Aprile 19, 2024

La responsabilità medica e la natura dei rischi della professione

Anche i medici di base e la loro ASL di appartenenza possono rispondere di condotte negligenti o dolose verso i pazienti

In tutti i casi in cui il paziente ritiene di aver subito un danno da parte di un medico e vuole agire contro di lui, è importante individuare la natura del rapporto giuridico (contrattuale oppure extra-contrattuale) che si instaura tra il medico e il paziente.

Nel caso in cui il rapporto si sia instaurato tra un paziente ed un medico libero professionista (che esercita attività medica privatamente, cioè senza servirsi di strutture pubbliche o private) il rapporto è certamente di natura contrattuale. Pertanto, in caso di lesioni personali del paziente o del suo decesso, è configurabile una responsabilità civile e penale, e chi ha subito il danno (anche i suoi eredi, in caso di morte) potrà presentare una querela e costituirsi parte civile nel relativo procedimento.

Sotto il profilo del danno, infatti, chi lo ha subito potrà richiedere il risarcimento di quello patrimoniale, morale, di relazione e biologico, calcolati in relazione alla propria età ed al grado di invalidità procurato al paziente.

Recentemente, La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 8770/2018, si è pronunciata sul perimetro temporale di applicazione della legge, sorto a seguito dell’entrata in vigore della legge 8 marzo 2017 n. 24. Quest’ultima, abrogando la precedente normativa, ha rimodulato i limiti della colpa medica quando questa è ipotizzabile anche nel rispetto delle linee-guida dettate in materia. In particolare, le Sezioni Unite si sono soffermate sul tema della natura, della finalità e della validità delle linee-guida (che di fatto hanno costituito l’intera impalcatura della legge) ed hanno spiegato che queste linee-guida, pur delineando i parametri necessari per l’osservanza degli obblighi di diligenza, prudenza e perizia, non rappresentano veri e propri precetti capaci di generare colpa specifica in caso di loro violazione, dal momento che le raccomandazioni in esse contenute dovranno adattarsi al caso concreto. In sostanza, per la Cassazione le linee guida non rappresentano una “barriera” contro ogni ipotesi di responsabilità, essendo la loro efficacia dipendente in ogni caso dall’adeguatezza (tutta da dimostrare) al caso concreto.

Del resto, se le linee-guida dovessero rappresentare una guida vincolante e “automatica”, non ci sarebbe spazio per l’esperienza ed il talento, e la medicina diventerebbe una sorta di ufficio pubblico dove verrebbero evase semplici pratiche burocratiche.

Ve lo immaginate?

Pertanto, le Sezioni Unite, relativamente alla colpa medica, hanno enunciato i seguenti principi, in ciò chiudendo il cerchio di applicazione per i tribunali di merito: “L’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica: a) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza; b) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali; c) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche clinico-assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto; d) se l’evento si è verificato per colpa “grave” da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico“.

Precedentemente, una corposa produzione di sentenze di Cassazione aveva già delineato i confini della responsabilità medica negli ambiti più disparati.

Innanzitutto, anche nei casi in cui la struttura ospedaliera ospiti un sanitario chiamato dal paziente, la Corte ha affermato che l’ospedale non può essere parificato, in quanto a responsabilità, ad una struttura alberghiera, e rispondere così solo dei servizi tipici senza doversi preoccupare  di quanto avviene all’interno delle camere. Inoltre, nella medesima decisione, la Corte ha stabilito che tale responsabilità ha natura contrattuale (contratto di spedalità o di assistenza sanitaria) ex art. 1218-1228 del Codice Civile – diretta e indiretta – perché derivante dall’inadempimento della prestazione medica svolta dal sanitario in qualità di “ausiliario necessario” della struttura, pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato.

Pertanto, la struttura sanitaria, pubblica o privata, che nell’adempimento della propria obbligazione si avvale di medici anche se scelti dal paziente e non dipendenti della struttura medesima, risponde delle loro condotte colpose o dolose.

Quest’ultima norma è importante anche per tracciare il perimetro delle responsabilità dei medici di base, i quali non ne sono esenti per il solo fatto di non praticare la chirurgia; infatti, i pazienti danneggiati dalla loro eventuale condotta colposa o negligente possono agire per ottenere il risarcimento non solo verso lo stesso sanitario, ma anche nei confronti dell’ASL di appartenenza.

In relazione alla tipologia di responsabilità, quella della struttura sanitaria è certamente di natura contrattuale, mentre quella del medico di base è di tipo extracontrattuale, così come quella degli altri medici che non agiscono nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta direttamente con il paziente.
La corretta informazione al paziente è alla base anche di recenti pronunce di una certa importanza. Infatti, relativamente al Consenso Informato, con la sentenza n. 20885/2018 la Cassazione ha chiarito che le conseguenze della sua mancata osservanza variano da caso a caso, ma devono distinguersi due ipotesi:

  • quella in cui dalla lesione del diritto al consenso informato siano derivate (non importa se in buona o cattiva fede) conseguenze per la salute del paziente (il quale chiede il risarcimento del danno),
  • quella in cui il paziente, a seguito dell’omesso consenso, si rivolga al giudice solo per la lesione al suo diritto all’autodeterminazione.

Nel primo caso, il paziente può essere risarcito solo nella misura in cui provi che, se fosse stato debitamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi alla terapia che gli è stata praticata. Nel secondo caso, non è necessaria la prova del rifiuto, ma il danno è risarcibile a condizione che sia stata superata la soglia della gravità dell’offesa (secondo i principi stabiliti dalle sentenze della Cassazione a Sezioni unite nn. 26972-26975 del 2008).

In tutta evidenza, i medici italiani camminano ogni giorno “sul filo del rasoio” (ma sono tante le denunce c.d. temerarie), ed è solo grazie alla professionalità acquisita sul campo se essi riescono a tutelare la loro integrità professionale e patrimoniale. Diversi di loro, però, non riescono ad opporre idonei mezzi di tutela economica, e rischiano di mettere a repentaglio tutto ciò che è stato creato nel tempo. Infatti, i beni possono rimanere bloccati anche per anni (in caso di sequestro cautelativo), creando enormi disagi all’intero nucleo familiare.

Se sei un medico, forse potrebbe interessarti sapere come tutelare il tuo patrimonio familiare in caso di responsabilità professionale

Scarica l’e-book “La Responsabilità professionale del medico e la protezione del suo patrimonio“, edito da PATRIMONI&FINANZA.

Non costa assolutamente nulla, è sufficiente registrarsi

Buona lettura !

 

Related Posts

Lascia un commento