in maniera netta e inequivocabile: 12% ai consulenti finanziari (sia non autonomi che indipendenti), 12% alle poste, 76% alle banche tradizionali. Il primo, in particolare, sembra inaccessibile ai millennials, e per il futuro non si intravede una soluzione al problema senza sfruttare la tecnologia.

Per capire meglio le dimensioni della questione, mettiamoci nei panni di uno dei 6 milioni di millennial italiani, e immaginiamo di essere uno di loro, mentre facciamo i primi passi importanti nella carriera; è il momento migliore per pensare di comprare la nostra casa o di sottoscrivere un fondo pensione o un programma di accumulo per un acquisto futuro. Pertanto, potremmo pensare di rivolgerci ad un consulente finanziario ma……quale consulente è disponibile per un cliente come un millennial, senza risparmio già accumulato ma con bisogni e necessità come tutti gli altri?

In Italia i consulenti raramente rifiutano di incontrare un cliente giovanissimo e senza risparmio (anche perché egli avrà certamente dei genitori “patrimonials” a cui rivolgersi in seguito), ma questa disponibilità non durerà ancora a lungo. Già oggi, per esempio, nel Regno Unito nessun consulente finanziario accetta di lavorare per i millennials, i quali sono così costretti a rivolgersi a singoli brokers per specifiche esigenze, frammentando con estremo disagio la platea dei propri interlocutori. In Italia, la situazione non è molto diversa, ed il concetto di “fare numero” è già stato sostituito da tempo da quello di “fare massa”, possibilmente attraverso clientela con patrimonio consolidato e di buona entità. Pertanto, a meno che un giovane investitore non abbia uno stipendio elevato, una grande eredità o sia all’inizio di una carriera potenzialmente redditizia, è probabile che il consulente non sia in grado di guadagnare in maniera soddisfacente, ed è altrettanto probabile che gli dedicherà poco tempo.

Non è una questione di “cinismo professionale”, ma una sorta di selezione naturale indotta dal modello retributivo di reti e consulenti, calcolato sulle masse, e dalle politiche di marketing delle banche-reti, rivolte oggi quasi esclusivamente alla clientela “di pregio” che consente – ancora per quanto? – di realizzare ricavi adeguati. Infatti, le modalità tradizionali di addebito delle commissioni al cliente – noto nel settore come modello ad valorem – rende i clienti più giovani e asset-light poco attrattivi.

Alla luce di queste considerazioni, a chi deve rivolgersi oggi un millennial per ricevere assistenza riguardo le sue esigenze finanziarie?

Da qualche tempo vengono in aiuto nuovi servizi digitali, con i quali si tenta di colmare il “divario di consulenza” tra clienti patrimonials e clienti più giovani, e alcune di questi sono così innovativi, eleganti e convenienti, che potrebbero far temere per la tenuta della professione di consulente tradizionale per il futuro imminente. Stiamo parlando di Internet, naturalmente, e delle piattaforme di consulenza online, le quali stanno venendo incontro alle sempre più pressanti richieste provenienti dai millennials in materia di finanza.

Il motivo di tanto fervore innovativo è rintracciabile nelle previsioni di sviluppo di questo segmento di investitori, il quale è previsto in aumento numerico esponenziale nel prossimo decennio. In Italia, la sostanziale scomparsa della classe media e la decrescita sostenuta del reddito disponibile delle famiglie hanno causato, negli ultimi quindici anni, la mancata creazione di nuovo risparmio e, relativamente al mercato dei servizi finanziari, hanno aumentato a dismisura il numero dei clienti ritenuti oggi “meno interessanti” (da 100.000 euro in giù) dalle banche-reti. I millennials, poi, si collocano all’interno di una fascia ancora inferiore (tra 0 e 50.000 euro di risparmio), e quindi hanno serie difficoltà a farsi prendere sul serio da un consulente navigato e alla ricerca di masse che compensino la continua diminuzione dei margini di ricavo a cui le reti commerciali sono state costrette dal 2008 ad oggi.

Tutto ciò ha notevoli conseguenze anche sul futuro della professione di consulente. Infatti, i consulenti finanziari che ricadono nella fascia d’età 30- 40 anni dovranno affrontare una vera e propria sfida per trovare la loro “prossima generazione” di clienti, una volta che quella dei patrimonials (i genitori dei millennials, nella fascia di età over 65) si sarà esaurita per intervenuti limiti di vita. Probabilmente, il modello economico basato sulle masse dovrà lasciare il posto a quello basato sul servizio e sulla parcella, il quale oggi trova un muro invalicabile nel vincolo di mono-mandato a cui devono sottostare i consulenti finanziari. In tal senso, il modello anglo-sassone (che dà al consulente autonomo la possibilità di occuparsi direttamente delle operazioni di acquisto presso qualunque banca “depositaria”) è certamente più avanzato del nostro.

Così, i millennials hanno trovato nelle piattaforme di investimento fai-da-te, letteralmente esplose negli ultimi tre anni, un contenitore di servizio dove poter gestire le proprie esigenze legate al denaro, sviluppando, insieme alla dimestichezza nell’uso della tecnologia, l’idea che si possa investire con successo anche senza il supporto di un consulente. I gestori patrimoniali digitali online (come Moneyfarm) oggi invitano gli aspiranti investitori a presentare il loro orizzonte temporale di investimento e le loro opinioni sul rischio, suggerendo loro il miglior fondo di investimento. Questo approccio rappresenta esattamente ciò che vuole un millennial, il quale cerca soluzioni semplici a quesiti altrettanto semplici: come accumulare, quale mutuo scegliere, quali commissioni pagare…il tutto in tempo reale, con poca spesa e senza interagire eccessivamente con qualcuno.

Peraltro, nel corso dei prossimi 20 anni, i millennials italiani erediteranno circa 5 miliardi di euro dai baby boomers: a chi verranno affidate queste masse, frazionate tra vari eredi? Non esiste nessuna ricerca di questo tipo, ma ci viene in aiuto una ricerca inglese (condotta da Kings Court Trust) secondo la quale un quarto dei beneficiari di eredità si è immediatamente allontanato dai consulenti dei genitori o dei nonni, portando via, in media, circa 300.000 sterline presso le banche tradizionali per operare in autonomia. Il restante 75% di ereditieri, in tutta probabilità, apprezzerà ancora il “tocco umano” del consulente per interagire con il mondo della finanza, anche perché, secondo la stessa ricerca, molti dei giovani investitori si dichiarano spaventati all’idea di andare su un sito Web finanziario, rispondere ad alcune domande automatizzate e vedersi addebitare la propria carta di credito per una consulenza che potrebbe essere stata erogata anche da un c.d. Robo-Advisor.

Di contro, rispetto ai colleghi britannici, i consulenti italiani rimangono ancora “umani” e si rivelano amichevoli, professionali e disposti ad aiutare le giovani generazioni. Ma non sappiamo quanto a lungo durerà, perchè i punti critici rimangono, e sono i costi, la convenienza e il tempo. Pertanto, anche per i millennials italiani, la soluzione sembra essere quella di usare una combinazione intelligente di app, piattaforme di investimento e presenza umana (simpatica ed efficace) di tanto in tanto.

Chi ha già intravisto questo cambiamento, tra i consulenti, si attrezzi in fretta ad investire sul proprio sito web.

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